Sentenza N. 284 del 1974
Corte Costituzionale
Data generale
27/12/1974
Data deposito/pubblicazione
27/12/1974
Data dell'udienza in cui è stato assunto
19/12/1974
Dott. LUIGI OGGIONI – Avv. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI –
Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO
CRISAFULLI Prof. PAOLO ROSSI – Avv. LEONETTO AMADEI – Dott. GIULIO
GIONFRIDA – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI – Dott. MICHELE
ROSSANO, Giudici,
ultimo comma, della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Norme sull’edilizia
residenziale pubblica), e dell’art. 9, nono comma, della legge
regionale siciliana 31 marzo 1972, n. 19 (Provvedimenti per la
semplificazione delle procedure amministrative), promossi con le
seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 18 aprile 1972 dal Consiglio di Stato –
sezione IV – sul ricorso di Del Sarto Clorinda ed altri contro il
Ministero dei lavori pubblici ed il Prefetto di Grosseto, iscritta al
n. 300 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 254 del 27 settembre 1972;
2) ordinanze emesse il 15 giugno 1972 dal Consiglio di giustizia
amministrativa per la Regione siciliana sui ricorsi rispettivamente di
Failla Lucia ed altri contro il Prefetto di Siracusa ed altri, e di
Liotta Filippo ed altri contro la Regione siciliana ed altri, iscritte
ai nn.315 e 357 del registro ordinanze 1972 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 279 del 25 ottobre 1972 e n. 317 del 6
dicembre 1972.
Visti gli atti d’intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri e del Presidente della Regione siciliana, nonché gli atti di
costituzione del Ministero dei lavori pubblici, dei Prefetti di
Grosseto e di Siracusa, del Proweditorato alle opere pubbliche per la
Sicilia e del Comune di Palermo;
udito nell’udienza pubblica del 23 ottobre 1974 il Giudice relatore
Giulio Gionfrida;
uditi l’avv. Antonino Sansone, per il Comune di Palermo, ed il
sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il
Presidente del Consiglio dei ministri, per il Presidente della Regione
siciliana, per il Ministero dei lavori pubblici, per i Prefetti di
Grosseto e di Siracusa e per il Provveditorato alle opere pubbliche per
la Sicilia.
1. – A seguito del ricorso proposto da Clorinda, Rodolfo ed Anna
Maria Del Sarto avverso il decreto del Ministro per i lavori pubblici
(dichiarativo della pubblica utilità di un’opera rientrante tra quelle
contemplate dall’art. 9 della legge 1971, n. 865 sull’edilizia
residenziale pubblica) ed il connesso decreto del Prefetto di Grosseto
di occupazione di urgenza di terreni di proprietà dei ricorrenti, il
Consiglio di Stato – sezione IV giurisdizionale – , in sede di
decisione sulla domanda incidentale di sospensione dei provvedimenti
impugnati, con ordinanza in data 18 aprile 1972, ha sollevato questione
di legittimità – in riferimento all’art. 113, comma secondo, della
Costituzione – dell’art. 13, ultimo comma, della legge 1971, n. 865
citata: secondo cui, appunto, l’esecuzione delle dichiarazioni di
pubblica utilità, dei decreti di occupazione e dei provvedimenti
espropriativi posti in essere per la realizzazione delle opere di cui
all’art. 9 della stessa legge “può essere sospesa nei soli casi di
errore grave ed evidente nell’individuazione degli immobili ovvero
nell’individuazione delle persone dei proprietari”.
2. – Anche il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione
siciliana – con ordinanza 15 giugno 1972 (emessa in un giudizio
instaurato su ricorso di Lucia Failla ed altri avverso il decreto
prefettizio che aveva autorizzato il Comune di Lentini ad-occupare di
urgenza fondi dei ricorrenti per procedere a sistemazione di strade
comunali) e con altra ordinanza in pari data (emessa a seguito del
ricorso di Filippo Liotta ed altri avverso i provvedimenti di
approvazione del piano regolatore della città di Palermo, che
vincolavano “a scuola” terreni di loro proprietà), chiamato in
entrambi i casi a decidere sulla domanda incidentale di prospensione
dei provvedimenti impugnati – rilevato, in premessa, che si opponeva a
tale sospensione il disposto dell’art. 13 della legge 1971, n. 865,
applicabile nel territorio della Regione siciliana, in virtù dell’art.
9, nono comma, della legge regionale 31 marzo 1972, n. 19 – ha
sollevato analoga questione di legittimità costituzionale dell’art. 13
legge 1971, n. 865.
Ha dubitato, altresì, della legittimità costituzionale dell’art.
9, comma nono, della legge 1972, n. 19 citata, oltreché in riferimento
agli artt.24, 103 e 113 della Costituzione, anche in relazione agli
artt. 14 e 17 dello Statuto speciale per la Regione siciliana, per la
ragione che la potestà conferita alla Regione, di emanare norme
materiali per disciplinare l’attività ed i rapporti giuridici relativi
al compimento di opere pubbliche, non comprenderebbe anche il potere di
regolare le forme ed i modi del giudizio sulle controversie relative ai
suddetti rapporti, in particolare, il potere di limitare la tutela
giurisdizionale costituzionalmente garantita degli interessi legittimi.
3. – Innanzi a questa Corte, si sono costituiti, nel giudizio
relativo al ricorso Del Sarto, il Ministero dei lavori pubblici ed il
Prefetto di Grosseto, per il tramite dell’Avvocatura di Stato, che ha
concluso, per entrambi, nel senso di una declaratoria di infondatezza
della sollevata questione.
4. – Analoghe conclusioni l’Avvocatura ha spiegato relativamente
alle ordinanze del Consiglio di giustizia amministrativa, in
rappresentanza – nel primo giudizio – del Presidente della Giunta
regionale siciliana, del Ministro per i lavori pubblici –
Provveditorato alle opere pubbliche per la Sicilia, del Prefetto di
Siracusa e dell’intervenuto Presidente del Consiglio dei ministri e –
nel secondo giudizio – del Ministro per i lavori pubblici e della
Presidenza della Regione siciliana.
5. – L’illegittimità della norma impugnata è stata, invece,
sostenuta da Filepo, Angelo, Vincenzo e Maria Liotta.
6. – Infine, il Comune di Palermo – costituitosi anch’esso nel
giudizio Liotta – ha dedotto la infondatezza della questione di
legittimità dell’art. 13 legge 1971, n. 865 e, quanto all’art. 9 legge
1972, n. 19 citata, in via principale la inammissibilità della
questione (e solo subordinatamente la infondatezza): inquantoché –
fermo restando il principio che la legge regionale, neppure in materia
di competenza esclusiva, può limitare i poteri attribuiti dalle leggi
dello Stato agli organi di giustizia amministrativa – non si
ravviserebbe, comunque, nella specie, una tale limitazione, ripetendo
l’art. 9 legge 1972, n. 19, quanto già contenuto in una norma statale
legittima, quale l’art. 13 legge 1971, n. 865.
1. – Dispone l’art. 13 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, che,
nella materia della edilizia residenziale pubblica, l’esecuzione dei
provvedimenti di dichiarazione di pubblica utilità, di occupazione
temporanea e di urgenza e di espropriazione (impugnati innanzi
all’organo giurisdizionale amministrativo) “può essere sospesa nei
soli casi di errore grave ed evidente nell’individuazione degli
immobili ovvero delle persone dei proprietari”.
Tanto il Consiglio di Stato – in relazione all’art. 113, comma
secondo, della Costituzione – che il Consiglio di giustizia
amministrativa per la Regione siciliana – in riferimento anche agli
artt.24 e 103 della Costituzione – hanno promosso, come sopra detto, la
questione di legittimità costituzionale di tale disposizione,
dubitando che la limitazione, da questa apportata, al potere cautelare
di sospensione dell’organo di giustizia amministrativa, confligga con
il principio della tutela giurisdizionale del cittadino avverso atti
della pubblica amministrazione, di cui la misura cautelare
rappresenterebbe, appunto, una componente essenziale ed insopprimibile.
Nella prospettazione delle ordinanze di rinvio, è implicita, per
altro, la denunzia di violazione anche del principio di uguaglianza, in
quanto si esclude che sussistano ragioni giustificative della
restrizione apportata dall’art. 13 citato al potere cautelare di
sospensione, che in via generale ha – ex art. 39 t.u. leggi sul
Consiglio di Stato – il solo presupposto della esistenza di “gravi
ragioni” (ed, ora – in base all’articolo 21 della legge 1971, n. 1034,
istitutiva dei T.A.R. – la allegazione di “danni gravi ed irreparabili
derivanti dall’esecuzione dell’atto”).
2. – Nel contestare la fondatezza della sollevata questione,
obietta l’Avvocatura di Stato che, in realtà, la disciplina della
sospensione in sede giurisdizionale non attiene al comma secondo del
richiamato art. 113 della Costituzione (che, nell’escludere la
limitazione della tutela a particolari mezzi di impugnazione, non si
riferirebbe al petitum delle varie domande proponibili contro la P.A.,
ma alla causa petendi, cioè ai vizi denunciabili con il ricorso),
sibbene al comma terzo della stessa norma, che contempla i poteri del
giudice nei confronti degli atti amministrativi.
Epperò – poiché tale ultimo precetto implicitamente consentirebbe
che la legge limiti, se non addirittura anche escluda, l’annullamento
del provvedimento amministrativo – a fortiori risulterebbe ammissibile
la limitazione del potere di sospensione che, rispetto
all’annullamento, rappresenta un minus.
3. – osserva la Corte che l’affermazione dell’Avvocatura – che, ex
art. 113, comma terzo, della Costituzione, resta demandata alla legge
ordinaria la determinazione dei casi in cui possono annullarsi gli atti
della P.A. e delle autorità a ciò deputate – è, indubbiamente,
esatta.
Errata è, però, la conclusione che da tale premessa si intende
trarre, che, cioè, resti a fortiori, in ogni caso, nella libera
disponibilità del legislatore di limitare (od eliminare) il potere
strumentale di sospensione degli atti impugnati.
Infatti, una vola che il legislatore ha operato le sue scelte in
ordine all’attribuzione del potere finale di annullamento dell’atto e
ha strutturato un sistema di giustizia amministrativa, il quale ha il
suo cardine, appunto, nella giurisdizione generale di annullamento
degli atti illegittimi, è naturale e conseguenziale l’attribuzione,
all’organo medesimo deputato all’annullamento, del concorrente potere
di sospensione cautelare dell’atto impugnato.
L’esercizio di tale potere consente, infatti, di anticipare, sia
pure a titolo provvisorio, l’effetto tpico del provvedimento finale
della giurisdizione, permettendo che questo intervenga re adhuc
integra.
4. – Posto che il potere di sospensione della esecuzione dell’atto
amministrativo è un elemento connaturale di un sistema di tutela
giurisdizionale che si realizzi in definitiva con l’annullamento degli
atti della pubblica amministrazione e che le citate leggi sugli organi
di giustizia amministrativa, in via generale e in conformità di una
lunga tradizione storica, consentendo di valutare caso per caso la
ricorrenza delle gravi ragioni (o del pericolo di irreparabilità degli
effetti della esecuzione), una esclusione del potere medesimo o una
limitazione dell’area di esercizio di esso con riguardo a determinate
categorie di atti amministrativi o al tipo del vizio denunciato
contrasta col principio di uguaglianza consacrato nell’art. 3 della
Costituzione, qualora non ricorra una ragionevole giustificazione del
diverso trattamento.
Tale giustificazione non si rinviene nella specie.
Essa non può in particolare individuarsi nella urgenza delle
finalità cui adempiono gli atti contemplati dalla legge 1971, n. 865,
citata: inquantoché tale connotato dell’urgenza (unitamente a quello
dell’indifferibilità) assiste una serie indefinita di provvedimenti di
espropriazione od occupazione – cosiddetti, appunto, necessitati (cfr.
i casi previsti dall’art. 71 legge sulle espropriazioni del 1865, come
modificato dalla legge 1879, n. 5188, e integrato dall’art. 39 r.d.
1923, n. 422; ed, in genere, tutti i casi di opere in cui la
dichiarazione di urgenza è considerata implicita nel provvedimento di
approvazione del progetto: art. 6 legge 1959, n. 125, art. 12 legge
1960, n. 1676, art. 107 legge 1961, n. 469, ecc.) – e caratterizza,
comunque, anche fuori della materia delle ablazioni, una altrettanto
vasta gamma di provvedimenti dell’autorità.
Per tali svolte considerazioni – che si riassumono nella
rilevazione di un vizio di violazione del principio di uguaglianza sul
terreno della difesa avverso atti amministrativi – va, quindi,
dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 13, ultimo comma,
della legge 1971, n. 865.
Le medesime ragioni – di contrasto con gli artt. 3, 24 e 113 della
Costituzione (assorbito rimanendo, quindi, l’ulteriore profilo di
violazione degli artt. 14 e 17 dello Statuto speciale per la Regione
siciliana) – sorreggono, infine, la declaratoria di illegittimità
costituzionale dell’art. 9, comma nono, della legge regionale 31 marzo
1972, n. 19 (denunziato nelle ordinanze del Consiglio di giustizia
amministrativa), per la parte, appunto, in cui rende applicabile, nel
territorio della Regione siciliana, l’art. 13, ultima parte, della
legge statale 1971, numero 865, innanzi citata.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale:
a) dell’art. 13, ultimo comma, della legge 22 ottobre 1971, n. 865
(Norme sull’edilizia residenziale pubblica); b) dell’art. 9J comma
nono, della legge regionale siciliana 31 marzo 1972, n. 19
(Provvedimenti per la semplificazione delle procedure amministrative),
per la parte in cui rende applicabile, nel territorio della Regione
siciliana, l’arti colo 13, ultimo comma, della legge 1971, n. 865.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 dicembre 1974.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– LUIGI OGGIONI – ANGELO DE MARCO –
ERCOLE ROCCHETTI ENZO CAPALOZZA –
VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – VEZIO
CRISAFULLI – NICOLA REALE – PAOLO
ROSSI – LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA GUIDO
ASTUTI.
ARDUINO SALUSTRI – Cancelliere