Sentenza N. 290 del 1983
Corte Costituzionale
Data generale
05/10/1983
Data deposito/pubblicazione
05/10/1983
Data dell'udienza in cui è stato assunto
28/09/1983
ROSSANO – Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott.
BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO
PALADIN – Dott. ARNALDO MACCARONE – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof.
VIRGILIO ANDRIOLI – Prof. GIOVANNI CONSO – Prof. ETTORE GALLO, Giudici,
22 dicembre 1975, n. 685 (Disciplina degli stupefacenti e sostanze
psicotrope. Prevenzione, cura e riabilitazione degli stati di
tossicodipendenza), promosso con ordinanza emessa il 3 novembre 1981
dalla Corte d’appello di Roma nel procedimento penale a carico di
Avolio Fausto, iscritta al n. 846 del registro ordinanze 1982 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 108 del 1983.
Udito nella camera di consiglio del 25 maggio 1983 il Giudice
relatore Giovanni Conso.
La Corte d’appello di Roma, con ordinanza del 3 novembre 1981 emessa
nel corso del procedimento penale a carico di Avolio Fausto, imputato
dei reati di favoreggiamento e di falsa testimonianza, ha sollevato
questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 24,
secondo comma, Cost., dell’art. 82 della legge 22 dicembre 1975, n.
685, nella parte in cui assoggetta il tossicodipendente, prosciolto ai
sensi dell’art. 80 della stessa legge, “al dovere di testimoniare e
dire la verità anche quando debba rivelare il nome di coloro che gli
hanno fornito la droga”.
Secondo il giudice a quo, la norma impugnata “pur buona nei suoi
fini” (tutela della collettività contro le persone o le organizzazioni
criminose che illecitamente producono, fabbricano, importano,
esportano, vendono o altrimenti cedono o detengono sostanze
stupefacenti o psicotrope), “può essere utilizzata in modo tale da
costituire pressione, se non violenza morale sul testimone
tossicodipendente, al fine di ottenere da lui dichiarazioni utili alle
indagini di polizia giudiziaria”. Inoltre, le menomate condizioni
psichiche del tossicodipendente “possono sempre essere in taluni
momenti (come quelli di crisi di astinenza) serio motivo di possibile
invalidazione della testimonianza resa”.
Il dubbio sulla legittimità costituzionale della disposizione
censurata sarebbe rafforzato dalla considerazione che gli artt. 348 e
465 c.p.p., derogati dall’art. 82 della legge n. 685 del 1975, sono
stati ritenuti dalla Corte (sentenza n. 154 del 1973) non in contrasto
con la Costituzione, donde la possibilità di realizzare le finalità
perseguite dalla norma impugnata senza ricorrere a strumenti, come
quello di specie, che possono prestarsi ad abusi, avvalendosi, ad
esempio, dell’interrogatorio libero della persona imputata di reati
connessi, previsto dall’art. 348 bis c.p.p.
L’ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 108 del 20 aprile 1983.
Nel giudizio nessuna parte si è costituita né ha spiegato
intervento la Presidenza del Consiglio dei ministri.
1. – L’art. 82 della legge 22 dicembre 1975, n. 685, già oggetto di
controllo da parte di questa Corte (v. la sentenza n. 159 del 1982, che
ne ha dichiarato non fondata una questione di legittimità dedotta con
riferimento all’art. 3 Cost.), si trova ora sottoposto a vaglio di
legittimità nei confronti dell’art. 24, secondo comma, Cost., su
iniziativa della Corte d’appello di Roma.
La nuova questione si basa su una serie di considerazioni, che la
motivazione dell’ordinanza di rimessione così sintetizza nella sua
parte finale: con l’obbligare a deporre come testimoni coloro che sono
stati dichiarati non punibili per aver agito nelle condizioni di cui
all’art. 80 della stessa legge n. 685 del 1975, la disposizione
denunciata, “pur buona nei suoi fini”, potrebbe venire “usata… in
modo tale da costituire pressione, se non violenza, morale sul
testimone tossicodipendente, al fine di ottenere da lui dichiarazioni
utili alle indagini di polizia giudiziaria”.
Anche questa questione non è fondata.
2. – Una precisazione si impone in via preliminare, dal momento che
il parlare di “pressione morale al fine di ottenere dichiarazioni utili
alle indagini” non consentirebbe di chiamare in causa il diritto di
difesa di per sé solo, ma, caso mai, in correlazione ai diritti
inviolabili della persona ex art. 2 Cost.
In realtà, come si ricava dalla puntuale riproduzione di un brano
tratto da un precedente di questa Corte, l’ordinanza di rimessione
sembra preoccuparsi non tanto del fatto che le dichiarazioni ottenute
con la lamentata “pressione morale” abbiano a riuscire “utili alle
indagini”, quanto del fatto che tale utilità venga ottenuta a danno
del dichiarante, esposto al rischio (donde il suo stato di “timore” e,
quindi, la pressione morale su di lui) “di incorrere in pregiudizievoli
contraddizioni e conseguenti responsabilità” (sentenza n. 154 del
1973). Il che è, appunto, ciò che induce il giudice a quo ad
esprimersi in termini di mancato rispetto del “diritto inviolabile di
difesa del cittadino”.
3. – Una volta chiarita l’esatta portata dell’argomentazione in
esame, diventa agevole contrapporle – senza bisogno di invocare il sin
troppo facile rilievo secondo cui ogni discorso sulla necessità di
garanzie difensive sarebbe subordinato all’avvenuta assunzione della
qualità di parte (v., in proposito, le sentenze n. 228 del 1982 e n.
208 del 1983) che, se il rischio di incorrere in pregiudizievoli
contraddizioni e conseguenti responsabilità bastasse per far ritenere
violato il diritto di difesa, a trovarsi in contrasto con l’ordinamento
costituzionale non sarebbe soltanto la testimonianza del
tossicodipendente prosciolto, ma qualsiasi testimonianza. Entrerebbe,
dunque, in crisi l’istituto stesso della prova testimoniale come
attualmente e tradizionalmente congegnato, secondo una
caratterizzazione alla quale contribuiscono in maniera determinante le
previsioni penali della falsa testimonianza, nonché del
favoreggiamento personale e della calunnia, per tacere degli strumenti
processuali rappresentati dall’arresto immediato e, in caso di
testimonianza resa nel corso di un dibattimento penale, dal giudizio
instaurato seduta stante (art. 458 c.p.p.).
4. – Quel che soprattutto importa è che nessun testimone, per far
fronte all’obbligo di rendere testimonianza, si trovi costretto ad
accusare se stesso così da esporsi all’eventualità di una condanna.
È qui, nel “nemo tenetur edere contra se”, il punto nodale di ogni
discussione sui rapporti fra testimonianza e diritto di difesa.
Orbene, con specifico riguardo all’art. 82 della legge 22 dicembre
1975, n. 685, non si può non osservare, per prima cosa, come la
situazione di rischio presa in considerazione dalla già ricordata
sentenza n. 154 del 1973 faccia riferimento all’ipotesi di una
testimonianza da rendere “sugli stessi fatti”, mentre la testimonianza
del tossicodipendente dichiarato non punibile ai sensi dell’art. 80
della legge n. 685 del 1975 verte su fatti “diversi” dal comportamento
scriminato dalla finalità dell’uso personale, e, più precisamente, su
fatti criminosi in ordine ai quali il tossicodipendente normalmente
riveste non la posizione di complice, bensì quella di vittima.
In ogni caso, qualora dall’evolversi della deposizione dovesse
emergere un possibile coinvolgimento del teste in “altri” fatti
criminosi o (trattandosi di un prosciolto con sentenza istruttoria
suscettibile di riapertura dell’istruzione) una diversa consistenza del
fatto ricondotto nell’ambito dell’uso personale, soccorrerebbe pur
sempre la generale prescrizione dell’art. 304, terzo e quarto comma,
c.p.p. (v. da ultimo, la sentenza n. 85 del 1983): “Qualora nel corso
di un interrogatorio di persona non imputata… emergano indizi di
reità a carico dell’interrogato…”, si “rinvia” l’interrogatorio, con
previa nomina di un difensore, e le “dichiarazioni da quest’ultimo
precedentemente rese in assenza del difensore non possono, comunque,
essere utilizzate”.
Infine – e qui il discorso si apre in una prospettiva più ampia, che
interessa, fra l’altro, anche la reticenza – va tenuta presente la
sempre possibile operatività dell’art. 384, primo comma, c.p. (v.,
ancora, la sentenza n. 85 del 1983), che riconosce non punibile chi,
nel testimoniare, abbia affermato il falso o negato il vero o taciuto
ciò che sa “per esservi stato costretto dalla necessità di salvare
sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile
nocumento nella libertà o nell’onore”.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 82 della legge 22 dicembre 1975, n. 685, sollevata, in
riferimento all’art. 24, secondo comma, della Costituzione, dalla Corte
d’appello di Roma con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 settembre 1983.
F.to: LEOPOLDO ELIA – MICHELE ROSSANO
– GUGLIELMO ROEHRSSEN – ORONZO REALE
– BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI –
ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO PALADIN –
ARNALDO MACCARONE – ANTONIO LA
PERGOLA – VIRGILIO ANDRIOLI –
GIOVANNI CONSO – ETTORE GALLO.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere