Sentenza N. 26 del 1965
Corte Costituzionale
Data generale
14/04/1965
Data deposito/pubblicazione
14/04/1965
Data dell'udienza in cui è stato assunto
06/04/1965
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO – Prof. NICOLA JAEGER – Prof. GIOVANNI
CASSANDRO – Dott. ANTONIO MANCA – Prof. ALDO SANDULLI – Prof. GIUSEPPE
BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof.
GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA
BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO, Giudici,
Regione del Trentino-Alto Adige, concernente “Modifiche alla legge
regionale 20 agosto 1952, n. 24, sulla elezione del Consiglio regionale
del Trentino-Alto Adige”, riapprovata dal Consiglio regionale il 7
ottobre 1964, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei
Ministri, notificato il 28 ottobre 1964, depositato nella Cancelleria
della Corte costituzionale il 31 successivo ed iscritto al n. 13 del
Registro ricorsi 1964.
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Presidente della
Regione Trentino-Alto Adige;
udita nell’udienza pubblica del 3 febbraio 1965 la relazione del
Giudice Giuseppe Castelli Avolio;
uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe
Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri, e l’avv.
Giorgio Franco, per il Presidente della Regione Trentino-Alto Adige.
1. – Con ricorso notificato il 28 ottobre 1964 il Presidente del
Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, ha impugnato il disegno di legge concernente “Modifiche
alla legge regionale 20 agosto 1952, n. 24, sulla elezione del
Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige”, riapprovato, ai sensi
dell’art. 49 dello Statuto speciale della detta Regione, dal Consiglio
regionale il 7 ottobre 1964 e comunicato al Commissario del Governo il
13 ottobre successivo.
Il disegno di legge impugnato con l’art. 1 stabilisce che sono
elettori per l’elezione del Consiglio regionale i cittadini italiani i
quali, essendo iscritti nelle liste elettorali di un Comune delle due
provincie di Trento o Bolzano, compilate a norma della legge regionale
20 agosto 1952, n. 24, risiedano, nel giorno della votazione, da almeno
tre anni ininterrottamente nel territorio della Regione.
Con l’art. 2 stabilisce che il sindaco, entro dieci giorni dalla
pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del decreto di
convocazione dei comizi elettorali, deve compilare un elenco di coloro
che, pur essendo iscritti nelle liste elettorali, non possono
raggiungere il requisito della residenza ininterrotta ai sensi
dell’articolo precedente, e prevede la trasmissione entro i cinque
giorni successivi dell’elenco stesso, in duplice copia, alla
Commissione elettorale comunale, la quale, dopo operata la revisione di
sua competenza, trasmette una copia dell’elenco alla Commissione
elettorale mandamentale e l’altra al sindaco, che deve curarne la
pubblicazione mediante avviso del deposito dell’elenco medesimo per
otto giorni nella segreteria comunale.
Avverso l’iscrizione nell’elenco è ammesso reclamo alle
Commissioni elettorali da parte di ogni elettore, nel termine di
pubblicazione. La Commissione mandamentale, poi, sulla scorta
dell’elenco approvato dalla Commissione comunale, ed in base alle
decisioni adottate sui ricorsi pervenuti, depenna in via definitiva
dalla copia delle liste sezionali destinate alla votazione i nominativi
degli elettori rimasti ancora compresi nell’elenco.
Con l’art. 3, infine, la legge impugnata, completando la descritta
disciplina elettorale, stabilisce che il sindaco, nelle prime ore del
giorno fissato per la votazione, e comunque prima dell’inizio delle
operazioni di voto, consegna al presidente dell’ufficio elettorale un
elenco degli elettori che, essendo iscritti nelle liste della Sezione,
revisionate dalla Commissione elettorale mandamentale, hanno tuttavia
trasferito la loro residenza fuori del territorio della Regione nel
periodo compreso fra la data di pubblicazione del decreto di
convocazione dei comizi elettorali ed il giorno della votazione.
2. – Rileva nel ricorso l’Avvocatura che l’art. 19 dello Statuto
Trentino-Alto Adige, dopo avere stabilito sia il sistema elettorale da
seguire nella Regione – proporzionale a suffragio universale diretto e
segreto -‘ sia il numero dei consiglieri da eleggere e la ripartizione
territoriale dei collegi, autorizza eccezionalmente la Regione a
fissare con propria legge le ulteriori modalità delle elezioni,
prevedendo – in deroga all’art. 48, sesto comma, della Costituzione,
secondo cui il diritto di elettorato attivo può essere limitato solo
con legge dello Stato e per determinati motivi – che possa stabilirsi
il requisito “della residenza nel territorio della Regione per un
periodo ininterrotto non superiore ai tre anni”.
Trattandosi di limitazione eccezionale che, come tale, postula una
interpretazione restrittiva, e versandosi in materia non compresa fra
quelle elencate nell’art. 4 dello Statuto, la potestà così attribuita
alla Regione dovrebbe, secondo l’Avvocatura, considerarsi solo
secondaria e, come tale, da esercitarsi nei limiti dei principi
stabiliti dalle singole leggi dello Stato. Di conseguenza la Regione
avrebbe potuto soltanto determinare, a norma del richiamato art. 19
dello Statuto, il periodo di residenza necessario per esercitare
l’elettorato attivo nelle elezioni regionali, e non, come invece ha
fatto con l’art. 1 dell’impugnato disegno di legge, apportare
modificazioni o aggiunte, tra le quali appunto sarebbe da inquadrare il
requisito della residenza anche nel giorno della votazione. Con ciò la
Regione avrebbe derogato ai principi di cui agli artt. 10 e 11 della
legge 7 ottobre 1947, n. 1058, privando i cittadini italiani nati o
residenti nella Regione delle potestà opzionali riconosciute a tutti
dall’ordinamento giuridico nazionale. Cosicché l’art. 1 in definitiva
sarebbe, secondo l’Avvocatura, in contrasto con gli artt. 3 della
Costituzione e 4 e 19 dello Statuto Trentino-Alto Adige, oltre che con
le citate disposizioni della legge n. 1058 del 1947.
Quanto all’art. 2, osserva l’Avvocatura che, mentre il primo e il
secondo comma, disciplinando l’aggiornamento delle liste in relazione
al periodo triennale di residenza, come sopra stabilito dall’art. 1,
incorrono nei vizi di illegittimità costituzionale già lamentati, il
terzo ed il quarto comma violerebbero i principi della citata legge 7
ottobre 1947, n. 1058, sotto il duplice profilo della previsione di due
organi diversi per la decisione dei ricorsi contro l’inclusione negli
elenchi degli esclusi dal voto, e della esclusione dell’azione
popolare, ammessa invece per principio generale, informativo di tutto
il contenzioso in materia elettorale.
L’art. 3, infine, sarebbe affetto da analoghi vizi e violerebbe
inoltre l’art. 25 della medesima legge n. 1058 del 1947, conferendo al
sindaco l’anomalo potere di modificare le liste approvate dalle
Commissioni elettorali.
Conclude il ricorso per la dichiarazione di illegittimità
costituzionale e il conseguente annullamento dell’impugnato disegno di
legge.
3. – La Regione, previa delibera del Consiglio regionale in data 29
ottobre 1964, si è costituita in giudizio, in persona del Presidente
pro tempore della Giunta regionale, rappresentato e difeso dagli
avvocati Feliciano Benvenuti e Giorgio Franco, i quali hanno depositato
nella cancelleria della Corte, il 17 novembre 1964, le proprie
deduzioni, notificate al Presidente del Consiglio dei Ministri il
precedente giorno 13.
Osserva anzitutto la difesa della Regione che la Regione stessa ha
competenza legislativa esclusiva in materia elettorale, data la
relativa completezza ed autonomia del sistema adottato nello Statuto
speciale.
Comunque, il carattere esclusivo della competenza legislativa in
materia elettorale deriverebbe anche dall’art. 4 dello Statuto
speciale, giacché tale articolo attribuisce alla Regione la potestà
di emanare norme legislative in materia di ordinamento degli uffici
regionali e del personale ad essi addetto. Ciò comprenderebbe anche la
materia elettorale in considerazione del fatto che i Consigli regionali
sarebbero appunto uffici della Regione, e la relativa potestà
legislativa rientrerebbe nella più generale potestà organizzatoria
della Regione. La potestà legislativa regionale in materia elettorale
non potrebbe quindi trovare altro limite se non quello della
conformità ai principi costituzionali, di cui appunto all’art. 4 dello
Statuto speciale. Verrebbe perciò meno il presupposto di diritto su
cui si articola l’impugnativa del disegno di legge in esame.
Passando ad esaminare i singoli motivi di doglianza, osserva la
difesa della Regione che, se l’art. 1 della legge regionale ha imposto
il requisito della residenza nel territorio regionale nel giorno della
votazione, ciò ha fatto in puntuale attuazione di quanto è disposto
dall’art. 19, ultimo comma, dello Statuto. Infatti la residenza
ininterrotta ivi richiesta avrebbe la sua ragion d’essere nell’intento
di far partecipare alla vita dell’amministrazione regionale coloro che
possono vantare una certa stabilità di rapporti ed un certo attuale
inserimento nella vita della Regione, requisiti che ovviamente non
potrebbero sussistere in chi, pur avendo risieduto a lungo nella
Regione, da essa si trasferisce proprio nell’imminenza della votazione.
Non potrebbe parlarsi, quindi, di violazione degli artt. 10 e il della
legge 7 ottobre 1947, n. 1058, perché i relativi principi sarebbero
già stati derogati dall’art. 19, ultimo comma, dello Statuto.
La impugnativa contro i primi due commi dell’art. 2 del disegno di
legge in esame, correlativi all’art. 1, sarebbe resistita poi dalle
argomentazioni come sopra svolte per sostenere l’infondatezza delle
doglianze mosse contro l’art. 1 medesimo; mentre i vizi attribuiti nel
ricorso al terzo e quarto comma sarebbero pure infondati, giacché la
pretesa forma anomala dei ricorsi troverebbe la sua giustificazione nel
carattere esclusivo della competenza legislativa regionale in materia
elettorale, che soffrirebbe soltanto i limiti dei precetti
costituzionali e dei principi dell’ordinamento giuridico dello Stato,
coi quali ovviamente non contrasterebbe la specifica disciplina
prevista nei citati commi terzo e quarto dell’art. 2.
Riguardo alla disciplina dell’azione popolare sostiene la difesa
della Regione che, poiché essa rientra indubbiamente nella materia
elettorale, si sarebbe in presenza di un oggetto che la legge ben
poteva regolare con i limiti derivanti dall’art. 19 e dall’art. 4, n.
1, dello Statuto.
Le considerazioni che precedono, secondo la stessa difesa,
varrebbero altresì a destituire di fondamento gli addebiti mossi
all’art. 3, che, oltre tutto, si presenterebbe come necessario
completamento della disciplina sancita dall’art. 1, al fine di
garantirne l’integrale applicazione.
Conclude la difesa della Regione chiedendo che il ricorso sia
respinto.
4. – L’Avvocatura dello Stato ha depositato, nei termini, una
memoria illustrativa con cui insiste nelle tesi già prospettate e, in
particolare, riafferma il carattere concorrente della potestà
legislativa della Regione Trentino-Alto Adige in materia elettorale,
attraverso una disamina sistematica delle disposizioni della
Costituzione (artt. 117 e 122) e degli altri Statuti speciali
regionali, dalla quale disamina emergerebbe che a nessuna Regione a
Statuto ordinario o speciale è riconosciuta potestà legislativa
primaria o esclusiva in materia di elezioni del Consiglio regionale e
soprattutto di elettorato attivo o passivo.
Inoltre l’Avvocatura esclude che – come vorrebbe invece la difesa
della Regione – possa comprendersi anche la materia elettorale nella
potestà organizzatoria attribuita alla competenza legislativa
regionale dall’art. 4, n. 1, dello Statuto speciale. Osserva che il
Consiglio regionale – come il Presidente e la Giunta – è organo di
rilevanza costituzionale e non ufficio della Regione, e che questa
distinzione trova fondamento negli artt. 97, 55, 83 e 92 della
Costituzione, che distinguono appunto gli uffici della pubblica
Amministrazione dagli organi dello Stato.
Anche dal raffronto fra le disposizioni di cui agli artt. 117 e
122 della Costituzione e fra le disposizioni di vari articoli degli
Statuti speciali, che disciplinano separatamente e distintamente, da un
lato, il potere legislativo regionale in materia di ordinamento degli
uffici, e, dall’altro la stessa potestà in materia elettorale,
emergerebbe la infondatezza della tesi regionale in esame, la quale,
invece, tenderebbe ad identificare, nella sostanza, le due potestà.
Senza dire che se l’ordinamento degli uffici regionali previsto
dall’art. 4, n. 1, dello Statuto Trentino-Alto Adige comprendesse anche
la materia delle elezioni, non avrebbero più senso gli artt. 19 e 42
dello Statuto stesso, che appunto tale materia espressamente
disciplinano.
Un ulteriore aspetto di illegittimità costituzionale infine
l’Avvocatura prospetta, osservando che il requisito della residenza da
almeno un triennio nel territorio regionale nel giorno della votazione
colpisce quegli elettori che si siano trasferiti temporaneamente a
causa di lavoro o per altri ragionevoli motivi; onde sussisterebbe la
violazione del principio di eguaglianza, anche per non avere la legge
regionale tenuto conto dei detti motivi, e non avere così
differenziato, nel trattamento, ipotesi indubbiamente differenziate
nella sostanza.
5. – Nell’udienza del 3 febbraio 1965 le difese delle parti hanno
illustrato le rispettive tesi ed hanno insistito nelle prese
conclusioni.
1. – Per risolvere la controversia in esame deve decidersi,
anzitutto, la questione concernente la portata e i limiti della
potestà legislativa della Regione Trentino-Alto Adige in materia
elettorale.
Mentre il ricorso, infatti, si fonda essenzialmente
sull’affermazione che tale potestà, non rientrando nell’ambito
dell’art. 4 dello Statuto speciale, dovrebbe necessariamente
configurarsi come potestà legislativa “secondaria”, soggetta quindi ai
limiti dei principi delle leggi dello Stato a norma dell’art. 5 dello
Statuto, la difesa della Regione ritiene, invece, che si tratterebbe di
competenza legislativa piena, come tale soggetta, ai sensi dell’art. 4,
ai principi costituzionali e dell’ordinamento giuridico. Sostiene,
anzi, che la potestà in esame potrebbe ritenersi compresa nella norma
del n. 1 dell’art. 4, che stabilisce la competenza della Regione per
l’ordinamento degli uffici regionali e del personale ad essi addetto.
2. – Sembra opportuno sgombrare subito il terreno da quest’ultimo
assunto.
L’ordinamento degli uffici della Regione, di cui al n. 1 dell’art.
4, e del personale addetto, non può riguardare il Consiglio, il
Presidente e la Giunta, che sono organi della Regione, ed organi di
rilevanza costituzionale, e non uffici, come agevolmente può
argomentarsi anche dalla Costituzione che distingue gli organi dello
Stato (artt. 55, 83 e 92) dagli uffici della pubblica Amministrazione
(art. 97), e come in tal senso e in via generale risulta da vari
articoli degli Statuti speciali (artt. 3, lett. a, e 17 dello Statuto
sardo; 24, lett. p. e 3 dello Statuto siciliano; 2, lett. a, e 16 dello
Statuto Valle d’Aosta; 4, n. 1, e 5, n. 1, dello Statuto Friuli-Venezia
Giulia).
3. – Per risolvere la questione non sembra che essa possa essere
posta con riferimento all’art. 5 o all’art. 4 dello Statuto speciale,
così come fanno, dai rispettivi punti di vista, le parti in causa.
Invero, come l’ambito della potestà legislativa regionale non è
desumibile soltanto dagli articoli degli Statuti che espressamente
elencano le materie affidate alla competenza regionale, non si
esaurisce cioè nelle materie ivi indicate, ma si estende ad altre
previste da diverse disposizioni statutarie (ad es. la materia
tributaria, di bilancio, di referendum, di controllo sugli enti
locali); così, in particolare, per quanto riguarda il Trentino-Alto
Adige, la competenza legislativa regionale non risulta esclusivamente
dagli artt. 4 e 5 dello Statuto, ma viene completata dalle disposizioni
di vari articoli dello Statuto medesimo (ad es. 7, 53, 56, 64, 65, 69 e
81) e, in particolare dell’art. 19, che aggiunge appunto la materia
elettorale.
Onde la ricerca dei limiti di tale potestà legislativa non va
tanto effettuata tenendo presenti quelli previsti dagli artt. 4 e 5
dello Statuto, e discutendo sulla loro estensibilità alla materia
elettorale, bensì va orientata verso il riconoscimento e la
determinazione di quei limiti che, comunque vogliano essere definiti,
emergono necessariamente dalla peculiarità della materia singola,
rapportata alle esigenze fondamentali che informano la vita dello
Stato, nel cui ambito le autonomie regionali si muovono, purché resti
salva l’unità politica dello Stato consacrata dall’art. 5 della
Costituzione. Questo precetto più spiccatamente, e necessariamente, si
concreta nella unitarietà dei principi ispiratori dell’attività
pubblica, che tende al conseguimento dei fini essenziali per la
conservazione e lo sviluppo del gruppo espresso dallo Stato. In
relazione a questi concetti la Corte costituzionale ha rilevato che,
per una esigenza logica, prima che giuridica, il regolamento
dell’esercizio dei diritti politici deve risultare da leggi dello
Stato, in quanto è lo Stato che presiede all’equilibrio generale degli
interessi dei cittadini (sentenza n. 105 del 1957). Si spiega perciò
come lo Statuto in esame doveva contenere apposita norma per regolare
il diritto elettorale per la Regione, e in relazione appunto a quei
fini unitari va stabilita la portata della norma medesima e vanno
intesi i limiti della potestà legislativa della Regione in materia
elettorale.
Bene pertanto è stato in proposito dalla prevalente dottrina
osservato che i principi stabiliti dalle norme che regolano
l’elettorato sia attivo che passivo, attenendo all’attuazione del
principio democratico, su cui si fonda la vita dello Stato, non possono
essere derogati dalle leggi regionali, specie nel caso in cui queste,
apportando modifiche ai principi medesimi, vengano a comprimere i modi
di attuazione della democrazia.
Né è possibile, secondo la tesi sostenuta dalla difesa della
Regione, restringere la sostanza dei limiti della potestà legislativa
regionale in materia elettorale solo ai principi costituzionali, con
esclusione degli altri principi stabiliti al riguardo dalle leggi
statali, assumendosi che, in tal modo, non verrebbe toccata l’unità
politica dello Stato, sufficientemente garantita dall’osservanza dei
principi costituzionali. Giova in contrario osservare che le leggi
statali in materia di diritti politici, e particolarmente in materia
elettorale, sono leggi di attuazione della Costituzione, la quale al
riguardo si limita ad enunciare soltanto criteri di massima, non
compiutamente definiti; e pertanto non si vede come potrebbe ritenersi
salvaguardata l’unità politica dello Stato in presenza di leggi
regionali regolanti, in modo diverso da quanto il legislatore statale
ha stabilito, una materia che, come si è affermato incide sulla
garanzia della libertà democratica del Paese.
4. – Quanto si è detto spiana la via per l’esame della
legittimità della legge impugnata.
Secondo la legge dello Stato (7 ottobre 1947, n. 1058) l’elettore
può essere ammesso ad esercitare il diritto di voto nel domicilio
elettorale anche se abbia trasferito la sua residenza prima del giorno
della votazione. Ciò si evince chiaramente dal disposto degli artt. 10
e 11 della citata legge n. 1058, che riconoscono appunto tale facoltà
e ne disciplinano l’esercizio. L’art. 1 del disegno di legge impugnato
pone invece, inderogabilmente, il requisito della residenza nel
territorio regionale “nel giorno della votazione”; si costituisce così
una disciplina restrittiva dell’esercizio del diritto di voto rispetto
a quella risultante dalle leggi dello Stato, e si incide in modo
sostanziale sulla consistenza dell’elettorato attivo, toccando quindi
uno dei punti essenziali della disciplina stessa. D’altra parte
affermare, come fa la difesa della Regione, che questa restrizione
sarebbe conseguenza necessaria della ratio della norma statutaria di
cui all’ultimo comma dell’art. 19, che prevede il requisito di un
periodo minimo di residenza nella Regione per poter votare, e vorrebbe
con ciò far partecipare alla vita della Regione solo chi può vantare
una certa stabilità ed attualità di rapporto con essa, ma fino
all’ultimo giorno, significa restringere arbitrariamente il contenuto
della norma, che pur si ispira a motivi analoghi a quelli in base ai
quali trova la sua giustificazione la facoltà di opzione prevista
dalla ricordata legge statale n. 1058 del 1947.
L’art. 1 impugnato, contrastando pertanto, con la riferita
restrizione, con i principi della legge dello Stato, è da ritenere
costituzionalmente illegittimo.
5. – Per quanto concerne il primo ed il secondo comma dell’art. 2
del disegno di legge impugnato, poiché essi costituiscono una
disciplina strettamente collegata e conseguenziale alla restrizione ora
rilevata, incorrono indubbiamente nello stesso vizio.
6. – Altrettanto può dirsi per il terzo e quarto comma, i quali
prevedono la facoltà di ricorso contro gli elenchi degli esclusi dal
voto in base al requisito della residenza così come previsto dall’art.
1.
Può però aggiungersi che è fondato anche l’altro motivo di
doglianza sollevato in proposito dal Presidente del Consiglio, col
porre in rilievo l’anomalia della disciplina dei ricorsi ivi disposta.
Stabiliscono le norme in esame che l’elettore, entro un certo
termine “può produrre tanto alla Commissione elettorale comunale
quanto alla Commissione elettorale mandamentale documentato reclamo per
ottenere la eventuale cancellazione dall’elenco. La Commissione
mandamentale, sulla scorta dell’elenco approvato dalla Commissione
comunale, ed in base alle decisioni adottate sui reclami eventualmente
pervenuti, depenna i nominativi degli elettori rimasti ancora compresi
nelle liste sezionali”. Esattamente osserva l’Avvocatura che si è
così introdotta la competenza di due organi diversi per la decisione
dei ricorsi, in contrasto con quanto prescrive, in materia, la legge
elettorale statale. La stessa difesa della Regione, che si limita,
anche su questo punto, a ribadire la propria interpretazione della
portata della potestà legislativa regionale nel campo elettorale, che
già si è più sopra dimostrata infondata, non nega il contrasto.
In realtà la menzionata norma regionale, forse a cagione della sua
non perfettamente chiara formulazione, si presta alla interpretazione
prospettata dall’Avvocatura, specie in considerazione della mancanza di
ogni indicazione relativa all’organo decidente dei ricorsi, la cui
produzione è invece prevista in modo alternativo all’una o all’altra
delle Commissioni elettorali.
Si profila così una ulteriore causa di illegittimità
costituzionale della norma in esame, che si discosta dal regime statale
delle impugnative in materia elettorale.
7. – Infine è illegittimo anche l’art. 3, impugnato, che
rappresenta l’integrazione della disciplina degli iscritti nelle liste
elettorali che abbiano trasferito la residenza fuori del territorio
della Regione nel periodo compreso fra la data di pubblicazione nel
Bollettino Ufficiale della Regione del decreto di convocazione dei
comizi elettorali ed il giorno di votazione.
E ciò anche prescindendo dalla considerazione che il potere
affidato da quella norma al Sindaco di procedere all’aggiornamento
delle liste secondo i criteri già descritti, escludendo i cittadini
che egli affermi trasferiti nel giorno della votazione, costituisce una
sostanziale deroga a quanto stabilisce in materia la legge elettorale
statale, in base alla quale sono riservate alle Commissioni elettorali
le attribuzioni di maggior rilievo, e comunque quelle che comportano
apprezzamenti e decisioni di merito, restando affidati al Sindaco i
compiti di ridotta importanza e di carattere prevalentemente esecutivo,
quali la pubblicazione di manifesti, la trasmissione di atti, le
notificazioni ecc. (vedi artt. 15 e 16 della legge elettorale).
Con il che emerge, anche sotto questo profilo, il contrasto
dell’art. 3 impugnato con la legislazione statale.
8. – Quanto precede dimostra la illegittimità dell’intera legge, e
pertanto non è necessario passare all’esame degli altri motivi dedotti
col ricorso, e cioè il contrasto col principio di eguaglianza, di cui
all’art. 3 della Costituzione, e il mancato inserimento, nella legge
stessa, dell’azione popolare.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale della legge della Regione
del Trentino-Alto Adige concernente “Modifiche alla legge regionale 20
agosto 1952, n. 24, sulla elezione del Consiglio regionale del Trentino
– Alto Adige”, riapprovata dal Consiglio regionale il 7 ottobre 1964.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, 6 aprile 1965.
GASPARE AMBROSINI – GIUSEPPE CASTELLI
AVOLIO – NICOLA JAEGER – GIOVANNI
CASSANDRO – ANTONIO MANCA – ALDO
SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA – MICHELE
FRAGALI – COSTANTINO MORTATI –
GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ
– GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO.