Sentenza N. 295 del 1984
Corte Costituzionale
Data generale
19/12/1984
Data deposito/pubblicazione
19/12/1984
Data dell'udienza in cui è stato assunto
14/12/1984
GUGLIELMO ROEHRSSEN – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO
MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof.
VIRGILIO ANDRIOLI – Prof. GIUSEPPE FERRARI – Dott. FRANCESCO SAJA –
Prof. GIOVANNI CONSO – Prof. ETTORE GALLO – Dott. ALDO CORASANITI –
Prof. GIUSEPPE BORZELLINO, Giudici,
21 giugno 1975, n. 287 (Modifiche alla legge 4 novembre 1965, n. 1213,
concernente provvedimenti a favore della cinematografia); dell’art.
unico, lett. b, del d.P.R. 28 aprile 1968, n. 1339, promosso con
ordinanza emessa il 5 giugno 1978 dal TAR per il Lazio sui ricorsi
riuniti proposti dalla S.r.l. Medusa Distribuzione ed altre c/
Ministero del turismo e dello spettacolo ed altra, iscritta al n. 16
del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 80 del 1979.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 6 novembre 1984 il Giudice relatore
Antonio La Pergola;
udito l’avvocato dello Stato Stefano Onufrio per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
1. – Alcune società di produzione e distribuzione cinematografica
proponevano ricorso nel marzo 1978 al TAR del Lazio avverso i decreti
con i quali il Ministero del turismo e dello spettacolo aveva annullato
d’ufficio i provvedimenti con i quali in precedenza aveva dichiarato di
nazionalità italiana ed ammesso alla programmazione obbligatoria
alcuni films realizzati dalle ricorrenti in regime di coproduzione
italo-francese.
Le ricorrenti, fra le altre censure proposte, denunciavano la
violazione degli artt. 19 della legge 4 novembre 1965, n. 1213
(Provvedimenti a favore della cinematografia), che disciplina le
coproduzioni, 20 della legge 21 giugno 1975, n. 287 (recante modifiche
alla predetta legge n. 1213/65) e dell’art. 5, par. IV, dell’accordo
di coproduzione italo-francese del 1 agosto 1966, recepito in Italia
dapprima con l’articolo unico lett. b) del d.P.R. 28 aprile 1968, n.
1339 e poi con l’art. 20 della predetta legge n. 287.
L’Avvocatura generale, costituitasi per il Ministero, chiedeva il
rigetto del ricorso.
Il TAR, ritenuto che la controversia si incontrava
sull’interpretazione del citato art. 5 dell’accordo di coproduzione
cinematografica tra l’Italia e la Francia del 1 agosto 1966 (in quanto
il Ministero aveva annullato i provvedimenti con i quali aveva ammesso
i films ai benefici previsti dalla legge proprio sulla base di una
diversa interpretazione della detta norma), si è posto innanzitutto il
problema ” se l’accordo in questione sia stato validamente recepito
nell’ordinamento italiano, in conformità delle norme costituzionali
che regolano la materia”.
Il giudice a quo premette che l’art. 19 della citata legge n. 1213
del 1965 estende il riconoscimento della nazionalità (e i benefici che
ne conseguono) ai lungometraggi realizzati in coproduzione con imprese
estere purché la quota di partecipazione artistica, tecnica e
finanziaria del coproduttore italiano non sia inferiore al 30 per cento
del costo del film, “salvo deroghe eccezionali previste negli accordi
internazionali”, e che l’art. 5 dell’accordo italo-francese del 1
agosto 1966 prevede per i films di ” indubbio valore artistico ” e per
quelli ” di carattere spettacolare ” che il coproduttore di minoranza
deve partecipare con una quota non inferiore al 20 per cento del costo
del film (par. IV). Dopo di che il giudice a quo solleva d’ufficio,
ritenendola rilevante in re ipsa e non manifestamente infondata, la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, penultimo
comma, della legge 21 giugno 1975, n. 287, nella parte in cui ha dato
piena e integrale esecuzione, sin dalla data della sua entrata in
vigore, all’accordo internazionale in questione, già, peraltro, come
detto, reso esecutivo dal d.P.R. 28 aprile 1968, n. 1339, ritenuto
evidentemente dal legislatore inidoneo allo scopo.
La questione è sollevata in riferimento:
a) all’art. 80 della Costituzione, in quanto non è stata emanata
una legge che recasse esplicita autorizzazione alla ratifica
dell’accordo, pur importando il trattato oneri alle finanze e
modificazioni alla legge n. 1213 del 1965;
b) all’art. 72, ultimo comma, Cost., in quanto, ove si dovesse
ritenere che l’autorizzazione sia implicitamente contenuta nello
stesso art. 20 censurato, la legge doveva essere approvata dalle Camere
con la procedura normale e non con il c.d. procedimento decentrato,
com’è avvenuto nel caso di specie;
c) all’art. 87, ottavo comma, Cost., in quanto non vi è stata la
previa autorizzazione delle Camere alla ratifica del trattato da parte
del Presidente della Repubblica; d) in estremo subordine, e nel caso
in cui si ritenga che la norma in esame, “avendo rango pari alla legge
n. 1213 del 1965, può tuttavia recare ad essa modificazione ed essere
considerata come contenente sostanzialmente le statuizioni
dell’accordo, indipendentemente dalla ratifica di questo”, la norma è
censurata dal giudice a quo in riferimento all’art. 81, quarto comma,
Cost., in quanto non contiene l’indicazione dei mezzi destinati a far
fronte alle maggiori spese derivanti dal fatto che l’accordo
internazionale in esame amplia i casi di assegnazione di sovvenzioni e
premi alle coproduzioni rispetto a quelli previsti dall’art. 19 della
legge n. 1213 del 1965.
Il TAR del Lazio, infine, solleva, come derivata, ex art. 27 legge
11 marzo 1953, n. 87, dalla dichiarazione di fondatezza di una delle
questioni prospettate, questione di legittimità costituzionale
dell’articolo unico, lett. b), del d.P.R. 28 aprile 1968, n. 1339.
2. – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
Questa eccepisce, in primo luogo, l’inammissibilità della
questione per irrilevanza, deducendo che la verifica costituzionale
degli ordini di esecuzione del trattato ” si pone al di sopra del thema
decidendum”; d’altra parte essa stessa afferma che la controversia di
cui è investito il TAR ” verte unicamente “sull’interpretazione
dell’art. 5 dell’accordo italo- francese del 1966, che, a suo avviso,
non consente forme di coproduzione nelle quali l’apporto minoritario
sia esclusivamente finanziario.
L’Avvocatura generale chiede, inoltre, che sia dichiarata
inammissibile la questione relativa al d.P.R. n. 1339 del 1968,
essendo tale decreto privo di forza di legge.
Nel merito, l’Avvocatura, senza considerare i dubbi di
costituzionalità che lo stesso giudice a quo, a suo avviso ” si dà
carico di fugare ” (cioè quelli sollevati in riferimento agli artt.
80, 87 e 72 Cost.), eccepisce l’infondatezza della questione in
riferimento all’art. 81, quarto comma, Cost., sostenendo che i maggiori
oneri previsti nella norma censurata erano stati già contemplati nella
legge del 1965, la quale, nell’art. 19, non fissava limiti alla
partecipazione italiana alle coproduzioni e, nell’art. 60, prevedeva i
mezzi per far fronte alle maggiori spese. La norma denunciata,
pertanto, ad avviso dell’Avvocatura, attinge da quest’ultima
disposizione la garanzia costituzionale della copertura della spesa.
1. – La legge 4 novembre 1965, n. 1213 – modificata con la legge 21
giugno 1975, n. 287 – reca provvedimenti a favore della cinematografia
e fra l’altro contempla, in ordine ai lungometraggi ” nazionali”: la
relativa ammissione alla programmazione obbligatoria (art. 5);
incentivi agli esercenti delle sale cinematografiche (art. 6);
sovvenzioni ai produttori (art. 7); premi di qualità al produttore e
agli autori dei films; ulteriori abbuoni di diritti erariali agli
esercenti delle sale cinematografiche (art. 9). La stessa legge
prevede (art. 19) che detti benefici siano estesi a films realizzati,
secondo speciali accordi internazionali di reciprocità, in
coproduzione con imprenditori stranieri. Il film risultante dalla
coproduzione deve, a questo riguardo, esser dichiarato ” nazionale”. È
prescritto che la quota minima di partecipazione non sia inferiore al
30% del costo del film, salvo deroghe eccezionali, le quali vanno
prevedute negli accordi internazionali di reciprocità e concesse
previo parere di apposita sottocommissione, istituita in seno alla
commissione centrale per la cinematografia presso il Ministero per il
turismo e lo spettacolo. L’art. 5 dell’accordo di coproduzione
italo-francese del 1 agosto 1966 pone, a sua volta, nei paragrafi dal I
al III, talune condizioni per l’applicabilità del regime di
coproduzione, con riferimento al costo del film, all’entità della
partecipazione minoritaria, alle caratteristiche qualitative
prescritte per l’apporto del coproduttore minoritario; esso stabilisce
tuttavia, al paragrafo IV, che derogbe eccezionali alle previsioni dei
paragrafi precedenti possano essere accordate dalle autorità dei due
Paesi per films di indubbio valore artistico o di carattere
spettacolare. In relazione a quest’ultima categoria, è previsto che
la partecipazione del coproduttore minoritario non possa essere in
alcun caso inferiore al 20% del costo del film. L’accordo
internazionale in parola ha ricevuto attuazione nell’ordinamento
italiano per mezzo di due atti distinti e successivi: prima con il
decreto presidenziale 28 aprile 1968, n. 1339, poi con l’art. 20,
penultimo comma, della legge n. 287 del 1975. Quest’ultima norma dà
esecuzione, dalla data della loro entrata in vigore, all’accordo
bilaterale in esame e ad altri consimili, stretti fra l’Italia e vari
paesi, disponendo inoltre che la ratifica di ogni ulteriore accordo,
introduttivo delle deroghe previste dall’art. 19 della legge 4 novembre
1965, n. 1213, va autorizzata con legge.
2. – La presente questione di legittimità costituzionale trae
origine dal procedimento instaurato, davanti al Tribunale
amministrativo regionale del Lazio, III Sezione, dalla S.r.l. Medusa
Distribuzione e da altre società (S.p.A. Fonoroma; S.a.s. Vides
Cinematografica; S.p.A. Produzione Intercontinentale Cinematografica;
S.r.l. Selenia Cinematografica). Tutte le ricorrenti hanno impugnato
innanzi al giudice a quo il provvedimento ministeriale con il quale
erano state annullate le dichiarazioni di nazionalità di films da esse
realizzati in regime di coproduzione italo-francese, nonché il decreto
di ammissione degli stessi films alla programmazione obbligatoria.
Le società promotrici del giudizio a quo hanno dedotto avanti al
TAR che, ai sensi delle disposizioni regolatrici della specie – artt.
19 legge 4 novembre 1965, n. 1213, 20 legge 2 giugno 1975, n. 287 e 5
paragrafo IV dell’accordo di coproduzione italo-francese (1 agosto
1966) – la partecipazione del coproduttore minoritario può anche
essere soltanto finanziaria, e dunque prescindere da apporti di natura
tecnica ed artistica. Questo motivo del ricorso, soggiunge il giudice
a quo, precede, in ordine logico, tutti gli altri sottoposti al suo
esame, perché riguarda l’intepretazione di quella norma dell’accordo
di coproduzione cinematografica italo-francese, sulla base della quale
il Ministero resistente ha, con il contestato provvedimento, deciso di
annullare gli atti emessi in precedenza per ammettere i films prodotti
dalle ricorrenti ai benefici contemplati dalla citata legge del 1965.
Il TAR, chiamato a pronunciarsi sull’esatto significato della
disposizione pattizia, si è posto in primo luogo il problema se questa
faccia parte di un accordo validamente recepito nell’ordinamento
italiano; ai fini dell’indagine ad esso demandata, il Collegio
remittente ritiene di dover denunciare l’art. 20, penultimo comma,
della legge 21 giugno 1975 n. 287, in riferimento agli artt. 80, 72,
ultimo comma, 87, ottavo comma, e 81, quarto comma, Cost., nonché
l’articolo unico, lett. b, del d.P.R. 28 aprile 1968, n. 1339, per
asserita violazione degli artt. 80 e 87 Cost.. Tali statuizioni sono
censurate nel presente giudizio come di seguito si precisa.
3. – Nel prospettare la questione, il TAR muove da questo duplice
assunto: il decreto presidenziale emesso nel 1968 è inidoneo ad
adeguare l’ordinamento interno alle esigenze dell’accordo di
coproduzione italo-francese; d’altra parte, l’art. 19 della legge del
1965 non contiene, là dove esso prevede che le sue disposizioni sono
suscettibili di deroga mediante accordo internazionale, alcuna delega
che abiliti l’esecutivo a introdurre le suddette deroghe pattizie
nell’ordinamento interno con proprio atto, senza previa autorizzazione
del legislatore. Dopo di che, il disposto del penultimo comma dell’art.
20 della legge del 1975 risulterebbe sotto vario riguardo viziato di
illegittimità costituzionale:
A) Difettando la legge di autorizzazione alla ratifica
dell’accordo, l’asserita inosservanza dell’art. 80 Cost. sussisterebbe
a duplice titolo. Il giudice a quo deduce, precisamente, che le
statuizioni pattizie implichino, nel caso in esame, sia una modifica di
quanto prevede l’art. 19 della legge n. 1213 del 1965, sia maggiori
oneri per le finanze, giacché a suo avviso l’accordo italo- francese
di coproduzione estende ad ipotesi non contemplate da detto articolo
premi, o sovvenzioni, di cui fruiscono i films nazionali. Così
atteggiandosi la specie, la norma denunciata offenderebbe altresì la
prescrizione dell’art. 87, ottavo comma, secondo la quale
l’autorizzazione parlamentare, nei casi in cui è richiesta, deve
precedere la ratifica dell’accordo internazionale.
B) L’interprete potrebbe però, soggiunge il TAR, adottare il
diverso punto di vista, secondo cui il citato art. 20 reca
implicitamente l’autorizzazione alla ratifica degli accordi già
stipulati, ai quali esso conferisce retroattivamente efficacia interna.
Pur così intesa, tuttavia, la disposizione censurata non sfuggirebbe
all’ulteriore rilievo che la legge, in cui essa è contenuta, è stata
approvata in sede di commissione deliberante, invece che con la
procedura normale, prescritta a norma dell’art. 72 Cost., per
l’adozione delle leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati
internazionali.
C) La violazione dell’art. 81, quarto comma, Cost., è dedotta
sotto altro ed autonomo profilo, che dovrebbe venire in considerazione
qualora la Corte ritenga infondati i dubbi di legittimità
costituzionale sopra esposti, facendo affidamento sulla circostanza che
la legge n. 287 del 1975, in cui è posta la statuizione denunciata, ha
rango pari alla legge n. 1213 del 1965, e di questa può dunque
innovare il contenuto: sempre che, beninteso, alla legge del 1975 si
attribuisca il significato di aver recepito la disciplina pattizia, cui
essa si riferisce nell’art. 20, solo materialmente, e quindi ” a
prescindere dalla ratifica ” dell’accordo internazionale in discorso.
In quest’ipotesi, però, la disposizione in esame verrebbe ad offendere
l’invocato precetto costituzionale, perché, si asserisce, essa manca
di indicare come siano coperte le spese connesse con la prevista
assegnazione di sovvenzioni e premi per coproduzioni, nelle quali la
partecipazione italiana è limitata al 20% del costo del
lungometraggio. La previsione di detti benefici comporterebbe,
infatti, oneri di più ampia portata rispetto a quelli scaturenti dalla
legislazione previgente.
D) Deduce, infine, il giudice a quo che l’eventuale pronuncia di
fondatezza di alcuna delle questioni prospettate pone il problema
dell’illegittimità dell’articolo unico, lett. b, del d.P.R. 28 aprile
1968, n. 1339, come derivata, ex art. 27 legge 11 marzo 1953, n. 87,
dalla decisione che sarà adottata dalla Corte.
4. – L’Avvocatura dello Stato eccepisce l’inammissibilità, per
difetto di rilevanza, della questione concernente l’art. 20 della legge
21 giugno 1975, n. 287. Il giudice a quo, essa deduce, è investito
dell’interpretazione dell’art. 5 paragrafo IV dell’accordo del 1 agosto
1966; tale norma, soggiunge l’Avvocatura, dispone già, se
correttamente intesa, che le deroghe eccezionali alla legge del 1965,
in essa prevedute, non possano comunque dispensare il coproduttore
minoritario da qualsiasi apporto tecnico ed artistico. La richiesta
declaratoria di incostituzionalità non verrebbe dunque ad incidere
sulla definizione della controversia demandata al TAR.
L’eccezione non può, tuttavia, essere accolta. La questione di
legittimità costituzionale, così com’è formulata, deve ritenersi
pregiudiziale rispetto a quella sottoposta all’esame del giudice a quo.
Infatti, l’eventuale pronuncia di fondatezza emessa da questa Corte
priverebbe di ogni efficacia interna le previsioni pattizie di cui si
controverte nella causa di merito, quale che sia il loro significato e
conseguente ambito di applicazione.
Correttamente, invece, l’Avvocatura eccepisce l’inammissibilità
dell’altra questione, prospettata dal TAR come conseguenziale
all’accoglimento di quella che ha per oggetto l’art. 20 della citata
legge del 1975. La censura investe in questo caso la disposizione di
un atto – il d.P.R. 28 aprile 1968 n. 1339 – che è privo della forza
di legge e non può quindi essere impugnato avanti la Corte.
5. – Passando al merito della questione, s’impone un rilievo
preliminare. Il penultimo comma dell’art. 20 della legge del 1975
viene qui in rilievo, in quanto esso conferisce efficacia interna a
quella clausola dell’accordo italo-francese di reciprocità, della cui
applicazione è investito il TAR: e il giudizio avanti detto Collegio
riguarda, si è detto, le deroghe eccezionali in materia di apporti del
coproduttore minoritario. Come risulta dal congegno, e dalla stessa
formula, della statuizione censurata, l’intento manifestamente
perseguito dal legislatore è quello di emanare un ordine di
esecuzione di più accordi internazionali, ivi incluso l’accordo
italo-francese che interessa per l’attuale controversia. Nella specie,
va altresì ricordato, l’ordine di esecuzione è posto nella forma
della legge e vien fatto retroagire alla data in cui sono entrate in
vigore le clausole pattizie alle quali esso si riferisce, che è poi
quella della firma dello strumento internazionale (cfr. art. 15, primo
comma, dell’accordo): per modo che esso dovrebbe sostituire, a tutti
gli effetti, l’altro ordine di esecuzione, anteriormente emanato,
sempre in relazione all’accordo in parola, con decreto presidenziale.
È appena il caso di aggiungere come l’atto del legislatore, in cui
è contenuto un ordine di esecuzione, stia con la sottostante
disciplina pattizia in quel particolare nesso funzionale, che è
caratteristico della normazione prodotta mediante rinvio al trattato.
Le norme poste nell’accordo devono, perché possa funzionare questo
tipo di adattamento, essere suscettibili di immediata applicazione: di
guisa che da esse si estrae il contenuto delle corrispondenti norme
immesse nell’ordinamento interno, la cui sfera di efficacia, soggettiva
e temporale, dipende da quella delle stesse statuizioni pattizie. Se
così è, resta esclusa dall’indagine rimessa a questo Collegio
l’ipotesi di sospetta violazione dell’art. 81, quarto comma, Cost.,
avanzata dal giudice a quo, in alternativa alle altre da esso
prospettate, nel presupposto che la norma censurata abbia invece
operato una semplice ed occasionale ricezione materiale delle
disposizioni dell’accordo, e non risulti collegata con queste ultime
dal nesso funzionale sopra descritto. Ciò posto, delle censure che
residuano all’esame della Corte conviene considerare per prima quella
concernente la violazione dell’art. 72, quarto comma, Cost.. Si tratta,
precisamente, di verificare se l’ordine di esecuzione del trattato sia
stato adottato dal legislatore nel rispetto delle prescritte modalità
procedurali. Soltanto dopo che tale quesito fosse risolto in senso
affermativo, potrebbe esser preso in considerazione l’ulteriore
problema posto nell’ordinanza di rinvio: il quale ha riguardo al vizio
di incostituzionalità che si assume inficiare la norma di legge
contenente l’ordine di esecuzione, per la dedotta inosservanza delle
altre prescrizioni costituzionali, concernenti la previa autorizzazione
alla ratifica.
6. – Giova al corretto esame della specie ricordare che la legge di
autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali è riservata
al plenum dell’assemblea (cfr. artt. 72, quarto comma, Cost., 92
regolamento della Camera, 35 regolamento del Senato); la ratifica deve,
d’altra parte, essere autorizzata con legge quando – a parte le altre
ipotesi contemplate nel testo fondamentale – le disposizioni pattizie
comportano modifiche del vigente ordinamento legislativo. Ora, il
giudice a quo ravvisa nella denunciata previsione del penultimo comma
dell’art. 20, adottata in sede di commissione deliberante,
un'”implicita” autorizzazione alla ratifica dell’accordo in
considerazione. Di qui, appunto, egli fa discendere la violazione
della regola costituzionale che prescrive il ricorso alla procedura
normale.
La questione è fondata. Per raggiungere tale conclusione non
occorre, però, costruire la specie come si vorrebbe nell’ordinanza di
rinvio. Il penultimo comma dell’art. 20 della legge del 1975 non
contiene, neppure implicitamente, alcuna autorizzazione alla ratifica
dell’accordo italo-francese di reciprocità, né lo potrebbe. Ciò per
il decisivo rilievo che la legge è intervenuta successivamente
all’entrata in vigore dell’accordo non sottoposto a ratifica, mentre
l’autorizzazione, qual è configurata nella Carta fondamentale, emana
dal Parlamento necessariamente prima che il trattato sia ratificato.
La Costituzione vuole che le Camere valutino in anticipo il testo del
trattato, al fine di rimuovere, in quanto organi autorizzanti, il
limite che, secondo le previsioni degli artt. 80 e 87, circonda
l’esercizio del potere di ratifica; ma la ratifica, nel caso in esame,
non è stata nemmeno prevista, avendo le parti contraenti convenuto che
l’accordo entrasse in vigore alla data della firma.
Sta di fatto dunque, che la manifestazione di volontà dell’organo
legislativo, in cui si concreta la norma oggetto di censura, serve a
rendere efficaci disposizioni pattizie, rispetto alle quali le Camere
non si erano ancora pronunziate. Vi è, poi, un profilo della specie,
che va chiarito ed è di essenziale importanza ai fini del decidere: lo
stesso legislatore del 1975 mostra di ritenere che l’accordo
internazionale, al quale fa riferimento la statuizione censurata,
avrebbe – precisamente in ragione del suo contenuto precettivo, quale
rileva nell’attuale controversia – richiesto l’intervento delle Camere,
in sede sia di autorizzazione alla ratifica, sia di ordine di
esecuzione. Basta al riguardo riflettere su quel che, rispettivamente,
dispongono il penultimo e l’ultimo comma dell’art. 20: l’uno dà piena
ed integrale esecuzione alle norme dell’accordo di reciprocità e alle
successive modificazioni, fin dalla data, come si è avvertito, della
relativa entrata in vigore; l’altro così testualmente statuisce: “la
ratifica di ogni ulteriore accordo di reciprocità in materia di
coproduzione con imprese estere, che preveda la deroga di cui al
secondo comma dell’art. 19 della legge 4 novembre 1965, n. 1213, deve
essere autorizzata con legge”.
Vero è che la testé richiamata disposizione dell’art. 19 rinvia
agli accordi internazionali di reciprocità per l’eventuale previsione
di deroghe eccezionali alla quota di partecipazione artistica e
tecnica, oltre che finanziaria, del coproduttore italiano (l’art. 19
detta, al tempo stesso, norme e criteri generali per il regime di
coproduzione). Ma questo non significa ancora che tali accordi siano
stati esonerati dal rispetto della disciplina procedurale prescritta,
secondo Costituzione, per la categoria dei trattati, i quali incidono
sulla sfera riservata alla legge. Ché anzi, la norma censurata, e
l’altra che figura all’ultimo comma dell’art. 20 della legge del 1975,
sono state poste successivamente, proprio per stabilire che le deroghe
eccezionali, già previste o da introdurre nei suddetti accordi
internazionali, ricadono pur sempre in un’area occupata dalla legge, e
così non possono essere lasciate alla discrezionale valutazione degli
organi amministrativi, ma esigono, per acquistare efficacia nell’ambito
dello Stato, il ricorso ad un atto del potere legislativo: fermo
restando, in conseguenza, che l’accordo in cui tali deroghe siano per
il futuro prevedute, va soggetto a ratifica previa autorizzazione delle
Camere – evidentemente in quanto esso implica una sostanziale
modificazione della legislazione ora vigente – e va per la stessa
considerazione reso efficace con norme, che della legge abbiano la
forma o la forza.
Così si configura il caso in esame: non soltanto nel sistema della
normativa del 1965 sulla cinematografia difettano, come rileva lo
stesso giudice a quo, gli estremi della delega; manca pure qualsiasi
altro supporto per ritenere che le deroghe eccezionali al regime della
coproduzione, di cui si occupa il TAR, siano rimesse alla fonte
sublegislativa. Non vi è dubbio, allora, che sia stata correttamente
denunciata l’inosservanza della procedura normale. Anche se
testualmente prevista solo per la legge di autorizzazione alla ratifica
dei trattati, la garanzia connessa con la competenza dell’assemblea
plenaria discende dal sistema delle norme costituzionali, che
definiscono le attribuzioni delle Camere riguardo ai trattati
internazionali (artt. 80 e 87 Cost.): essa non può non valere anche
per l’ordine di esecuzione, dove, come qui accade, questo sia emanato
dal legislatore, per un verso in mancanza di previa autorizzazione alla
ratifica, per l’altro in presenza di una disciplina pattizia, la quale
verte su materia che lo stesso organo legislativo ha espressamente
attratto nella propria sfera. Ciò esime la Corte dall’esaminare ogni
altro profilo delle questioni prospettate.
La dichiarazione di illegittimità costituzionale del citato art.
20, penultimo comma, conseguente alla violazione dell’art. 72, quarto
comma, Cost., va dichiarata, peraltro, limitatamente alle norme che
nell’accordo italo-francese concernono la partecipazione del
coproduttore minoritario: invero, è solo per quest’aspetto del regime
dettato dall’accordo, che la Corte è chiamata a stabilire se il
relativo ordine di esecuzione andava emesso con legge ed in conformità
della procedura prescritta per autorizzare la ratifica dei trattati
internazionali.
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell’articolo unico, lett. b), del d.P.R. 28 aprile
1968, n. 1339, sollevata dal TAR del Lazio con l’ordinanza in epigrafe;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, penultimo
comma, della legge 21 giugno 1975, n. 287, nella parte in cui dà piena
e integrale esecuzione alla previsione delle deroghe eccezionali di cui
all’art. 5, paragrafo IV, dell’accordo di coproduzione cinematografica
italo-francese del 1 agosto 1966, e “alle successive modificazioni”.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 1984.
F. to: LEOPOLDO ELIA – GUGLIELMO
ROEHRSSEN – BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO
PALADIN – ANTONIO LA PERGOLA –
VIRGILIO ANDRIOLI – GIUSEPPE FERRARI
– FRANCESCO SAJA – GIOVANNI CONSO –
ETTORE GALLO – ALDO CORASANITI –
GIUSEPPE BORZELLINO.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere