Sentenza N. 290 del 2001
Corte Costituzionale
Data generale
25/07/2001
Data deposito/pubblicazione
25/07/2001
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/07/2001
Presidente: Fernando SANTOSUOSSO;
Giudici: Massimo VARI, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY,
Valerio ONIDA,Carlo MEZZANOTTE, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
2, lettera d) del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112
(Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle
regioni e agli enti locali, in attuazione del Capo I della legge
15 marzo 1997, n. 59), promosso con Ordinanza emessa il 11 marzo 1999
dal tribunale amministrativo regionale del Lazio – sezione staccata
di Latina – iscritta al n. 395 del registro ordinanze 1999 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, 1ª serie
speciale, dell’anno 1999.
Visto l’atto di costituzione della parte resistente nel giudizio
principale, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio
dei ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 3 aprile 2001 il giudice relatore
Carlo Mezzanotte;
Uditi l’avvocato Ugo Petronio per la parte resistente nel
giudizio principale e l’avvocato dello Stato Ignazio F. Caramazza per
il Presidente del Consiglio dei ministri.
annullamento, previa sospensiva, dell’ordinanza in data 24 settembre
1998, con la quale il sindaco del comune di Terracina – a seguito
della comunicazione del prefetto di Latina che, per esigenze di
pubblica sicurezza, evidenziava la insussistenza delle condizioni per
consentire l’esercizio dell’attività di agenzia di onoranze funebri
– disponeva il divieto di prosecuzione dell’attività avviata con
denuncia di inizio di attività del 9 settembre 1998, il tribunale
amministrativo regionale del Lazio – sezione staccata di Latina, con
ordinanza in data 11 marzo 1999, solleva, in riferimento all’articolo
77, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale dell’articolo 163, comma 2, lettera d) del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti
amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali, in
attuazione del Capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), nella parte
in cui prevede il trasferimento ai comuni di funzioni e compiti
amministrativi in tema di licenza di agenzia per onoranze funebri.
Il remittente premette che le funzioni in ordine alle agenzie di
onoranze funebri sono state trasferite ai comuni dall’art. 163, comma
2, lettera d) del citato d.lgs. n. 112 del 1998, nell’ambito di un
generale trasferimento di funzioni concernenti le agenzie di affari
di cui all’art. 115 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773
(Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza).
Per i provvedimenti relativi a tali agenzie, peraltro, il d.lgs.
n. 112 del 1998 non ha previsto alcun obbligo di comunicazione al
prefetto (o, in genere, all’autorità di pubblica sicurezza), né la
possibilità di un intervento comunale su richiesta del prefetto. In
questa situazione, prosegue il remittente, in forza del principio di
tipicità degli atti amministrativi, un intervento del tipo di quello
posto in essere dal prefetto di Latina (comunicazione ai sensi
dell’art. 19 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 “Attuazione della
delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382”), che ha
condotto alla adozione del provvedimento impugnato nel procedimento
principale, non troverebbe alcun fondamento normativo e il
provvedimento del sindaco del comune di Terracina, che da quella
comunicazione trae origine, sarebbe a sua volta illegittimo. Da qui
la rilevanza della questione.
Il giudice a quo rileva quindi che, prima del trasferimento
disposto dall’art. 163 del d.lgs. n. 112 del 1998, i compiti relativi
alle agenzie di onoranze funebri spettavano al questore, e ciò sulla
base della considerazione che nell’esercizio di tale attività
potrebbe verificarsi il fenomeno del cosiddetto sciacallaggio
(inopportuna concorrenza che più titolari di agenzie di onoranze
funebri possono porre in essere, in presenza degli interessati,
nell’offrire loro i propri servizi nella immediatezza di eventi
luttuosi) ovvero ancora potrebbero essere occultati gravi reati.
Proprio per la delicatezza dell’attività delle agenzie di onoranze
funebri, l’autorità di pubblica sicurezza procedeva con estrema
cautela al rilascio delle relative licenze, accertando le qualità
del soggetto richiedente e l’insussistenza di possibili collegamenti
con ambienti malavitosi.
Ad avviso del remittente, il trasferimento di funzioni ai comuni
in relazione alle agenzie di onoranze funebri contrasterebbe con la
legge di delegazione, giacché l’art. 1 della legge 15 marzo 1997,
n. 59, dopo aver delegato il Governo ad adottare uno o più decreti
legislativi volti a conferire alle Regioni e agli enti locali
funzioni e compiti amministrativi (comma 1), ha nondimeno escluso dal
conferimento le funzioni e i compiti riconducibili all’ordine
pubblico e alla sicurezza pubblica e cioè alla materia concernente
l’ordinato vivere civile, dal quale deve derivare un senso di
tranquillità e di sicurezza per i cittadini. Il trasferimento dei
compiti e delle funzioni in esame non troverebbe dunque fondamento
nella legge di delegazione e violerebbe per ciò stesso i principî
costituzionali in tema di delega legislativa.
2. – Si è costituito nel presente giudizio il comune di
Terracina, eccependo in primo luogo la inammissibilità della
questione per difetto di rilevanza.
La difesa del comune contesta, infatti, l’assunto dal quale muove
l’ordinanza di rimessione, e cioè che per i provvedimenti
autorizzatori relativi alle agenzie di onoranze funebri l’ordinamento
non prevederebbe alcuna comunicazione al prefetto o all’autorità di
pubblica sicurezza. Al contrario, premesso che non può dubitarsi del
fatto che il rilascio delle licenze per le agenzie di onoranze
funebri rientrava nella competenza del questore ex art. 115 del testo
unico delle leggi di pubblica sicurezza, la difesa comunale rileva
che anche nel nuovo sistema delle autorizzazioni, un tempo denominate
di polizia amministrativa perché rimesse al questore, la
possibilità che l’autorità di pubblica sicurezza eserciti ancora un
controllo in materia si dovrebbe desumere dalla circostanza che la
competenza del prefetto è una competenza generale, al pari di quella
in precedenza spettante al questore ai sensi degli artt. 100 e 115
del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza. Il prefetto,
infatti, prosegue la difesa del comune, ha, in ambito provinciale, la
responsabilità generale dell’ordine e della sicurezza pubblica, e
l’art. 19 del d.P.R. n. 616 del 1977, là dove ha previsto che i
provvedimenti dei comuni in materia di polizia amministrativa
specificamente indicati siano adottati previa comunicazione al
prefetto e debbano essere sospesi, annullati o revocati per motivata
richiesta del prefetto per ragioni di sicurezza pubblica, intesa
quale funzione inerente alla prevenzione dei reati o al mantenimento
dell’ordine pubblico (sentenza n. 77 del 1987), costituirebbe
espressione di tale principio. E poiché, sul punto, si è formato un
diritto vivente nel senso che la richiesta del prefetto fa sorgere
l’obbligo per il sindaco di negare, sospendere, annullare o revocare
le licenze di polizia, la questione sollevata dal tribunale
amministrativo regionale sarebbe priva del necessario requisito della
rilevanza.
Se così non fosse, se cioè non si ritenesse di poter
riconoscere la legittimità di un intervento del prefetto, neanche se
finalizzato alla tutela delle esigenze di sicurezza pubblica, la
questione, ad avviso della difesa del comune, diverrebbe rilevante e
fondata. Sarebbe infatti evidente l’eccesso di delega rispetto
all’art. 1, comma 3, della legge n. 59 del 1997, il quale riserva
allo Stato la materia dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica
che, secondo quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 115
del 1995, riguardano “la tutela dei beni giuridici fondamentali o
degli interessi pubblici primari sui quali si regge la civile
convivenza”.
3. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
Nella propria memoria, l’Avvocatura riconosce che il tipo di
attività svolto dalle agenzie di onoranze funebri effettivamente
sembrerebbe rientrare nella categoria delle agenzie di affari,
genericamente indicate dall’art. 115 del testo unico delle leggi di
pubblica sicurezza, in relazione alle quali, in virtù dell’art. 163
del d.lgs. n. 112 del 1998, le funzioni e i compiti sono stati
trasferiti ai comuni, e riconosce altresì che l’art. 1, comma 3,
della legge n. 59 del 1997 ha escluso dal conferimento delle funzioni
e dei compiti amministrativi alle Regioni e agli enti locali quelli
riconducibili alle materie dell’ordine pubblico e della sicurezza
pubblica. Tuttavia, sostiene l’Avvocatura, tali concetti devono
essere intesi in senso restrittivo, poiché altrimenti, tenuto conto
che l’art. 19 del d.P.R. n. 616 del 1977 attribuisce ai comuni la
competenza al rilascio delle licenze per una serie di attività che
certamente interferiscono con l’ordine pubblico e con la sicurezza
pubblica, si evidenzierebbe una incongruenza del sistema, in quanto
alcuni compiti risulterebbero trasferiti mentre altri, analoghi,
permarrebbero in capo allo Stato, con una distinzione difficilmente
giustificabile sotto il profilo della ragionevolezza.
Nel ricordare, quindi, che nella interpretazione delle norme che
disciplinano le funzioni e i compiti trasferiti agli enti locali deve
essere scelta la lettura conforme a Costituzione e coerente con il
sistema, l’Avvocatura conclude chiedendo che la questione sia
dichiarata non fondata.
costituzionale dell’articolo 163, comma 2, lettera d) del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti
amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali, in
attuazione del Capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), con il quale
sono stati trasferiti ai comuni le funzioni e i compiti
amministrativi in materia di licenze di agenzie di affari. Sul
presupposto che la precedente attribuzione al questore della
competenza al rilascio delle licenze per le agenzie di affari, e per
quelle di onoranze funebri in particolare, denoterebbe l’inerenza
dell’attività di queste ultime alla pubblica sicurezza, si assume,
da parte del tribunale amministrativo regionale del Lazio – sezione
staccata di Latina – la violazione dei parametri costituzionali sulla
delegazione legislativa, in riferimento all’art. 1, comma 3, lettera
l), della legge 15 marzo 1997, n. 59, che, nel delegare il Governo a
conferire funzioni e compiti alle Regioni e agli enti locali,
riservava allo Stato quelli riconducibili all’ordine pubblico e alla
sicurezza pubblica.
2. – Prima di esaminare la questione nel merito, appare opportuno
descrivere, nelle sue linee generali, il quadro normativo nel quale
si inscrive la disposizione censurata.
In occasione del trasferimento di funzioni alle Regioni, il
d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui
all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382) disponeva,
all’art. 19, primo comma, il trasferimento ai comuni di alcune
funzioni di polizia amministrativa previste dal regio decreto
18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di
pubblica sicurezza). L’art. 19 del d.P.R. n. 616, al comma quarto,
stabiliva peraltro che i provvedimenti comunali relativi ad alcune
soltanto delle funzioni trasferite dovessero essere adottati previa
comunicazione al prefetto e dovessero essere sospesi, annullati o
modificati per motivata richiesta dello stesso. Questa Corte, con
sentenza n. 77 del 1987, ha dichiarato, fra l’altro, la
illegittimità costituzionale dell’art. 19, comma quarto, nella parte
in cui non limitava i poteri del prefetto, ivi previsti,
esclusivamente alle esigenze di pubblica sicurezza, precisando che
quest’ultima deve intendersi come funzione inerente alla prevenzione
dei reati o al mantenimento dell’ordine pubblico. Sempre in relazione
all’art. 19 del d.P.R. n. 616 del 1977, questa Corte aveva poi modo
di chiarire che la ripartizione delle attribuzioni tra lo Stato e le
Regioni, in relazione alle funzioni di polizia, deve ritenersi
fondata sulla distinzione tra le competenze attinenti alla sicurezza
pubblica, riservate in via esclusiva allo Stato ex art. 4 del
medesimo d.P.R. n. 616 del 1977, e le altre funzioni rientranti nella
nozione di polizia amministrativa, trasferite alle Regioni come
funzioni accessorie rispetto agli ambiti materiali attribuiti alla
loro competenza. La funzione di polizia di sicurezza, osservava la
Corte, riguarda quindi le misure preventive e repressive dirette al
mantenimento dell’ordine pubblico e, pertanto, si riferisce alla
attività di polizia giudiziaria e a quella di pubblica sicurezza; la
funzione di polizia amministrativa riguarda, diversamente,
l’attività di prevenzione e repressione diretta ad evitare danni o
pregiudizi a persone o cose nello svolgimento di attività rientranti
nelle materie affidate alla competenza regionale (sentenza n. 218 del
1988).
L’art. 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59, ha delegato il Governo
ad emanare uno o più decreti legislativi volti a conferire alle
Regioni e agli enti locali funzioni e compiti amministrativi (comma
1), estendendo l’ambito del conferimento alla cura degli interessi e
alla promozione dello sviluppo delle comunità locali, nonché allo
svolgimento di tutti i compiti e di tutte le funzioni localizzabili
nei rispettivi territori, in atto esercitati da qualunque organo o
amministrazione dello Stato, centrali o periferiche, ovvero tramite
enti o altri soggetti pubblici (comma 2). Il medesimo art. 1, al
comma 3, lettera l), ha tuttavia escluso dal conferimento le funzioni
e i compiti riconducibili alla materia dell’ordine pubblico e della
sicurezza pubblica.
L’art. 159, comma 2, del d.lgs. n. 112 del 1998 precisa che le
funzioni e i compiti amministrativi relativi all’ordine pubblico e
alla sicurezza pubblica concernono le misure preventive e repressive
dirette al mantenimento dell’ordine pubblico, inteso come il
complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici
primari sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza nella
comunità nazionale, nonché alla sicurezza delle istituzioni, dei
cittadini e dei loro beni. È opportuno chiarire che tale definizione
nulla aggiunge alla tradizionale nozione di ordine pubblico e
sicurezza pubblica tramandata dalla giurisprudenza di questa Corte,
nella quale la riserva allo Stato riguarda le funzioni primariamente
dirette a tutelare beni fondamentali, quali l’integrità fisica o
psichica delle persone, la sicurezza dei possessi ed ogni altro bene
che assume primaria importanza per l’esistenza stessa
dell’ordinamento. È dunque in questo senso che deve essere
interpretata la locuzione “interessi pubblici primari” utilizzata
nell’art. 159, comma 2: non qualsiasi interesse pubblico alla cui
cura siano preposte le pubbliche amministrazioni, ma soltanto quegli
interessi essenziali al mantenimento di una ordinata convivenza
civile. Una siffatta precisazione è necessaria ad impedire che una
smisurata dilatazione della nozione di sicurezza e ordine pubblico si
converta in una preminente competenza statale in relazione a tutte le
attività che vanificherebbe ogni ripartizione di compiti tra
autorità statali di polizia e autonomie locali.
Lo stesso art. 159, al comma 1, definisce le funzioni e i compiti
di polizia amministrativa regionale e locale, alla quale riconduce le
misure dirette ad evitare danni o pregiudizi che possono essere
arrecati a soggetti giuridici e alle cose nello svolgimento di
attività relative alle materie nelle quali vengono esercitate le
competenze, anche delegate, delle Regioni e degli enti locali,
purché non siano coinvolti beni o interessi specificamente tutelati
in funzione dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica, poiché
in questo caso si esulerebbe dai compiti di polizia amministrativa e
si ricadrebbe in un ambito di attività riservate allo Stato.
Senza scendere nel dettaglio delle singole competenze trasferite,
che sono estranee al thema decidendum, si deve solo aggiungere che
l’art. 163, comma 2, lettera d) del d.lgs. n. 112 del 1998, nel
disporre il trasferimento ai comuni delle funzioni e dei compiti
relativi al rilascio delle licenze concernenti le agenzie di affari
di cui all’art. 115 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 si è basato
proprio sulla distinzione tra ordine e sicurezza pubblica, come sopra
interpretati, da un lato, e polizia amministrativa, come funzione
accessoria ai compiti spettanti alle Regioni e agli enti locali nelle
materie di loro competenza, dall’altro. Il fatto che tra le agenzie
di affari di cui al citato art. 115 rientrino anche le agenzie per
onoranze funebri è affermato dal remittente sulla base di
argomentazioni non implausibili, che trovano riscontro nella
giurisprudenza amministrativa, e non è contestato dall’Avvocatura
generale dello Stato: tanto basta a ritenere che non deve nuovamente
porsi in discussione, in questa sede, l’inquadramento dell’attività
delle predette agenzie.
3. – Così ricostruito il quadro normativo nel quale si colloca
la presente questione di legittimità costituzionale, non può essere
accolta l’eccezione secondo cui l’intervenuto conferimento ai comuni
delle funzioni e dei compiti amministrativi relativi alle licenze per
le agenzie di affari non avrebbe fatto venir meno le competenze in
materia dell’autorità provinciale di pubblica sicurezza, le quali
continuerebbero a trovare il proprio fondamento negli artt. 13 e 14
della legge 1° aprile 1981, n. 121 (Nuovo ordinamento
dell’Amministrazione della pubblica sicurezza), e potrebbero quindi
essere ancora esercitate secondo un modulo procedimentale
sostanzialmente assimilabile a quello dell’art. 19 del d.P.R.
24 luglio 1977, n. 616, che prevedeva l’obbligo dell’autorità
comunale di sospendere, revocare o annullare, su richiesta del
prefetto, i provvedimenti rilasciati. Deve escludersi che tale
disposizione possa ancora fungere da base d’appoggio per argomentare,
in questa materia, un sopravvissuto potere provvedimentale del
prefetto, giacché essa è stata abrogata, sia pure con riferimento
ad alcuni soltanto dei provvedimenti ivi menzionati, fra i quali,
però, quelli che qui interessano, dall’art. 164, comma 1, lettera
d), del d.lgs. n. 112 del 1998. Né la pretesa permanenza, in capo al
prefetto o al questore, di un potere analogo a quello previsto dal
citato art. 19 del d.P.R. n. 616 del 1977, può desumersi dagli
artt. 13 e 14 della legge 1° aprile 1981, n. 121, dal momento che
tali disposizioni si limitano ad affermare che l’uno e l’altro sono
autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma nulla dispongono
circa gli specifici poteri ad essi spettanti in relazione alle
funzioni amministrative attribuite ai comuni.
4. – Una volta accertata l’intervenuta soppressione di ogni
residuo potere provvedimentale del prefetto in tema di agenzie di
affari, la questione sollevata dal tribunale amministrativo regionale
del Lazio si risolve nell’interrogativo se nell’attività di tali
agenzie sicurezza e ordine pubblico – rispetto ad ogni altro
interesse pubblico e segnatamente rispetto allo sviluppo economico
delle comunità locali, in direzione del quale sono prevalentemente
orientati i trasferimenti e i conferimenti che si basano sulla legge
di delegazione n. 59 del 1997 – assumano un rilievo talmente
preminente da imporre, come soluzione costituzionalmente obbligata,
che le funzioni e i compiti in materia siano attribuiti non
all’autorità locale, ma a quella di pubblica sicurezza o che
comunque in capo a questa debba essere mantenuto il potere di
disporre sospensioni, revoche o annullamenti.
Ove la risposta a questo interrogativo dovesse essere
affermativa, prolungando il ragionamento alle sue conseguenze
logiche, ogni potestà amministrativa in campo economico,
nell’attuale contesto, nel quale larghi settori dell’economia sono
esposti alle insidie della criminalità, dovrebbe essere espressione
diretta dell’autorità di pubblica sicurezza o posta sotto la tutela
di questa. E così non si riuscirebbe a scorgere la ragione per la
quale le sole agenzie di affari dovrebbero essere attratte all’area
dei poteri provvedimentali del prefetto e non anche gli esercizi
commerciali, i quali, non diversamente da quelle, in base alla stessa
legge di delegazione, attuata con d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114
(Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma
dell’art. 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), ricadono
nella gestione dell’autorità amministrativa locale o regionale, con
esclusione in ogni caso dei poteri dell’autorità di pubblica
sicurezza, discrezionali o meno che essi siano.
Quando venga in considerazione l’attività dei privati a
contenuto economico, nelle svariate forme giuridiche nelle quali essa
può manifestarsi, la scelta di larga massima compiuta dal
legislatore, salvo talune eccezioni contenute nello stesso art. 163
del d.lgs. n. 112 del 1998, che qui non rilevano e che non sono tali
da contraddirne l’ispirazione di fondo, è stata quella di rimettere
ogni valutazione agli organi che sono espressione diretta o indiretta
della comunità locale, sulla non irragionevole premessa che siano in
primo luogo questi, per la loro maggiore vicinanza alle popolazioni
amministrate, ad averne a cuore lo sviluppo economico, in
applicazione del principio di sussidiarietà, la cui realizzazione
costituisce uno dei principali obiettivi della legge di delegazione.
Ciò non significa che l’ambito delle competenze statali nel rapporto
tra attività economica e sicurezza pubblica sia stato interamente
soppresso: esso, nel confine mobile segnato dalle opzioni del
legislatore in materia di controlli sullo svolgimento delle attività
economiche, si è tuttavia considerevolmente ridotto. È infatti
rimasto integro il potere generale di prevenzione e repressione dei
reati, ma si è venuta ridimensionando quella sua proiezione
provvedimentale, che si esprimeva in misure direttamente incidenti
sull’attività economica, per dar luogo a un nuovo equilibrio di
poteri tra Stato ed autonomie che vede riservato al primo l’adozione
di misure ablatorie, preventive e repressive, sulla base peraltro di
procedimenti interamente giurisdizionalizzati in ossequio ad
un’accezione più rigorosa del principio dello Stato di diritto, nei
soli casi in cui l’attività economica sia così strettamente
compenetrata con la criminalità organizzata da esserne essa medesima
espressione (cfr., in particolare, la legge 31 marzo 1965 n. 575
“Disposizioni contro la mafia” e successive modificazioni). E l’esito
normativo del bilanciamento compiuto dal legislatore delegato tra
istanze di sviluppo economico delle comunità locali ed esigenze di
ordine pubblico non contrasta con le direttive contenute nella legge
di delegazione, ma risulta anzi in queste già potenzialmente
racchiuso.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’articolo 163, comma 2, lettera d) del decreto legislativo
31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti
amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali, in
attuazione del Capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), sollevata,
in riferimento all’articolo 77, primo comma, della Costituzione, dal
tribunale amministrativo regionale del Lazio – sezione staccata di
Latina – con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2001.
Il Presidente: Santosuosso
Il redattore: Mezzanotte
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 25 luglio 2001.
Il direttore della cancelleria: Di Paola