Sentenza N. 300 del 1974
Corte Costituzionale
Data generale
27/12/1974
Data deposito/pubblicazione
27/12/1974
Data dell'udienza in cui è stato assunto
19/12/1974
Avv. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Dott. LUIGI OGGIONI – Avv. ANGELO DE
MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE –
Prof. PAOLO ROSSI – Avv. LEONETTO AMADEI – Dott. GIULIO GIONFRIDA
Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI – Dott. MICHELE ROSSANO,
Giudici,
e 141 del codice di procedura penale, promossi con le seguenti
ordinanze:
1) ordinanza emessa il 9 maggio 1973 dal pretore di Poggio Mirteto
a seguito d; delazione anonima nei confronti di Gamberoni Domenico,
iscritta al n. 266 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 205 dell’8 agosto 1973;
2) ordinanza emessa il 22 settembre 1973 dal pretore di Vallo della
Lucania nel procedimento penale a carico di Maio Andrea ed altri,
iscritta al n. 11 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 62 del 6 marzo 1974.
Udito nella camera di consiglio del 24 ottobre 1974 il Giudice
relatore Giovanni Battista Benedetti.
1. – A seguito di una delazione anonima pervenuta in data 15
gennaio 1973, nella quale si riferiva che tal Gamberoni Domenico aveva
posto in opera una manifattura per l’essiccamento di pelli fresche nel
centro abitato di Scandriglia, il pretore di Poggio Mirteto trasmetteva
la delazione stessa alla polizia giudiziaria la quale, con rapporto
del 26 febbraio l 973, dopo le indagini, dava conferma dello scritto
anonimo.
Dopo aver così accertato che il fatto attribuito al Gamberoni
configura il reato previsto dall’art. 216 del r.d. 27 luglio 1934, n.
1265, il pretore ha sollevato d’ufficio la questione di legittimità
costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione,
della norma contenuta nell’art. 231 cod. proc. pen. nella parte in cui
consente al pubblico ministero o al pretore di richiedere alla polizia
giudiziaria indagini sul contenuto di una delazione anonima senza
l’osservanza delle forme che garantiscono il diritto di difesa,
determinando così una disuguaglianza di trattamento tra indiziati ai
quali si riferirono indagini di polizia sulla base di delazioni anonime
e indiziati sui quali tali indagini vengono svolte sulla base di
legittima notitia criminis. osserva il pretore che essendo nell’art.
141 cod. proc. pen. sancito il divieto per il giudice di fare uso
processuale degli scritti anonimi, nessuna comunicazione giudiziaria
(art. 390 cod. proc. pen.) delle disposte indagini, dirette o di
polizia, può essere fatta al soggetto indicato come autore di reato in
una delazione anonima. L’indiziato resta così completamente ignaro
degli accertamenti in corso e privo pertanto di quel diritto di difesa
che è, invece, assicurato al soggetto sul quale si indaga a seguito di
una legittima denuncia. Il caso di delazione anonima è peraltro
diverso da quello del confidente occulto in quanto la notitia criminis
da quest’ultimo fornita rimane del tutto assorbita nel rapporto
giudiziario ed è direttamente garantita, in ordine alla sua
fondatezza, dall’ufficiale di polizia autore del rapporto.
Attesa la rilevanza della proposta questione ai fini della
decisione del proprio giudizio il giudice a quo ha quindi rimesso gli
atti a questa Corte.
2. – Nel corso di un procedimento penale a carico di Maio Andrea ed
altri, imputati del reato di abuso di ufficio previsto dall’art. 323
del codice penale, il pretore di Vallo della Lucania ha ravvisato
l’esigenza di completare alcune indagini ed esplicare ulteriori
accertamenti in ordine a taluni fatti, emergenti da delazioni anonime,
i quali, se provati, darebbero luogo a contestazione di distinte
ipotesi criminose.
Potendo tal fine essere raggiunto, secondo l’interpretazione data
all’art. 141 cod. proc. pen., solo mediante la trasmissione delle
delazioni anonime alla polizia giudiziaria e senza peraltro potere
impartire in proposito alcuna direttiva, il pretore ha anzitutto
prospettato il dubbio di incostituzionalità dell’indicata norma in
riferimento all’art. 109 della Costituzione che sancisce il rapporto di
subordinazione della polizia giudiziaria al magistrato inquirente.
Si sostiene peraltro nell’ordinanza che quando sulla base di
delazioni anonime si procede ad indagini dirette o a mezzo della
polizia giudiziaria si ha una sicura violazione dei diritti di difesa
dell’indiziato (art. 24 Cost.): non sussistendo infatti una legittima
notitia criminis nessuna comunicazione può essere fatta all’inquirente
in ordine alle indagini che si intendono disporre nei suoi confronti.
Nel giudizio dinanzi a questa Corte nessuno si è costituito.
1. – I giudizi promossi con le due ordinanze indicate in epigrafe
sono stati riuniti per essere decisi con unica sentenza poiché
sostanzialmente identica è la questione di legittimità costituzionale
proposta pur essendo diverse le norme impugnate e solo parzialmente
comuni i motivi di incostituzionalità dedotti. Ed invero con la prima
ordinanza viene denunciata l’incostituzionalità dell’art. 231 del
codice di procedura penale nella parte in cui consentirebbe al pubblico
ministero o al pretore di disporre indagini dirette o tramite la
polizia sul contenuto di una delazione anonima e si sostiene che tale
norma sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione; con
la seconda ordinanza, invece, si denuncia l’incostituzionalità, in
riferimento agli artt. 3 e 109 Cost., dell’art. 141 dello stesso
codice, nella parte in cui anche questa norma, secondo
un’interpretazione comunemente accolta, consentirebbe indagini dirette
o di polizia sulla base di delazioni anonime. È perciò evidente che,
nonostante nella prima ordinanza sia stato formalmente indicato l’art.
231, la questione di legittimità costituzionale è identica e si
riferisce propriamente alle delazioni anonime previste dall’art. 141.
2. – Prima di scendere all’esame delle varie censure di
incostituzionalità è d’uopo soffermarsi sul problema di fondo che le
due ordinanze prospettano che è quello del valore e dell’uso dello
scritto anonimo nel vigente sistema processuale penale.
L’art. 1 del codice di rito stabilisce che l’azione penale è
pubblica ed è iniziata di ufficio a seguito di rapporto, referto,
denuncia o altra notizia di reato. Gli scritti anonimi non sono
pertanto inclusi da questa norma tra le notitie criminis, qualificate o
non, sulla cui base si instaura il processo penale. Della delazione
anonima si occupa, invece, l’art. 8, comma quarto, per rinviarne
semplicemente la disciplina all’art. 141, il quale sotto la rubrica
“eliminazione degli scritti anonimi” testualmente dispone che questi
“non possono essere uniti agli atti del procedimento, né può farsene
alcun uso processuale, salvo che costituiscano corpo del reato ovvero
provengano comunque dall’imputato”. L’esatta individuazione del
contenuto e della portata di questo precetto è di fondamentale
importanza per la soluzione del problema posto dalle ordinanze.
I divieti in esso enunciati sono due: il primo preclude l’ingresso
dello scritto anonimo nel processo ed il secondo disconosce la sua
idoneità a costituire prova documentale dei fatti che espone. Entrambi
i rilievi sono in evidente armonia con il principio della nostra legge
processuale che subordina l’efficacia probatoria di un documento alla
sua autenticità. Nel caso della delazione anonima, mancando la
sottoscrizione, non può aversi alcun controllo sulla veridicità di
quanto in essa affermato ed è parso perciò giusto sancirne il bando
dagli atti del processo onde impedire che l’anonimo possa menomamente
influire sulla formazione del convincimento del giudice.
Il divieto di utilizzazione processuale dello scritto anonimo non
importa soltanto la negazione di qualsiasi valore documentale alla
delazione, ma esclude anche che questa possa da sola considerarsi
direttamente idonea, al pari delle altre forme d; notitia criminis
previste dal codice, a provocare l’immediato inizio dell’azione penale.
Ma proprio perché l’anonimo non è in sé fonte di prova, ma
riferisce fatti e circostanze che possono acquistare rilevanza agli
effetti processuali solo se provati, non gli si può a priori in senso
assoluto negare qualsiasi valore e possibilità di uso nel campo della
giustizia penale. Sebbene trattisi di mezzo riprovevole sotto un
profilo etico sociale non sono infrequenti i casi in cui con esso si
forniscono all’autorità informazioni ed elementi preziosi su reati
anche di particolare gravità che non possono restare ignorati. Da ciò
l’esigenza, anche per soddisfare i supremi interessi della giustizia,
di riconoscere al giudice il potere discrezionale di disporre o non
quelle indagini di polizia giudiziaria che, secondo le circostanze,
riterrà idonee alla scoperta della verità. È evidente che ove non
intenda dar alcun seguito alla delazione anonima egli ne ignorerà
l’esistenza e, trattandosi di irregolare notitia criminis, non dovrà
neppure decretarne l’archiviazione; se riterrà, invece, di ordinare
delle investigazioni non per questo potrà dirsi ch’egli avrà fatto
uso processuale, nei termini non consentiti dianzi precisati, dello
scritto anonimo, giacché non promuoverà in tal modo, sulla sola sua
base l’azione penale, ma cercherà prima di raccogliere quegli elementi
di prova nuovi e validi che sono necessari per instaurare
legittimamente il processo penale.
La possibilità di disporre queste indagini appare del resto
giustificata dallo stesso precetto dell’art. 141. Se è vero infatti
che questa norma prevede l’ingresso dell’anonimo nel processo in due
casi e cioè quando esso costituisca corpo del reato o quando provenga
comunque dall’imputato, è pur vero che queste circostanze possono
spesso essere accertate solo attraverso opportune indagini di polizia.
E indispensabili addirittura sono queste indagini, come si desume
dall’art. 368 cod. pen., che punisce il reato di calunnia fatta con
denuncia anche anonima, allorché occorre giungere alla identificazione
dell’autore dello scritto calunnioso.
3. – Ciò premesso, passando all’esame delle singole ceni sure è
da prendere anzitutto in considerazione quella comune alle due
ordinanze le quali concordemente denunciano la violazione del diritto
di difesa del soggetto indicato come autore di un reato in uno scritto
anonimo, sul rilievo che nessuna comunicazione giudiziaria può essere
a lui fatta in base all’anonimo. La censura è priva di rilievo. È
già stato osservato che lo scritto anonimo, proprio perché privo di
efficacia sul piano probatorio o indiziario sia dell’esistenza del
reato che denuncia, sia dell’autore che lo avrebbe commesso, non
provoca l’inizio immediato del processo, ma può dar luogo soltanto ad
accertamenti volti ad acquisire nuovi elementi di prova. seri e
concreti, sulla cui base potrà in prosieguo essere promossa l’azione
penale. In mancanza perciò d; una legittima notizia di reato e di un
indiziato come autore di questo non v’è alcun diritto di difesa da
riconoscere e garantire. Solo nel caso in cui le indagini confermeranno
il contenuto dell’anonimo si instaurerà il processo e in questa fase
sarà assicurata all’imputato la tutela che l’ordinamento gli appresta.
4. – Del pari infondato è il motivo d’incostituzionalità in
riferimento all’art. 3 Cost. che lamenta la disparità di trattamento
che si determina tra indiziato sottoposto ad indagini a seguito di
delazione anonima, al quale non sarebbe assicurata la difesa, ed
indiziato nei cui confronti l’indagine si svolge a seguito di una
legittima notitia criminis, ammesso invece a
difendersi. Tra i due casi messi a raffronto non sussiste quell’identità di situazione che giustificherebbe l’uguaglianza del loro
trattamento. Il rapporto, la denuncia, il referto e tutte le altre
notizie di reato previsti dal codice sono fonti di prova che possono
direttamente provocare l’inizio immediato del processo; è ovvio
pertanto che il soggetto che in essi viene indicato come autore di un
reato debba essere subito informato che si procede o si indaga nei suoi
confronti per essere messo in condizione di apprestare la sua difesa.
Nel caso della delazione anonima, essendo essa priva di qualsiasi
valore probatorio e perciò assolutamente inidonea a provocare
l’apertura di un procedimento, la posizione del soggetto indicato come
autore del fatto è del tutto diversa, giacché il suo diritto a
difendersi sorgerà solo se, a seguito delle indagini disposte dal
magistrato inquirente, egli si troverà nella posizione di indiziato.
5. – Breve cenno merita, infine, l’ultimo motivo di
incostituzionalità prospettato dal pretore di Vallo della Lucania tra
l’art. 141 del cod. pen., a termini del quale il giudice potrebbe
soltanto trasmettere alla polizia la delazione anonima, senza però
impartire nessuna direttiva, e l’art. 109 Cost., che sancisce il
rapporto di subordinazione della polizia al magistrato inquirente. A
ben considerare il precetto costituzionale invocato, tenuto conto del
suo spirito informatore e del suo contenuto, è da ritenersi del tutto
estraneo al problema qui in esame.
Ma a parte ciò, è la premessa su cui si fonda la censura che è
errata giacché la norma impugnata non menoma il potere del giudice di
impartire alla polizia giudiziaria le istruzioni e direttive che
riterrà utili per l’accertamento della verità dei fatti dichiarati
nell’anonimo.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 141 e 231 del codice di procedura penale, sollevata dai
pretori di Poggio Mirteto e Vallo della Lucania, con le ordinanze
indicate in epigrafe, in riferimento agli artt. 3, 24 e 109 della
Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 dicembre 1974.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– LUIGI OGGIONI – ANGELO DE MARCO –
ERCOLE ROCCHETTI ENZO CAPALOZZA –
VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – VEZIO
CRISAFULLI – NICOLA REALE – PAOLO
ROSSI – LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA GUIDO
ASTUTI.
ARDUINO SALUSTRI – Cancelliere