Sentenza N. 284 del 1985
Corte Costituzionale
Data generale
13/11/1985
Data deposito/pubblicazione
13/11/1985
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/11/1985
ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO
MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof.
VIRGILIO ANDRIOLI – Prof. GIUSEPPE FERRARI – Dott. FRANCESCO SAJA –
Prof. GIOVANNI CONSO – Dott. ALDO CORASANITI – Prof. GIUSEPPE
BORZELLINO – Dott. FRANCESCO GRECO, Giudici,
5 della legge 12 novembre 1976, n. 751 (determinazione e riscossione
delle imposte sui redditi dei coniugi per gli anni 1974 e precedenti) e
dell’art. 136, penultimo comma, d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (testo
unico delle leggi sulle imposte dirette), promossi con le seguenti
ordinanze:
1) n. 3 ordinanze emesse l’11 luglio 1977 dalla Commissione
tributaria centrale, iscritte rispettivamente ai nn. 3, 4 e 5 del
registro ordinanze 1978 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 74 dell’anno 1978;
2) ordinanza emessa il 12 dicembre 1977 dalla Commissione
tributaria centrale, iscritta al n. 319 del registro ordinanze 1978 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 264 dell’anno
1978;
3) ordinanza emessa il 12 maggio 1978 dalla Commissione tributaria
di primo grado di Milano, iscritta al n. 378 del registro ordinanze
1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 189
dell’anno 1979;
4) ordinanza emessa il 20 febbraio 1979 dalla Commissione
tributaria di primo grado di Napoli, iscritta al n. 156 del registro
ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 124 dell’anno 1980;
5) n. 2 ordinanze emesse il 2 maggio 1979 dalla Commissione
tributaria di secondo grado di Genova, iscritte rispettivamente ai nn.
423 e 424 del registro ordinanze 1980 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 194 dell’anno 1980;
6) ordinanza emessa il 23 giugno 1980 dalla Commissione tributaria
di secondo grado di Caserta, iscritta al n. 604 del registro ordinanze
1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 304
dell’anno 1980;
7) ordinanza emessa il 20 marzo 1979 dalla Commissione tributaria
di secondo grado di Sassari, iscritta al n. 154 del registro ordinanze
1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 158
dell’anno 1981;
8) ordinanza emessa il 3 giugno 1980 dalla Commissione tributaria
di primo grado di Casale Monferrato, iscritta al n. 197 del registro
ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 186 dell’anno 1981;
9) ordinanza emessa il 22 maggio 1981 dalla Commissione tributaria
di primo grado di Bari, iscritta al n. 796 del registro ordinanze 1981
e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 82 dell’anno
1982;
10) ordinanza emessa il 2 maggio 1978 dalla Commissione tributaria
di primo grado di Napoli, iscritta al n. 31 del registro ordinanze 1982
e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 129 dell’anno
1982.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 25 giugno 1985 il Giudice relatore
Brunetto Bucciarelli Ducci.
1. – Una serie di ordinanze emesse dalla Commissione tributaria
centrale l’11 luglio e il 12 dicembre 1977 (r.o. nn. 3, 4, 5 e
319/1978), dalle Commissioni tributarie di primo grado di Milano,
Napoli, Casale Monferrato e Bari, rispettivamente del 12 maggio 1978,
20 febbraio 1979 e 2 maggio 1978, 3 giugno 1980, 22 maggio 1981 (r.o.
nn. 378/1979, 156/1980, 31/1982, 197 e 796/1981) e dalle Commissioni
di secondo grado di Genova e di Caserta del 2 maggio 1979 e 23 giugno
1980 (r.o. nn. 423, 424 e 604/1980) solleva questione di legittimità
costituzionale, in relazione agli artt. 3, 24, 31, 53 e 136 della
Costituzione, degli artt. 4 e 5 della legge 12 novembre 1976, n. 751
(determinazione e riscossione delle imposte sui redditi dei coniugi per
gli anni 1974 e precedenti) nella parte in cui, anziché applicare
automaticamente la tassazione separata dei redditi dei coniugi, ai fini
della determinazione dell’imposta complementare, impongono agli stessi
di farne esplicita domanda all’Amministrazione entro un termine
perentorio estremamente breve.
Dubitano le Commissioni tributarie che con tali disposizioni la
legge n. 751 del 1976, emanata espressamente per adeguare la
legislazione in materia alla sentenza di questa Corte n. 179 del 14
luglio 1976 (che aveva dichiarato l’incostituzionalità del c.d. cumulo
dei redditi dei coniugi), venga a frustrare retroattivamente la
pronuncia della Corte, per quanto riguarda la vecchia imposta
complementare anteriore alla riforma introduttiva dell’IRPEF (d.P.R. 29
settembre 1973, n. 597), ripristinando per detto tributo quel cumulo
già stabilito dagli artt. 131 e 139 T.U. 29 gennaio 1958, n. 645, che
la Corte ha dichiarato incostituzionali.
Con le ordinanze n. 5 r.o. 1978 e n. 197 r.o. 1981 la Commissione
tributaria centrale e la Commissione tributaria di primo grado di
Casale Monferrato impugnano anche l’ultimo comma dell’art. 4 della
legge n. 751/1976, nella parte in cui vieta di chiedere la tassazione
separata quando il reddito complessivo dei coniugi (comprensivo
pertanto anche dei redditi della moglie) sia stato determinato
sinteticamente. Si dubita da parte del giudice “a quo” che tale
disposizione vulneri i diritti di difesa del coniuge, che non può
interloquire a tutela della propria personale situazione (art. 24
Cost.).
2. – È intervenuto nei diversi giudizi, tranne in quelli promossi
con le ordinanze nn. 423 e 424 r.o. 1980, 197 e 796 r.o. 1981, il
Presidente del Consiglio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato.
In alcuni atti di intervento l’Avvocatura sostiene in via
preliminare l’inammissibilità della questione sollevata per difetto di
rilevanza.
Osserva infatti la difesa dello Stato che nei procedimenti
introdotti con le ordinanze nn. 3, 4, 5 e 319 r.o. 1978 non risulta che
i coniugi obbligati al tributo abbiano presentato domanda di tassazione
separata, sia pure fuori del termine stabilito nell’impugnato art. 5
oppure denunciando l’illegittimità costituzionale della norma stessa.
Quanto al giudizio promosso con l’ordinanza n. 604 r.o. 1980 la
procedura è stata già definita con condono ai sensi del d.l. 5
novembre 1973, n. 660, convertito con modificazioni nella legge 19
dicembre 1973, n. 823. A norma dell’ultimo comma dello stesso art. 4
legge n. 751/1976 le disposizioni impugnate non hanno quindi
applicazione nel caso di specie trattandosi di rapporti giuridici già
definiti. In tal senso – ricorda l’Avvocatura – si è già pronunciata
questa Corte con la sentenza n. 80 del 5 novembre 1980.
Nel merito comunque – si legge negli atti di intervento – la
questione sarebbe infondata, non essendo ipotizzabile la violazione dei
parametri costituzionali invocati, dal momento che il legislatore, con
le disposizioni impugnate non ha fatto che adeguare la normativa alla
nota sentenza n. 179 del 1976, stabilendo la tassazione separata per
ciascuno dei coniugi anche in ordine alla pregressa imposta
complementare per i rapporti non definiti. Per ovvie ragioni di
carattere tecnico-amministrativo – spiega l’Avvocatura in alcuni
interventi – la tassazione separata non poteva non essere subordinata
alla richiesta degli interessati, non essendo immaginabile che
l’Amministrazione procedesse d’ufficio, reperendo le miriadi di
pratiche non ancora definite.
In altro atto di intervento (20 luglio 1979 nel giudizio introdotto
con l’ordinanza n. 378 r.o. 1979) l’Avvocatura spiega che la normativa
impugnata, nell’adeguare la disciplina dei redditi conseguiti nel 1974
e negli anni precedenti alle modifiche introdotte con la legge 2
dicembre 1975, n. 576, ha voluto lasciare libere le parti, in relazione
agli eventuali loro interessi particolari, di scegliere tra la
tassazione separata ed il precedente regime, proprio per consentire che
situazioni, in ordine alle quali le parti si erano regolate secondo la
precedente normativa, potessero essere rispettate.
Anche la disposizione dell’ultimo comma dell’art. 4, che vieta la
richiesta di tassazione separata quando il reddito complessivo,
comprensivo di quello della moglie, fosse stato determinato
sinteticamente, risulta posta per non derogabili esigenze di ordine
tecnico finanziario, in considerazione che alla determinazione
sintetica del reddito complessivo netto si ricorreva, per l’imposta
complementare, quando i contribuenti non avessero presentato la
dichiarazione o avessero presentato una dichiarazione infedele o
incompleta (art. 137 T. U. 29 gennaio 1958, n. 645).
Infine – conclude la difesa dello Stato – la denunciata eccessiva
brevità del termine concesso per proporre istanza di tassazione
separata, per quanto attiene alla pretesa violazione degli artt. 3, 31
e 53 della Costituzione non ha alcun rilievo, mentre in relazione
all’art. 24 Cost. i termini previsti appaiono del tutto congrui.
L’Avvocatura richiama in proposito la sentenza n. 31 del 18 gennaio
1977.
3. – Con ordinanza del 20 marzo 1979 la Commissione tributaria di
secondo grado di Sassari (r.o. n. 154/1981) sollevava, oltre alla
questione dedotta sub 1, l’ulteriore questione di legittimità
costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 30, 31 e 37 della
Costituzione, dell’art. 136, penultimo comma, d.P.R. 29 gennaio 1958,
n. 645 (testo unico delle leggi sulle imposte dirette) nella parte in
cui limita la detraibilità degli oneri dai redditi di lavoro
subordinato al 20% dei redditi stessi e al massimo di lire 360.000.
Dubita la Commissione che tale limitazione determini una
ingiustificata disparità di trattamento rispetto ai lavoratori
autonomi; violi la tutela della funzione educatrice dei genitori,
dell’istituto familiare in generale e dei diritti della donna
lavoratrice, negando ad una insegnante madre la deducibilità delle
spese sostenute per la custodia dei figli durante le ore di lavoro.
4. – È intervenuto anche in questo giudizio il Presidente del
Consiglio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato,
assumendo l’infondatezza di entrambe le questioni.
Per la seconda questione in particolare osserva l’Avvocatura che la
diversità di trattamento tra lavoratori dipendenti ed autonomi
discende dalla profonda diversità di situazioni, essendo ben diversi
gli oneri per la produzione dei redditi incontrati dal lavoratore
autonomo rispetto al lavoratore subordinato.
Quanto alla lesione degli artt. 30, 31 e 37 Cost. essa non può
sussistere nei termini lamentati in quanto le spese sostenute dalla
famiglia per il mantenimento, l’educazione e l’istruzione dei figli non
sono “inerenti alla produzione dei redditi”, ma erogazioni di reddito
già prodotto, come tali escluse dalla deducibilità secondo i principi
del nostro ordinamento tributario.
1. – La prima questione che la Corte è chiamata a decidere
(ordinanze nn. 3, 4, 5 e 319 r.o. 1978; 378 r.o. 1979; 156, 423, 424 e
604 r.o. 1980; 154, 197 e 796 r.o. 1981; 31 r.o. 1982) è se
contrastino o meno con gli artt. 3, 24, 31, 53 e 136 della Costituzione
gli artt. 4 e 5 della legge 12 novembre 1976, n. 751, nella parte in
cui, anziché applicare automaticamente la tassazione separata dei
redditi dei coniugi, ai fini della determinazione dell’imposta
complementare, impongono agli stessi di farne esplicita domanda
all’Amministrazione entro un termine perentorio estremamente breve.
Si assume nelle ordinanze di rimessione che tali norme, pur essendo
state introdotte dal legislatore per adeguare la disciplina in materia
alla sentenza n. 179/1976 della Corte costituzionale, finiscono nella
sostanza per far rivivere limitatamente all’imposta complementare,
proprio quegli artt. 131 e 139 del T. U. 29 gennaio 1958, n. 645,
dichiarati incostituzionali dalla sentenza citata in quanto appunto
prevedevano il cumulo dei redditi. In effetti l’onere imposto al
contribuente di presentare la domanda prevista dagli articoli impugnati
richiamerebbe in vita, in caso di omissione, tutto il sistema normativo
che la Corte aveva voluto cancellare, e cioè l’imputazione al marito
dei redditi della moglie, non legalmente ed effettivamente separata;
l’applicazione dell’imposta sui redditi così cumulati; la
soggettività passiva del marito anche per i redditi della moglie e la
correlativa negazione di tale soggettività alla moglie stessa.
2. – Si pone in via preliminare l’esame dell’ammissibilità delle
ordinanze di rimessione. Le norme impugnate, infatti, trovano
applicazione soltanto nelle due ipotesi previste nel primo comma
dell’art. 4 della legge n. 751 del 1976 e cioè : a) quando alla data
del 22 luglio 1976 l’imposta non fosse stata “interamente pagata”,
sebbene il reddito complessivo dichiarato o accertato in via definitiva
ai fini dell’imposta complementare fosse comprensivo dei redditi della
moglie; b) quando, sebbene fosse stata interamente pagata l’imposta
relativa al reddito dichiarato, l’accertamento, in rettifica o di
ufficio, notificato anteriormente all’entrata in vigore della legge non
fosse divenuto definitivo alla data del 22 luglio 1976.
Al di fuori di tali ipotesi, non suscettibili peraltro di
interpretazione estensiva, non sono applicabili – secondo la
giurisprudenza concorde della Corte di Cassazione che costituisce sul
punto diritto vivente – gli impugnati artt. 4 e 5 della legge n. 751
del 1976, ma trova, invece, applicazione il principio generale in
virtù del quale la pronuncia di incostituzionalità opera direttamente
sui rapporti pendenti.
Pertanto la questione sollevata con le ordinanze di rimessione in
tanto può essere rilevante nei procedimenti “de quibus” in quanto
ricorra in essi una delle due ipotesi previste dal primo comma
dell’art. 4 impugnato. In caso contrario, non trovando applicazione le
disposizioni impugnate, la questione si appalesa inammissibile.
Orbene, in alcune fattispecie, quali vengono esposte in fatto e in
diritto nelle ordinanze di rinvio a questa Corte, non ricorre alcuna
delle ipotesi ora descritte. Infatti nei procedimenti relativi alle
ordinanze nn. 3, 4, 5 e 319/1978, emesse dalla Commissione tributaria
centrale; n. 154/1981, emessa dalla Commissione tributaria di secondo
grado di Sassari; nn. 197 e 796/1981 e 31/1982, emesse rispettivamente
dalle Commissioni tributarie di primo grado di Casale Monferrato, Bari
e Napoli, non risulta né che l’accertamento dell’ufficio fosse già
divenuto definitivo né che, essendo stata presentata la dichiarazione
cumulata dei redditi, la relativa imposta fosse stata interamente
pagata.
In ordine a tali procedimenti la questione come sopra proposta va
quindi dichiarata inammissibile per difetto di motivazione sulla
rilevanza.
3. – Per quanto riguarda il giudizio promosso con l’ordinanza n.
604 r.o. 1980 dalla Commissione tributaria di secondo grado di Caserta,
con la quale viene sollevata la questione indicata sub 1, va osservato
che la relativa procedura è stata definita con il condono ai sensi del
d.l. 5 novembre 1973, n. 660 (convertito nella legge 19 dicembre 1973,
n. 823).
In tal caso – come questa Corte ha già avuto occasione di decidere
– la speciale procedura del condono ha sostituito totalmente la vecchia
disciplina per la definizione dell’accertamento dell’imposta
complementare, cosicché le norme sul cumulo hanno già perduto, per
effetto del d.l. n. 660 del 1973 (convertito nella legge 19 dicembre
1973, n. 823), ogni capacità di incidere sulla situazione sottoposta
al giudice “a quo” (cfr. sentenza n. 80 del 5 giugno 1980). La
questione è quindi infondata nelle sue premesse.
4. – La questione comunque si rivela non fondata anche in ordine
alle altre ordinanze (nn. 378 r.o. 1979; 156, 423 e 424 r.o. 1980).
Di fronte alla pronuncia di incostituzionalità del cumulo dei
redditi tra coniugi, contenuta nella citata sentenza di questa Corte n.
179 del 1976, il legislatore si trovò infatti nella necessità di
adeguare la normativa in materia così da renderla conforme al
principio affermato dalla Corte anche per i rapporti tributari già
insorti, ma comunque non definiti.
Una situazione del tutto particolare e complessa era quella
relativa alla pregressa imposta complementare, abolita dal 1 gennaio
1974 a seguito dell’introduzione dell’imposta sul reddito delle persone
fisiche (IRPEF) avvenuta col d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 e le
successive modifiche di cui alla legge 2 dicembre 1975, n. 576.
Invero se in linea di massima la sentenza di questa Corte poteva
operare direttamente sui rapporti ancora in atto, secondo i principi
generali che regolano gli effetti delle pronunce di
incostituzionalità, nella specie – quando cioè ricorrevano le due
ipotesi indicate nel paragrafo precedente – il legislatore si trovava
di fronte a casi peculiari rispetto ai quali la determinazione degli
effetti della pronuncia si presentava estremamente difficile. Si
verificavano, infatti, due situazioni transitorie particolarmente
complesse – come giustamente osserva l’Avvocatura in uno degli atti di
intervento – e cioè la ipotesi di un reddito complessivo dichiarato o
accertato in via definitiva, mentre la relativa imposta non era stata
interamente pagata alla data del 22 luglio 1976 e l’ipotesi in cui
l’imposta fosse stata interamente pagata sul reddito dichiarato, ma
fosse stato notificato accertamento in rettifica o d’ufficio non
divenuto definitivo alla data del 22 luglio 1976.
In entrambi i casi l’obbligazione tributaria risultava o non ancora
del tutto estinta sul piano della mera esecuzione (prima ipotesi); o
estinta sul piano dell’esecuzione, ma ancora pendente per un
accertamento in rettifica o d’ufficio non definitivo (seconda ipotesi).
Limitatamente a queste due ipotesi – come si legge negli stessi
lavori preparatori – il legislatore ha scelto in via transitoria di
imporre agli obbligati la presentazione di una domanda entro un
determinato termine per poter usufruire della tassazione separata.
Tutto ciò premesso, si deve precisare che non rientra nel potere
di sindacato di questa Corte valutare le misure con le quali il
legislatore, nell’esercizio del suo potere discrezionale, ridisciplina
a seguito di una pronuncia di incostituzionalità situazioni complesse,
già di per sé in fase transitoria a seguito di una riforma radicale
del sistema tributario, come quella avvenuta con il d.P.R. n. 597 del
1973 e con la legge n. 576 del 1975; sempreché ben inteso tali misure
non travalichino i limiti della ragionevolezza. E del tutto ragionevole
si rivela il criterio adottato di lasciare agli obbligati, nelle due
particolari situazioni sopra descritte, la scelta, atraverso la
presentazione o meno della domanda, tra il nuovo regime della
tassazione separata e il regime precedente, a seconda della valutazione
in concreto di situazioni parzialmente maturate sotto la precedente
normativa. La facoltà accordata ai contribuenti è venuta così a
conciliare gli interessi effettivi dei cittadini con le esigenze di
buon andamento della pubblica amministrazione, sottraendo ad un
meccanico automatismo una mole notevole di casi, che avrebbe comportato
per l’amministrazione un aggravio organizzativo difficilmente
sopportabile, cui poteva non corrispondere l’interesse degli stessi
contribuenti.
Nessuno, quindi, degli invocati parametri costituzionali è stato
violato, essendo le norme impugnate dirette proprio alla loro
salvaguardia attraverso l’adeguamento della normativa transitoria alla
pronuncia di questa Corte. E neppure è stato leso l’art. 24 della
Costituzione, per la denunciata brevità dei termini (venti giorni per
il marito e trenta per la moglie) previsti per la presentazione della
domanda. Questa Corte ha avuto, infatti, occasione di affermare più
volte che la congruità di un termine va valutata non solo in rapporto
all’interesse di chi ha l’onere di osservarlo, ma anche con riguardo
alla funzione assegnata al termine nell’ordinamento giuridico (cfr.
sentenze nn. 57 del 1962; 10 del 1970; 138 del 1975 e 31 del 1977). Ed
i termini di decadenza sopra descritti trovano giustificazione nella
esigenza di una rapida definizione di controversie insorte in vigenza
di un sistema tributario ormai abolito, per consentire
all’Amministrazione tributaria un’adeguata predisposizione dei propri
servizi.
5. – Con la seconda questione la stessa Commissione tributaria
centrale (ord. n. 5 r.o. 1978) e la Commissione tributaria di primo
grado di Casale Monferrato (ord. n. 197 r.o. 1981) si chiedono se
contrasti o meno con l’art. 24 della Costituzione l’ultimo comma del
citato art. 4 della legge n. 751/1976, nella parte in cui vieta di
chiedere la tassazione separata quando il reddito complessivo dei
coniugi (comprensivo quindi di quello della moglie) sia stato
determinato sinteticamente; per il dubbio che tale disposizione violi
il diritto di difesa della moglie stessa.
Anche questa questione prospettata nei termini sopra indicati non
è fondata.
Dispone invero l’art. 137 del T. U. 29 gennaio 1958, n. 645 che
“se il tenore di vita del contribuente od altri elementi o circostanze
di fatto fanno presumere un reddito netto superiore a quello risultante
dalla denuncia analitica, il reddito complessivo netto viene
determinato sinteticamente con riferimento al tenore di vita del
contribuente o ad altri elementi o circostanze di fatto”.
Essendo fuori discussione la legittimità in se stessa del ricorso
alla determinazione sintetica del reddito complessivo, risulta
materialmente impossibile scomporre in quote il reddito determinato in
ordine al tenore di vita del contribuente e della sua famiglia, così
da potere attribuire una quota al marito e un’altra alla moglie. Ogni
tentativo di scomposizione, tenuto conto del legittimo criterio di
accertamento adottato, sarebbe arbitrario e privo di riscontro con la
realtà concreta.
Non sussiste pertanto alcuna lesione dell’art. 24 della
Costituzione, sotto il profilo che la norma impugnata priverebbe la
moglie del diritto alla difesa, impedendole di interloquire a tutela
della sua personale situazione, dal momento che l’impossibilità di
ricostruire il suo reddito esclude che essa possa assumere la veste di
soggetto autonomo del rapporto tributario e nessuna violazione vi può
essere del diritto di difesa per chi non è destinatario di un precetto
e non è quindi obbligato nei confronti dell’Amministrazione.
6. – Con la quinta ed ultima questione infine la Corte deve
decidere se contrasti o meno con gli artt. 3, 31 e 37 della
Costituzione l’art. 136 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (Testo
unico sulle imposte dirette), nella parte in cui limita la
detraibilità degli oneri da rediti di lavoro subordinato al 20% dei
redditi stessi, con un massimo di lire 360.000; per il dubbio che tale
norma introduca una ingiustificata disparità di trattamento tra
lavoratori subordinati e lavoratori autonomi, violando altresì i
principi della tutela dell’istituto familiare, del dovere-diritto dei
genitori all’istruzione e al mantenimento dei figli e della parità dei
sessi in materia di lavoro.
Si precisa nell’ordinanza, emessa dalla Commissione tributaria di
secondo grado di Sassari (n. 154 r.o. 1981) che tali lesioni
deriverebbero dalla mancata deducibilità dal reddito della moglie di
quanto necessariamente speso per una adeguata custodia dei figli nelle
ore che essa deve dedicare alla sua attività di insegnamento.
La questione non è fondata.
Per quanto attiene invero alla lamentata lesione del principio di
uguaglianza (art. 3 della Costituzione), essa non sussiste in quanto la
diversità di disciplina tra lavoratori subordinati e lavoratori
autonomi, in materia di oneri deducibili, trova la sua giustificazione
nella diversità obiettiva di situazioni economiche tra le due
categorie di lavoratori in ordine agli oneri sostenuti per la
produzione del reddito. E ragionevolmente il legislatore ha limitato
tali oneri per i lavoratori dipendenti alle sole spese, non essendo
ipotizzabili per questa categoria di lavoratori passività o perdite –
quali si riscontrano nell’attività dei lavoratori autonomi – ed ha
inoltre determinato le stesse spese di produzione dei lavoratori
subordinati in misura forfettaria.
Né sussiste il lamentato contrasto della norma impugnata con gli
artt. 30, 31 e 37 della Costituzione. Secondo i principi del nostro
ordinamento tributario, infatti, il carattere peculiare degli oneri
deducibili è di essere “inerenti alla produzione del reddito” del
lavoratore, e non già erogazioni di reddito già prodotto. E rientrano
certamente in quest’ultima categoria, e non nelle spese necessarie per
la produzione di reddito, quelle sostenute dalla famiglia per il
mantenimento, l’istruzione e l’educazione dei figli.
All’interno, quindi, della logica generale che presiede al sistema
tributario italiano la questione non può trovare giuridico fondamento,
in modo da assumere rilievo ai fini della lesione dei principi
costituzionali invocati.
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 4 e 5 della legge 12 novembre 1976, n. 751 (imposte sui
redditi dei coniugi per gli anni 1974 e precedenti), sollevata, in
riferimento agli artt. 3, 24, 31, 53 e 136 della Costituzione, dalle
Commissioni tributarie di primo grado di Milano e di Napoli (r.o. nn.
378/1979 e 156/1980) e dalle Commissioni tributarie di secondo grado di
Genova e di Caserta (r.o. nn. 423, 424 e 604/1980);
b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dello stesso art. 4, ultimo comma, della legge n. 751 del 1976
(relativo al divieto della tassazione separata del reddito dei coniugi
in caso di determinazione sintetica del reddito stesso), sollevata, in
riferimento all’art. 24 della Costituzione, dalla Commissione
tributaria centrale (r.o. n. 5/1978) e dalla Commissione tributaria di
primo grado di Casale Monferrato (r.o. n. 197/1981);
e) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 136, penultimo comma, del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645
(testo unico sulle imposte dirette), sollevata in riferimento agli
artt. 3, 30, 31 e 37 della Costituzione, dalla Commissione tributaria
di secondo grado di Sassari (r.o. n. 154 del 1981);
d) dichiara inammissibili le questioni di legittimità
costituzionale degli stessi artt. 4 e 5 della legge 12 novembre 1976,
n. 751, sollevate, in riferimento ai medesimi parametri costituzionali
sub a) dalla Commissione tributaria centrale (r.o. nn. 3, 4, 5 e
319/1978), dalla Commissione tributaria di secondo grado di Sassari
(r.o. n. 154/1981), e dalle Commissioni tributarie di primo grado di
Casale Monferrato, Bari e Napoli (r.o. nn. 197 e 796/1981; 31/1982).
Così deciso in Roma. nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 novembre 1985.
F.to: GUGLIELMO ROEHRSSEN – ORONZO
REALE – BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI –
ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO PALADIN –
ANTONIO LA PERGOLA – VIRGILIO
ANDRIOLI – GIUSEPPE FERRARI –
FRANCESCO SAJA – GIOVANNI CONSO –
ALDO CORASANITI – GIUSEPPE BORZELLINO
– FRANCESCO GRECO.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere