Sentenza N. 289 del 2001
Corte Costituzionale
Data generale
25/07/2001
Data deposito/pubblicazione
25/07/2001
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/07/2001
Presidente: Cesare RUPERTO;
Giudici: Fernando SANTOSUOSSO, Massimo VARI, Riccardo CHIEPPA,
Gustavo ZAGREBELSKY,Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI,
Guido NEPPI MODONA,Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Giovanni
Maria FLICK;
sorto a seguito della delibera del 9 luglio 1998 della Camera dei
deputati relativa all’insindacabilità delle opinioni espresse
dall’on. Vittorio Sgarbi nei confronti del dott. Giancarlo Caselli,
promosso con ricorso del tribunale di Caltanissetta, sez. II penale,
notificato il 18 settembre 2000, depositato in cancelleria il
4 ottobre 2000 ed iscritto al n. 45 del registro conflitti 2000.
Visto l’atto di costituzione della Camera dei deputati;
Udito nell’udienza pubblica del 5 giugno 2001 il giudice relatore
Valerio Onida;
Uditi l’avvocato Adelmo Manna per il tribunale di Caltanissetta e
l’avvocato Roberto Nania per la Camera dei deputati.
quale pende un procedimento penale per diffamazione a carico del
deputato Vittorio Sgarbi, ha promosso, con atto del 23 febbraio 2000,
conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati, in
relazione alla deliberazione adottata nella seduta del 9 luglio 1998
con cui l’assemblea, respingendo la difforme proposta della giunta
per le autorizzazioni a procedere (Atti Camera, XIII legislatura,
doc. IV-ter, n. 34/A), ha affermato che i fatti per i quali è in
corso il procedimento penale concernono opinioni espresse da un
membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni.
Il tribunale premette che il processo trae origine dalla querela
proposta il 25 luglio 1994 dal dott. Giancarlo Caselli, all’epoca
Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo; che
l’on. Sgarbi è imputato del reato previsto dall’art. 595, primo e
secondo comma, del codice penale, per avere, nel corso della
trasmissione televisiva “Sgarbi quotidiani”, andata in onda il
20 giugno 1994, offeso la reputazione del dott. Caselli, affermando
che “il giudice Caselli si è dimenticato, nel corso di questi mesi,
di mandare un avviso di garanzia a Orlando per i famosi 100 miliardi.
Ha aspettato ad inviarglielo, il giudice Caselli … ha aspettato che
Orlando fosse eletto parlamentare europeo. Ha consentito, con
evidente favoreggiamento, che fosse eletto il suo compagno di presepe
per poi mandargli l’avviso di garanzia”; che nel corso del giudizio,
svoltosi nella contumacia dell’imputato, il dott. Caselli si è
costituito parte civile; che il procedimento era stato sospeso, e
copia degli atti, su richiesta dei difensori dell’imputato, era stata
trasmessa alla Camera dei deputati; e che la causa di sospensione del
procedimento era cessata in seguito alla ricezione della nota del
13 luglio 1998, con la quale il Presidente della Camera dei deputati
comunicava che nella seduta del 9 luglio 1998 l’Assemblea aveva
deliberato che i fatti per i quali è in corso il procedimento
concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento
nell’esercizio delle sue funzioni.
Richiamando l’orientamento della Corte di cassazione, il
tribunale osserva che nel giudicare il conflitto la Corte
costituzionale, pur non essendo chiamata a riesaminare nel merito la
valutazione compiuta dalla Camera, dovrebbe verificare dall’esterno,
entro i limiti dell’arbitrarieta-plausibilità, se l’esercizio del
potere di questa non abbia menomato la sfera di attribuzioni
dell’autorità giudiziaria, per vizi del procedimento, o per omessa o
erronea valutazione dei presupposti della prerogativa da parte della
Camera; e afferma che, secondo la stessa giurisprudenza
costituzionale, per aversi insindacabilità sarebbe necessaria una
corrispondenza sostanziale di contenuti tra le opinioni incriminate e
l’atto parlamentare, rimanendo escluse dalla prerogativa in questione
le dichiarazioni genericamente ricollegabili all’attività politica
del deputato che non trovino rispondenza, contenutistica e
sostanziale, in specifici atti parlamentari.
Alla luce di questi principi, il ricorrente sostiene che nel caso
in esame la Camera avrebbe fatto un uso distorto del potere
attribuitole, non avendo dato conto del motivo per cui ha ritenuto
che le dichiarazioni dell’on. Sgarbi fossero connesse ad attività
parlamentari tipiche o, comunque, ad iniziative parlamentari vere e
proprie; e non avendo esaminato se sussistesse quella corrispondenza
sostanziale tra il contenuto delle opinioni espresse dal parlamentare
e atti parlamentari, che la giurisprudenza costituzionale ritiene
indefettibile presupposto per l’operatività della prerogativa. Il
tribunale afferma che la prospettazione dell’assoluta mancanza di
qualsivoglia connessione con la funzione parlamentare si profilerebbe
invece del tutto ragionevole, poiché le opinioni espresse dal
deputato risultano pronunciate nel corso di una trasmissione
televisiva non preceduta da un dibattito parlamentare specifico e non
ricollegabili nemmeno lato sensu ad una iniziativa parlamentare di
analogo contenuto.
La mancanza di motivazione vizierebbe dunque irrimediabilmente la
delibera parlamentare, la quale sarebbe espressione di un uso
arbitrario e comunque distorto del potere attribuito alla Camera.
Inoltre, secondo il tribunale, l’utilizzazione del mezzo televisivo,
per la sua ampia diffusività, avrebbe reso assolutamente necessario,
nel caso in esame, che la delibera parlamentare facesse concreti
riferimenti alla connessione delle opinioni rispetto all’attività
garantita, in modo da giustificare il prevalere della funzione
parlamentare sul diritto della parte offesa.
2. – Il conflitto è stato dichiarato ammissibile, in sede di
delibazione ai sensi dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge
n. 87 del 1953, con ordinanza di questa Corte n. 354 del 2000; l’atto
introduttivo e l’ordinanza sono stati successivamente, nei termini
assegnati, notificati alla Camera dei deputati e depositati con la
prova dell’avvenuta notifica.
3. – Si è costituita la Camera dei deputati, chiedendo che sia
dichiarato che spettava alla Camera affermare l’insindacabilità
delle opinioni espresse dal deputato Sgarbi, e depositando alcuni
documenti.
Quanto alla censura relativa al difetto di motivazione della
delibera assembleare, la difesa della Camera assume in primo luogo
che, nonostante l’assemblea non abbia aderito alla conclusione
proposta dalla giunta per le autorizzazioni a procedere, non per
questo se ne deve dedurre che la relativa relazione sia
insuscettibile, almeno per una sua parte, di integrare la motivazione
della delibera assembleare. Proprio nella relazione della giunta,
infatti, si darebbe atto che non si è “posto in discussione il fatto
che l’on. Sgarbi svolgesse nella situazione ricordata una funzione
parlamentare”: a tale parte della relazione l’assemblea avrebbe
inteso aderire, recependone i contenuti argomentativi e assumendoli,
appunto, come motivazione della delibera d’insindacabilità. In
secondo luogo, il voto in assemblea sarebbe stato preceduto da un
intenso dibattito relativo sia alle incongruenze insite nelle
proposte della giunta, sia al rapporto di continuità esistente tra
le opinioni e l’attività politico-parlamentare dell’on. Sgarbi nel
quadro dell’aspra polemica apertasi nei confronti del dott. Caselli.
Neppure sarebbe possibile sostenere, secondo la difesa della
Camera, l’onere di una più intensa motivazione scaturente
dall’utilizzo del mezzo televisivo. La Corte costituzionale non
avrebbe mai, nei casi di opinioni espresse attraverso il mezzo
televisivo, condotto il proprio scrutinio secondo canoni difformi da
quelli utilizzati nelle altre fattispecie sottoposte al suo giudizio;
e ciò anche nei casi in cui il parlamentare rivestiva la posizione
di conduttore di una trasmissione televisiva.
Ancora, la difesa della Camera ricorda che nei recenti sviluppi
della giurisprudenza costituzionale il giudizio sui conflitti ex
art. 68, primo comma, della Costituzione si configurerebbe quale
scrutinio sulla effettiva sussistenza dei presupposti di operatività
della disposizione costituzionale, e non già sulla mera esistenza o
sufficienza della motivazione camerale. Quanto al collegamento tra le
opinioni espresse extra moenia e l’attività “strettamente
parlamentare”, la Camera osserva che la questione delle interferenze
tra potere giudiziario e potere politico, che costituirebbe
l’essenziale nucleo critico delle opinioni di cui trattasi, sarebbe
stata al centro dell’attività ispettiva posta in essere dal deputato
Sgarbi, ad esempio con le interrogazioni n. 3/00187 del 1° agosto
1994 e n. 4/04801 dell’11 novembre 1994. In molti atti ispettivi,
inoltre, le posizioni critiche del deputato si sarebbero focalizzate
proprio sul modo di operare della Procura di Palermo; in particolare
si citano l’interrogazionen. 2/00252 del 21 ottobre 1996 e
l’interpellanza n. 2/00592 del 3 luglio 1997 (primo firmatario
on. Mancuso, con l’on. Sgarbi come cofirmatario). Gli atti tipici
posti in essere dall’on. Sgarbi ruoterebbero intorno ad una questione
– quella del differente trattamento accordato, a suo giudizio, dagli
organi inquirenti, e in particolare dalla Procura di Palermo, ad
uomini politici a seconda della loro area di appartenenza – che
coinciderebbe esattamente con quella avuta di mira dalle
dichiarazioni incriminate. In definitiva, fra le opinioni espresse,
considerate nel loro essenziale contenuto critico, e gli atti tipici
posti in essere dal deputato si riscontrerebbe l’identità dei
destinatari (la Procura di Palermo e il capo del medesimo ufficio),
l’identità della censura (il preteso uso politico, quanto ai tempi e
ai modi di svolgimento, delle indagini giudiziarie), e l’identità
delle conseguenze istituzionali che se ne fanno discendere
(l’asserita grave alterazione delle dinamiche
politico-istituzionali).
La memoria difensiva ricorda poi che l’atteggiamento di aspro
dissenso nei confronti del ruolo politico che avrebbe giocato la
magistratura in Italia accomuna diversi deputati e i relativi atti
parlamentari, quali le interrogazioni n. 4/01753 del 13 ottobre 1994
(primo firmatario on. Martelli), n. 2/00941 del 3 novembre 1999
(sen. Cossiga) e n. 2/02070 del 16 novembre 2000 (on. Boselli); e
riproduce il testo della interrogazione n. 5/01707 del 12 ottobre
1993 (primo firmatario on. Polizio). Quest’ultimo sarebbe un atto
ispettivo, antecedente di svariati mesi alle dichiarazioni
dell’on. Sgarbi, che investirebbe in via diretta le modalità di
indagine da parte della Procura di Palermo sugli “appalti gestiti
dalla amministrazione Orlando”, e cioè la medesima circostanza
fattuale di cui alle dichiarazioni dell’on. Sgarbi. Non potrebbe
opporsi che tale corrispondenza non si presenti sotto forma di
assoluta identità testuale, perché sarebbe sufficiente la
sostanziale corrispondenza di contenuti, richiesta dalla
giurisprudenza costituzionale; né che il rapporto di corrispondenza
delle opinioni rese extra moenia non possa intercorrere anche con
dichiarazioni rese da altri parlamentari nell’esercizio delle loro
funzioni.
4. – Nell’imminenza dell’udienza il tribunale di Caltanissetta ha
depositato una memoria difensiva, nella quale si insiste per
l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della deliberazione della
Camera dei deputati. La memoria dapprima ricorda i più recenti
orientamenti della Corte costituzionale in materia di conflitti ex
art. 68, primo comma, della Costituzione, relativi alle opinioni
espresse dal parlamentare al di fuori della sede parlamentare, e si
sofferma poi particolarmente sulla sentenza n. 58 del 2000, nella
quale la Corte ha stabilito che le opinioni espresse dall’on. Sgarbi
nei confronti di un magistrato nel corso di una trasmissione
televisiva non avevano alcun rilevante collegamento con l’attività
parlamentare, e non erano quindi coperte da immunità: secondo il
ricorrente il caso affrontato da quella sentenza sarebbe del tutto
simile a quello attuale.
La difesa del tribunale ricorrente esamina poi partitamente gli
atti prodotti dalla difesa della Camera, per concludere che le
dichiarazioni rese dal deputato non avrebbero alcuna connessione con
l’attività svolta dallo stesso in sede parlamentare: la
dichiarazione circa la presunta strumentalizzazione politica del
ruolo di Procuratore della Repubblica di Palermo a favore del Sindaco
della città Orlando, infatti, non troverebbe alcuna corrispondenza
sostanziale negli atti ispettivi, e neppure nell’interrogazione
n. 5/01707, presentata dall’on. Polizio, nella quale non si
troverebbe alcun riferimento alla vicenda del Teatro Massimo del
capoluogo siciliano.
Anche le circostanze in cui ha avuto luogo la divulgazione delle
dichiarazioni dell’on. Sgarbi trattandosi di valutazioni compiute
quale opinionista nel corso di una trasmissione televisiva, senza
alcuna specifica connessione con dibattiti parlamentari,
interrogazioni, inchieste o discussioni di progetti di legge in cui
risulti una partecipazione attiva del medesimo deputato
confermerebbero l’estraneità delle stesse all’ambito funzionale. Lo
stesso on. Sgarbi, d’altronde, nella discussione in assemblea,
avrebbe affermato che i convincimenti espressi non sarebbero neppure
di natura politica, bensì osservazioni sul costume.
5. – Anche la Camera dei deputati ha depositato memoria, nella
quale si ripropongono, in termini sintetici e riassuntivi, le
argomentazioni già dedotte in sede di atto di costituzione, a
riprova della legittimità della delibera di insindacabilità.
attribuzioni fra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei
deputati, in relazione alla delibera di quest’ultima in data 9 luglio
1998 con la quale, respingendo la proposta della giunta per le
autorizzazioni a procedere, essa ha deciso che i fatti per i quali è
in corso, davanti al predetto tribunale di Caltanissetta, un
procedimento penale a carico del deputato Vittorio Sgarbi, per
diffamazione a danno del dott. Giancarlo Caselli, all’epoca
Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo,
concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento
nell’esercizio delle sue funzioni.
La dichiarazione contestata al deputato, resa nel corso di una
trasmissione televisiva in data 20 giugno 1994, era del seguente
tenore: “Il giudice Caselli si è dimenticato, nel corso di questi
mesi, di mandare un avviso di garanzia a Orlando per i famosi 100
miliardi. Ha aspettato ad inviarglielo, il giudice Caselli… ha
aspettato che Orlando fosse eletto parlamentare europeo. Ha
consentito, con evidente favoreggiamento, che fosse eletto il suo
compagno di presepe per poi mandargli l’avviso di garanzia”.
La giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera dei
deputati, nella relazione presentata il 20 febbraio 1997, pur non
ponendo in discussione il fatto che l’on. Sgarbi svolgesse nella
situazione ricordata una funzione parlamentare, riteneva che “ci si
trovi di fronte, nella circostanza, alla imputazione apodittica al
dottor Caselli della commissione di un reato (favoreggiamento)”, e
che in definitiva “il confine tra opinioni (protette
costituzionalmente) e accuse apodittiche infamanti (che rappresentano
violazione di altro valore costituzionalmente protetto: la dignità
della persona) sia stato varcato nei fatti”: onde concludeva
ritenendo che i fatti per i quali si procede “non concernono opinioni
espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue
funzioni”.
Nella seduta del 9 luglio 1998 la Camera respinse, con 241 voti
contro 94 e 59 astenuti, la proposta della giunta: onde, secondo la
prassi oggi seguita, con detto voto la Camera ha deliberato che i
fatti per i quali è in corso il procedimento concernono opinioni
espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue
funzioni.
Il tribunale di Caltanissetta, premesso che attraverso il
conflitto questa Corte sarebbe chiamata ad una “verifica esterna,
entro i limiti dell’arbitrarieta-plausibilità”, degli eventuali vizi
del procedimento e della “omessa o erronea valutazione dei
presupposti della prerogativa da parte della Camera”, rileva che
nella specie l’assemblea avrebbe fatto un uso distorto del potere
attribuitole, poiché non avrebbe dato conto del motivo per cui le
dichiarazioni del deputato sono state ritenute connesse ad attività
parlamentari, e in particolare non avrebbe esaminato se sussistesse
quella corrispondenza sostanziale di contenuti fra opinione
incriminata e atti parlamentari, che sarebbe, secondo la
giurisprudenza di questa Corte, presupposto indefettibile per
l’operatività della prerogativa. Sarebbe, invece, del tutto
ragionevole “la prospettazione dell’assoluta mancanza di qualsivoglia
connessione con la funzione parlamentare delle affermazioni
incriminate”, essendo esse state pronunciate nel corso di una
trasmissione televisiva non preceduta da un dibattito parlamentare
specifico e non essendo pertanto ricollegabili, nemmeno in senso
largo, ad una iniziativa parlamentare di analogo contenuto. Di qui
discenderebbe la menomazione della sfera di attribuzioni
dell’autorità giudiziaria, fatta valere con il conflitto.
La difesa della Camera, a sua volta, afferma che la motivazione
della delibera potrebbe essere integrata sia dalla relazione della
giunta, per la parte in cui si ricorda che non si è posto in
discussione il fatto che il deputato svolgesse, nella specie, una
funzione parlamentare, sia dal dibattito, in cui si sarebbe messa in
rilievo la continuità fra le opinioni incriminate e l’attività
politico-parlamentare dell’on. Sgarbi. Nel merito, la difesa della
Camera cita numerosi atti ispettivi posti in essere dall’on. Sgarbi,
che avrebbero riguardo alla questione delle interferenze tra potere
giudiziario e potere politico e alla supposta parzialità degli
organi inquirenti quanto al trattamento riservato ad uomini politici,
nonché atti di sindacato ispettivo posti in essere da altri
deputati, che riguarderebbero anche l’azione della Procura di
Palermo: fra di essi, in particolare, una interrogazione presentata
in data 12 ottobre 1993 dall’on. Polizio.
2. – Il ricorso è fondato.
Va premesso che, come ricorda la difesa della Camera, secondo il
più recente orientamento di questa Corte, il giudizio sui conflitti
di attribuzione fra autorità giudiziaria e Camere parlamentari, in
ordine alla applicazione dell’art. 68, primo comma, della
Costituzione, originati da deliberazioni di insindacabilità adottate
dalle assemblee, non si configura come mero sindacato sulla esistenza
e congruità della motivazione con cui la Camera di appartenenza del
parlamentare abbia affermato che la dichiarazione di cui si discute
rientra nell’ambito della prerogativa, ma richiede che si verifichi
se, nella specie, l’opinione sia stata espressa nell’esercizio delle
funzioni parlamentari, alla luce della nozione di tale esercizio che
si desume dalla Costituzione (sentenze n. 10 e n. 11 del 2000).
Al di là, dunque, della assenza, lamentata dal tribunale
ricorrente, di motivazione del voto con cui la Camera respinse la
proposta della giunta, la Corte deve esprimersi sul punto se la
dichiarazione della quale l’on. Sgarbi è chiamato a rispondere sia
opinione espressa nell’esercizio delle funzioni parlamentari, nel
qual caso l’art. 68 della Costituzione impedirebbe l’attivazione di
tale responsabilità, ovvero sia opinione espressa allo stesso titolo
di ogni altro cittadino, nel qual caso spetterebbe al giudice
procedere, entrando nel merito dell’accusa per valutarne la
fondatezza.
Essendo pacifico il contesto in cui si colloca la dichiarazione,
resa nel corso di un programma televisivo condotto dallo stesso
deputato, del tutto al di fuori di un’attività funzionale
riconducibile alla qualità di membro della Camera, e del tutto al di
fuori delle possibilità di controllo e di intervento offerte
dall’ordinamento parlamentare, l’unico punto da verificare riguarda
l’eventualità che la dichiarazione medesima non rappresenti altro se
non la divulgazione all’esterno (sia pure col mezzo televisivo) di
un’opinione già espressa, o contestualmente espressa, nell’esercizio
di funzioni parlamentari (cfr. sentenze nn. 10, 11, 56, 58, 82, 320,
321, 420 del 2000).
3. – In concreto, deve escludersi che alla dichiarazione in esame
possa attribuirsi siffatto carattere divulgativo di un’opinione
parlamentare insindacabile.
Gli atti di sindacato ispettivo evocati e prodotti dalla difesa
della Camera, e compiuti dall’on. Sgarbi, come firmatario o
co-firmatario, tutti peraltro in epoca posteriore alla data della
dichiarazione incriminata, oltre a non essere legati da rapporto di
contestualità, non hanno alcuna precisa relazione di contenuto con
quest’ultima, riguardando questioni o critiche attinenti
all’attività di altre procure e di altri magistrati, o comunque
vicende del tutto estranee a quella cui si riferisce l’esternazione
in oggetto.
La stessa cosa è a dirsi riguardo agli atti di sindacato
ispettivo ricordati dalla difesa della Camera, ma compiuti da altri
deputati, in epoca peraltro molto posteriore rispetto ai fatti sub
judice, che dimostrano solo l’esistenza di atteggiamenti critici da
parte di alcuni parlamentari nei confronti dell’operato di alcuni
uffici giudiziari, nonché dello stesso dott. Caselli, ma in rapporto
a vicende del tutto diverse da quella in oggetto. Né a diversa
conclusione può condurre il richiamo, operato dalla stessa difesa,
all’interrogazione presentata il 12 ottobre 1993 dall’on. Polizio, e
nella quale – in un contesto più ampio, in cui si asseriva che le
Procure della Repubblica di Milano, Napoli e Palermo avrebbero tenuto
comportamenti processuali diversi a seconda dell’appartenenza
politica degli indagati – l’unico riferimento specifico alla Procura
di Palermo (senza indicazioni nominative) è l’affermazione secondo
cui “a Palermo non si indaga, con lo stesso rigore, sugli appalti
gestiti dall’amministrazione Orlando”. Anche a prescindere dal
problema se possa rilevare a tal fine un atto riferibile ad altro
parlamentare, sta di fatto che in esso non si trovano né la menzione
della persona offesa dal reato, né riferimenti al fatto specifico
oggetto della dichiarazione incriminata.
Deve dunque ritenersi che la Camera, votando per la
insindacabilità della dichiarazione in questione, abbia violato
l’art. 68, primo comma, della Costituzione, e leso in tal modo le
attribuzioni della autorità giudiziaria ricorrente.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara che non spetta alla Camera dei deputati deliberare che i
fatti per i quali è in corso presso il tribunale di Caltanissetta il
procedimento penale a carico del deputato Vittorio Sgarbi, di cui al
ricorso in epigrafe, concernono opinioni espresse da un membro del
Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68,
primo comma, della Costituzione; conseguentemente
Annulla la deliberazione in tal senso adottata dalla Camera dei
deputati nella seduta del 9 luglio 1998.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2001.
Il Presidente: Ruperto
Il redattore: Onida
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 25 luglio 2001.
Il direttore della cancelleria: Di Paola