Sentenza N. 257 del 1982
Corte Costituzionale
Data generale
31/12/1982
Data deposito/pubblicazione
31/12/1982
Data dell'udienza in cui è stato assunto
22/12/1982
MICHELE ROSSANO – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI
– Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO
MACCARONE – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO ANDRIOLI – Prof.
GIUSEPPE FERRARI – Dott. FRANCESCO SAJA – Prof. GIOVANNI CONSO – Prof.
ETTORE GALLO, Giudici,
11 dicembre 1933, n. 1775 (Testo unico delle leggi sulle acque e sugli
impianti elettrici), come sostituito dall’art. 1 della legge 4 dicembre
1956, n. 1377 e modif. dall’art. 1, terzo comma della legge 21
dicembre 1961, n. 1501 (Adeguamento dei canoni demaniali e dei
sovracanoni dovuti agli Enti locali ai sensi della legge 21 gennaio
1949, n. 8) promosso con ordinanza emessa l’1 aprile 1976 dalla Corte
di cassazione – Sez. unite civili, sul ricorso proposto dall’ENEL
contro il Ministero delle Finanze ed altri, iscritta al n. 666 del
registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 340 del 22 dicembre 1976.
Visti l’atto di costituzione dell’ENEL e del Ministro delle
finanze;
udito nell’udienza pubblica del 10 novembre 1982 il Giudice
relatore Antonio La Pergola;
uditi l’avv. Giancarlo Mazzullo, per l’ENEL, e l’avvocato dello
Stato Giovanni Albisinni, per il Ministro delle Finanze.
1. – Le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione con
ordinanza emessa il 1 aprile 1976 hanno sollevato, su ricorso proposto
dall’ENEL contro il Ministero delle finanze e altri, questione di
legittimità costituzionale dell’art. 53 R.D. 11 dicembre 1933, n.
1775, come sostituito dall’art. 1 legge 4 dicembre 1956, n. 1377, e
modificato dall’art. 1, terzo comma, legge 21 dicembre 1961, n. 1501,
in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 23 Cost.
Il Tribunale Superiore delle acque pubbliche con sentenza 22 aprile
1972, n. 44, respingeva l’istanza di annullamento del decreto 19 maggio
1967, n. 51731, del Ministro delle Finanze, che imponeva all’ENEL sia
il pagamento relativo alla derivazione di acqua, per produrre energia,
concessa con il decreto interministeriale 1 luglio 1960, sia il
sovracanone, in favore dei comuni di Verzo e Crevola d’Ossola, nonché
dell’Amministrazione provinciale di Novara, in base all’art. 53 del
R.D. il dicembre 1933, n. 1775.
L’ENEL ha ricorso contro tale pronuncia; un controricorso è stato
proposto dal Ministero delle Finanze. Avanti la Corte di Cassazione
l’ENEL aveva sostenuto di non dover corrispondere il sovracanone,
eccependo fra l’altro l’incostituzionalità del citato art. 53, per
presunto contrasto con l’art. 23 Cost.; il giudice a quo ha ritenuto
tale eccezione rilevante, poiché la norma censurata è il presupposto
del potere impositivo esercitato dal convenuto ministero, e peraltro
non manifestamente infondata, anche in relazione all’art. 3 Cost. Il
sovracanone in questione – si afferma nell’ordinanza di rinvio – ha
carattere di prestazione patrimoniale imposta, e infatti costituisce
l’oggetto di un’obbligazione pecuniaria, che può essere addossata
autoritativamente al concessionario dall’Amministrazione in aggiunta al
canone fissato all’atto della concessione; il concessionario può
dunque sottrarsi all’assolvimento dell’onere pecuniario solo se
rinunzia alla derivazione. Peraltro, la norma impugnata non
determinerebbe con la necessaria adeguatezza le condizioni che
legittimano l’applicazione del sovracanone, né i criteri idonei a
regolarla, laddove l’esercizio del potere impositivo non è
obbligatorio e si giustificherebbe esclusivamente in vista di altre,
specifiche circostanze. Si afferma inoltre che la previsione della
misura massima fissata dalla legge non offre ancora alcun appiglio per
determinare l’effettiva misura del canone. Si osserva, infine, che le
condizioni economiche degli enti locali beneficiari e il danno da essi
subito sono ritenute sì rilevanti, ma in concorso con altri indefiniti
eventi, e in ogni caso non sono presi in considerazione con riguardo al
momento deliberativo dell’imposizione.
Ai vizi summenzionati hanno tentato di ovviare – prosegue il
giudice a quo – sia l’Amministrazione, con circolare della direzione
del demanio, emanata nel 1959, sia la giurisprudenza, ordinaria ed
amministrativa. Detti interventi però, in quanto effettuati su un
piano diverso da quello legislativo, rafforzerebbero i dubbi di
costituzionalità prospettati a questa Corte con riferimento all’art.
23 Cost.: e precisamente al precetto, ivi stabilito, che la legge non
soltanto preveda la prestazione imposta, ma ne confermi presupposti e
limiti. Secondo la Corte di Cassazione sussisterebbe, peraltro, il
pericolo che, in base alla normativa censurata, situazioni analoghe
siano ingiustificatamente soggette a diversa disciplina.
Si costituisce nel presente giudizio l’ENEL.
Nella relativa memoria la difesa riporta le argomentazioni dedotte
davanti alla Corte di Cassazione. Si ricorda che l’ENEL aveva ricorso
al Tribunale S.A. contro il decreto ministeriale 19 maggio 1967 per
violazione e falsa applicazione della legge 4 dicembre 1956, n. 1377, e
altresì per insufficiente motivazione e travisamento dei fatti,
nonché per violazione dell’art. 1 legge 1377/56 e 37 T.U. 1775/33.
Innanzi a detto Collegio la difesa dell’ENEL aveva prospettato la
questione di costituzionalità ora promossa dalla Corte di Cassazione.
Ma il Tribunale ne aveva ritenuto la manifesta infondatezza,
respingendo i rimanenti motivi del ricorso, sull’assunto che
l’assolvimento dell’onere pecuniario fosse subordinato alla sola e
discrezionale determinazione dell’autorità, e non anche dell’effettiva
utilizzazione delle acque da parte del concessionario. Con cio si
sarebbe escluso che il sovracanone in questione rivesta alcun carattere
di indennizzo.
Nel ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione la difesa
dell’ENEL ha invece sostenuto l’opposta tesi, che viene avanzata anche
in questa sede. Il maggior contributo a carico dei concessionari di
grandi derivazioni per la produzione di forza motrice si giustifica –
viene infatti dedotto – per via dell’esigenza che i comuni rivieraschi
e le rispettive province godano almeno parzialmente dei beni ricavati
da risorse attinte dal loro territorio, e siano così compensati dei
danni dipendenti dall’installazione degli impianti elettrici. Dal che
si deduce, continua la difesa dell’ENEL, la natura risarcitoria del
sovracanone, del resto sancita nel testo originario dell’art. 53 del
T.U. del 1933 e confermata dalle previsioni della legge 4 dicembre
1956, n. 1377, la quale non ha alterato l’intimo fondamento della
disposizione censurata.
La difesa dell’ENEL osserva poi che è stato chiesto al T.S.A. di
statuire se i concessionari delle grandi derivazioni debbano versare il
sovracanone, anche quando gli impianti occorrenti per l’utilizzazione
delle acque non siano stati ancora realizzati, né dunque vi sia
necessità di alcun ristoro dei danni subiti dagli enti rivieraschi.
L’adito Collegio ha affermato che la prestazione è dovuta solo che il
Ministero abbia accertato l’esistenza della concessione e i termini di
decorrenza e scadenza del canone principale. Ma tale affermazione,
secondo la difesa dell’ENEL, rende ancora più seri i dubbi di
costituzionalità sopra prospettati: se infatti il sovracanone non ha
natura di indennizzo, la norma che lo prevede vulnererebbe le
statuizioni indicate come parametri di legittimità nel presente
giudizio, sempre per la considerazione che la discrezionalità
dell’organo esecutivo, al quale compete di statuire detto onere
pecuniario, non è stata sufficientemente delimitata.
2. – Interviene nel presente giudizio di costituzionalità il
Presidente del Consiglio, per il tramite dell’Avvocatura dello Stato,
la quale deduce l’infondatezza della questione.
Premette l’Avvocatura che in un primo tempo la giurisprudenza aveva
affermato il carattere risarcitorio del sovracanone in questione;
successivamente però si è venuto affermando il principio che tale
prestazione abbia lo scopo di venire incontro ai bisogni degli enti
locali. Il fine indennitario non potrebbe però del tutto essere
escluso, se si tiene conto del disposto del secondo commma dell’art. 1
della legge n. 1377 del 1956, che configura comunque idonee limitazioni
del potere discrezionale del Ministro per le Finanze.
Il legislatore avrebbe pertanto pienamente osservato i criteri
fissati dalla Corte in relazione all’art. 23 Cost. Le medesime
argomentazioni bastano secondo l’Avvocatura a dimostrare l’infondatezza
della questione che ha riguardo alla presunta violazione dell’art. 3
Cost.
Unite censura in questa sede, in riferimento agli artt. 3 e 23 Cost.,
l’art. 53 R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, come modificato dall’art. 1
terzo comma, legge 4 dicembre 1956, n. 1377 e dalla successiva
disposizione (art. 1, terzo comma, della legge 21 dicembre 1961, n.
1501). La testé citata norma di legge dispone che il Ministero per le
finanze può stabilire, sentito il Consiglio Superiore dei Lavori
pubblici – a carico del concessionario di una grande derivazione
d’acqua, e a favore dei comuni rivieraschi, nonché delle rispettive
province – un ulteriore canone fino a L.436 per ogni Kwtt nominale
concesso (cfr. art. 1, secondo comma, della citata legge n. 1377 del
1956), poi elevato a L.800 (ai sensi dell’art. 1, terzo comma, della
citata legge n. 1501 del 1961). Decorrenza e scadenza del sovracanone
sono quelle stesse del canone fissato all’atto della concessione.
La previsione normativa in esame configurerebbe una prestazione
patrimoniale imposta al concessionario, senza, tuttavia, la necessaria
indicazione né dei presupposti di fatto, né dei criteri che
riguardano l’esercizio del potere demandato al Ministro. Si deduce,
infatti, che l’area degli anzidetti presupposti non può considerarsi
esaurita con la semplice previsione della “attualità della
concessione”, dalla quale trae origine il sovracanone, restando
l’imposizione affidata alla discrezionalità dell’organo esecutivo; che
il potere impositivo così configurato non incontra poi alcuna idonea
limitazione, per il solo fatto che il legislatore ha stabilito la
misura massima del sovracanone ed individuato gli enti beneficiari. La
norma censurata, si soggiunge, fa riferimento alle condizioni
economiche degli enti interessati, e al danno da essi eventualmente
subito in dipendenza dalla concessione – “oltre che ad altri, non
precisati eventi” – esclusivamente con riguardo alla ripartizione del
sovracanone tra i comuni rivieraschi e le rispettive province; non si
detta dunque alcun criterio, vien precisato, in ordine all’altro ed
autonomo momento, in cui la prestazione è deliberata. Le denunziate
carenze della previsione normativa – alle quali, si dice non può
supplire l’opera dell’interprete – offenderebbero la riserva di legge
posta nell’art. 23 Cost., ed altresì il principio costituzionale di
eguaglianza, in quanto, non avendo il legislatore adeguatamente
definito presupposti, criteri e limiti dell’imposizione, sussiste il
pericolo che situazioni analoghe possano risultare assoggettate ad
un’ingiustificata disparità di trattamento.
2. – La questione non è fondata. Il sovracanone costituisce,
certo, una prestazione patrimoniale, che va imposta al concessionario
della derivazione di acqua nel rispetto dell’art. 23 Cost.; nella
specie, però, essa trova, come esige l’invocato disposto
costituzionale, idoneo fondamento nella legge.
Nell’ordinanza di rinvio si lamenta, prima di tutto, che il solo
presupposto di fatto per l’imposizione in esame stia “nell’attualità
della concessione”. Ma questo rilievo, come ammette lo stesso giudice a
quo, non basta a concretare la prospettata ipotesi di illegittimità
costituzionale: né implica ancora che difetti alcun limite o criterio,
al quale l’organo esecutivo debba, per stabilire il sovracanone,
secondo legge adeguarsi. Infatti, la disposizione censurata individua
il soggetto passivo della prestazione, che è il concessionario della
derivazione d’acqua. Così si fa implicito ma chiaro riferimento al
contesto dei dati – quali la potenziale utilizzazione delle acque, o
l’importanza delle opere da eseguire – che vengono, secondo
l’atteggiarsi del rapporto di concessione, di volta in volta in rilievo
nell’apprezzamento dell’organo competente a gravare il concessionario
di quest’onere aggiuntivo. In secondo luogo è individuato il
necessario beneficiano della prestazione. Tale, precisamente, è l’ente
locale, che la norma contempla; e là dove si statuisce che il
sovracanone è “stabilito a favore dei comuni rivieraschi e delle
relative provincie”, si definisce, con ciò stesso, anche lo scopo
dell’imposizione. Del resto, la normativa sottoposta al giudizio della
Corte testualmente prevede le condizioni economiche degli enti
anzidetti (prima ancora che l’eventuale danno scaturente dalla
concessione) come un elemento di valutazione, di cui l’organo
deliberante è tenuto a giovarsi, dove si tratti di ripartire il
sovracanone fra gli enti rivieraschi. Il giudice a quo, è vero,
distingue l’imposizione della ripartizione del sovracanone, e ne trae
la conseguenza che i parametri indicati in sede di riparto non
concernono il momento in cui l’onere è deliberato. Ma ciò non toglie
che la ragione giustificativa della prestazione patrimoniale sia qui,
nel sistema della legge, quella di sopperire alle esigenze degli enti
interessati. Si spiega allora, pur adottando il punto di vista accolto
nell’ordinanza di rinvio, come lo stesso criterio, che viene in
considerazione al fine di imporre l’onere, sia stato, per coerenza di
disciplina, poi richiamato con espresso e puntuale riferimento alla
fase in cui il gettito dell’imposizione è ripartito fra gli enti
anzidetti.
Ancora: la discrezionalità riconosciuta al Ministro va esercitata
con l’osservanza della garanzia procedurale, che si connette
all’obbligo di sentire l’organo consultivo – il Consiglio superiore dei
Lavori pubblici – anche quando si versi fuori dagli apprezzamenti di
indole prettamente tecnica, e comunque – ciò che più importa, per
l’attuale indagine -in conformità ed attuazione della finalità
perseguita dalla legge. La quale vuole, in definitiva, che l’autorità
competente tenga in conto le circostanze, in cui decide se stabilire il
sovracanone, sotto un duplice riguardo: da un canto l’apporto che può
essere ragionevolmente preteso dal titolare della sottostante
concessione, dall’altro le condizioni economiche dei beneficiari.
3. – Detto ciò, occorre ricordare che il potere conferito al
Ministro è delimitato anche in relazione al possibile ammontare del
sovracanone. Ora, come la Corte ha in altra occasione affermato (cfr.,
ad esempio, sentenza n. 4 del 1957), la legge che manchi di fissare il
massimo della prestazione imponibile non vulnera, per ciò solo, il
precetto dell’art. 23 Cost. Siffatta cautela, si è sopra precisato (v.
supra n. 1), è stata invece introdotta nella disciplina del caso in
esame. Vi è quindi un’altra e decisiva ragione per fugare il sospetto
che la scelta demandata all’Amministrazione resti esente dai vincoli
prescritti dal testo costituzionale e così possa trasmodare in
arbitrio.
Per concludere: la concessione della derivazione di acqua opera
come presupposto di fatto perché il concessionario sia obbligato, in
virtù del provvedimento ministeriale, al versamento dell’ulteriore
canone, oggetto dell’attuale controversia. L’onere pecuniario così
configurato deve essere tuttavia stabilito in base alla previsione di
legge, e dunque secondo il criterio impositivo che ha riguardo – sempre
entro i limiti della prestazione massima consentita – sia a quanto è
esigibile dal soggetto passivo in rapporto alla sua posizione di
concessionario, sia al fabbisogno dei comuni o delle province, cui è
destinato il sovracanone.
Non si può, d’altronde, nemmeno trascurare che l’imposizione in
parola soddisfa anche ad una specifica esigenza di ordine
costituzionale, qual è il sostegno dell’autonomia locale: tanto più
rilevante, sul piano della applicazione fin qui ricevuta dalla norma
censurata, in quanto il sovracanone ha offerto la via per
un’indispensabile integrazione delle risorse degli enti rivieraschi.
Le considerazioni svolte valgono, infine, ad escludene la
violazione del principio di eguaglianza, delineata nel provvedimento di
rimessione sull’assunto che risultasse inosservata la riserva di legge,
posta nell’ant. 23 Cost.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 53 R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, come sostituito dall’art.
1 legge 4 dicembre 1956, n. 1377, e modificato dall’art. 1, terzo
comma, legge 21 dicembre 1961, n. 1501, sollevata dalle Sezioni Unite
civili della Corte di Cassazione, con l’ordinanza in epigrafe, in
riferimento agli artt. 3, primo comma, e 23 Cost.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 dicembre 1982.
F.to: LEOPOLDO ELIA – MICHELE ROSSANO
– ORONZO REALE – BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO
PALADIN – ARNALDO MACCARONE – ANTONIO
LA PERGOLA – VIRGILIO ANDRIOLI –
GIUSEPPE FERRARI – FRANCESCO SAJA –
GIOVANNI CONSO – ETTORE GALLO.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere