Sentenza N. 268 del 2002
Corte Costituzionale
Data generale
24/06/2002
Data deposito/pubblicazione
24/06/2002
Data dell'udienza in cui è stato assunto
17/06/2002
Presidente: Cesare RUPERTO;
Giudici: Massimo VARI, Riccardo CHIEPPA, Valerio ONIDA, Carlo
MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell’adozione e dell’affidamento
dei minori; ora: Diritto del minore ad una famiglia), promosso con
ordinanza emessa il 20 novembre 2000 dalla Corte di appello di Torino
– sezione per i minorenni, iscritta al n. 127 del registro ordinanze
2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, 1ª serie
speciale, n. 9 dell’anno 2001.
Udito nella camera di consiglio del 5 dicembre 2001 il giudice
relatore Fernanda Contri.
ordinanza emessa il 20 novembre 2000, ha sollevato, in riferimento
agli artt. 2, 3, secondo comma, 30, terzo comma, e 31, secondo comma,
della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell’art. 55 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina
dell’adozione e dell’affidamento dei minori), nella parte in cui,
rinviando all’art. 299 del codice civile per l’attribuzione del
cognome al minore adottato in casi particolari, non consente che il
minore, o i suoi legali rappresentanti, o gli adottanti possano
ottenere, sempre nell’interesse del minore, che questi mantenga il
suo precedente cognome, ovvero lo anteponga o lo aggiunga a quello
dell’adottante, o ancora sostituisca il cognome dell’adottante al
suo.
La Corte rimettente è investita dell’esame di un reclamo avverso
un provvedimento del tribunale per i minorenni che ha dichiarato
inammissibile un’istanza con la quale si chiedeva l’attribuzione ad
un minore, adottato ai sensi dell’art. 44, lettera b), della legge
n. 184 del 1983, del solo cognome dell’adottante (nella fattispecie,
il coniuge della madre), con la conseguente sostituzione del suo
cognome originario.
2. – In ordine alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo
osserva che il rinvio operato dalla disposizione impugnata alle norme
che regolano l’adozione degli adulti, che stabiliscono che
“l’adottato assume il cognome dell’adottante e lo antepone al
proprio”, non presenta alcuna valida ragione, perché in questo modo
viene fissata un’unica disciplina per due istituti completamente
diversi, dato che l’adozione degli adulti comporta essenzialmente la
scelta di un erede che assume il cognome dell’adottante, mentre
l’adozione del minore in casi particolari risponde ad un bisogno di
famiglia del minore e fa sorgere il dovere dell’adottante di
mantenere, istruire e educare l’adottato.
Ad avviso della Corte rimettente la disciplina scelta dal
legislatore viola diverse norme costituzionali e segnatamente:
l’art. 2 Cost., per il mancato riconoscimento del diritto del minore
al cognome più opportuno per la formazione della sua personalità
nella famiglia adottiva; l’art. 3, secondo comma, Cost., per
l’impedimento al pieno sviluppo della personalità del minore con
l’uso di un cognome che identifichi la sua appartenenza familiare o
adottiva; l’art. 30, terzo comma, Cost., per la mancata tutela dei
diritti dei figli nati fuori del matrimonio, quando l’adozione in
casi particolari riguarda figli naturali riconosciuti da un solo
genitore, adottati dal coniuge dello stesso; ed infine l’art. 31,
secondo comma, Cost., dal momento che la protezione della gioventù,
mediante gli istituti necessari a tale scopo, comprende
l’attribuzione del cognome che meglio risponda all’identità sociale
che il minore viene ad assumere.
Il giudice a quo esamina quindi le varie ipotesi in cui l’art. 44
della legge n. 184 del 1983 consente l’adozione in casi particolari,
rilevando che in tutti i casi possono prospettarsi, quanto
all’attribuzione del cognome all’adottato, diverse possibili
opportunità, quali: la sostituzione del cognome con quello adottivo
ovvero il suo mantenimento, quando gli adottanti vivono nello stesso
contesto sociale dei genitori defunti e il cognome per il bambino è
un elemento costitutivo definitivo della sua identità personale;
l’aggiunta o l’anticipo del cognome degli adottanti, soluzione che
dipende dal grado di presenza o di lontananza del padre o della
madre, legittimi o naturali, di cui il genitore adottivo/coniuge
occupa il posto; ed ancora la morte del primo genitore, la condizione
dell’adottato figlio naturale di ragazza madre, l’esistenza di
fratelli con diverso cognome, la conoscenza ormai nota nei rapporti
sociali del cognome come qualità della personalità e autonomo segno
distintivo dell’identità personale.
Secondo il giudice a quo, in tutti i casi di adozione in casi
particolari emerge quindi l’irragionevolezza della disciplina
dell’attribuzione del cognome dettata dall’art. 299 cod. civ. e il
contrasto dei suoi automatismi con la valutazione di quale possa
essere in concreto l’interesse del minore.
La Corte rimettente ricorda ancora come l’ordinamento, nel caso
del padre che riconosce il figlio naturale già riconosciuto dalla
madre, attribuisce al tribunale per i minorenni, nell’interesse del
minore, la decisione circa l’assunzione del cognome (art. 262, terzo
comma, cod. civ.) e che la Corte, con la sentenza n. 297 del 1996, ha
interpretato nel modo più ampio questo potere del giudice che, per
costante giurisprudenza, può sostituire o mantenere il primo
cognome, ovvero anteporre o posporre al primo cognome materno quello
del padre che per secondo ha effettuato il riconoscimento, con la
conseguente non giustificazione della diversa disciplina del cognome
dettata per l’adozione in casi particolari.
Sempre secondo il giudice a quo, la giurisprudenza costituzionale
(sentenze n. 297 del 1996 e n. 13 del 1993) ha rotto alcune ipotesi
consolidate di automatismo dell’attribuzione dei cognomi in presenza
di interessi costituzionalmente protetti, consentendo al giudice di
attribuire o mantenere un cognome diverso da quello che spetterebbe
secondo la disciplina legislativa, situazione che si porrebbe in
analogia con quella oggi sottoposta all’esame di questa Corte.
La Corte torinese aggiunge che non può valere in senso contrario
l’argomento, addotto dal Tribunale per i minorenni di Torino nel
provvedimento impugnato, che si potrebbe ricorrere alla modifica del
cognome con la procedura amministrativa di cui all’art. 153 del regio
decreto 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile),
poiché tale procedura prescinde dalla valutazione dell’interesse del
minore.
3. – Nel giudizio di legittimità costituzionale non è
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri né si sono
costituite parti private.
Corte d’appello di Torino – sezione per i minorenni, investe
l’art. 55 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell’adozione
e dell’affidamento dei minori; ora, dopo le modifiche introdotte
dalla legge 28 marzo 2001, n. 149: Diritto del minore ad una
famiglia), che, per l’attribuzione del cognome al minore adottato in
casi particolari, rinvia all’art. 299 del codice civile, norma
dettata per l’adozione di persone maggiori d’età; in forza di tale
rinvio “l’adottato assume il cognome dell’adottante e lo antepone al
proprio”, senza quindi che il minore, o i suoi legali rappresentanti,
o gli adottanti possano chiedere al tribunale per i minorenni,
nell’interesse del minore, che questi dopo l’adozione mantenga il suo
precedente cognome, anteponendolo, o aggiungendolo a quello
dell’adottante, o sostituisca il cognome di quest’ultimo al suo.
Secondo il giudice rimettente la disposizione in esame violerebbe
l’art. 2 della Costituzione, perché non riconosce il diritto del
minore al cognome più opportuno per la formazione della sua
personalità nella famiglia adottiva; violerebbe anche l’art. 3,
secondo comma, Cost., perché impedisce il pieno sviluppo della
personalità del minore attraverso l’attribuzione di un cognome che
identifichi la sua appartenenza familiare o adottiva; si porrebbe
inoltre in contrasto con l’art. 30, terzo comma, Cost., perché,
quando l’adozione riguarda figli nati fuori dal matrimonio, non
tutela i loro diritti; ed ancora sarebbe illegittima in riferimento
all’art. 31, secondo comma, Cost., perché non attua la protezione
della gioventù mediante l’attribuzione del cognome che meglio
risponda all’identità sociale che il minore, con l’adozione, viene
ad assumere.
Le ragioni della rimessione si incentrano, quindi,
sull’automatismo della norma impugnata, che non consente al giudice,
una volta dichiarata l’adozione in casi particolari, di valutare,
nell’esclusivo interesse del minore, quale sia il cognome più idoneo
da attribuire all’adottato; con la censura prospettata il giudice a
quo chiede quindi alla Corte una pronuncia additiva che inserisca
nella disciplina della legge un procedimento che accerti quale sia,
di volta in volta, il cognome più idoneo.
2. – La questione non è fondata.
3. – Quanto alla violazione dell’art. 2 Cost. indicata dal
giudice a quo, occorre premettere che costituisce principio
consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello per cui il
cognome è una “parte essenziale ed irrinunciabile della
personalità” che, per tale ragione, gode di tutela di rilievo
costituzionale in quanto “costituisce il primo ed immediato elemento
che caratterizza l’identità personale”; esso è quindi riconosciuto
come un “bene oggetto di autonomo diritto dall’art. 2 Cost.” e
costituisce oggetto di un “tipico diritto fondamentale della persona
umana” (sentenze n. 13 del 1994, n. 297 del 1996 e, da ultimo,
sentenza n. 120 del 2001).
In forza dei citati principi, la Corte ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’art. 105 del regio decreto 9
luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile), nella parte in
cui non prevedeva che, in caso di rettifica dei registri dello stato
civile, il soggetto si vedesse riconosciuto dal giudice competente il
diritto a mantenere il cognome che gli era stato originariamente
attribuito, quando questo costituiva ormai un segno distintivo della
sua identità personale, anche nella vita sociale di relazione
(sentenza n. 13 del 1994).
Successivamente la Corte ha dichiarato costituzionalmente
illegittimo anche l’art. 262 cod. civ., nella parte in cui non
prevedeva che il figlio naturale, nell’assumere il cognome del
genitore che lo ha riconosciuto, potesse ottenere dal giudice il
riconoscimento del diritto a mantenere, anteponendolo o aggiungendolo
a questo, il cognome col quale era precedentemente conosciuto, quando
questo fosse diventato un segno, autonomo e distintivo, della sua
identità personale (sentenza n. 297 del 1996).
In questi casi la Corte ha quindi ritenuto illegittime, per
violazione dell’art. 2 Cost., norme che, prevedendo dei criteri
rigidi ed automatici per l’attribuzione alla persona di un cognome
diverso da quello col quale essa era conosciuta nell’ambiente sociale
nel quale aveva sino a quel momento svolto la propria personalità,
finivano per far prevalere la corrispondenza del cognome allo status
familiare, sacrificando nel contempo il diritto all’identità
personale del soggetto; in entrambi i casi la soluzione adottata è
stata quella di lasciare la scelta se mantenere il cognome originario
– solo o in aggiunta a quello adottivo – quale tratto consolidato
della personalità.
La rimozione del carattere distintivo della vita precedente del
soggetto non si verifica nella disciplina per l’adozione in casi
particolari, per la quale è stato previsto che l’adottato assuma il
cognome dell’adottante anteponendolo al proprio, che in questo modo
non viene cancellato ma continua a costituire, in uno col nuovo
cognome attribuito al minore, un tratto essenziale della sua
identità personale.
Come questa Corte ha già più volte affermato (v., tra le molte,
le sentenze n. 27 del 1991 e n. 383 del 1999), l’adozione in casi
particolari, prevista dagli artt. 44 e seguenti della legge n. 184
del 1983, è un istituto diverso sia dall’adozione legittimante sia
da quella tra persone maggiori di età, pur avendo in comune con la
prima la finalità di perseguire l’esclusivo interesse del minore e
con la seconda l’effetto non legittimante del provvedimento, col
quale non vengono rescissi i rapporti dell’adottato con la sua
famiglia di origine.
Il legislatore, nello stabilire la disciplina dell’adozione in
casi particolari, ha quindi compiuto una “non facile composizione” di
esigenze diverse, tra le quali quella di “evitare che l’instaurazione
del nuovo rapporto comporti la rottura di quello esistente con
l’altro genitore biologico e/o con i di lui parenti, pur quando con
costoro il minore abbia instaurato e mantenga legami significativi”
(sentenza n. 27 del 1991, cit.), operando una scelta del tutto
conforme alle finalità dell’istituto.
A ciò va aggiunto che le ipotesi previste nell’art. 44 della
legge n. 184 del 1983 per questa particolare forma di adozione
considerano situazioni diverse fra loro e cioè: l’essere il minore
orfano di entrambi i genitori (art. 44, lettera a), ovvero figlio,
anche adottivo, dell’altro coniuge (lettera b), o il caso in cui vi
sia la constatata impossibilità di procedere ad un affidamento
preadottivo (lettera d); ed ora, dopo le modifiche introdotte con la
legge 28 marzo 2001, n. 149 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983,
n. 184, recante “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei
minori”, nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile),
anche l’ulteriore ipotesi in cui il minore, orfano di padre e di
madre, si trovi nelle condizioni indicate dall’art. 3, comma 1, della
legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza,
l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), in
assenza del vincolo di cui alla lettera a).
Nel disciplinare l’attribuzione del cognome all’adottato, la
scelta fatta dal legislatore, nella sua discrezionalità, è stata
quella di non eliminare il legame del minore col proprio passato e,
perciò, con la sua identità personale come essa è stata ed è
conosciuta nell’ambiente sociale di cui egli è, e deve continuare ad
essere, parte; per tale ragione, pur essendo astrattamente possibili
soluzioni differenziate per i diversi casi (cfr. la sentenza n. 27
del 1991), il legislatore ha previsto una disciplina unitaria,
rispettosa della personalità del soggetto come tutelata dall’art. 2
Cost., proprio in quanto mantiene il cognome originario, cui
aggiunge, anteponendolo, quello dell’adottante, con ciò dando atto
dei precedenti e non interrotti legami familiari dell’adottato.
4. – Non può neppure dirsi che la disciplina prevista dalla
legge per l’attribuzione del cognome ai minori adottati in casi
particolari violi le altre norme costituzionali indicate dal giudice
a quo; l’attribuzione del cognome dell’adottante, anteposto a quello
originario del minore facente già parte della sua individualità,
non può invero essere un ostacolo di ordine sociale allo sviluppo
della personalità umana ai sensi dell’art. 3, secondo comma, Cost.,
o costituire un trattamento deteriore dei figli nati fuori dal
matrimonio ai sensi dell’art. 30, terzo comma Cost., o risolversi in
una disciplina che non attua la protezione del minore richiesta
dall’art. 31, secondo comma, Cost.
Si tratta, al contrario, di una disposizione rispettosa della
personalità del minore e non discriminatoria; l’attribuzione del
doppio cognome, infatti, sta proprio a significare l’avvenuto
inserimento del minore nel nuovo nucleo familiare, senza che nel
contempo venga imposta la perdita del cognome col quale egli era ed
è conosciuto nei diversi ambienti che frequenta e dei legami con la
famiglia di origine, secondo la ratio complessiva della adozione in
casi particolari.
Il legislatore, avendo operato, nella sua discrezionalità, una
scelta non irragionevole, ha voluto quindi evitare, attraverso il
mantenimento del cognome originario cui si antepone quello
dell’adottante, proprio quell’effetto di perdita di legami sociali,
con conseguente difficoltà allo sviluppo della personalità, che
viene paventato dal giudice rimettente.
La norma impugnata non può neppure causare l’effetto di una
minor tutela per i figli nati fuori dal matrimonio, come sostiene il
rimettente, qualora l’adozione riguardi figli naturali riconosciuti;
anche in questo caso, infatti, si tratta di un minore che già ha
assunto il cognome del genitore che ha effettuato il riconoscimento e
che tramite esso è conosciuto nell’ambiente sociale; la successiva
adozione (in casi particolari) da parte del coniuge del genitore che
ha effettuato il riconoscimento, anche mediante l’attribuzione del
secondo cognome, certamente non comprime la personalità del minore.
Né infine la norma impugnata può integrare una omessa tutela
della gioventù prevista dall’art. 31, secondo comma, Cost., dovendo
tale norma costituzionale essere più propriamente riferita agli
istituti di legislazione sociale a protezione della famiglia e
dell’infanzia, piuttosto che al novero dei diritti della persona.
5. – Va ancora aggiunto che questa Corte, con la sentenza n. 120
del 2001 (successiva all’ordinanza di rimessione), chiamata a
pronunciarsi su una questione di legittimità costituzionale
dell’art. 299, primo e secondo comma, cod. civ. in una ipotesi
riguardante l’adozione fra maggiorenni, ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale della disposizione di cui al secondo
comma, “nella parte in cui non prevede che, qualora sia figlio
naturale non riconosciuto dai propri genitori, l’adottato possa
aggiungere al cognome dell’adottante anche quello originariamente
attribuitogli”, ed ha nel contempo affermato che “la precedenza del
cognome dell’adottante non appare irrazionale, così come non può
costituire violazione del diritto all’identità personale il fatto
che il cognome adottivo preceda o segua quello originario” e che “la
lesione di tale identità è ravvisabile nella soppressione del segno
distintivo, non certo nella sua collocazione dopo il cognome
dell’adottante”.
Il principio, che è lo stesso affermato dalle precedenti
sentenze della Corte n. 13 del 1994 e n. 297 del 1996, sopra
ricordate, deve essere ora confermato anche per quel che riguarda
l’adozione in casi particolari del minore ed il rinvio all’art. 299
cod. civ. operato dall’art. 55 della legge n. 184 del 1983, oggi
impugnato; sarebbe contraria alla Costituzione una disposizione che
imponesse la cancellazione, attraverso la sostituzione automatica del
cognome originario, di un tratto essenziale della personalità del
soggetto, mentre la scelta della posizione dei due cognomi, di per
sé, non costituisce violazione del diritto della personalità del
soggetto.
6. – Non sussiste perciò la violazione delle norme
costituzionali indicate dal rimettente.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 55 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina
dell’adozione e dell’affidamento dei minori; ora: Diritto del minore
ad una famiglia), sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, secondo
comma, 30, terzo comma, e 31, secondo comma, della Costituzione,
dalla Corte di appello di Torino – sezione per i minorenni, con
l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 17 giugno 2002.
Il Presidente: Ruperto
Il redattore: Contri
Il cancelliere:Di Paola
Depositata in cancelleria il 24 giugno 2002.
Il direttore della cancelleria:Di Paola