Sentenza N. 278 del 1984
Corte Costituzionale
Data generale
12/12/1984
Data deposito/pubblicazione
12/12/1984
Data dell'udienza in cui è stato assunto
06/12/1984
GUGLIELMO ROEHRSSEN – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO
MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof.
VIRGILIO ANDRIOLI – Prof. GIUSEPPE FERRARI – Dott. FRANCESCO SAJA –
Prof. GIOVANNI CONSO – Prof. ETTORE GALLO – Dott. ALDO CORASANITI –
Prof. GIUSEPPE BORZELLINO, Giudici,
primo comma, legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del D.L.
30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi
civili) e 26, legge 30 aprile 1969, n. 153 promosso con l’ordinanza
emessa il 31 gennaio 1978 dal Pretore di Salerno nel procedimento
civile vertente tra Avallone Maria e Ministero degli Interni iscritta
al n. 211 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 179 dell’anno 1978.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 16 maggio 1984 il Giudice
relatore Giuseppe Ferrari.
1. – Nel procedimento civile promosso da Avallone Maria nei
confronti del Ministero dell’Interno al fine di ottenere il
riconoscimento del diritto alla concessione dell’assegno mensile
previsto per gli invalidi civili, il Pretore di Salerno, ritenuto che
la domanda avrebbe dovuto essere rigettata per il solo fatto che,
secondo quanto rilevato nella seduta del 21 agosto 1973 dal comitato
provinciale di assistenza e beneficenza pubblica presso la Prefettura
di Salerno, il marito dell’interessata era “titolare di reddito
complessivo netto di L. 1.389.297 ai fini dell’imposta complementare”,
ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 12 e
13, primo comma, legge 30 marzo 1971, n. 118, e 26, legge 30 aprile
1969, n. 153, in riferimento all’art. 3, primo comma, Cost..
Parzialmente accogliendo le tesi della difesa della ricorrente, il
Pretore ritiene irragionevole che, ai fini dell’attribuzione
dell’assegno mensile, il quale in ogni caso mira a tutelare persone
fisicamente menomate in considerazione del loro stato di bisogno, nel
caso dei ciechi si prendano in considerazione le sole condizioni
economiche dell’interessato (art. 5, legge 27 maggio 1970, n. 382),
mentre per gli altri invalidi civili la concessione dell’assegno è
subordinata alla sussistenza di una condizione economica negativa
afferente anche il coniuge dell’invalido. Osserva in particolare il
giudice a quo che “pur nella possibile legittimità di una speciale
disciplina che tenga in particolare conto le caratteristiche e le
conseguenze specifiche della cecità rispetto alle altre forme di
invalidità”, la disparità di trattamento non trova tuttavia
giustificazione sotto il profilo del riferimento anche alle condizioni
economiche del coniuge per il riconoscimento della sussistenza dello
stato di bisogno dell’invalido e non anche del cieco.
2. – L’ordinanza è stata ritualmente notificata e pubblicata.
Nessuna delle parti nell’originario procedimento si è costituita
innanzi alla Corte costituzionale.
3. – È invece, intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato dall’Avvocatura dello Stato, che ha instato
per la declaratoria di infondatezza della questione.
In atto di intervento si pone in rilievo che a norma del combinato
disposto degli artt. 12 e 13 della legge n. 118 del 1971 agli invalidi
civili la cui capacità lavorativa risulti ridotta – come nel caso di
specie – in misura superiore ai due terzi, è concesso, a carico dello
Stato e a cura del Ministero dell’interno, per il periodo in cui non
sono collocati al lavoro, un assegno mensile, purché versino nelle
condizioni economiche previste dall’art. 26 della legge 30 aprile 1969,
n. 153: non risultino cioè iscritti, essi stessi, nei ruoli
dell’imposta di r.m. e il coniuge in quelli dell’imposta complementare
sui redditi (ora IRPEF). L’ultima condizione – continua l’Avvocatura –
non è invece richiesta per le provvidenze in favore dei ciechi civili,
la cui concessione è subordinata esclusivamente alle condizioni
economiche degli interessati.
La diversità di disciplina troverebbe giustificazione nella
eccezionale gravità della minorazione costituita dalla cecità, che è
quella di grado più alto, secondo quanto riconosciuto anche
dall’organizzazione mondiale della sanità. Ciò avrebbe indotto il
legislatore alla concessione di benefici particolarissimi, talora
prescindendo anche dalla considerazione delle condizioni economiche del
non vedente, come per l’indennità di accompagnamento, prevista dalla
legge 16 aprile 1974, n. 114; ovvero privilegiando in ogni caso il
cieco, al quale, in materia di pensioni di guerra, la lettera A-bis
della tabella E) annessa alla legge 18 marzo 1968, n. 313, attribuisce
un assegno di superinvalidità.
Attesa dunque la peculiarità delle esigenze dei ciechi civili
rispetto a quelle degli invalidi civili, non sarebbe incongrua la
diversa valutazione dello stato di bisogno operata dal legislatore per
far luogo alla concessione dei benefici per ciascuna categoria
previsti, “anche sotto il profilo della considerazione nell’un caso
della sola condizione economica personale e nell’altro della condizione
complessiva dei coniugi”. Né potrebbe, da ultimo, ritenersi
irrazionale che il legislatore, nell’ambito delle proprie scelte
discrezionali, si sia mosso “per gli invalidi civili nella stessa
ottica che ha ispirato la pensione sociale”, facendo “riferimento ai
requisiti (salva l’età) di questa, ed invece si sia diversamente
regolato per quella più grave menomazione che è la cecità”.
1. – La normazione intesa ad instaurare in materia di sicurezza
sociale un sistema quanto più possibile conforme a Costituzione si
caratterizza per la copiosità degli atti che la compongono, per
l’incessante loro sequenza, per la varietà e mutevolezza delle ipotesi
ivi previste. Si rende allora preliminarmente necessario cogliere in
questa disciplina piuttosto complessa, disorganica e non priva di
contraddizioni, solo quei punti che rilevano ai fini del decidere la
presente questione. Tali punti si lasciano così compendiare: a)
nell’ambito della categoria generale degli invalidi è statuito che,
non solo per quelli “per cause di guerra, di lavoro, di servizio”, ma
anche per i ciechi e i sordomuti provvedono” altre “leggi (art. 2,
ultimo comma, legge 30 marzo 1971, n. 118 di conversione del decreto
legge 30 gennaio 1971, n. 5), le quali danno perciò vita a discipline
differenziate per ognuna delle indicate subcategorie; b) nell’ambito
delle provvidenze disposte a favore dei mutilati ed invalidi civili è
fatta distinzione tra pensione (spettante ai maggiorenni, in caso di
totale inabilità lavorativa: art. 12, legge n. 118 del 1971), assegno
mensile (spettante ai maggiorenni incollocati al lavoro, ma sino al 64
anno, in caso di inabilità parziale: art. 13, legge n. 118 del 1971),
assegno di accompagnamento (spettante ai minori di anni 18,
riconosciuti non deambulanti e che frequentino la scuola dell’obbligo o
corsi di perfezionamento o centri ambulatoriali: art. 17, legge n. 118
del 1971; c) negli artt. 12, secondo comma, 13, primo comma, 17, ultimo
comma, della menzionata legge n. 118 del 1971, che fanno rinvio
all’art. 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153, e nell’art. 8 della
successiva legge 16 aprile 1974, n. 114 di conversione del decreto
legge 2 marzo 1974, n. 30, la concessione delle suddette provvidenze
risulta subordinata al possesso di un determinato requisito reddituale,
da calcolarsi, quanto ai coniugati, mediante il cumulo del reddito
personale con quello del coniuge; d) a partire, tuttavia, dal 1 luglio
1980, avendo l’art. 14 septies, quinto comma, della legge 29 febbraio
1980, n. 33 di conversione del decreto legge 30 dicembre 1979, n. 663
(“finanziamento del servizio sanitario nazionale”) stabilito che “il
limite di reddito per il diritto all’assegno mensile” si calcola “con
esclusione del reddito percepito da altri componenti del nucleo
familiare”, è abrogata, almeno per quanto riguarda la spettanza
dell’assegno mensile, la norma che disponeva il cumulo e rileva,
quindi, solo il reddito personale del minorato.
2. – La controversia che ha occasionato la questione di cui
all’ordinanza in epigrafe ha per oggetto appunto un assegno mensile ed
è stata promossa il 17 febbraio 1977. E poiché la suddetta legge
abrogativa del cumulo (n. 33 del 1980), in quanto dispone
esplicitamente la propria decorrenza dal 1 luglio 1980, non spiega
efficacia retroattiva, ne consegue che il giudizio di questa Corte deve
vertere esclusivamente sulla legittimità costituzionale della
statuizione di cui alla precedente lettera c), la quale appunto
disciplinava l’istituto dell’assegno mensile nel periodo che va dal
mese successivo a quello della presentazione della domanda per
l’accertamento della invalidità sino al 30 giugno 1980. E pertanto,
benché la pensione d’inabilità e l’indennità d’accompagnamento
abbiano la stessa natura dell’assegno mensile, cioè quella di
prestazioni assistenziali – ne offre conferma positiva l’art. 14
septies, primo comma, del decreto legge n. 663 del 1979, convertito
nella legge n. 33 del 1980, quando, sia pur a riguardo dei sordomuti,
riferendosi all’assegno mensile di assistenza, chiarisce che tale
assegno è quello che viene definito “pensione non reversibile” -,
giova precisare che il presente giudizio non coinvolge, né la
pensione, né l’indennità d’accompagnamento, né le relative norme,
né il periodo successivo al 30 giugno 1980, bensì esclusivamente
l’assegno mensile, per inabilità parziale, nei cui confronti soltanto
risulta espressamente eliminato, a decorrere dalla predetta data, il
cumulo del reddito dell’invalido con quello del coniuge.
3. – Il giudice a quo reputa non manifestamente infondata
l’eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 13, primo comma,
della legge n. 118 del 1971, in relazione agli artt. 12, secondo comma,
stessa legge e 26 della legge n. 153 del 1969, assumendo come parametro
l’art. 3, primo comma, Cost., e come tertium comparationis l’art. 5
della legge 27 maggio 1970, n. 382 (“disposizioni in materia di
assistenza ai ciechi civili”). Egli non lamenta già che i ciechi
civili siano trattati diversamente dai mutilati ed invalidi civili ed,
anzi, a premessa del suo ragionamento, ammette la “possibile
legittimità di una speciale disciplina che tenga in particolare conto
le caratteristiche e le conseguenze specifiche della cecità rispetto
alle altre forme di invalidità”. Rileva, invece, che, poiché, tanto
per i ciechi civili, quanto per gli invalidi civili, il conseguimento
del diritto alla prestazione assistenziale ha il medesimo presupposto,
cioè lo stato di bisogno, “non trova ragionevole giustificazione” –
onde il contrasto con l’art. 3, primo comma, Cost. – “il fatto che…
per i ciechi si prendano in considerazione le sole condizioni
economiche dell’interessato” e “per gli altri invalidi civili anche le
condizioni economiche del coniuge”. Ed all’uopo fa richiamo all’art. 5
legge n. 382 del 1970, che effettivamente, per quanto riguarda i
ciechi civili, subordina la concessione della pensione (e
dell’indennità d’accompagnamento) alle condizioni economiche del solo
interessato, come, del resto, alle condizioni economiche, dei soli
interessati l’art. 6 subordina la concessione dell’assegno a vita, e
l’art. 7 subordina la concessione dell’indennità d’accompagnamento ai
non aventi diritto alla pensione.
4. – La questione non è fondata.
Il cumulo del reddito dell’interessato con quello del coniuge,
disposto solo per gli inabili civili, ma non anche per i ciechi (e per
i sordomuti) costituiva indubbiamente un più gravoso requisito
reddituale a carico dei primi, ma non può, tuttavia, dirsi
irrazionale. E ciò, non certo per la ragione che la cecità sia
sempre la minorazione più grave, come eccepisce la difesa dello Stato,
ma in quanto essa forma – come è stato in precedenza rilevato –
l’oggetto di una disciplina apposita e diversificata. Deve, dunque,
affermarsi che le situazioni messe a raffronto non sono del tutto
omogenee in rapporto al principio d’eguaglianza, sicché ben poteva il
legislatore, nella sua valutazione discrezionale, non estendere a tutte
le altre minorazioni il particolare regime della pensione per cecità.
Vero è che successivamente la menzionata legge n. 33 del 1980
(art. 14 septies, quinto comma) ha eliminato il denunciato cumulo, ma
tale innovazione non acquista il valore di riconoscimento, da parte
dello stesso legislatore, dell’irrazionalità della disciplina
impugnata, potendosi, viceversa, ritenere che rientri nella progressiva
evoluzione della legislazione in materia di sicurezza sociale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 13, primo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118, in
relazione agli artt. 12 della stessa legge n. 118 del 1971 e 26, comma
primo, della legge 30 aprile 1969, n. 153, sollevata dal Pretore di
Salerno, con ordinanza in data 31 gennaio 1978 (r.o. n. 211/1978), in
riferimento all’art. 3, comma primo, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 1984.
F.to: LEOPOLDO ELIA – GUGLIELMO
ROEHRSSEN – BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO
PALADIN – ANTONIO LA PERGOLA –
VIRGILIO ANDRIOLI – GIUSEPPE FERRARI
– FRANCESCO SAJA – GIOVANNI CONSO –
ETTORE GALLO – ALDO CORASANITI –
GIUSEPPE BORZELLINO.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere