Sentenza N. 264 del 1983
Corte Costituzionale
Data generale
26/09/1983
Data deposito/pubblicazione
26/09/1983
Data dell'udienza in cui è stato assunto
20/09/1983
MICHELE ROSSANO – Prof. ANTONINO DE STEFANO – Prof . GUGLIELMO
ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI –
Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO
MACCARONE – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO ANDRIOLI – Prof.
GIUSEPPE FERRARI – Dott. FRANCESCO SAJA – Prof. GIOVANNI CONSO – Prof.
ETTORE GALLO, Giudici,
terzo, r.d. 3 marzo 1934, n. 383 (Testo unico della legge comunale e
provinciale) e 26 della legge 28 ottobre 1970, n. 775 (Modifiche ed
integrazioni alla legge 18 marzo 1968, n. 249), promosso con ordinanza
emessa il 23 novembre 1977 dal Tribunale Amministrativo Regionale per
l’Emilia-Romagna, sul ricorso proposto da Mariotti Francesco contro il
Comune di Rimini, iscritta al n. 561 del registro ordinanze 1979 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 265 del 1979;
visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito, nella pubblica udienza del 12 aprile 1983 il Giudice
relatore Brunetto Bucciarelli Ducci;
udito l’avvocato dello Stato Giuseppe Angelini Rota per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Con ricorso 1 ottobre 1971 al Tribunale Amministrativo Regionale
per l’Emilia-Romagna Mariotti Francesco, impiegato del Comune di
Rimini, impugnò le deliberazioni 16 e 26 aprile 1971, 19 luglio 1971,
con le quali il Consiglio Comunale di Rimini – nel procedere al
riassetto dei ruoli, delle carriere e delle retribuzioni del personale
– aveva considerato per intero il precedente servizio da lui prestato
nella carriera direttiva quale funzionario di ruolo dal 26 febbraio
1956 e per metà il servizio prestato quale funzionario avventizio
nella medesima carriera dal 1 luglio 1940.
Il TAR dell’Emilia-Romagna, con ordinanza 23 novembre 1977, ritenne
rilevante ai fini della decisione e non manifestamente infondata – in
riferimento all’art. 36 della Costituzione – la questione di
legittimità costituzionale degli artt. 228, comma terzo, r.d. 3 marzo
1934, n. 383 (Testo unico della legge comunale e provinciale) e 26
legge 28 ottobre 1970, n. 775 (modifiche ed integrazioni alla legge 18
marzo 1968, n. 249).
L’ordinanza fu pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 265 del 26
settembre 1979.
Nel giudizio davanti a questa Corte non si è costituita la parte
privata.
È intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocato Generale dello Stato, con atto
depositato il 16 ottobre 1979, chiedendo che la questione di
legittimità costituzionale sia dichiarata non fondata.
L’art. 228, comma terzo, r.d. 3 marzo 1934, n. 383, prescrive,
nella parte seconda, che il servizio prestato dagli impiegati e
salariati dei Comuni e delle Province presso la stessa amministrazione,
precedentemente alla nomina a posti di ruolo, in qualità di provvisori
o avventizi, può essere riconosciuto in loro favore, agli effetti
degli aumenti periodici di stipendio, nella stessa misura stabilita per
gli impiegati dello Stato.
L’art. 26 legge 28 ottobre 1970, n. 775, recante modifiche ed
integrazioni alla legge 18 marzo 1968, n. 249 (Delega al Governo per il
riordinamento delle Amministrazioni dello Stato, per il decentramento
delle funzioni e per il riassetto delle carriere e delle retribuzioni
dei dipendenti), prevede la valutazione per metà del servizio,
comunque prestato, anteriormente alla nomina nella stessa carriera, ai
fini delle attribuzioni delle classi di stipendio o paghe nelle
qualifiche o categorie di appartenenza alla data di entrata in vigore
dei relativi decreti delegati. Tali norme, ad avviso del giudice “a
quo”, sarebbero in contrasto con l’art. 36 della Costituzione – il
quale prescrive che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione
proporzionata alla qualità e quantità del suo lavoro – perché
prevedono una valutazione del servizio prestato dall’impiegato del
Comune quale avventizio diversa da quella del servizio di ruolo, mentre
non vi sarebbe differenza sostanziale tra le prestazioni di un
dipendente di ruolo e quelle del dipendente fuori ruolo, che ricoprono
lo stesso posto, essendo eguali sia il titolo di studio e la
preparazione professionale richiesti per la nomina, sia le mansioni
svolte sia i rischi ed i disagi imposti, sia il grado di
responsabilità.
Questa diversa valutazione non potrebbe ritenersi giustificata
dalla mancata sottoposizione del dipendente avventizio a quella
verifica della preparazione e capacità attraverso le prove di concorso
di ammissione, alle quali è stato invece soggetto il personale di
ruolo, sia perché la nomina degli impiegati di ruolo a seguito di
concorso non costituisce un principio inderogabile e subisce eccezioni,
sia perché il permanere dell’impiegato nella stessa attività comporta
notoriamente un affinamento delle sue capacità lavorative ed un
miglioramento del suo rendimento e, proprio per tale maggiore
produttività individuale in connessione con la maggiore anzianità di
qualifica, sono previsti gli aumenti periodici di stipendio nelle loro
diverse denominazioni.
La questione non è fondata.
Il principio del diritto del lavoratore ad una retribuzione
proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro – proclamato
dall’art. 36, comma primo, della Costituzione – impone al legislatore
di attribuire lo stesso trattamento economico a coloro che esplicano le
medesime mansioni, e, quindi, per quanto concerne la fattispecie in
esame, di corrispondere all’impiegato non di ruolo, all’atto
dell’immissione in ruolo, lo stipendio con le relative indennità nella
stessa misura spettante all’impiegato di ruolo, con la medesima
qualifica, all’inizio del suo rapporto di pubblico impiego.
L’invocato principio tuttavia non opera retroattivamente né può
dunque essere applicato nel senso di ritenere costituzionalmente
garantita la completa equiparazione, sia pure ai soli effetti
economici, del pregresso servizio non di ruolo a quello di ruolo.
Invero la proporzione della retribuzione alla quantità e qualità
del lavoro prestato – prescritta dal citato art. 36 della Costituzione
– va accertata con riferimento al momento in cui l’attività lavorativa
è svolta nell’ambito di rapporti di impiego aventi le stesse
caratteristiche, mentre l’equiparazione del precedente servizio non di
ruolo a quello successivo di ruolo, effettuata dopo l’immissione in
ruolo, comporterebbe il disconoscimento dei ben precisi caratteri
distintivi delle due forme di rapporto, quello di ruolo e l’altro non
di ruolo, che sono stati posti in evidenza da questa Corte con la
sentenza n. 52 del 1981.
Al riguardo è sufficiente rilevare che l’impiegato di ruolo è
assunto a seguito del superamento delle prove del concorso di
ammissione, previsto e disciplinato da particolari norme in adempimento
del precetto generale dell’art. 97, comma ultimo, della Costituzione,
il quale prescrive che agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si
accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.
Oltre a questa differenza del modo di costituzione, il rapporto non
di ruolo si distingue da quello di ruolo perché ha la funzione di
soddisfare esigenze eccezionali ed indilazionabili, ma transitorie
della Pubblica Amministrazione; quini, carattere fondamentale di esso
è la sua precarietà, e la relativa disciplina giuridica, in linea
generale, è ben diversa da quella dell’impiego di ruolo (sentenza
citata n. 52 del 1981).
Il permanere dell’impiegato, prima non di ruolo, poi di ruolo,
nella medesima attività ed il conseguente affinamento delle sue
capacità lavorative e miglioramento del suo rendimento giustificano
l’immissione dell’avventizio in ruolo, quale giusto riconoscimento del
modo con cui ha svolto le sue mansioni, ma non comportano
necessariamente, alla stregua dei principi costituzionali, la
equiparazione del servizio non di ruolo a quello di ruolo, neppure ai
soli effetti economici, per la netta distinzione tra queste due forme
di rapporto di pubblico impiego, già posta in evidenza.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 228, comma terzo, parte seconda, r.d. 3 marzo 1934, n. 383
(Testo unico della legge comunale e provinciale) e 26 legge 28 ottobre
1970, n. 775 (modifiche ed integrazioni alla legge 18 marzo 1968, n.
249), proposta dal Tribunale Amministrativo Regionale per
l’Emilia-Romagna, con l’ordinanza in epigrafe, in riferimento all’art.
36, comma primo, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 settembre 1983.
F.to: LEOPOLDO ELIA – MICHELE ROSSANO
– ANTONINO DE STEFANO – GUGLIELMO
ROEHRSSEN – ORONZO REALE – BRUNETTO
BUCCIARELLI DUCCI – ALBERTO
MALAGUGINI – LIVIO PALADIN – ARNALDO
MACCARONE – ANTONIO LA PERGOLA –
VIRGILIO ANDRIOLI – GIUSEPPE FERRARI
– FRANCESCO SAJA – GIOVANNI CONSO –
ETTORE GALLO.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere