Sentenza N. 294 del 1986
Corte Costituzionale
Data generale
31/12/1986
Data deposito/pubblicazione
31/12/1986
Data dell'udienza in cui è stato assunto
19/12/1986
Presidente: prof. Antonio LA PERGOLA; Giudici; Prof. Virgilio
ANDRIOLI prof. Giuseppe FERRARI, dott. Francesco SAJA, prof. Giovanni
CONSO, prof. Ettore GALLO, prof. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe
BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL’ANDRO, prof.
Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco P. CASAVOLA,
prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO.
1985, n. 595 (Norme per la programmazione sanitaria e per il piano
sanitario triennale 1986-88) promossi con i ricorsi proposti dalle
Province autonome di Trento e di Bolzano e dalla Regione Lombardia,
notificati il 5 dicembre 1985, depositati in Cancelleria il 12 e il
16 dicembre 1985, rispettivamente iscritti ai nn. 46, 47 e 48 del
registro ricorsi 1985 e pubblicati i primi due nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 302 bis del 1985 e il terzo in quella
n. 1, 1 serie speciale del 1986.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 14 ottobre 1986 il giudice
relatore Aldo Corasaniti;
Uditi gli avvocati Sergio Panunzio per le Province autonome di
Trento e di Bolzano, Valerio Onida per la Regione Lombardia e
l’Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri, per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
promosso questione di legittimità costituzionale degli artt. 3,
comma quinto, 5, 6, 10, 13, commi secondo e terzo, della legge 23
ottobre 1985, n. 595, recante “Norme per la programmazione sanitaria
e per il piano triennale 1986-88”, per violazione degli artt. 9, n.
10, 16, 54, n. 5, e 78 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige) e relative norme di attuazione.
Deduce la ricorrente che l’art. 9, n. 10, dello Statuto speciale
per il Trentino-Alto Adige attribuisce alla Provincia una competenza
legislativa, di tipo “concorrente”, in materia di “igiene e sanità
ivi compresa l’assistenza sanitaria ed ospedaliera”. L’art. 16, comma
primo, dello Statuto attribuisce inoltre alla Provincia le potestà
amministrative relative alla suddetta materia, con i limiti
corrispondenti al livello della potestà legislativa propria della
Provincia. Infine. l’articolo 54, n. 5, dello Statuto stabilisce che
spetta alla giunta provinciale “la vigilanza e la tutela sulle
amministrazioni comunali, sulle istituzioni pubbliche di assistenza e
beneficenza, sui consorzi e sugli altri enti o istituti locali,
compresa la facoltà di sospensione e scioglimento dei loro organi in
base alla legge”, aggiungendo che, nei suddetti casi, quando le
amministrazioni non siano in grado per qualsiasi motivo di funzionare
spetta anche alla giunta provinciale la nomina di commissari (con
l’obbligo di sceglierli, nella Provincia di Bolzano, nel gruppo
linguistico che ha la maggioranza degli amministratori in seno
all’organo più rappresentativo dell’ente). Restano riservati allo
Stato, ai sensi della citata disposizione, “i provvedimenti
straordinari di cui sopra allorché siano dovuti a motivi di ordine
pubblico e quando si riferiscano a comuni con popolazione superiore
ai 20.000 abitanti”.
La competenza propria – legislativa ed amministrativa – della
Provincia ricorrente in materia di igiene e sanità è nella piena
disponibilità della medesima (con i soli limiti costituzionali
stabiliti degli artt. 4, 5, 9 e 16 dello Statuto) anche a seguito
della emanazione delle relative norme di attuazione dello Statuto
(d.P.R. 28 mario 1975, n. 474; d.P.R. 26 gennaio 1980, n. 197).
Tali competenze sono state riaffermate anche in seguito alla
istituzione del servizio sanitario nazionale ed al trasferimento alle
u.s.l. dei compiti già svolti dagli enti ospedalieri (art. 80, comma
primo, legge n. 833/1978). La Provincia ha ripetutamente esercitato
le sue competenze in materia, con numerose leggi.
Anche le attribuzioni di vigilanza e tutela della giunta
provinciale sui comuni e sulle altre amministrazioni previste
dall’art. 54, n. 5, dello Statuto sono nella piena ed esclusiva
disponibilità della Provincia autonoma, che le ha costantemente
esercitate. Tali funzioni trovano inoltre specifica disciplina – in
base all’art. 5, n. 1, dello Statuto – negli artt. 43 e segg. della
legge regionale 21 ottobre 1963, n. 29 (Ordinamento dei comuni). In
particolare l’art. 49 (“Esclusività del controllo della giunta
regionale e della giunta provinciale”) ribadisce la riserva alla
giunta provinciale di tutti i poteri di vigilanza e controllo
rientranti nelle materie di competenza della Provincia; mentre l’art.
52 (“Controllo sostitutivo”) analiticamente disciplina il controllo
sostitutivo, nonché l’invio di appositi commissari presso gli enti
inadempienti. Inoltre, la legge regionale 30 aprile 1980, n. 6
(Ordinamento delle u.s.l.) ha anch’essa disciplinato in modo
specifico il “controllo sugli atti e sugli organi delle u.s.l.”,
stabilendo (art. 15, comma primo) che tale controllo è esercitato
dalla giunta provinciale ai sensi dell’art. 54 dello Statuto; ed
inoltre (art. 15, comma secondo) che “per le modalità ed i termini
di controllo si applicano le norme di cui alla legge regionale 21
ottobre 1963, n. 29, e successive modificazioni ed integrazioni”.
Ciò premesso, rileva la ricorrente che le norme impugnate sono
incostituzionali, in quanto lesive delle suindicate competenze, per
le ragioni che seguono.
1.1. – Viene in primo luogo prospettato il contrasto tra l’art. 3
della legge n. 595 del 1985 e gli artt. 9, n. 10, e 16 dello Statuto.
Il menzionato art. 3 – dopo avere stabilito (nei commi dal primo
al terzo) che le prestazioni sanitarie sono di norma erogate in forma
diretta, ed avere però anche previsto la eventualità che le leggi
regionali e provinciali possano stabilire e disciplinare l’erogazione
indiretta di determinate prestazioni – dispone al quinto comma che
“Con decreto del Ministro della sanità, sentito il Consiglio
sanitario nazionale, previo parere del Consiglio superiore di
sanità’, sono previsti i criteri di fruizione, in forma indiretta,
di prestazioni assistenziali presso centri di altissima
specializzazione all’estero in favore di cittadini italiani residenti
in Italia, per prestazioni che non siano ottenibili nel nostro Paese
tempestivamente o in forma adeguata alla particolarità del caso
clinico. Con lo stesso decreto sono stabiliti i limiti e le modalità
per il concorso nella spesa relativa a carico dei bilanci delle
singole unità sanitarie locali. Non può far carico al fondo
sanitario nazionale la concessione di concorsi nelle spese di
carattere non strettamente sanitario”.
La disciplina stabilita dalla legge statale – sia dettando
direttamente norme dettagliate circa i presupposti della fruizione,
ed il concorso nelle relative spese da parte delle u.s.l., sia
demandando ad un decreto del Ministro della sanità (cioè ad un
semplice atto amministrativo statale) l’ulteriore disciplina, specie
per la fissazione dei criteri di fruizione delle prestazioni –
sottrae totalmente alla Provincia la regolamentazione di una materia
di sua competenza.
Sarebbero, quindi, violate le suindicate disposizioni statutarie
e la violazione è resa più evidente dal fatto che la Provincia –
nell’esercizio della competenza ad essa costituzionalmente riservata
– ha già autonomamente disciplinato la materia in questione, con
l’art. 7 della legge provinciale 3 maggio 1975, n. 20. Tale articolo
– dopo avere previsto e disciplinato la possibilità di prestazioni
sanitarie in forme indirette, presso strutture non convenzionate, ed
il relativo rimborso delle spese (primo e secondo comma) – al terzo
comma stabilisce infatti che “a favore dei soggetti di cui al primo
comma del presente articolo che si ricoverino in Istituti di cura,
situati nel territorio nazionale ovvero in uno Stato estero, con i
quali non esistano convenzioni, per essere sottoposti ad interventi o
prestazioni di alta specializzazione che non possano essere
tempestivamente e adeguatamente effettuate presso strutture pubbliche
o private convenzionate, la giunta provinciale può deliberare
interventi in misura superiore a quanto previsto al primo comma,
anche mediante anticipazioni, previa certificazione sanitaria in
ordine alla sussistenza delle condizioni morbose che richiedono gli
interventi o prestazioni sopra indicati”.
1.2. – Viene qui dedotta la violazione delle medesime norme
statutarie da parte dell’art. 5 della legge n. 595 del 1985.
Detto articolo disciplina i “Presidi e servizi di alta
specialità”, riservando praticamente allo Stato ogni determinazione
in proposito. Per quanto riguarda l’elencazione delle “alte
specialità”, esse vengono infatti stabilite con decreto del Ministro
della sanità, che fissa anche i requisiti richiesti per le strutture
che debbono esercitare attività di alta specialità (art. 5.
secondo, terzo e ottavo comma); così pure è riservato al piano
sanitario nazionale (di cui all’art. 1 della legge impugnata) di
stabilire il numero, definire “i bacini di utenza e l’attribuzione
alle Regioni delle strutture preposte all’esercizio delle singole
attività di alta specialità” (art. 5, quarto comma).
Sempre l’art. 5, commi quinto e seguenti, disciplina
ulteriormente – ed in modo dettagliato – le modalità per la
determinazione (demandata ai piani sanitari regionali e provinciali)
della dislocazione territoriale delle strutture sedi di attività di
alta specialità.
Sarebbero quindi violate le competenze provinciali in materia di
sanità. Ciò in quanto il citato art. 5 non solo è intervenuto a
disciplinare in modo dettagliato la suddetta materia, ma ne ha
comunque riservato le ulteriori determinazioni ad atti dello Stato:
al piano sanitario nazionale ed ai decreti del Ministro della
sanità. Sono tali atti che individuano l’elenco delle alte
specialità in rapporto ai bacini di utenza, fissano i requisiti
delle strutture che possono erogare le relative prestazioni,
stabiliscono il numero delle strutture, i rispettivi bacini di
utenza, ecc. Mentre, per ciò che residua ai piani sanitari regionali
e provinciali, l’art. 5 (commi 5 e seguenti) condiziona incisivamente
anche il contenuto di questi ultimi.
1.3. – Le censure della Provincia si incentrano altresì
sull’art. 6, comma primo, della legge n. 595 del 1985, per
violazione degli artt. 9, n. 10, 16 e 78 dello Statuto.
La disposizione impugnata stabilisce che “a partire dal
centoventesimo giorno successivo alla entrata in vigore della
presente legge l’erogazione alle Regioni e alle Province autonome dei
fondi vincolati per le azioni programmate e per i progetti-obiettivo
e dei fondi in conto capitale, con esclusione dei soli fondi
destinati alle spese di manutenzione, è sospesa fino
all’approvazione da parte delle Regioni e delle Province autonome
della legge di piano sanitario”.
La legittimità di siffatto condizionamento è contestata dalla
ricorrente sotto un duplice profilo.
Viene anzitutto rilevato che l’autonomia finanziaria è
riconosciuta costituzionalmente alla Provincia (art. 78 Statuto), in
quanto presupposto essenziale per l’esercizio delle funzioni di
propria competenza. La Provincia deve perciò poter disporre
tempestivamente ed incondizionatamente dei fondi in questione (salvo
i vincoli di destinazione), onde poter svolgere le proprie funzioni
in materia di sanità, e consentire alle u.s.l. di erogare le
prestazioni sanitarie di loro competenza. La previsione della
sospensione delle erogazioni finanziarie prevista dalla disposizione
legislativa impugnata, pertanto sarebbe incostituzionale, poiché si
risolve in una violazione dell’autonomia finanziaria della Provincia
(art. 78 Statuto), ed in un inammissibile impedimento all’esercizio
delle sue funzioni in materia sanitaria (articoli. 9, n. 10, e 16
Statuto).
La disposizione legislativa impugnata sarebbe altresì
incostituzionale poiché pretende di condizionare in modo indebito
l’esercizio della funzione legislativa provinciale. L’adozione della
legge di approvazione del piano sanitario provinciale è infatti
espressione della autonomia politica e legislativa della Provincia.
Nei suoi confronti sono ammissibili da parte dello Stato quei soli
limiti e condizionamenti che siano espressamente previsti e
consentiti dalla disciplina costituzionale vigente (artt. 33, 49,
comma primo, e 97 dello Statuto). Non, quindi, un condizionamento
come quello che pretende di introdurre il primo comma dell’art. 6
della legge n. 595 del 1985.
1.4. – L’art. 6, commi secondo e terzo, della legge n. 595 del
1985 è impugnato per violazione degli artt. 9, n. 10, 16 e 54, n. 5,
dello Statuto.
In particolare, il comma secondo, dispone che “In caso di
persistente inattività degli organi regionali nell’esercizio delle
funzioni in materia sanitaria, qualora si tratti di adempimenti da
svolgersi entro termini perentori previsti da leggi o risultanti
dalla natura degli interventi da realizzare, il Consiglio dei
ministri, su proposta del Ministro della sanità dispone il
compimento degli atti relativi in sostituzione dell’amministrazione
regionale”.
A sua volta, il comma terzo, stabilisce che “in caso di omissione
da parte delle unità sanitarie locali di adempimenti amministrativi
concernenti la pianificazione sanitaria regionale, previsti entro
termini tassativi, si applicano le misure sostitutive stabilite
dall’art. 13 della legge 26 aprile 1982, n. 181, come modificato
dall’art. 11, comma decimo, del d.l. 12 settembre 1983, n. 463,
convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n.
638”. L’art. 13, al quale la disposizione rinvia, stabilisce, al
quarto comma, che, in caso di inerzia delle u.s.l. “le Regioni e le
Province autonome di Trento e di Bolzano, previa diffida, adottano i
provvedimenti omessi o comunque necessari, anche mediante l’invio di
appositi commissari”; e stabilisce inoltre (al quinto comma) che “lo
stesso potere e con le modalità indicate al comma precedente è
attribuito al Ministro della sanità, su segnalazione del commissario
del Governo, quando la Regione o Provincia autonoma non vi provveda”.
Tale disciplina – qualora sia ritenuta applicabile alle Province
autonome – sarebbe lesiva delle competenze provinciali.
Il potere di sostituzione previsto dall’art. 6, comma secondo, ha
infatti per oggetto l’esercizio delle “funzioni in materia
sanitaria”, e cioè di funzioni proprie della Provincia, in base allo
Statuto (artt. 9, n. 10, e 16), laddove, nel vivente ordinamento, la
sostituzione dello Stato alle Regioni (e Province autonome) è
ammissibile soltanto in relazione alle funzioni “delegate” (Corte
cost. sent. n. 142 del 1972; art. 2, legge n. 382 del 1975; art. 4,
ultimo comma, d.P.R. n. 616 del 1977; art. 5, comma quarto, legge n.
833 del 1978).
Eguale violazione è ravvisata nel comma terzo dell’art. 6,
concernente poteri sostitutivi statali nei confronti delle u.s.l.,
atteso che, ai sensi dell’art. 54, n. 5, dello Statuto, il potere di
controllo sugli enti locali è riservato alla giunta provinciale.
Né, ad avviso della ricorrente, può ritenersi sussistere, nella
specie, un limite alla competenza provinciale ex art. 5 dello
Statuto, poiché l’art. 6, comma terzo, costituisce disposizione di
dettaglio, che non si pone sul piano di quelle disposizioni di
principio che sono esse sole idonee a limitare la competenza
provinciale.
1.5. – È altresì impugnato l’art. 10 della legge n. 595 del
1985, per violazione degli artt. 9, n, 10, e 16 dello Statuto.
La suindicata disposizione stabilisce una disciplina di dettaglio
in ordine ai contenuti della programmazione sanitaria provinciale,
sia in relazione alle prestazioni, che alle strutture ed al personale
ad esse addetto.
Sarebbe in tal modo lesa, non operando i limiti di cui all’art.
5 dello Statuto, la competenza della Provincia, che vede vincolati in
modo puntuale i contenuti del piano sanitario e degli altri strumenti
della programmazione sanitaria.
Ad esempio, il comma primo, lett. h), dell’art. 10 impone un
“tasso medio di specializzazione” pari a 160 per mille. Si tratta di
una disposizione che vincola, allo stesso modo, tutte le Regioni e
Province autonome, senza tenere minimamente conto della varietà
delle situazioni locali, che invece impongono di demandare simili
scelte alle singole Regioni e Province autonome. La suddetta
prescrizione, fra l’altro, non tiene conto del diretto rapporto fra
frequenza del ricovero e struttura della popolazione. Il rispetto
della autonomia legislativa e programmatica della Provincia
ricorrente in materia di sanità imponeva invece al legislatore
statale di non fissare un unico tasso di spedalizzazione, e di
demandare anche questa scelta alla Provincia.
1.6. – La ricorrente censura, infine, l’art. 13, commi secondo e
terzo, della legge n. 595 del 1985, per contrasto con gli artt. 9, n.
10, e 16 dello Statuto.
Dispone il comma secondo dell’art. 13 che “la definizione delle
piante organiche provvisorie è pregiudiziale all’approvazione del
piano sanitario della Regione o della Provincia autonoma. Le piante
organiche definitive delle unità sanitarie locali sono approvate
entro un anno dall’entrata in vigore del piano sanitario della
Regione o della Provincia autonoma, in conformità alle indicazioni
del piano medesimo”.
Stabilisce il comma terzo dell’art. 13 che “nella prima
applicazione della presente legge il personale di ruolo delle unità
sanitarie locali della Regione o della Provincia autonoma è
provvisoriamente utilizzato in soprannumero riassorbibile nell’ambito
dell’unità sanitaria locale di appartenenza, con carico di
assorbimento nel rispetto delle disposizioni di cui agli artt. 39, 40
e 41 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761”.
Si tratterebbe di una disciplina di dettaglio viziata, per le
ragioni già enunciate nel precedente n. 1.5., di
incostituzionalità, in quanto concernente materia (ordinamento del
personale delle u.s.l.) riservata alla competenza della Provincia
(d.P.R. n. 474 del 1975; legge provinciale 21 aprile 1981, n. 7),
come si evince anche da precedenti pronunce della Corte
costituzionale (sent. n. 219 del 1984).
1.7. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato dell’Avvocatura dello Stato, chiedendo il rigetto dei
ricorsi.
Osserva l’interveniente che caratteristica fondamentale della
riforma sanitaria, realizzata con la legge n. 833 del 1978 al fine di
garantire l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio, è
la programmazione sanitaria, i cui principi generali sono fissati
all’art. 53 della legge di riforma, da ultimo modificato dall’art. 1
della legge n. 595 del 1985. Per la elaborazione e realizzazione dei
programmi sanitari la legge attribuisce specifiche competenze allo
Stato – cui spetta, con lo strumento del piano sanitario nazionale,
fissare i livelli delle prestazioni che devono essere comunque
garantite a tutti i cittadini (sent. n. 245 del 1984, motivazione in
diritto n. 7) – ed alle Regioni e Province autonome – cui spetta la
predisposizione, l’approvazione e, quindi, l’attuazione dei piani
sanitari regionali (e provinciali) – .
La legge n. 595 del 1985 contiene norme per la programmazione
sanitaria e le funzioni da essa attribuite ad organi statali
attengono appunto alla programmazione nazionale per la soddisfazione
dell’esigenza, di carattere unitario, di garantire la parità di
trattamento di tutti i cittadini nella tutela della salute, che
costituisce fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della
collettività, come tale insuscettibile di frazionamento o
localizzazione territoriale (articolo 32 Cost.; art. 1 legge n. 833
del 1978).
A tale esigenza risponde l’attribuzione al Ministero della
sanità, prevista dall’art. 3, comma quinto, di stabilire i criteri
unitari di fruizione da parte di tutti i cittadini italiani di
prestazioni assistenziali che non possono ottenersi in Italia (e
quindi tanto meno nel territorio provinciale, onde resta esclusa la
violazione dell’art. 9, n. 10, dello Statuto). presso centri di
altissima specializzazione all’estero.
Alla stessa esigenza rispondono le prescrizioni dei primi quattro
commi dell’art. 5 sulla disciplina delle prestazioni sanitarie di
alta specializzazione. Tali prestazioni, infatti, richiedendo
particolare qualificazione, attrezzature e personale specializzato,
vanno proporzionate a bacini di utenza di larghe dimensioni, anche
superiori alla popolazione di una singola Regione o Provincia
autonoma.
L’Avvocatura dello Stato contesta, inoltre, che l’art. 6, comma
primo, sia in contrasto con l’invocata autonomia finanziaria della
Provincia.
Questa va invero intesa come disponibilità di gestione autonoma
delle risorse assegnate a Regioni o Province autonome (sent. n. 162
del 1982), fermo restando che spetta alle leggi della Repubblica
stabilire modi e termini per l’assolvimento degli obblighi relativi
da parte dello Stato.
Nella fattispecie le condizioni poste dalla norma impugnata
tendono a stimolare l’osservanza da parte delle Regioni e delle
Province autonome dei termini legittimamente stabiliti da altra
disposizione di legge per l’approvazione dei piani sanitari regionali
e provinciali, mezzi necessari per la realizzazione della
programmazione voluta a soddisfazione delle ricordate esigenze
unitarie.
Ad avviso dell’interveniente, le esigenze di parità di
trattamento e di tutela del diritto alla salute di tutti i cittadini
giustificano altresì il potere sostitutivo attribuito agli organi
statali dai commi secondo e terzo dell’art. 6, quando i competenti
organi regionali non provvedano agli adempimenti diretti, od a loro
volta di controllo sostitutivo nei confronti delle u.s.l., per i
quali siano previsti, appunto in considerazione di quelle esigenze,
termini tassativi.
L’Avvocatura dello Stato, in relazione alle censure mosse
all’art. 10, contesta che la disciplina in questo contenuta si
risolva in una normativa puntuale e di dettaglio. L’articolo
impugnato espressamente precisa, nella sua prima parte, che la
disciplina ivi contenuta persegue la “utilizzazione ottimale” dei
servizi sanitari e dei posti letto, stabilendo al riguardo “parametri
tendenziali”. Ed anche l’ulteriore disciplina, pur se si presenta
notevolmente articolata, prevede tra l’altro un tasso medio di
ospedalizzazione, un tasso minimo di utilizzazione dei letti, la
ristrutturazione delle degenze ospedaliere in aree funzionali ed
omogenee, ed alcuni limiti e condizioni da osservare nella
costruzione di nuovi ospedali. Può quindi ritenersi che si è in
presenza di una normativa di indirizzo generale, non lesiva della
competenza provinciale.
Uguale natura – secondo l’interveniente – hanno le disposizioni
dell’art. 13, commi secondo e terzo, relative all’ordinamento del
personale delle u.s.l., per il quale vengono fissati alcuni principi
generali da applicare dalle Regioni e Province autonome, al fine di
renderlo rispondente ai fini stabiliti.
2. – (Reg. ric. n. 47/1985). La Provincia autonoma di Bolzano ha
promosso questione di legittimità costituzionale degli artt. 5, 6,
10 e 13, commi secondo e terzo, della già citata legge n. 595 del
1985, per violazione degli artt. 2, 9, n. 10 16, 33, 49, 54, n. 5, 78
e 100 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, e relative
norme di attuazione.
Dopo aver invocato la propria competenza (coincidente con quella
della Provincia di Trento: v. n. 1), la ricorrente ne lamenta la
lesione, in base alle osservazioni che seguono.
2.1. – L’art. 5 della legge n. 595 del 1985 (Presidi e servizi di
alta specialità) è impugnato per violazione degli artt. 2, 9, n.
10, 16 e 100 dello Statuto.
Dopo aver ribadito le censure svolte dalla Provincia di Trento
(v. retro n. 1.2.), la ricorrente prospettava altresì, la lesione
del principio della parità linguistica ad opera del comma quinto del
citato art. 5.
Tale comma prevede, infatti, che “il piano sanitario della
Regione o della Provincia autonoma stabilisce la dislocazione
territoriale delle strutture sedi di attività (di alta specialità)
o delle apparecchiature di cui ai precedenti commi, ovvero, indica,
nel caso di Regioni o Province autonome la cui popolazione non
raggiunge la dimensione di un bacino d’utenza, a quali sedi di altra
Regione o Provincia sarà fatto riferimento per la detta attività e
per le prestazioni strumentali ottenibili con le apparecchiature di
cui sopra”.
Va tuttavia rilevato, che, in attuazione del principio della
parità linguistica (artt. 2 e 100 Statuto) anche in tema di
assistenza sanitaria, l’art. 7 del d.P.R. n. l 97 del 1980 ha
disposto che per assicurare una completa assistenza sanitaria ai
cittadini nel rispetto delle relative caratteristiche etnico-linguistiche, la Provincia autonoma di Bolzano individua nel piano
sanitario provinciale i servizi sanitari ospedalieri ed extra
ospedalieri che, non potendo essere assicurati dal servizio sanitario
locale, possono essere espletati, in base ad apposite convenzioni
stipulate dalla Provincia con i competenti organi austriaci, da
cliniche universitarie e ospedali pubblici austriaci in ragione delle
loro specifiche finalità e delle caratteristiche tecniche e
specialistiche.
Con la legge provinciale prevista dall’art. 25, ultimo comma,
della legge n. 833 del 1978, vengono anche disciplinati i casi in cui
è ammessa l’assistenza presso le strutture sanitarie di cui al comma
precedente. A tale disposizione la Provincia ricorrente ha dato
attuazione, a sua volta, con l’art. 5 della legge provinciale n. 1
del 1984 (Piano sanitario provinciale).
La disposizione impugnata – ove la si ritenga, in difetto di
espresse clausole di salvezza, applicabile anche alla Provincia di
Bolzano – sarebbe, quindi, incostituzionale anche sotto tale aspetto.
2.2. – L’art. 6 della legge n. 595 del 1985 (Interventi in caso
di inadempienza) è impugnato in toto anche dalla Provincia di
Bolzano, con argomentazioni coincidenti con quelle già svolte dalla
Provincia di Trento (v. nn. 1.3., 1.4.).
Con specifico riferimento al comma terzo dell’art. 6 (controllo
sostitutivo statale nei confronti delle u.s.l.), rileva, inoltre, la
ricorrente che sarebbe violato il principio di tutela delle minoranze
linguistiche locali (art. 4 Statuto), poiché la suindicata
disposizione non prevede, come invece e stabilito dall’art. 54, n. 5,
dello Statuto, che nella Provincia di Bolzano i commissari di cui
all’art. 13 della legge n. 181 del 1982 siano scelti nel gruppo
linguistico che ha la maggioranza degli amministratori in seno
all’organo più rappresentativo dell’ente.
2.3. – La Provincia di Bolzano impugna, infine, gli artt. 10 e
13, commi secondo e terzo, della legge n. 595 del 1985, per
violazione degli artt. 9, n. 10, e 16 dello Statuto, svolgendo
osservazioni coincidenti con quelle della Provincia di Trento (v.
nn. 1.5. e 1.6.).
2.4. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato dall’Avvocatura dello Stato, che ha chiesto il rigetto
del ricorso per le ragioni già svolte in relazione al precedente
giudizio (v. n. 1.7.).
Con specifico riferimento alla dedotta violazione dell’art. 100
dello Statuto ad opera dell’art. 5 della legge n. 595 del 1985, per
l’ipotesi di mancanza di strutture di alta specializzazione nella
Provincia, e di conseguente necessità di avvalersi di strutture site
altrove, osserva l’interveniente che la norma statutaria disciplina i
rapporti tra cittadini ed organi pubblici della Provincia di Bolzano
e non può trovare quindi applicazione nell’ipotesi in cui il
cittadino della Provincia si trovi legittimamente in contatto con
organismi aventi sede oltre i confini provinciali.
3. – (Reg. ric. n. 48/1985). La Regione Lombardia ha sollevato
questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma secondo,
della già citata legge n. 595 del 1985 (controllo sostitutivo dello
Stato nei riguardi delle Regioni), in riferimento agli artt. 117, 118
e 125 Cost., nonché all’art. 2 della legge n. 382 del 1975, all’art.
4, comma terzo, del d.P.R. n. 616 del 1977, agli artt. 5 e 11 della
legge n. 833 del 1978.
Osserva la ricorrente che la sostituzione dell’amministrazione
statale a quella regionale è ammessa, nel vigente sistema, soltanto
in relazione all’esercizio di funzioni “delegate” e non anche in
relazione all’esercizio di funzioni “proprie” delle Regioni (con la
deroga eccezionale di cui all’art. 6, comma terzo, d.P.R. n. 616 del
1977, per l’inadempimento degli obblighi comunitari).
Rileva, inoltre, la Regione che, in ogni caso, non sono
rispettate le garanzie procedurali (fissazione di un termine per
adempiere) previste per l’espletamento dei poteri sostitutivi (art.
2, legge n. 382 del 1985).
La formulazione della disposizione è inoltre talmente generica
da consentire l’intervento statale in un arco indefinito di atti in
materia sanitaria, anche se discrezionali o di programmazione.
3.1. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato dall’Avvocatura dello Stato, chiedendo il rigetto del
ricorso per le ragioni già svolte nel giudizio introdotto dalla
Provincia di Trento (v. n. 1.7.).
Trento e di Bolzano e il ricorso proposto dalla Regione Lombardia,
per la connessione dell’oggetto – impugnazione diretta di statuizioni
contenute in disposizioni della legge 23 ottobre 1985, n. 595,
recante “Norme per la programmazione sanitaria e per il piano
triennale 1986-1988” – si prestano ad essere esaminati congiuntamente
e decisi con unica sentenza.
2. – Un primo ordine di censure è diretto dalla Provincia di
Trento contro le norme racchiuse negli artt. 3, comma quinto, e 5,
commi secondo, terzo e quarto, della legge n. 595 sopra indicata e
dalla Provincia di Bolzano contro quella contenuta nell’art. 5 (commi
ora indicati ed inoltre comma quinto e successivi con esso connessi)
della legge medesima.
Un secondo ordine di censure è diretto dalle Province autonome di
Trento e di Bolzano contro le norme contenute negli artt. 10
(particolarmente comma primo, lett. b), e 13, commi secondo e terzo,
della legge n. 595 del 1985.
3. – L’art. 3 della legge, in materia di prestazioni sanitarie da
erogare in forma indiretta nel caso di impossibilità da parte delle
strutture pubbliche o convenzionate di erogarle in forma diretta
tempestivamente, stabilisce con il comma quinto:
a) la previsione mediante decreto del Ministro della sanità
(sentito il Consiglio sanitario nazionale, previo parere del
Consiglio superiore di sanità) dei criteri di fruizione in forma
indiretta (da parte di cittadini italiani residenti in Italia) presso
centri di altissima specializzazione all’estero, di prestazioni che
non siano ottenibili nel nostro Paese tempestivamente o in forma
adeguata alla particolarità del caso clinico;
b) la determinazione mediante lo stesso decreto dei limiti e
delle modalità per il concorso nella spesa relativa a carico dei
bilanci delle singole unità sanitarie locali.
L’art. 5, dopo avere definito (comma primo) di alta specialità
date prestazioni sanitarie (quelle di diagnosi, cura e riabilitazione
che richiedono particolare impegno di qualificazione, mezzi,
attrezzature e personale specificamente formato), dispone con i commi
secondo, terzo e quarto:
a) la formazione dell’elenco delle prestazioni di alta
specialità in rapporto a bacini di utenza di larghe dimensioni
mediante decreto del Ministro della sanità (da emanare con le
modalità procedimentali suindicate), decreto che fissa altresì
taluni requisiti minimi e caratteristiche necessarie delle strutture
predisposte per l’esercizio delle attività relative (personale,
attrezzature, posti letto, collegamenti con le attività
specialistiche affini o complementari che devono esistere nella
medesima struttura o nel presidio in cui si trova inserita l’alta
specialità; professionalità del personale);
b) la fissazione mediante il piano sanitario del numero dei
bacini di utenza, e, sempre mediante il detto piano, la definizione
dei medesimi e l’attribuzione alle Regioni di strutture
specialistiche e di apparecchiature di avanzata tecnologia.
Il comma primo dell’art. 10 della legge, dopo avere previsto che i
piani sanitari delle Regioni e delle Province autonome, nel definire
le misure di cui al precedente art. 9, lett. f) (distribuzione nel
territorio dei presidi fissi o da istituire), devono contenere
indicazioni vincolanti finalizzate alla utilizzazione ottimale dei
servizi o dei posti letto in conformità a dati parametri
tendenziali, stabilisce fra questi, con lett. b), il tasso medio di
spedalizzazione del 160 per mille.
I commi secondo e terzo dell’art. 13 stabiliscono rispettivamente
fra l’altro:
a) che la definizione delle piante organiche provvisorie è
pregiudiziale all’approvazione del piano sanitario della Regione o
della Provincia autonoma;
b) che nella prima applicazione della legge il personale di ruolo
delle unità sanitarie locali, che non trovi collocazione nelle
piante organiche delle unità sanitarie della Regione o della
Provincia, è provvisoriamente utilizzato in soprannumero
riassorbibile nell’ambito dell’unità sanitaria locale di
appartenenza.
4. – Entrambe le Province autonome ricorrenti lamentano la lesione
della competenza legislativa concorrente e della competenza
amministrativa ad esse rispettivamente attribuite, in materia di
“igiene e sanità, ivi compresa l’assistenza sanitaria e
ospedaliera”, dall’art. 9, n. 10, e dall’art. 16 dello Statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670):
competenze nella piena disponibilità di esse Province anche a
seguito dell’emanazione delle Norme di attuazione dello Statuto in
materia di igiene e di sanità (d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474 e d.P.R.
26 gennaio 1980, n. 197) e riaffermate dalla legge istitutiva del
servizio sanitario nazionale (legge 23 dicembre 1978, n. 833, art.
80).
In particolare, secondo la Provincia di Trento, la normativa
concernente le prestazioni indirette da erogare presso centri esteri
di altissima specializzazione (art. 3, comma quinto, legge n. 595 del
1985) violerebbe le indicate competenze provinciali sia introducendo
direttamente una disciplina dettagliata della materia per quel che
concerne i presupposti della fruizione ed il concorso nelle relative
spese da parte delle unità sanitarie locali, sia demandando ad un
atto statale, per di più meramente amministrativo (decreto del
Ministro della sanità) l’ulteriore disciplina della materia stessa.
E la violazione sarebbe tanto più grave trattandosi di competenza
già esercitata dalla Provincia di Trento, avendo questa, con l’art.
7 della legge provinciale 3 maggio 1975, n. 20, regolato la materia
con il prevedere, per il concorso nelle spese relative a prestazioni
da erogare all’estero, la deliberazione di interventi da parte della
Giunta provinciale.
Analogamente la normativa concernente le prestazioni sanitarie di
alta specialità e le relative strutture (art. 5, commi secondo,
terzo e quarto, ed ancora quinto e seguenti con esso connessi, legge
n. 595 del 1985), secondo entrambe le Province ricorrenti, violerebbe
le indicate competenze provinciali sia ponendo una disciplina
dettagliata della materia, sia riservandone l’ulteriore
regolamentazione ad atti dello Stato – quali il piano sanitario
nazionale e un decreto del Ministro della sanità – sia, infine,
condizionando incisivamente il contenuto degli stessi piani sanitari
provinciali.
Secondo la Provincia di Bolzano, poi, la normativa da essa
impugnata sarebbe in contrasto altresì con il princìpio della
parità linguistica sancito negli artt. 2 e 100 dello Statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige. Principio che, sempre secondo
la Provincia di Bolzano, sarebbe stato ribadito dall’art. 7 del
d.P.R. n. 197 del 1980 (Norme di attuazione
dello Statuto in materia di igiene e sanità, integrative di quelle
dettate con il d.P.R. n. 474 del 1975). E ciò in quanto tale art. 7
prevede, al comma primo, l’individuazione da parte del piano
sanitario provinciale di servizi sanitari espletabili (in quanto non
assicurati dalle strutture locali), in base ad apposite convenzioni
della Provincia con i competenti organi austriaci, da cliniche
universitarie ed ospedali pubblici austriaci in ragione delle loro
specifiche finalità e delle caratteristiche tecniche e
specialistiche; e stabilisce, al comma secondo, la determinazione,
con la legge provinciale di cui all’art. 25 della legge n. 833 del
1978 (disposizione attuata dalla Provincia di Bolzano con l’art. 5
della legge provinciale 5 gennaio 1984, n. 1, concernente il piano
sanitario regionale), dei casi nei quali è ammessa l’assistenza ora
indicata.
Secondo le ricorrenti, la normativa concernente la organizzazione
degli ospedali (art. 10 della legge) violerebbe le indicate
competenze con l’introdurre una disciplina di dettaglio nei confronti
della programmazione sanitaria provinciale, così vincolando i
contenuti del piano sanitario e degli altri strumenti della
programmazione sanitaria provinciale. Particolarmente ciò avverrebbe
mediante l’imposizione del tasso di spedalizzazione, operata senza
tener conto della più elevata incidenza della popolazione anziana e
della correlativa esigenza di un tasso di spedalizzazione
differenziato per alcuni territori, specie per quello di esse
ricorrenti, e della conseguente necessità di non vincolare sul punto
il piano sanitario provinciale.
Sempre secondo le ricorrenti, la normativa concernente le piante
organiche del personale (art. 13 della legge) anche essa violerebbe
le indicate competenze – che qui vengono fatte valere anche in
relazione all’ordinamento del personale delle unità sanitarie locali
(art. 2 d.P.R. n. 474 del 1975 e legge provinciale n. 7 del 1981) con
l’introduzione di una disciplina puntuale e vincolante circa la
definizione delle piante organiche del personale delle unità
sanitarie locali, nonché circa l’utilizzazione e l’inquadramento
(tempi e modi) del personale stesso, e addirittura con la previsione
del condizionamento reciproco fra approvazione di piante organiche e
approvazione del piano sanitario provinciale.
5. – Le questioni di legittimità costituzionale come sopra poste
in riferimento agli artt. 9, n. 10, e 16 dello Statuto Trentino-Alto
Adige non sono fondate.
Quando si tratti di organizzare un servizio a carattere nazionale,
o di regolare una programmazione, o di dettare norme sostitutive e
anticipatrici della medesima – ipotesi che concorrono relativamente
alle norme in esame – le regole del riparto fra Stato e soggetto di
autonomia in tema di legislazione concorrente non possono essere
interpretate in modo così rigido da impedire alla legislazione
statale di porre in essere strumenti normativi ed organizzatori
diretti al perseguimento dei fini generali del servizio o della
programmazione, trattandosi in definitiva di norme di coordinamento o
sul coordinamento. Tanto deve ritenersi anche se la legislazione
concorrente sia attribuita nel quadro di un’autonomia speciale, per
definizione particolarmente garantita, e ciò almeno quando, come nel
caso, il servizio (si tratta di servizio sociale) e la programmazione
rientrino nell’attuazione di un valore assistito da specifica
protezione costituzionale.
Alla luce di siffatti princìpi, i quali emergono da pregressa
giurisprudenza di questa Corte (sent. n. 340 del 1983 e n. 177 del
1986), appaiono giustificate le norme oggetto d’impugnazione.
In particolare appare giustificata la norma (art. 3, comma quinto,
legge n. 595 del 1985) che, peraltro nel quadro di una disciplina di
fondo non accentratrice a favore dello Stato (i commi secondo e terzo
dell’articolo lasciano alle lggi provinciali l’individuazione delle
prestazioni da erogare in forma indiretta per ravvisata inadeguatezza
delle strutture locali) e con carattere di almeno relativa
generalità quanto all’oggetto, demanda a un decreto del Ministro per
la sanità (non senza garanzie procedimentali) la fissazione di
criteri per la fruizione di alcune delle prestazioni indirette:
quelle da erogare presso centri di alta specializzazione all’estero.
Si tratta, all’evidenza, di una norma sul coordinamento del servizio
sanitario diretta ad assicurare l’uguale fruizione di date
prestazioni indirette (quelle ora indicate) da parte di tutti i
cittadini: specificazione, questa, di un fine, che, relativamente
alle prestazioni sanitarie in generale, è proprio dell’istituzione
del servizio sanitario nazionale (art. 1, comma terzo, della legge n.
833 del 1978), e di un obbiettivo che, sempre relativamente alle
prestazioni sanitarie in generale, è proprio della programmazione
sanitaria nazionale (art. 3, comma secondo, della stessa legge). Né
è dato desumere argomento contrario dalla sentenza di questa Corte
n. 177 del 1986, la quale ha dichiarato illegittima la previsione, ad
opera dell’art. 13 della legge n. 181 del 1982, come modificato
dall’art. 11, comma decimo, del decreto-legge n. 463 del 1983,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 638 del 1983, di
interventi sostitutivi in materia di prestazioni eccedenti gli
standards minimi previsti dalla programmazione sanitaria nazionale,
perché, nella legge n. 595 del 1985 e nel sistema in cui essa si
inquadra (quello introdotto con la legge n. 833 del 1978), le
prestazioni di alta specializzazione sono considerate comprese in
quelle da assicurare a tutti i cittadini, secondo i detti standards
minimi, previsti dal piano sanitario nazionale, anche se esigono
elevata specializzazione non riscontrabile nel nostro Paese in misura
adeguata alla particolarità del caso clinico (art. 3, comma quinto,
legge impugnata). Laddove le “prestazioni aggiuntive” (cioè quelle
eccedenti gli standards minimi) sono rimesse all’autonomia regionale
(art. 3, comma settimo, stessa legge impugnata).
Analogamente deve ritenersi per la norma, che demanda allo stesso
decreto la prefissione di limiti al concorso della spesa relativa
alle suindicate prestazioni da parte delle unità sanitarie locali
(stesso art. 3). Si tratta, parimenti all’evidenza, di una norma sul
coordinamento della spesa sanitaria: coordinamento che, collegandosi
con l’art. 119, cpv. Cost., trova il suo titolo specifico nell’art.
5, comma primo, della legge n. 833 del 1978.
Altrettali conclusioni possono essere pianamente formulate in
ordine alle norme racchiuse nei commi secondo, terzo e quarto
dell’art. 5 della legge n. 595 del 1985. Anche qui, per quel che
concerne l’attribuzione allo Stato del potere di fissare con decreto
del Ministro della sanità i requisiti minimali e le caratteristiche
necessarie delle strutture destinate a rendere prestazioni di alta
specialità, si è in presenza di una norma sul coordinamento dei
servizi sanitari diretta ad assicurare l’eguale fruizione di date
prestazioni sanitarie (quelle appunto di alta specialità) da parte
di tutti i cittadini. Per analoghe ragioni deve ritenersi compito
proprio del piano sanitario nazionale la definizione del numero e
delle dimensioni dei bacini d’utenza delle alte specialità.
Sempre per analoghe ragioni è giustificata la previsione di un
intervento del Ministro della sanità per la formazione dell’elenco
delle alte specialità, elenco che va stabilito in relazione a bacini
di utenza di larghe dimensioni. La legge, peraltro, al comma quinto
dell’art. 5, per l’ipotesi di popolazione di Regioni o Province che
non raggiunga la dimensione di un bacino d’utenza, demanda al piano
sanitario regionale o provinciale – che non per questo viene
condizionato nei suoi contenuti di valutazione degli interessi
localizzabili e di programmazione del loro soddisfacimento –
l’individuazione di sedi per il rendimento di prestazioni di alta
specialità o ad esse strumentali in altre Regioni o Province. Senza
dire che la portata accentratrice del previsto intervento statale
(pur giustificata) è attenuata da ciò che, a norma del comma ottavo
dell’art. 5, l’elenco delle prestazioni di alta specialità formato
dal Ministro per la sanità può essere aggiornato o variato su
richiesta delle singole Regioni o delle Province autonome.
Anche la prefissione ai piani sanitari delle Regioni o delle
Province autonome di contenuti minimi (art. 10 della legge impugnata)
è giustificata in quanto misura normativa sul coordinamento ai fini
suindicati, e ciò tanto più per le indicazioni vincolanti
finalizzate alla utilizzazione ottimale dei servizi e dei posti letto
alla stregua di dati parametri come quello stabilito, peraltro come
tendenziale, dal comma primo, lett. b), specificamente impugnato
(quelle prescritte con le altre parti dell’art. 10 sono solo
genericamente contestate).
Quanto alle norme in tema di piante organiche del personale,
entrambe dettate in via transitoria, è da osservare:
a) la disposta subordinazione dell’approvazione del piano
sanitario della Regione o della Provincia autonoma alla definizione
di piante organiche provvisorie (art. 13, comma secondo) è da
ritenere uno strumento normativo di organizzazione della
programmazione ragionevolmente adottato con riferimento alla fase di
avvio (non potendo logicamente darsi compiuta programmazione
sanitaria regionale o provinciale, se non sulla base della previsione
almeno provvisoria di compiti assegnati al personale da impiegare);
b) l’imposizione, in sede di prima applicazione della legge,
della provvisoria utilizzazione in soprannumero riassorbibile del
personale esuberante nell’ambito della unità sanitaria locale di
appartenenza, è giustificata in quanto predispone uno strumento
organizzatorio necessario in pari tempo all’ordinato perseguimento
dei fini del servizio sanitario ed alla regolamentazione – quanto
più possibile uniforme secondo la linea normativa tracciata con la
legge n. 833 del 1978, art. 47 – e quanto più possibile volto ad
evitare problemi di occupazione. Né può trarsi argomento contrario
dalla sentenza n. 177 del 1986 la quale si riferisce ai
ridimensionamenti dei servizi eccedenti e all’organizzazione interna
del lavoro delle unità sanitarie locali in relazione a loro
peculiari esigenze.
6. – Egualmente non fondata appare la questione di legittimità
costituzionale sollevata dalla Provincia di Bolzano nei confronti del
comma quinto, e successivi, in quanto connessi, dell’art. 5 della
legge n. 595 del 1985 in riferimento agli artt. 2 e 100 dello Statuto
del Trentino-Alto Adige (tutela delle minoranze linguistiche).
Al riguardo è sufficiente osservare che la rimessione in via
generale al piano sanitario della Regione o della Provincia autonoma
delle determinazioni circa la dislocazione territoriale delle
strutture di alta specialità o delle apparecchiature di alta
tecnologia, ovvero circa l’individuazione di sedi di altra Regione o
Provincia nel caso di popolazione che non raggiunga le dimensioni di
un bacino d’utenza, non è incompatibile con l’individuazione da
parte della Provincia di Bolzano, mediante il piano sanitario
provinciale, di servizi sanitari espletabili da cliniche
universitarie e ospedali pubblici austriaci in ragione delle loro
specifiche finalità e caratteristiche tecniche e specialistiche,
come previsto dall’art. 7 del d.P.R. n. 197 del 1980.
7. – Un terzo ordine di censure è diretto dalla Provincia
autonoma di Trento contro l’art. 6, commi primo, secondo e terzo,
della legge n. 595 del 1985, in riferimento agli artt. 9, n. 10, 16,
54, n. 5, e 78 dello Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto
Adige; dalla Provincia autonoma di Bolzano, in riferimento agli
stessi parametri, nonché a quelli di cui agli artt. 4, 33 e 49 dello
stesso Statuto; e dalla Regione Lombardia contro l’art. 6, comma
secondo, della stessa legge, in riferimento agli artt. 117, 118 e 125
Cost., nonché agli artt. 2, legge n. 382 del 1975, 4, comma terzo,
d.P.R. n. 616 del 1977, 5 e 11, legge n. 833 del 1978.
Il comma primo dell’art. 6 commina la sospensione, a decorrere dal
centoventesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge,
della erogazione alle Regioni e alle Province autonome di parte del
finanziamento sanitario, fino all’approvazione da parte di detti enti
dei rispettivi piani sanitari.
Il comma secondo dell’art. 6 prevede il potere del Consiglio dei
ministri, su proposta del Ministro della sanità, di sostituirsi agli
organi regionali, in caso di persistente inattività di questi, nel
compimento degli atti omessi, che costituiscano adempimenti da
svolgersi entro termini perentori previsti dalla legge o risultanti
dalla natura degli interventi da realizzare.
Il comma terzo dell’art. 6 consente, per il caso di omissiome da
parte delle unità sanitarie locali di adempimenti amministrativi
concernenti la pianificazione regionale da eseguire entro termini
tassativi, l’applicazione delle misure sostitutive stabilite
dall’art. 13 della legge 26 aprile 1982, n. 181, come modificato
dall’art. 11, comma decimo, del decreto-legge 12 settembre 1983, n.
463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n.
638 (l’art. 13 della legge n. 181 del 1982, come sopra modificato, al
cui contenuto fa materiale rinvio l’art. 6, comma terzo, riguarda il
potere del Ministro per la sanità nel caso di omissione da parte di
unità sanitarie di adempimenti connessi alla verifica della
regolarità di erogazione della spesa sanitaria e più in genere al
contenimento della spesa stessa prescritti da leggi statali o da
leggi regionali di attuazione di coordinamento statale ex art. 5
legge n. 833 del 1978), qualora la Regione o la Provincia autonoma
non provvedano, in via sostitutiva anche mediante l’invio di appositi
commissari, di provvedere esso stesso.
8. – Secondo le Province autonome ricorrenti, l’impugnato primo
comma dell’art. 6 violerebbe la loro autonomia finanziaria (art. 78
dello Statuto speciale) ed altresì le loro competenze legislative e
amministrative in materia sanitaria (artt. 9, n. 10, e 16 dello
Statuto speciale), condizionando in modo indebito le prime (adozione
del piano sanitario) ed impedendo in modo altrettanto indebito
l’esercizio della seconda.
Sempre secondo le Province ricorrenti, la previsione del potere
sostitutivo dello Stato, di cui all’art. 6, comma secondo, in
relazione all’esercizio di funzioni proprie, quali sono quelle
attribuite in materia sanitaria, importerebbe deroga al princìpio
che ammette la sostituzione soltanto nell’esercizio di funzioni
delegate – princìpio enunciato in via generale dagli artt. 2
legge-delega n. 382 del 1975 e 4 del d.P.R. n. 616 del 1977, e
confermato, in relazione alla materia sanitaria, dall’art. 5, comma
quarto, della legge n. 833 del 1978, ma desumibile, per esse
Province, dalla tassatività delle disposizioni dello Statuto
Trentino-Alto Adige concernenti ipotesi di poteri sostitutivi statali
(artt. 33 e 49, comma primo) – con conseguente violazione della loro
autonomia, tanto più grave in relazione al carattere speciale
dell’autonomia stessa.
Analoghe considerazioni svolge la Regione Lombardia, la quale
sottolinea negativamente la genericità e latitudine della
previsione, suscettiva di coprire un arco indefinito di atti e di
adempimenti anche di diversa natura senza alcun criterio
discriminativo, e non comprensiva, invece, di garanzie procedimentali
come la diffida o la audizione della Regione interessata, o il parere
di organi parlamentari.
Le ragioni indicate a proposito del comma secondo concorrerebbero,
in una col carattere dettagliato della disciplina (per sé
incompatibile con la legislazione concorrente delle Province autonome
in materia di sanità), a far ritenere costituzionalmente illegittima
la previsione del potere sostitutivo di cui all’art. 6, comma terzo,
il quale peraltro sarebbe specificamente in contrasto con l’art. 54,
n. 5, dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, attributivo
in via riservata alla Giunta provinciale del controllo sostitutivo
sulle amministrazioni locali e quindi sulle unità sanitarie locali
(disposizione statutaria attuata, per le dette unità, dall’art. 15
della legge regionale 30 aprile 1980, n. 6).
La Provincia di Bolzano sostiene che il comma terzo viola anche il
principio di tutela delle minoranze linguistiche, di cui all’art. 4
dello Statuto speciale Trentino-Alto Adige, in quanto non prevede,
come invece stabilito dall’art. 54, n. 5, dello stesso Statuto,
che, nella Provincia di Bolzano, i commissari di cui all’art. 13
della legge n. 181 del 1982 siano scelti nel gruppo
linguistico che ha la maggioranza degli amministratori in seno
all’organo più rappresentativo dell’ente.
9. – Della questione sollevata circa la legittimità del primo
comma dell’art. 6 va dichiarata l’inammissibilità sopravvenuta in
relazione alla disciplina introdotta col decreto-legge 18 giugno
1986, n. 282, art. 20, convertito, con modificazioni, dalla legge 7
agosto 1986, n. 461, disciplina che innovativamente ha collegato la
sanzione prevista per l’omessa approvazione del piano sanitario della
Regione o della Provincia autonoma a un termine decorrente dal
compimento di ulteriori attività normative statuali.
10. – Quanto alle questioni di legittimità costituzionale
concernenti i commi secondo e terzo dell’art. 6, va riconosciuto che
la sostituzione dello Stato ad un soggetto di autonomia in caso di
omissioni nelle quali esso incorra nell’esercizio di funzioni proprie
– quali sono le funzioni di amministrazione attiva e lo stesso
controllo sostitutivo rispetto ad altri enti in materia sanitaria va
giustificata, giacché, per sua natura, essa importa ingerenza nella
sfera di autonomia, più grave quando si tratti di autonomia
speciale.
Ma la sostituzione può certamente ritenersi consentita in
relazione ad una programmazione, in quanto la misura sostitutiva sia
ragionevolmente prevista quale mezzo indispensabile per la
predisposizione od organizzazione della programmazione, nonché per
il perseguimento dei suoi scopi essenziali. Ciò anche in presenza di
autonomie speciali, se la programmazione sia volta all’attuazione di
un valore costituzionale primario o fondamentale (e qui si tratta di
programmazione volta all’attuazione del valore di cui all’art. 32
Cost.).
Si intende come, così concepita e limitata, la sostituzione non
possa legittimamente estendersi ad atti che, lungi dall’essere
specificazioni del quadro programmatorio generale, anche integrato
dalla programmazione regionale (cfr. comma terzo dell’art. 6),
costituiscano essi stessi valutazioni o scelte aggiuntive od
organizzative del servizio di interesse meramente locale: in tal caso
è esclusa per definizione l’incidenza sul detto quadro
programmatorio o sugli scopi essenziali di esso. Ed è inutile dire
che è riservato a questa Corte, in sede di conflitto di
attribuzione, il sindacato sul rispetto dei limiti così disegnati,
ivi compreso quello costituito dalla ragionevolezza della valutazione
circa la necessità delle misure rispetto agli scopi essenziali della
programmazione.
Del resto analoga e, in un certo senso, convergente limitazione
discende dalla doverosa osservanza del princìpio di leale
cooperazione, princìpio – assistito da particolare operatività in
caso di valore costituzionale alla cui realizzazione siano chiamati
Stato e soggetti di autonomia – il quale impone di non procedere alla
sostituzione stessa, se non previa adozione di quelle misure
(informazioni attive e passive, sollecitazioni ed altre) che per i
momenti, i livelli, le modalità, siano idonee a qualificare
l’intervento sostitutivo come necessitato dall’inerzia del soggetto
di autonomia e in pari tempo come riferibile all’applicazione del
detto princìpio e non ad emulatività o a prevaricazione. Ed anche
per tale aspetto, come è ovvio, può aprirsi il sindacato della
Corte in sede di conflitto di attribuzione.
Con le rese precisazioni interpretative – le quali si pongono
sulla linea di precedenti sentenze di questa Corte: cfr. nn. 340 del
1983, 356 e 357 del 1985, 153, 177 e 195 del 1986 – le questioni di
legittimità suindicate sono da dichiarare non fondate.
Va egualmente disattesa la censura rivolta dalla sola Provincia di
Bolzano al suindicato art. 6, comma terzo, in riferimento agli artt.
4 e 54, n. 5, dello Statuto speciale, poiché l’art. 13 della legge
n. 181 del 1982, come richiamato dalla norma impugnata, non esonera
lo Stato, nell’ipotesi di nomina di commissari, dall’osservanza
dell’obbligo posto con la predetta norma statutaria (cfr. sent. n.
177 del 1986).
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i ricorsi di cui in epigrafe:
Dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
degli artt. 3, comma quinto, e 5, commi secondo, terzo e quarto della
legge 23 ottobre 1985, n. 595 (Norme per la programmazione sanitaria
e per il piano sanitario triennale 1986-1988) sollevate dalla
Provincia autonoma di Trento in riferimento agli artt. 9, n. 10, e 16
dello Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31
agosto 1972, n. 670), nonché le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 5, commi suindicati ed ancora comma quinto e
successivi con esso connessi, sollevate dalla Provincia autonoma di
Bolzano in riferimento agli stessi parametri ed altresì agli artt. 2
e 100 del detto Statuto speciale;
Dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
degli artt. 10 e 13, commi secondo e terzo, della legge
n. 595 del 1985 ora indicata, sollevate dalla Provincia autonoma di
Trento e dalla Provincia autonoma di Bolzano in riferimento agli
artt. 9, n. 10, e 16 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto
Adige;
Dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 6, comma primo, della legge n. 595 del 1985 suindicata,
sollevata dalla Provincia autonoma di Trento e dalla Provincia
autonoma di Bolzano in riferimento agli artt. 9, n. 10, 16 e 78 dello
Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige;
Dichiara non fondate nei sensi di cui in motivazione le questioni
di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi secondo e terzo
della legge n. 595 del 1985 suindicata, sollevate dalla Provincia
autonoma di Trento in riferimento agli artt. 9, n. 10, 16 e 54, n. 5,
dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige; dalla Provincia
autonoma di Bolzano in riferimento agli articoli 4, 9, n. 10, 16, 33,
49 e 54, n. 5, dello Statuto speciale suddetto; e dalla Regione
Lombardia in riferimento agli articoli 117, 118, 125 Cost., ed
altresì all’art. 2 della legge 22 luglio 1985, n. 382, all’art. 4,
comma terzo, del d.P.R. 27 luglio 1977, n. 616, e agli artt. 5 e 11
della legge 23 dicembre 1978, n. 833.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 dicembre 1986.
Il Presidente: LA PERGOLA
Il redattore: CORASANITI
Depositata in cancelleria il 31 dicembre 1986.
Il direttore della cancelleria: VITALE