Sentenza N. 251 del 1975
Corte Costituzionale
Data generale
22/12/1975
Data deposito/pubblicazione
22/12/1975
Data dell'udienza in cui è stato assunto
18/12/1975
DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof.
VINCENZO MICHELE TRIMARCHI Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE
– Prof. PAOLO ROSSI – Avv. LEONETTO AMADEI – Dott. GIULIO GIONFRIDA –
Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI – Dott. MICHELE ROSSANO –
Prof. ANTONINO DE STEFANO, Giudici,
secondo, della Costituzione, della richiesta di referendum popolare per
l’abrogazione degli artt. 546, 547, 548, 549, comma secondo, 550, 551,
552, 553, 554, 555 del codice penale, approvato con r.d. 19 ottobre
1930, 1398.
Udito nella camera di consiglio dell’11 dicembre 1975 il Giudice
relatore Antonino De Stefano.
Con ordinanza del 7 novembre 1975, depositata in pari data,
l’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di
cassazione, esaminata la richiesta di referendum popolare per
l’abrogazione degli artt. 546, 547, 548, 549, comma secondo, 550, 551,
552, 553, 554, 555 del codice penale, approvato con r.d. 19 ottobre
1930, n. 1398, presentata il 12 luglio 1975 da tre dei promotori, e
precisamente, dai signori Pannella Giacinto Marco, Zanetti Livio e
Galli Maria Luisa, ai sensi dell’art. 28 della legge 25 maggio 1970, n.
352, ed accertato il numero definitivo delle firme valide esaminate in
557.677, superiore quindi al numero di 500.000 voluto dalla
Costituzione, ha dichiarato legittima la richiesta anzidetta.
Ricevuta comunicazione dell’ordinanza, il Presidente di questa
Corte, in ottemperanza all’art. 33 della citata legge numero 352 del
1970, ha fissato per la conseguenziale deliberazione il giorno 11
dicembre 1975, dandone comunicazione ai presentatori della richiesta e
al Presidente del Consiglio dei ministri: né gli uni né l’altro si
sono avvalsi della facoltà di depositare memorie.
1. – Nel complesso procedimento instaurato dalla legge 25 maggio
1970, n. 352, al fine di determinare le modalità di attuazione del
referendum popolare per l’abrogazione di una legge o di un atto avente
valore di legge, previsto dall’articolo 75 della Costituzione, assumono
precipuo rilievo le funzioni demandate all’Ufficio centrale per il
referendum, costituito presso la Corte di cassazione a norma dell’art.
12 della citata legge. Tale Ufficio è, infatti, chiamato, dal
successivo art. 32, ad accertare che la richiesta di referendum sia
conforme alle norme di legge, rilevando con ordinanza le eventuali
irregolarità e decidendo, con ordinanza definitiva, sulla legittimità
della richiesta medesima.
Una volta poi espletate le operazioni di votazione e di scrutinio,
è lo stesso Ufficio che, ricevuti i verbali e i relativi allegati,
procede all’accertamento delle condizioni prescritte dal penultimo
comma dell’art. 75 della Costituzione, e alla conseguente proclamazione
dei risultati del referendum (art. 36 legge cit.). Infine, allo Ufficio
anzidetto compete dichiarare che le operazioni non hanno più corso,
se, prima della data dello svolgimento del referendum, la legge, o
l’atto avente forza di legge, o le singole disposizioni cui il
referendum si riferisce, siano stati abrogati (art. 39 legge cit.).
Al controllo di legittimità demandato all’apposito Ufficio è
preclusa soltanto la cognizione dell’ammissibilità del referendum, ai
sensi del secondo comma dell’art. 75 della Costituzione (art. 32, comma
secondo, legge cit.). Per l’art. 2 della legge cost. 11 marzo 1953, n.
1, spetta, infatti, alla Corte costituzionale giudicare sé le
richieste di referendum abrogativo presentate a norma dell’art. 75
della Costituzione, siano ammissibili ai sensi del secondo comma
dell’articolo stesso. E le modalità di tale giudizio – in conformità
a quanto previsto dal richiamato art. 2 della legge cost. n. 1 del 1953
– sono state appunto stabilite dalla citata legge n. 352 del 1970,
precisamente all’art. 33.
Trattasi, dunque, di una competenza che si è aggiunta a quelle
demandate alla Corte dall’art. 134 della Costituzione; ed il relativo
giudizio, per il limitato oggetto (sentenza di questa Corte n. 10 del
1972), per la sua inserzione in un procedimento unitario che si
articola in più fasi consecutive e conseguenziali, per la sua
peculiare funzione di controllo in ordine ad un atto del procedimento
di abrogazione in corso, si atteggia con caratteristiche specifiche ed
autonome nei confronti degli altri giudizi riservati a questa Corte, ed
in particolare rispetto ai giudizi sulle controversie relative alla
legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di
legge.
2. – Alla stregua di tali premesse, si dà atto che l’Ufficio
centrale per il referendum, con l’ordinanza del 7 novembre 1975, ha
dichiarato legittima la richiesta di referendum popolare per
l’abrogazione degli artt. 546, 547, 548, 549, comma secondo, 550, 551,
552, 553, 554, 555 del codice penale. Ne consegue per la Corte, nella
sede attuale, il compito di verificare se tali disposizioni
appartengano o meno alle categorie di leggi sottratte al referendum
abrogativo dal secondo comma dell’art. 75 della Costituzione (leggi
tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a
ratificare trattati internazionali).
3. – Gli articoli dianzi indicati – tutti collocati sotto il Titolo
X, Dei delitti contro la integrità e la sanità della stirpe, del
Libro II del codice penale – concernono un complesso di ipotesi
delittuose, e precisamente l’aborto di donna consenziente (art. 546),
l’aborto procuratosi dalla donna (art. 547), l’istigazione all’aborto
(art. 548), la morte o lesione della donna derivate dal fatto preveduto
dall’art. 546 (art. 549, comma secondo), gli atti abortivi su donna
ritenuta incinta (art. 550), la procurata impotenza alla procreazione
(art. 552), l’incitamento a pratiche contro la procreazione (art. 553),
il contagio di sifilide o di blenorragia (art. 554); inoltre,
l’articolo 551 contempla una riduzione delle pene stabilite dagli
articoli da 546 a 550, dianzi indicati, e dall’art. 545 (del quale non
è proposta l’abrogazione), se alcuno dei fatti ivi preveduti è
commesso per causa di onore; e l’art. 555 prevede un aumento della
pena, e nel caso di recidiva la interdizione perpetua dalla professione
sanitaria, se il colpevole di uno dei delitti preveduti dall’art. 545,
dalla prima parte e dal secondo capoverso dell’art. 546, dagli artt.
548, 549, 550, dalla prima parte dell’art. 552 e dall’art. 553, è
persona che esercita una professione sanitaria. Appare evidente che
tali disposizioni non rientrano tra quelle eccettuate dall’art. 75,
comma secondo, della Costituzione, e pertanto è ammissibile la
richiesta di referendum popolare per la loro abrogazione, una volta che
ne è stata dichiarata la legittimità a mente dell’art. 32 della
citata legge n. 352 del 1970.
4. – Così precisati i limiti della sua competenza, la Corte non
può non rilevare che, con sua sentenza n. 49 del 10 marzo 1971,
pubblicata in G. U. n. 74 del 24 marzo 1971, è stata dichiarata la
illegittimità costituzionale dell’art. 553 cod. pen. (incitamento a
pratiche contro la procreazione), del quale ora il promosso referendum
intende conseguire l’abrogazione; e che detto articolo, pertanto, ha
cessato di avere efficacia, ai sensi dell’art. 136 della Costituzione,
fin dal giorno successivo alla pubblicazione della richiamata sentenza,
né può, da tale data, aver più applicazione (art. 30, comma terzo,
legge 11 marzo 1953, n. 87), con ciò risultando assorbita la finalità
cui istituzionalmente è preordinato il referendum abrogativo.
Rileva, altresì, la Corte che, con sua sentenza n. 27 del 18
febbraio 1975, pubblicata in G.U. n. 55 del 26 febbraio 1975, è stata
dichiarata la illegittimità costituzionale dell’articolo 546 cod. pen.
(aborto di donna consenziente), “nella parte in cui non prevede che la
gravidanza possa venir interrotta quando l’ulteriore gestazione
implichi danno, o pericolo grave, medicalmente accertato nei sensi di
cui in motivazione e non altrimenti evitabile, per la salute della
madre”; e che tale pronuncia è intervenuta in data posteriore a quella
(5 febbraio 1975) in cui – come rilevasi dalla motivazione
dell’ordinanza dell’Ufficio centrale presso la Corte di cassazione – i
promotori avevano reso nota, ai sensi e per gli effetti dell’art. 7
della citata legge n. 352 del 1970, la loro iniziativa per la richiesta
di un referendum abrogativo, tra gli altri, del menzionato art. 546,
dando così avvio al relativo procedimento.
La Corte si arresta a tali constatazioni, senza inoltrarsi nelle
loro implicazioni: non appartiene, infatti, al presente giudizio la
cognizione della problematica che si profila in conseguenza di quanto
rilevato, potendo essa investire – riferita che sia all’intero
complesso normativo o ai soli due articoli sopra menzionati o ad uno
solo di essi – tanto la conformità a legge della richiesta di
referendum, quanto l’ulteriore svolgimento delle operazioni (art. 39
legge n. 352 del 1970). Come si è innanzi ricordato, ai relativi
controlli, ed alla soluzione delle pertinenti questioni, è preposto
l’Ufficio centrale per il referendum, al quale questa sentenza va
comunicata, in ottemperanza al disposto dell’ultimo comma dell’art. 33
della citata legge.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare,
presentata il 12 luglio 1975, per l’abrogazione degli artt. 546, 547,
548, 549, comma secondo, 550, 551, 552, 553, 554, 555 del codice
penale, approvato con r.d. 19 ottobre 1930, numero 1398, e dichiarata
legittima dall’ordinanza 7 novembre 1975 dell’Ufficio centrale per il
referendum, costituito presso la Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 1975.
LUIGI OGGIONI – ANGELO DE MARCO –
ERCOLE ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA –
VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – VEZIO
CRISAFULLI – NICOLA REALE – PAOLO
ROSSI – LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA- EDOARDO VOLTERRA – GUIDO
ASTUTI – MICHELE ROSSANO – ANTONINO
DE STEFANO.
ARDUINO SALUSTRI – Cancelliere