N. 283 del 1986
Data generale
23/12/1986
Data deposito/pubblicazione
23/12/1986
Data dell'udienza in cui è stato assunto
19/12/1986
VIRGILIO ANDRIOLI – Prof. GIUSEPPE FERRARI – Dott. FRANCESCO SAJA –
Prof. GIOVANNI CONSO – Prof. ETTORE GALLO – Prof. ALDO CORASANITI –
Prof. GIUSEPPE BORZELLINO – Dott. FRANCESCO GRECO – Prof. RENATO
DELL’ANDRO – Avv. UGO SPAGNOLI – Prof. FRANCESCO PAOLO CASAVOLA –
Prof. ANTONIO BALDASSARRE, Giudici,
Ministri notificato l’11 aprile 1986, depositato in Cancelleria il 16
successivo ed iscritto al n. 19 del Registro 1986 per conflitto di
attribuzione tra Poteri dello Stato sorto a seguito dei provvedimenti
del Pretore di Pistoia 12 novembre 1984 e 6 dicembre 1984, concernenti
l’autorizzazione all’abbattimento di alberi di alto fusto nella zona
dell’Abetone soggetta a vincolo idrogeologico e paesaggistico;
udito nell’udienza pubblica del 14 ottobre 1986 il Giudice relatore
Ettore Gallo;
udito l’Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente
del Consiglio dei Ministri.
1. – Con ricorso depositato il 2 maggio 1985, il Presidente del
Consiglio dei Ministri elevava conflitto di attribuzione nei confronti
del potere giudiziario, in relazione ai provvedimenti emessi dal
pretore di Pistoia in data 12 novembre e 6 dicembre 1984.
Premetteva il ricorrente in narrativa che quel pretore (adito ex
art. 700 c.p.c. dai signori Zeno Colò e Giancarlo Ciacci) con decreto
12 novembre 1984 “inaudita altera parte”, ritenuto fondato il pericolo
per la incolumità degli sciatori derivante dalla mancanza di una pista
di raccordo, e considerati per converso infondati i motivi di ordine
forestale ed idrogeologico che avevano determinato il diniego di
autorizzazione da parte dell’amministrazione provinciale, aveva
autorizzato i ricorrenti all’esecuzione di un raccordo sciabile nella
zona dell’Abetone, dettando prescrizioni in ordine alle modalità e ai
tempi dei tagli boschivi, da effettuarsi sotto la vigilanza di un
funzionario del locale dipartimento forestale, designato dal Pretore
medesimo.
Il raccordo doveva attuare un collegamento fra le piste sciabili
della Val Sestajone e quella della Val di Luce, evitando gravi pericoli
a coloro che si avventuravano in discese fuori pista, sia attraversando
in quota dal Colle delle Tre Potenze, sia discendendo dal Colle della
Fariola.
Il Pretore fissava contestualmente l’udienza dell’11 gennaio 1985
per la comparizione delle parti davanti a sé. L’udienza era stata poi
anticipata al 5 dicembre 1984 ed in tale sede il Pretore aveva
confermato il provvedimento assunto, rigettando nel contempo una
istanza della Provincia di Pistoia diretta ad ottenere, in via di
tutela d’urgenza, una misura atta a neutralizzare quella concessa ai
sigg. Colò e Ciacci.
In forza dell’ordine pretorile il taglio boschivo era stato
eseguito.
2. – Riteneva il ricorrente che nella specie, sotto le vesti di un
atto giurisdizionale, era stato adottato un provvedimento che, per le
finalità perseguite e gli effetti prodotti, ha natura amministrativa.
Si osservava infatti, in primo luogo, che il giudice aveva esercitato
il potere, prescindendo dal riconoscere nell’oggetto della pronuncia la
tutela di un diritto o di un interesse legittimo, mirando invece, come
emergerebbe dallo stesso decreto, alla tutela dell’interesse pubblico
(tanto da qualificare il proprio atto come un “provvedimento a
salvaguardia esclusiva della pubblica incolumità”). Aggiungeva poi che
il giudice aveva assunto il ricorso dei sigg. Colò e Ciacci non come
la introduzione in sede cautelare di una domanda di parte volta ad
ottenere tutela di situazioni soggettive, bensì come una denuncia cui
è abilitato qualunque cittadino, esponente una situazione di carente
protezione di un interesse generale.
3. – Venendo alla qualificazione del provvedimento impugnato (e
quindi alla dimostrazione della sua invasività di prerogative che
appartengono alla sfera di attribuzione di organi dello Stato), il
ricorrente osservava che esso, ancorché contenga apprezzamenti
(ovviamente inammissibili) circa la inettitudine del progettato taglio
boschivo a provocare un danno idrogeologico e forestale, non risulta
direttamente orientato a prevaricare la competenza amministrativa in
questo settore quanto piuttosto ad affermare, sempre in chiave di
interessi generali e non di posizioni giuridiche soggettive, la
necessità che prevalga comunque, nella imminenza di un pericolo non
altrimenti scongiurabile, la predisposizione delle misure idonee a
salvaguardare la sicurezza pubblica e l’incolumità delle persone.
Questo principio di prevalenza, che accorda valore assoluto a detto
interesse fondamentale della comunità sociale è sicuramente presente
nell’ordinamento, costituendo esso il supporto di quella ben nota
categoria di provvedimenti amministrativi detti ordinanze di
necessità.
Tali misure rientrano nella sfera di attribuzioni dello Stato;
esse, infatti, anche quando vengono adottate in sede locale e per
esigenze locali, sono di competenza di organi (come il Sindaco) che
agiscono nella veste di ufficiale di Governo.
4. – Ma anche a volere ammettere che la misura pretorile abbia
immediatamente invaso la competenza alla conservazione del pregio
paesistico del territorio (l. 23 giugno 1939, n. 1497) il ricorrente
osserva che, nonostante la delega del settore alle regioni a statuto
ordinario (art. 82 d.P.R. 616/1977), resta pur sempre l’interesse e la
legittimazione dello Stato a sollevare conflitto.
Infatti, in capo ad esso permangono poteri di intervento stabiliti
in via generale (potere sostitutivo di cui all’art.4 d.P.R. 616/1977 in
caso di inerzia della regione delegata) o con specifico riguardo alla
singola materia delegata (il citato art. 82 conserva al Ministero dei
Beni Culturali e Ambientali potestà concorrenti con quelle regionali
per garantire la protezione delle bellezze naturali: secondo comma
lett. a), terzo e quarto comma).
In definitiva, il rapporto di delega spossesserebbe o limiterebbe
lo Stato dei poteri inerenti alle materie delegate solo nei riguardi
della regione destinataria della delega e non nei confronti di altri
soggetti costituzionali; e sarebbe altresì interesse dello Stato a che
le attribuzioni delegate – sulle cui modalità di gestione egli
conserva facoltà di intervento – non vengano esercitate da poteri
estranei, come il giudiziario, nei cui confronti quelle facoltà non
sarebbero attivabili.
5. – Il ricorso, discusso nella Camera di Consiglio del 22 gennaio
1986, veniva dichiarato ammissibile con ordinanza n. 51 del 1986, che
veniva debitamente notificata. Dopodiché si disponeva la trattazione
del conflitto per l’udienza odierna.
1. – È opportuno innanzitutto analizzare il contenuto dei
provvedimenti impugnati, al fine di stabilirne l’esatta natura, e
soprattutto le finalità cui sono ispirati. Soltanto attraverso questo
esame, infatti, sarà possibile conoscere se la doglianza del
ricorrente sia fondata, visto che il conflitto è sollevato in
relazione alla denunziata invasività sostanziale dei provvedimenti, al
di là del loro aspetto formale.
In effetti secondo il Governo, gli atti impugnati solo formalmente
si presentano nella veste di provvedimenti d’urgenza assunti ex art.
700 cod. proc. civ.: nella sostanza, essi costituiscono, invece, vere e
proprie “ordinanze necessitate extra ordinem”, come tali invasive di un
potere che spetta esclusivamente a determinate Autorità amministrative
nelle loro funzioni di governo (Governo, taluni Ministri, Prefetto,
Sindaco, Commissario di Governo).
Ebbene, effettivamente non sembra alla Corte – per le ragioni che
verranno subito lumeggiate – che i provvedimenti in esame possano
ricondursi alle attribuzioni dell’Autorità giudiziaria e che in
particolare concretino un provvedimento d’urgenza, così come
contemplato nell’art. 700 c.p.c.. Un provvedimento, cioè, che –
giusta il dato testuale – risulti il più idoneo, in relazione alle
circostanze, ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione
sul merito quando, durante il tempo per far valere un diritto in via
ordinaria, sussista fondato motivo per temere che questo sia minacciato
da un pregiudizio imminente e irreparabile.
Già lo stesso tenore del ricorso introdotto dai privati è
ispirato da ben diversa finalità. I ricorrenti, infatti, danno atto
che la Provincia aveva negato (peraltro non a loro ma all’Ente
Comunità montana) l’autorizzazione a costruire un raccordo sciistico
fra le due piste, per ragioni attinenti al paesaggio e alla situazione
idreogeologica della zona. Soggiungono, però, esplicitamente che ad
essi non interessa l’aspetto amministrativo della vicenda, di cui
verrà investito il competente T.A.R.: e ciò in quanto l’interesse che
muove le parti a ricorrere al magistrato ordinario è “di altra natura
e persegue uno scopo diverso”. E difatti tutta la residua motivazione
del ricorso è diretta a dimostrare che quella diversa natura
dell’interesse, così come lo scopo che le parti intendono perseguire,
sono incentrati su “motivi di sicurezza pubblica”, poscia precisati
nell’interesse alla “pubblica incolumità”.
In buona sostanza, il prospettato pregiudizio imminente e
irreparabile non riguardava i ricorrenti ma la pubblica incolumità
degli sciatori, e sarebbe rappresentato dalla temerarietà o
dall’incoscienza di qualche sconsiderato che si “avventura” (così
testualmente nel ricorso) in zone innevate dove non esiste tracciato
sciabile per portarsi dall’una all’altra delle due piste. Poiché si
sarebbe verificato qualche incidente a danno di questi imprudenti, si
chiedeva al Pretore di disporre egli stesso la costituzione di quel
raccordo che la Provincia aveva negato.
2. – E il Pretore, infatti, si pone senza esitazioni sul piano
concettuale indicato dai ricorrenti. Singolarmente, anzi, dà atto a
sua volta, nelle premesse del provvedimento autorizzativo 12 novembre
1984, che non si tratta in realtà di pericolo oggettivo imminente e
irreparabile ma soltanto di un pericolo eventuale che taluni
sconsiderati provocano “motu proprio” (sic), “avventurandosi nella
discesa fuori pista “fra le due valli. Riconosce, anzi, il Pretore che
la “possibilità” d’incorrere in pericoli più o meno gravi dipende
“dall’assoluta ignoranza” della montagna da parte degli avventurosi.
Nel provvedimento di conferma del 6 dicembre successivo,
polemizzando con le doglianze della Provincia che chiedeva la revoca
dell’atto precedente, il Pretore afferma di non essersi ingerito
nell’attività della pubblica amministrazione perché al magistrato
“era stato soltanto chiesto, e conseguentemente emesso, un
provvedimento a salvaguardia esclusiva della pubblica incolumità”.
E, affinché non restino dubbi, il Pretore dedica tutta la residua
lunga motivazione a spiegare che “lo Stato ha il dovere di proteggere
la collettività da ogni aggressione che la danneggi o la esponga al
pericolo”, perché si tratta di un interesse che “trascendendo i
singoli colpiti” riguarda il pregiudizio o la minaccia “alla sicurezza
della convivenza sociale” e quindi l’offesa al “bene giuridico
indisponibile della pubblica incolumità”: e poiché si tratta di un
bene pubblico “tutti possono adire il giudice civile” per eliminare
pericoli che lo minacciano.
Ritiene, anzi, a questo proposito, il Pretore che i ricorrenti,
oltre ad essere portatori uti singuli dell’interesse generale alla
pubblica incolumità, abbiano anche un individuale e particolare
interesse ad agire per adempiere “al dovere di tutelare la pubblica
incolumità”: e ciò a causa delle loro rispettive qualità di
Presidente della Commissione Comunale Piste, Zeno Colò, e di
Presidente del Consorzio impianti di risalita, Giancarlo Ciacci.
Solo nelle ultime righe osserva il Pretore di sfuggita, e
incidenter tantum, che una siffatta situazione di “continui attentati
alla pubblica incolumità potrebbe anche di riflesso comportare” danno
agli enti che i ricorrenti rappresentano: danno di natura economica
perché gli sciatori potrebbero essere scoraggiati dal frequentare
quelle piste a causa dell’accennata insicurezza.
3. – Che quest’ultimo rilievo non modifichi la sostanziale natura e
l’autentico scopo dei provvedimenti assunti, lo attesta lo stesso
pretore quando definisce questo aspetto “di secondaria importanza” a
fronte della reale finalità che ricorrenti e magistrato intendevano
perseguire.
È, dunque, evidente che il pretore ha inteso effettivamente
tutelare la pubblica incolumità: tutela sollecitata da privati che,
come tali, la hanno invocata. Non deve trarre in inganno, infatti, la
qualità nel Colò di Presidente della Commissione Comunale Piste: la
quale è effettivamente una delle Commissioni speciali
dell’Amministrazione comunale dell’Abetone. Ma il Colò non era
legittimato a stare in giudizio in qualità di Presidente, sia perché
semmai la legittimazione competeva al Sindaco quale rappresentante
dell’Amministrazione, sia perché comunque il Consiglio Comunale non
aveva mai autorizzato alcuno a stare in giudizio per la vertenza in
esame. Ed è appena il caso di rilevare che l’altro ricorrente è il
Presidente di un Consorzio di imprenditori commerciali che perseguono
fini di lucro mediante gli impianti di risalita.
Non compete a questa Corte l’apprezzamento sui non pochi vizi della
procedura e dei provvedimenti pretorili in esame: tuttavia, ai soli
fini di trarre dall’analisi condotta attendibili conclusioni circa la
natura sostanziale dei due provvedimenti, non sembra fuor di luogo
prendere atto di quanto esulino da essi i caratteri, la funzione e le
stesse condizioni per la concessione di provvedimenti di natura
giurisdizionale e quindi di quello previsto nell’art. 700 c.p.c..
A tale proposito sembra significativo che il pretore nemmeno si sia
posto il problema dell’ammissibilità della procedura richiesta
rispetto ad una situazione giuridica – in ipotesi – tutelabile davanti
al giudice amministrativo: e ciò, nonostante non potesse ignorare la
costante giurisprudenza negativa della Corte di Cassazione. E non se
l’è posto proprio perché distratto da una finalità esclusiva,
(l’anticipata cautelare tutela della pubblica incolumità),
trascendente il diritto soggettivo che i due privati avrebbero dovuto
far valere, e che il pretore in effetti – come s’è visto – trascura.
Né, infine, il diritto soggettivo dei privati (interesse economico
ad un sicuro e tranquillo esercizio delle piste e degli impianti di
risalita) era in realtà minacciato da un pericolo imminente e
irreparabile. Le piste, in effetti, erano e sono assolutamente sicure
da frane, smottamenti, valanghe o altri pericoli, come peraltro nessuno
nega; e altrettanto dicasi per gl’impianti di risalita.
In realtà, il pericolo che ricorso e provvedimenti prospettano è
dipendente da comportamenti temerari di sciatori che, senza alcuna
conoscenza della zona e con scarsa esperienza sciistica, si azzardino
ad avventurarsi fuori pista per luoghi impervi. Ma a questa situazione,
a ben guardare, non potrebbe ovviare alcun provvedimento, che mai
riuscirebbe ad evitare le innumerevoli imprudenze di ogni specie
ipotizzabili da parte degli sconsiderati. Nemmeno i cartelli di
pericolo, che la Provincia al più prospettava come possibile ipotesi
di intervento, rappresenterebbero un effettivo rimedio, dato che
risponde a criteri minimi di comune buon senso il rendersi conto che
l’avventurarsi fuori del tracciato delle piste offre difficoltà e
pericoli agli inesperti.
Ed, infatti, nessuno prende in considerazione l’opportunità di
collocare cartelli di pericolo ai piedi delle rocce o dei ghiacciai
dove si cimentano gli scalatori, o sulle spiagge dove sostano i
bagnanti, benché pericolosa sia la scalata a chi vi si accinga
inesperto e senza guida e insidioso sia il mare a chi si avventura al
largo, a nuoto o in barca, senza sufficienti nozioni.
Anche così come prospettato dal pretore, il diritto soggettivo dei
privati ricorrenti non subiva, perciò, alcuna minaccia, perché
nessuno avrebbe potuto sensatamente giudicare insicure le piste di
quella zona, solo perché qualche temerario andava volontariamente a
cercarsi il pericolo fuori del tracciato. Se così fosse, infatti,
nessuna pista sarebbe sicura, in quanto non esistono piste che
proteggano con reti o con altri ostacoli l’intero percorso del
tracciato.
4. – La disamina fin qui svolta sui provvedimenti pretorili
consente di concludere che si tratta di pronunzie il cui dichiarato
presupposto è costituito da uno stato di pericolo per la pubblica
incolumità denunziabile da qualunque soggetto, il cui contenuto ha
carattere costitutivo e la cui efficacia è prevalente su ogni
situazione giuridica soggettiva e su ogni altro provvedimento
autorizzativo, prescindendo dall’ordine delle competenze. Esse, dunque,
si conformano al modello delle ordinanze di necessità, ripetendone le
tipiche connotazioni previste dagli artt. 2 r.d. 18 giugno 1931 n. 733;
19, 20, 55 testo unico l.c. e p.; 7 legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. E.
Così accertata la natura sostanziale dei provvedimenti in
questione, e venendo al merito del conflitto, osserva la Corte che il
giudice è sempre vincolato, nel formulare il contenuto del suo
provvedimento, al rispetto dei limiti generali dell’art. 4 l. 2248/1865
All. E.
In altri termini, non spetta all’attività del giudice il
provvedere ad esigenze generali della società, né ad amministrare la
sicurezza pubblica e la pubblica incolumità. Va, anzi, ricordato che
appartiene anche ad una nozione tradizionale di pubblica
amministrazione il provvedere alla conservazione dell’ordine pubblico e
della sanità.
Ciò non esclude ovviamente che, invocato a jusdicere, vale a dire
ad affermare l’ordine giuridico in relazione ad un caso concreto e nei
confronti di un determinato soggetto, il giudice non possa assumere,
soprattutto in via di urgenza, provvedimenti che possono anche incidere
su di una cerchia più vasta di interessi: ma a condizione che non vi
sia altra possibilità di dare protezione all’interesse dedotto nel
caso concreto.
Il fenomeno è particolarmente rilevabile nel campo della giustizia
penale, dove il pretore, ove proceda ad attività preliminari di
polizia giudiziaria (perciò dirigendone le funzioni stesse), deve
impedire che i reati vengano portati a conseguenze ulteriori (artt.
219, 220 e 231 cod. proc. pen.). In tal caso, e specie in situazioni
di urgenza, ben può assumere provvedimenti che, al fine predetto,
incidono nel campo dei poteri riservati alla pubblica amministrazione.
Si tratta sicuramente di provvedimenti assunti – per usare
l’espressione del Pretore di cui si parla – “esclusivamente a tutela
della salute pubblica”, ma nell’ambito di un dovere e di un potere
istituzionale specificamente contemplato dalla legge penale (impedire
le ulteriori conseguenze dei reati).
Fuori di queste ipotesi, la giurisdizione ordinaria può svolgere
esclusivamente una funzione di controllo nel campo e sulla attività
della pubblica amministrazione a fronte di provvedimenti di
quell’Autorità che risultino lesivi di diritti soggettivi di un ben
determinato soggetto, o di interessi penalmente tutelati nei sensi già
detti: ma non può sostituirsi all’Autorità stessa disponendo in
positivo (e facendo forzosamente eseguire) ciò che la pubblica
amministrazione non ha ritenuto di disporre nel suo apprezzamento
discrezionale. Peraltro, i provvedimenti di urgenza del pretore nei
confronti della pubblica amministrazione sono ritenuti ammissibili –
ricorrendone le condizioni di legge – allorquando la pubblica
amministrazione agisca come soggetto privato, o in base ad atti che
esorbitino dai limiti temporali o materiali del potere amministrativo
in concreto esercitato, o quando la pubblica amministrazione abbia
agito sine titulo.
D’altra parte, le eccezioni sopra accennate sono conseguenza della
innegabile realtà degli ordinamenti degli Stati democratici
contemporanei che non hanno mai attuato in modo letterale e meccanico
il principio illuministico della divisione dei poteri. Ne deriva che
ciascuno dei poteri non esercita in modo esclusivo e rigoroso
l’attività da cui prende il nome, ma partecipa – in via eccezionale –
a qualche manifestazione delle funzioni degli altri: il che, del resto,
corrisponde anche a quel principio di equilibrio e di reciproco
controllo fra i poteri che contraddistingue la nostra Costituzione.
Del resto, questa Corte, in ipotesi analoga ma molto meno grave,
aveva già ammonito che “l’art. 113 ultimo comma Cost., rinviando alla
legge la determinazione degli organi giudiziari abilitati ad annullare
gli atti della pubblica amministrazione,… a più forte ragione
comporta che tali autorità non possano contrapporsi o sovrapporsi alle
autorità amministrative, arrogandosi poteri che per legge vadano
esercitati dall’esecutivo, in forme e con procedimenti prefissati,…
sostituendosi agli organi competenti… ed addirittura prescrivendo gli
atti specifici che debbono essere adottati” (cfr. sent. n. 150/1981 e
n. 70/1985).
E poiché il pretore di Pistoia ha ritenuto di potersi sostituire,
con i suoi provvedimenti, in via positiva ed esecutiva, alla pubblica
amministrazione, nell’esclusiva finalità – come egli ha scritto e come
risulta dal contesto – di ovviare ad un supposto pericolo generale alla
pubblica incolumità, ne consegue l’annullamento dei provvedimenti
stessi perché invasivi di poteri spettanti alla pubblica
amministrazione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara che non spetta all’Autorità giudiziaria autorizzare la
realizzazione di una pista da sci ai fini dell’interesse generale alla
pubblica incolumità, là dove il provvedimento autorizzatorio
richiesto per il compimento dei relativi lavori rientra nelle
attribuzioni della pubblica amministrazione.
Annulla di conseguenza i provvedimenti del pretore di Pistoia
indicati in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 dicembre 1986.
F.to: ANTONIO LA PERGOLA – VIRGILIO
ANDRIOLI – GIUSEPPE FERRARI –
FRANCESCO SAJA – GIOVANNI CONSO –
ETTORE GALLO – ALDO CORASANITI –
GIUSEPPE BORZELLINO – FRANCESCO GRECO
– RENATO DELL’ANDRO – UGO SPAGNOLI –
FRANCESCO PAOLO CASAVOLA – ANTONIO
BALDASSARRE.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere