Sentenza N. 259 del 1976
Corte Costituzionale
Data generale
29/12/1976
Data deposito/pubblicazione
29/12/1976
Data dell'udienza in cui è stato assunto
21/12/1976
OGGIONI – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Avv.
LEONETTO AMADEI – Dott. GIULIO GIONFRIDA – Prof. EDOARDO VOLTERRA –
Prof. GUIDO ASTUTI – Dott. MICHELE ROSSANO – Prof. ANTONINO DE STEFANO
– Prof. LEOPOLDO ELIA, Giudici,
comma, della legge 25 settembre 1940, n. 1424 (legge doganale) e
dell’art. 301 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (testo unico delle
disposizioni legislative in materia doganale), promosso con ordinanza
emessa il 23 ottobre 1974 dalla sezione istruttoria presso la Corte
d’appello di Trieste nel procedimento penale a carico di Stanicic Darko
ed altri, iscritta al n. 80 del registro ordinanze 1975 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 88 del 2 aprile 1975.
Udito nella camera di consiglio del 7 ottobre 1976 il Giudice
relatore Leonetto Amadei.
Con nota 7 maggio 1973, il Ministro di grazia e giustizia
sollecitava la Procura generale di Trieste a promuovere giudizio di
estradizione (ex art. 666 c.p.p.) nei confronti di alcuni cittadini
jugoslavi, su richiesta del governo federale elvetico in quanto colpiti
da mandato di cattura emesso dalla Procura pubblica del cantone di
Zurigo per i reati di furto continuato e danneggiamento.
Unitamente alla estradizione, il Governo elvetico chiedeva la
riconsegna dei valori ed oggetti sequestrati, tra cui delle pellicce,
poiché costituivano compendio dei furti addebitati agli estradandi.
Con sentenza 4 luglio 1973, la sezione istruttoria della Corte di
appello di Trieste deliberava in senso favorevole all’estradizione e in
senso sfavorevole alla consegna delle pellicce sequestrate sotto il
profilo che trattandosi di cose introdotte in Italia in contrabbando
doganale (reato per il quale gli estradandi erano stati condannati dal
tribunale di Trieste) esse, in forza degli artt. 116 della legge 25
settembre 1940, n. 1424, e 301 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, erano
soggette a confisca.
Con nota del 30 maggio 1974, l’Ambasciata elvetica in Italia
reiterava la domanda sostenendo che le pellicce dovevano considerarsi
refurtiva e non già merce di contrabbando. Tale domanda veniva
inoltrata dal Procuratore generale alla sezione istruttoria con parere
favorevole. La sezione istruttoria, ritenendo sulla base delle norme
doganali vigenti, non accoglibile la richiesta, ha sollevato questione
di legittimità costituzionale degli artt. 116 della legge 25 settembre
1940, n. 1424, e 301 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, nella parte in
cui non prevedono la esclusione dalla confisca nei casi di contrabbando
delle cose che ne sono oggetto qualora risulti che queste siano state –
prima dell’introduzione nello Stato – dolosamente sottratte al
legittimo proprietario o detentore estraneo al reato.
Per il giudice a quo l’illegittimità costituzionale delle norme
richiamate investirebbe sia il principio della personalità della
responsabilità penale, sancito dall’art. 27, primo comma, della
Costituzione, sia il disposto dell’art. 42, terzo comma, della stessa
Costituzione che prevede l’espropriabilità della proprietà privata
solo per motivi di interesse generale e con indennizzo, atteso che la
confisca, nel caso in esame, si risolverebbe in un inammissibile
esproprio in danno di persona estranea al fatto reato.
Per lo stesso giudice sussisterebbe analogia tra la situazione in
atto con quella presa in considerazione dalla Corte con la sentenza n.
229 del 1974, con la quale vennero dichiarati illegittimi gli artt. 116
della legge n. 1424 del 1940 e 301, primo comma, del d.P.R. n. 43 del
1973 per contrasto con l’art. 3 della Costituzione.
L’ordinanza ha sollevato la questione di costituzionalità degli
artt. 116, primo comma, della legge doganale 25 settembre 1940, n.
1424, e 301 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (testo unico delle
disposizioni legislative in materia doganale), per contrasto con gli
artt. 27, primo comma, e 42, terzo comma, della Costituzione, nella
parte in cui non prevedono la esclusione della confisca, nei casi di
contrabbando, delle cose che ne sono l’oggetto, allorché risulti che
queste, prima della introduzione nello Stato in violazione delle leggi
doganali, fossero dolosamente sottratte al legittimo proprietario o
detentore.
La questione è fondata.
Con la sentenza 17 luglio 1974, n. 229, questa Corte ha già
dichiarato illegittimo (per contrasto, peraltro, con l’art. 3 della
Costituzione) l’art. 116, primo comma, della suddetta legge doganale
del 1940, nella parte in cui, quanto alle cose che servirono o furono
destinate a commettere il reato, impone la confisca anche nell’ipotesi
di loro appartenenza a persone estranee al reato stesso, alle quali non
sia imputabile un difetto di vigilanza. Per illegittimità
conseguenziale la Corte dichiarò, nella stessa sentenza, la
illegittimità costituzionale degli artt. 301, primo comma, del citato
testo unico delle disposizioni in materia doganale e dell’art. 87,
primo comma, della legge 17 luglio 1942, n. 907.
Secondo quanto allora ritenuto dalla Corte sulla questione
prospettata, “l’applicazione dell’istituto della confisca
obbligatoria… snatura il carattere della misura di sicurezza così
come è strutturata e introdotta dal codice vigente che ne fa uno
strumento anomalo di ambigua collocazione giuridica”.
Venendo all’oggetto della presente causa è da rilevare, anzitutto,
che è pa lese il contrasto con l’art. 27 della Costituzione, poiché,
mentre questo afferma la personalità della responsabilità penale,
l’art. 116 della legge doganale e l’art. 301 del t.u. delle
disposizioni in materia doganale contengono delle evidenti previsioni
di responsabilità oggettiva, poiché prescindono del tutto dalla
valutazione dell’elemento psicologico nella condotta del soggetto e
comminano la confisca delle cose destinate a commettere il reato, senza
tener conto alcuno della loro appartenenza. E ciò anche se è vero che
possono esservi delle cose per le quali si può configurare una
illiceità oggettiva in senso assoluto (art. 240 c.p.), che prescinde,
pertanto, dal rapporto col soggetto che ne dispone, e che debbono
essere confiscate presso chiunque le detenga a qualsiasi titolo.
Questo, però, rappresenta un profilo del tutto particolare,
atipico, ma non estraneo alla logica del sistema e ai criteri a cui si
ispira la prevenzione sul piano generale e di cui le misure di
sicurezza patrimoniali costituiscono un aspetto.
Con la menzionata sentenza, la Corte ha preso in esame, entro i
confini dell’ordinanza così come allora motivata, la sola questione
della confisca di cose appartenenti a terzi ai quali si sarebbe potuto
imputare un difetto di vigilanza.
Nella presente causa il problema è diverso: non si tratta,
infatti, di cose appartenenti a terzi estranei al reato, che avrebbero
potuto esercitare una più vigile attenzione, bensì di cose
(costituenti l’oggetto del reato doganale) che al terzo furono
dolosamente sottratte.
Così essendo, pertanto, non può assolutamente essere addebitata
al proprietario una responsabilità personale, né può appagare la
responsabilità obiettiva che, ingiustamente posta a suo carico, ha
dato causa al provvedimento di confisca di cose che, al proprietario
sottratte, hanno poi formato oggetto di violazione di norme doganali.
Questa Corte, tuttavia, precisa che siffatta sottrazione debba
risultare da pronuncia giudiziale.
Le norme impugnate vanno pertanto dichiarate illegittime nella
parte in cui non prevedono l’esclusione della confisca delle cose
oggetto di contrabbando, che siano state illegittimamente sottratte a
terzi, quando tale sottrazione risulti giudizialmente accertata.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale dell’art. 116, primo
comma, della legge 25 settembre 1940, n. 1424, e dell’articolo 301 del
d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, nella parte in cui non prevedono la
esclusione della confisca per le cose oggetto del reato di contrabbando
che siano state illegittimamente sottratte a terzi, quando tale
sottrazione risulti giudizialmente accertata.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 dicembre 1976.
F.to: PAOLO ROSSI – LUIGI OGGIONI –
ERCOLE ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA –
VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – VEZIO
CRISAFULLI – NICOLA REALE – LEONETTO
AMADEI – GIULIO GIONFRIDA – EDOARDO
VOLTERRA – GUIDO ASTUTI – MICHELE
ROSSANO – ANTONINO DE STEFANO –
LEOPOLDO ELIA.
ARDUINO SALUSTRI – Cancelliere