Sentenza N. 3 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
21/01/1999
Data deposito/pubblicazione
21/01/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
18/01/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
prof. Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI
MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili
urbani), promosso con ordinanza emessa il 29 ottobre 1997 dal pretore
di Napoli nel procedimento civile vertente tra Salvatore Salemme ed
altri e Pasquale Petrucci, iscritta al n. 871 del registro ordinanze
1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53,
prima serie speciale, dell’anno 1997.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 6 maggio 1998 il giudice
relatore Cesare Mirabelli.
contratto di locazione per inadempimento del conduttore, che non
aveva pagato numerose mensilità del canone ma intendeva sanare in
giudizio la morosità, con ordinanza emessa il 29 ottobre 1997 il
pretore di Napoli ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24
della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell’art. 55 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle
locazioni di immobili urbani), nella parte in cui prevede la
possibilità di sanare in sede giudiziale la morosità, impedendo in
tal modo la risoluzione del contratto, nel solo procedimento per
convalida di sfratto e non anche nel giudizio ordinario di
risoluzione per inadempimento.
La disposizione denunciata stabilisce, nel contesto della
disciplina delle locazioni di immobili urbani, che la morosità del
conduttore nel pagamento del canone e degli oneri accessori (previsti
dall’art. 5 della stessa legge n. 392 del 1978 per la locazione di
immobili adibiti ad uso di abitazione) può essere sanata in sede
giudiziale per non più di tre volte nel corso di un quadriennio se
il conduttore alla prima udienza, o in caso di comprovate condizioni
di difficoltà nel termine assegnato dal giudice, versa l’importo
dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori maturati
sino a tale data, maggiorati degli interessi legali e delle spese
processuali liquidate dal giudice. Il pagamento esclude la
risoluzione del contratto.
Il pretore di Napoli, aderendo all’interpretazione della Corte di
cassazione, ritiene che la particolare sanatoria della morosità,
prevista dall’art. 55 della legge n. 392 del 1978, trovi applicazione
soltanto nel procedimento per convalida di sfratto (art. 658 cod.
proc. civ.), mentre nell’ordinario giudizio di risoluzione del
contratto per inadempimento, applicandosi la regola generale
stabilita dall’ art. 1453, terzo comma, cod. civ., il conduttore non
potrebbe adempiere la propria obbligazione dopo la proposizione della
domanda di risoluzione. Essendo già stata dichiarata non fondata,
in riferimento al solo art. 3 della Costituzione, analoga questione
di legittimità costituzionale (sentenza n. 2 del 1992), il giudice
rimettente ritiene di proporre nuovi argomenti a sostegno del dubbio
di legittimità costituzionale, prospettato ora con riferimento anche
all’art. 24 della Costituzione.
L’art. 55 della legge n. 392 del 1978, consentendo al locatore
inadempiente di sanare la morosità e di impedire così la
risoluzione del contratto successivamente all’instaurazione del
procedimento per convalida di sfratto, prevederebbe una deroga alla
regola che esclude l’adempimento dell’obbligazione dalla data della
domanda di risoluzione (art. 1453, terzo comma, cod. civ.). Tale
deroga risponderebbe ad una scelta di politica legislativa diretta a
favorire la continuità del rapporto di locazione, attribuendo al
conduttore moroso nel pagamento del canone il potere sostanziale di
impedire la risoluzione del contratto, pagando, alle condizioni
previste, le somme dovute al locatore. Ne segue che sarebbe
irragionevole la diversità di trattamento di conduttori che si
trovano nella stessa condizione di inadempienza, in ragione di una
scelta processuale effettuata non da chi ha il potere di impedire la
risoluzione, ma da chi dovrebbe subire gli effetti dell’esercizio di
tale potere. Né, ad avviso del giudice rimettente, permarrebbero le
giustificazioni che in precedenza la giurisprudenza costituzionale
(sentenza n. 2 del 1992) ha ravvisato nella disciplina processuale
allora vigente: la cognizione piena, le maggiori garanzie e la
dilatazione dei tempi processuali che differenziavano il procedimento
ordinario di risoluzione per inadempimento rispetto a quello speciale
di sfratto per morosità, caratterizzato dalla ristrettezza dei
termini di chiamata in giudizio e dalla sommarietà della cognizione.
La recente riforma del codice di procedura civile (legge 26 novembre
1990, n. 353 e successive modificazioni) avrebbe sostanzialmente
eliminato le differenze tra procedimenti, ordinario e speciale,
quanto ai termini per comparire; sarebbe anche venuta meno la
diversità dei tempi processuali nel giudizio ordinario, essendo
stato modellato il processo in materia di locazioni su quello del
lavoro.
Il pretore di Napoli ritiene che la disciplina denunciata
violerebbe anche l’art. 24 della Costituzione: essendo stato
riconosciuto al conduttore moroso il potere sostanziale di impedire,
effettuando il pagamento, la risoluzione del contratto di locazione,
deve essere assicurata sul piano processuale la realizzazione di tale
potere. La facoltà di avvalersi, nel processo, del potere di sanare
la mora, non potrebbe essere limitata al solo procedimento per
convalida ed essere esclusa nel giudizio ordinario, facendo così
dipendere l’esercizio di un proprio potere sostanziale da scelte
processuali altrui.
2. – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia
dichiarata non fondata.
L’Avvocatura ritiene che l’art. 55 della legge n. 392 del 1978 non
avrebbe inteso derogare, per le locazioni, ai principi relativi alla
risoluzione del contratto per inadempimento, giacché spetterebbe
sempre alla parte adempiente scegliere tra la domanda di risoluzione
e quella di adempimento. Sarebbe stata solo modificata la disciplina
del particolare procedimento sommario per la convalida di sfratto per
morosità. La intimazione dello sfratto verrebbe ad essere
configurata come richiesta di adempimento e come minaccia di
risoluzione in caso di persistenza dell’inadempimento. Difatti
l’ordinanza di convalida presuppone la verifica, da parte del
giudice, che non vi sia opposizione del conduttore e che persista la
morosità. Se il conduttore versa in udienza quanto dovuto,
mancherebbe la persistenza della morosità ed il procedimento non si
convertirebbe in un ordinario giudizio di cognizione, diretto ad
accertare l’importanza dell’inadempienza con la eventuale conseguenza
della risoluzione del rapporto.
L’Avvocatura ritiene, comunque, che il legislatore, bilanciando
l’interesse sociale legato alla disponibilità di una abitazione da
parte del conduttore con la prestazione di una somma di denaro cui
questi è tenuto, potrebbe discostarsi dai principi della disciplina
comune dei contratti per disporre che il conduttore inadempiente
possa adempiere anche dopo che è stata richiesta la risoluzione del
contratto di locazione.
della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di
immobili urbani), che consente al conduttore che non ha adempiuto al
pagamento del canone e degli oneri accessori (previsti per le
locazioni di immobili urbani adibiti ad uso di abitazione dall’art.
5 della stessa legge) di versare alla prima udienza l’importo dovuto
e le spese liquidate dal giudice, in tal modo escludendo la
risoluzione del contratto di locazione. Il pretore di Napoli ritiene
che la facoltà del conduttore di sanare in sede giudiziale la
morosità operi solo nel procedimento sommario per convalida di
sfratto e non nell’ordinario procedimento di risoluzione del
contratto per inadempimento, nel quale, secondo la regola comune,
dalla data della domanda di risoluzione il debitore inadempiente non
può più adempiere la propria obbligazione (art. 1453, terzo comma,
cod. civ.).
Su questo presupposto interpretativo viene denunciata la violazione
degli artt. 3 e 24 della Costituzione. Sarebbe ingiustificata la
disparità di trattamento del conduttore che, trovandosi nella stessa
situazione di morosità, potrebbe, con il pagamento di quanto dovuto,
evitare la risoluzione del contratto in un caso e non nell’altro.
Inoltre sarebbe leso il diritto di agire in giudizio a tutela dei
propri diritti, giacché la facoltà sostanziale di sanare la
morosità, così escludendo la risoluzione del contratto,
dipenderebbe dalle scelte processuali di chi dovrebbe subire gli
effetti di tale facoltà.
2. – La questione non è fondata, nei sensi di seguito precisati.
2.1. – Il termine per il pagamento dei canoni scaduti, stabilito
dall’art. 55 della legge n. 392 del 1978, consente al conduttore di
sanare in giudizio la morosità che, per le locazioni di immobili
adibiti ad uso di abitazione, costituisce inadempimento e motivo di
risoluzione del contratto quando siano decorsi venti giorni dalla
scadenza prevista per il pagamento del canone, ovvero quando
l’importo degli oneri accessori non pagati superi quello di due
mensilità del canone (art. 5 della stessa legge).
In tal modo il legislatore ha per un verso stabilito, con una
valutazione legale tipica, l’importanza dell’inadempimento del
conduttore idoneo a determinare la risoluzione del contratto (che non
ammette clausole risolutive espresse con termini più gravosi per il
conduttore); per altro verso ha contemperato l’interesse del locatore
a ricevere tempestivamente il corrispettivo per il godimento
dell’immobile con l’interesse del conduttore a non essere privato
dell’abitazione, consentendo a quest’ultimo di adempiere in sede
giudiziale la sua obbligazione, per non più di tre volte nel corso
della durata quadriennale del contratto, provvedendo al pagamento di
quanto dovuto alla prima udienza o nel termine indicato dal giudice.
La previsione della facoltà di sanare la morosità in giudizio e
la regolamentazione del termine per il pagamento dei canoni scaduti a
tal fine previsto, comprese tra le disposizioni processuali della
disciplina delle locazioni di immobili urbani, non menzionano in
alcun modo, perché se ne possa dedurre che si riferiscano
esclusivamente ad esso, il procedimento per convalida di sfratto.
Difatti l’art. 55 della legge n. 392 del 1978 fa testuale
riferimento alla sede giudiziale ed alla prima udienza: elementi,
questi, che non valgono a richiamare esclusivamente il procedimento
sommario per convalida di sfratto e ad escludere l’ordinario giudizio
di cognizione, nel quale sia chiesta la risoluzione del contratto di
locazione che il pagamento all’udienza, nei termini previsti dalla
stessa disposizione denunciata, vale ad escludere. Gli effetti del
pagamento dei canoni scaduti nella sede giudiziale possono
astrattamente prodursi sia nella procedura sommaria di sfratto per
morosità che in quella ordinaria di risoluzione per inadempimento,
rispondendo alla medesima finalità. Anche la disciplina delle
modalità e dei termini del pagamento, prevista dalla disposizione
denunciata, è egualmente compatibile con l’articolazione di entrambi
i procedimenti.
È dunque possibile interpretare l’art. 55 della legge n. 392 del
1978 nel senso che la sanatoria in giudizio della morosità sia
ammessa non solo nel procedimento per convalida di sfratto, come
sostiene il giudice rimettente sulla base dell’orientamento
prevalente della Corte di cassazione, ma anche nel giudizio ordinario
di risoluzione del contratto per inadempimento, come ha ritenuto un
diverso orientamento della stessa giurisprudenza di legittimità e
come sostiene larga parte della dottrina e della giurisprudenza di
merito.
L’interpretazione che consente al debitore un efficace pagamento in
sede giudiziale, tale da escludere la pronuncia di risoluzione del
contratto, senza distinguere tra i diversi tipi di procedimento,
supera i dubbi di legittimità costituzionale proposti dal giudice
rimettente. Difatti la condizione del conduttore inadempiente che
intenda avvalersi, nei termini previsti dalla stessa disposizione
denunciata, della facoltà di sanare la morosità così escludendo la
risoluzione del contratto, non muterebbe in alcun modo per effetto
della procedura prescelta dal locatore.
Essendo possibile una interpretazione della disposizione che
esclude il contrasto con i parametri indicati per la verifica della
legittimità costituzionale, è doveroso preferire tale
interpretazione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione
di legittimità costituzionale dell’art. 55 della legge 27 luglio
1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani),
sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal
pretore di Napoli con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 gennaio 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Mirabelli
Il cancelliere: Fruscella
Depositata in cancelleria il 21 gennaio 1999.
Il cancelliere: Fruscella