Sentenza N. 300 del 1983
Corte Costituzionale
Data generale
06/10/1983
Data deposito/pubblicazione
06/10/1983
Data dell'udienza in cui è stato assunto
05/10/1983
ANTONINO DE STEFANO – Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE –
Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof.
LIVIO PALADIN – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO ANDRIOLI –
Prof. GIUSEPPE FERRARI – Dott. FRANCESCO SAJA – Prof. GIOVANNI CONSO –
Prof. ETTORE GALLO, Giudici,
34, 69 e 73 (come modificato dall’art. 1 bis del decreto legge 30
gennaio 1979, n. 21, convertito con modificazioni nella legge 31 marzo
1979, n. 93) della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle
locazioni di immobili urbani), promossi con le ordinanze emesse il 19
ottobre 1979 dal Giudice conciliatore di Caltanissetta, l’8 settembre
1980 dal Giudice conciliatore di Andria, il 16 dicembre 1980 dal
Pretore di Piazza Armerina, il 19 dicembre 1980 dal Pretore di Pescara,
il 18 dicembre 1980 dal Tribunale di Parma, il 12 febbraio 1981 dal
Pretore di Rovigo, il 29 gennaio 1981 dal Pretore di Paternò, il 19
gennaio 1981 dal Pretore di Enna, il 21 febbraio 1981 dal Pretore di
Latina, il 27 febbraio 1981 dal Pretore di Pescara, il 21 febbraio 1981
dal Pretore di Paternò, il 25 giugno 1981 dal Tribunale di Gorizia,
l’11 giugno 1981 dal Pretore di Vasto, il 7 aprile 1981 dal Pretore di
Roma, il 22 maggio 1981 dal Tribunale di Reggio Calabria, il 31 luglio
1981 dal Pretore di Vigevano, il 28 marzo 1981 dal Pretore di
Poggibonsi e il 12 ottobre 1981 dal Pretore di Paternò, ordinanze
rispettivamente iscritte al n. 881 del registro ordinanze 1979, al n.
757 del registro ordinanze 1980 ed ai nn. 75, 93, 105, 195, 216, 240,
266, 288, 294, 592, 623, 645, 664, 694, 739 e 773 del registro
ordinanze 1981 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
nn. 43 e 352 del 1980, nn. 105, 117, 123, 200, 255 e 262 del 1981 e nn.
12, 19, 26, 47 e 68 del 1982.
Visti gli atti di costituzione di Lunardo Salvatore, Di Dio Perna
Carmela e Mingrino Giovanni e di Tripepi Eufemia e gli atti di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica dell’1 dicembre 1982 il Giudice relatore
Giovanni Conso;
uditi gli avvocati Pompeo Magno e Giuseppe Tanteri per Lunardo
Salvatore, Di Dio Perna Carmela e Mingrino Giovanni, l’avv. Vincenzo
Panuccio per Tripepi Eufemia e l’avvocato dello Stato Renato Carafa per
il Presidente del Consiglio dei ministri.
1. – Con ricorso del 19 gennaio 1979 Sollami Agostino e Mirabella
Angela, proprietari di un immobile per uso negozio condotto in
locazione da Piamonte Calogero, ne domandavano il rilascio al Giudice
conciliatore di Caltanissetta dovendo il predetto immobile essere
utilizzato per l’esercizio dell’attività “imprenditoriale artigiana”
del Sollami.
Il Piamonte, costituitosi in giudizio, chiedeva, in via principale,
il rigetto del ricorso; in subordine proponeva domanda riconvenzionale
diretta ad ottenere la restituzione di canoni di locazione versati, a
suo dire, in eccedenza, nonché la corresponsione della indennità di
avviamento nella misura pari a 18 mensilità, ai sensi dell’art. 69
della legge n. 392 del 1978.
L’adito conciliatore, premesso che provata e fondata doveva ritenersi
la domanda dei ricorrenti, con ordinanza del 19 ottobre 1979 (r.o.
881/1979), ordinato il rilascio dell’immobile, ha contestualmente
sollevato, in riferimento agli artt. 3,41,42 e 47 Cost., questione di
legittimità dell’art. 69, settimo comma, della legge 27 luglio 1978,
n. 392, richiamato dall’art. 73 della stessa legge, così come
modificato dall’art. 1 bis del decreto legge 30 gennaio 1979, n. 21,
convertito con modificazioni nella legge 31 marzo 1979, n. 93, nella
parte in cui, dal loro combinato disposto, viene stabilito, in via
transitoria, per i contratti di locazione di immobili urbani adibiti ad
attività industriali, commerciali, artigianali e di interesse
turistico, in corso al momento di entrata in vigore della legge n. 392
del 1978, che, qualora il locatore si avvalga di uno dei motivi di
recesso riconosciuti operanti per questo genere di contratti, al
conduttore è dovuta l’indennità di avviamento commerciale nella
misura di diciotto mensilità sulla base del canone corrente di mercato
per i locali aventi le stesse caratteristiche.
Il principio di eguaglianza sarebbe vulnerato perché, da un lato,
si determinerebbe una vera e propria discriminazione tra inquilini,
riconoscendo il diritto alla indennità di avviamento a industriali,
commercianti ed artigiani, “quasi sempre facoltosi”, per negarlo,
invece, a tutte le altre numerose categorie di cittadini (che
esercitano attività non comprese tra quelle per le quali la legge fa
obbligo di corrispondere l’indennità in parola) anche se nei locali
loro concessi in locazione esplicano attività che impongono continui e
sistematici contatti con il pubblico e, dall’altro, perché analoga
discriminazione verrebbe a prodursi in danno dei locatori, esonerando
da ogni obbligo quelli che “hanno avuto la fortuna o la scaltrezza di
affittare i loro immobili a professionisti o ad onesti lavoratori che,
per la natura stessa della loro attività, non hanno necessità di
contatti diretti col pubblico” e punendo, invece, quelli “sfortunati o
poco accorti che hanno avuto la disavventura di avere come inquilini
grossi e facoltosi industriali, commercianti, artigiani o gestori di
aziende di interesse turistico, ai quali, come premio per essersi
arricchiti a danno anche del locatore, cui hanno corrisposto pigioni di
fame, dovrà essere corrisposta un’ingiustificata ed ingiustificabile
indennità”.
Ulteriore violazione dell’art. 3 si rinvenirebbe, poi, nel fatto
che la disciplina denunciata porterebbe alla conclusione assurda “di
riconoscere a quell’inquilino che, avvalendosi rigidamente delle
numerose leggi vincolistiche, da 40 anni paga pigioni di fame, il
diritto di avere rimborsato quanto ha pagato durante l’arco di durata
della locazione o forse di più (come nella fattispecie), mentre tale
beneficio verrebbe negato a quegli inquilini più corretti, più
comprensivi che non hanno speculato sulle leggi vincolistiche, il cui
contratto è di data più recente e quindi pagano pigioni a prezzi
correnti o quasi, ai quali spetterebbero 18 mensilità sulla base di
quanto pagato o quasi”. Di converso, prosegue il Conciliatore, la
disciplina impugnata, “mentre ulteriormente punisce quei locatori che,
in ossequio alla legge, hanno sopportato, senza cercar cavilli per
liberarsene, uno scomodo antieconomico inquilino, assoggettandoli
all’onere del pagamento di un’indennità che può costituire il
rimborso di quanto percepito in un lunghissimo arco di tempo, premia
quei furbi o quei fortunati che sono riusciti ad ottenere pigioni che,
seppure inferiori ai prezzi correnti di mercato, sono adeguate e
stabilite sulla previsione della indennità da versare a fine
locazione”.
La normativa in questione sarebbe, poi, in contrasto con l’art. 41
Cost., perché resterebbe annullata qualsiasi iniziativa sia di chi
possiede un locale, il quale “preferirà svenderlo, piuttosto che
correre l’alea di dover ricorrere a mutui e quindi a nuovi sacrifici
per poter rimborsare agli inquilini, in unica soluzione, quanto ha
percepito a rate”, sia di chi non lo possiede, “costretto a rinunziare
alle sue aspirazioni perché difficilmente troverà locali in affitto,
o, se riesce a trovarli, dovrà sobbarcarsi a pagare pigioni tali da
assorbire l’indennità di avviamento che loro spetterà alla fine della
locazione”. Di conseguenza, “bloccata e resa così impossibile o
antieconomica qualsiasi attività, qualsiasi iniziativa e qualsiasi
risparmio, è inevitabile” – conclude sul punto il giudice a quo – “che
aumenti sempre più la disoccupazione, la schiera dei postulanti
impieghi statali, spesso non congeniali, di pensioni e di sussidi
vari”.
La disciplina denunciata vulnererebbe anche l’art. 42 Cost.,
determinando una vera e propria espropriazione forzata della proprietà
senza compenso alcuno e non per pubblico interesse, ma spesso “a
beneficio di facoltosi industriali, commercianti e artigiani e a danno
dell’occupazione, dell’economia, della libertà di contrattazione e
della libera iniziativa individuale”.
Vi sarebbe, infine, violazione dell’art. 47 Cost., giacché “con
tutti gli oneri, gli obblighi e i vincoli che le numerosissime leggi
hanno imposto e vieppiù sempre impongono a chi ha la disgrazia di
possedere un immobile, con il timore di potersi trovare nelle
condizioni di dovere restituire in unica soluzione quanto ha percepito
a rate mensili, solo un pazzo può pensare a risparmiare, a sobbarcarsi
a non indifferenti sacrifici per acquistare un immobile dal quale non
ricaverà che guai”.
L’ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 43 del 13 febbraio 1980.
È intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri,
rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo
che la questione venga dichiarata inammissibile o, comunque, non
fondata.
Rilevato preliminarmente che nell’ordinanza di rimessione
mancherebbe ogni accenno alla rilevanza, l’Avvocatura, esaminando il
merito, deduce, in primo luogo, che nessuna violazione del principio di
eguaglianza sarebbe configurabile nella disciplina impugnata.
Secondo l’atto di intervento il giudice a quo non avrebbe
considerato il fatto che il legislatore, attribuendo, in determinati
casi, un diritto all'”indennità per la perdita dell’avviamento”, ha
tenuto presente, sulla scorta della dottrina e della giurisprudenza,
che, secondo l’id quod plerumque accidit, ad un immobile nel quale
viene esercitata un’attività commerciale accede pur sempre un
“avviamento, inteso in senso oggettivo”, del quale si avvantaggia
comunque il locatore, una volta riottenuta la disponibilità
dell’immobile , in ragione della maggiore valutazione che questo riceve
sul mercato. Di ciò si troverebbe conferma esaminando le cause di
esclusione del diritto in questione, le quali, proprio perché riferite
alla volontà del conduttore o a situazioni allo stesso facenti capo (o
imputabili), tipizzano ipotesi in cui deve escludersi l’esistenza di un
qualsiasi avviamento: sarebbe di tutta evidenza – secondo l’Avvocatura
– che ben difficilmente il conduttore vorrà privarsi del godimento di
un immobile quando allo stesso acceda un avviamento di un certo
rilievo; al contrario, la cessazione del rapporto di locazione in
dipendenza di una delle procedure previste dal r.d. 16 marzo 1942, n.
267, indicherebbe chiaramente situazioni di difficoltà dell’azienda
esercitata dal conduttore e segnalerebbe, quindi, anch’essa, casi di
(presumibile) inesistenza di un avviamento. Pertanto, anche se, in
entrambe le ipotesi considerate , non potrebbe escludersi che esista in
concreto una situazione di inesistenza o d’esistenza dell’avviamento,
la marginalità di tali situazioni e le sicuramente enormi difficoltà
che incontrerebbe il locatore nel fornirne la relativa prova, “non
consentono dubbi sulla costituzionalità della norma, la quale,
introducendo una sostanziale automaticità del compenso, così come non
permette di ottenerne la liquidazione in misura maggiore, parimenti
impedisce di escludere in concreto il diritto a riconoscerlo, fornendo
la prova dell’inesistenza dell’avviamento”.
Tale realtà apparirebbe confermata dai lavori preparatori della
legge impugnata dai quali emergerebbe che la previsione della
indennità d’avviamento è ancorata al presupposto che gli immobili
considerati comportano un valore di avviamento, di guisa che non solo
è escluso che il legislatore abbia voluto innovare sostanzialmente
l’istituto, ma ne ha ribadito anche la natura indennitaria (della
perdita dell’avviamento che accede come “valore” dell’immobile).
Sembra perciò sufficientemente chiaro – conclude sul punto
l’Avvocatura – come la dedotta violazione dell’art. 3 Cost. non abbia
alcuna consistenza giuridica “perché le pretese discriminazioni, sia
tra inquilini sia tra conduttori” (recte: locatori), “trovano una
precisa giustificazione nella realtà stessa delle cose, non potendosi
razionalmente attribuire un diritto all’indennità di avviamento a
qualunque inquilino” (e cioè anche a chi non ha alcun avviamento),
“né potendosi accollare simile indennità a tutti i conduttori”
(recte: locatori) (e cioè anche a coloro che non hanno ricevuto un
vantaggio dalla destinazione dell’immobile locato ad un particolare
tipo di attività).
Passando all’esame delle ulteriori censure prospettate dal giudice a
quo, l’Avvocatura rileva che la diversa misura della indennità di
avviamento, quale fissata dall’art. 34 rispetto all’art. 69, non appare
ingiustificata, trovando tale diversità puntuale giustificazione sia
nel rilievo che la prima disposizione è dettata per il regime normale
e viene a riferirsi ad un canone di locazione già fissato in regime di
libertà, mentre la seconda segue il passaggio dal regime di controllo
nella fissazione del canone al regime della sua libera determinazione
(con la conseguenza che, in definitiva, la distinzione è puramente
letterale e non sostanziale in quanto anche la richiesta del locatore e
le offerte dei terzi rappresentano una prima fissazione di ammontare
del canone), sia considerando che, cessata la locazione e questa non
rinnovata (e ciò è pacifico in caso di recesso del locatore), sarebbe
stato assurdo riferirsi ad un nuovo canone quale richiesto (anche
esosamente) dal proprietario, in presenza di un canone di mercato che
è quello determinato in base ai criteri fissati dalla legge sull’equo
canone e, quindi, di assoluta obiettività.
Nessuna vulnerazione degli ulteriori parametri invocati dal giudice
a quo sarebbe poi ipotizzabile: non dell’art. 41, in quanto le norme
dirette a determinare autoritativamente un elemento del contratto
sarebbero compatibili con l’iniziativa economica privata; non dell’art.
42, in quanto apparirebbe all’evidenza che il legislatore non ha
affatto inciso – né direttamente, né indirettamente – sulla
proprietà privata (non ha, cioè, svuotato di contenuto il diritto di
proprietà, eliminandone il modo di essere o i modi di godimento, e,
tanto meno, come vuole il giudice a quo, a beneficio di spesso
facoltosi industriali, commercianti ed artigiani); non, infine,
dell’art. 47, in quanto la disciplina denunciata non costituirebbe
affatto violazione, da parte del legislatore ordinario, dell’impegno
demandatogli dal costituente di incoraggiare e tutelare il risparmio e
di favorirne l’accesso: al contrario, se poi si volesse, non a ragione,
istituire un confronto tra le varie forme di risparmio, allora si
noterebbe l’erroneità manifesta dell’impostazione data al problema dal
giudice a quo, considerato che, mentre il risparmio mobiliare,
ancorché remunerato con tassi incentivanti, viene distrutto dal
processo inflattivo, quello immobiliare ne è, invece, immune.
2. – Sgaramella Isabella, proprietaria di un locale condotto in
locazione ad uso deposito da Capogna Luigi, proponeva ricorso al
Giudice conciliatore di Andria per ottenere il rilascio dell’immobile,
essendo sopravvenuta la necessità di adibirlo a deposito di beni
componenti la sua azienda.
Il convenuto, costituitosi in giudizio, contestava la domanda
attrice, chiedendo, in subordine, il riconoscimento del proprio diritto
all’indennizzo per la perdita dell’avviamento commerciale.
Con ordinanza dell’8 settembre 1980 (r.o. 757/1980), il Giudice
conciliatore di Andria, prima di provvedere sulla domanda di rilascio,
ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 34 e
69 della legge n. 392 del 1978, in riferimento all’art. 42 Cost..
Rileva il giudice a quo che l’indennità di avviamento nelle misure
stabilite dalle disposizioni denunciate, a prescindere da qualsiasi
prova circa la perdita effettiva di avviamento subita dal conduttore e,
corrispondentemente, da qualsiasi prova dell’utilità che,
dall’attività del conduttore esercitata nell’immobile, possa derivare
al locatore – il quale, al limite, potrebbe essere anche stato
costretto a recedere dal contratto per la sopravvenuta necessità di
adibire l’immobile ad uso abitativo proprio – appare vulnerare il
precetto costituzionale che mira ad assicurare ad ogni cittadino
l’accesso alla proprietà, scoraggiando gli acquisti di locali e la
negoziazione degli stessi ed, al contempo, risulta irragionevolmente
punitiva del diritto di proprietà considerando che il sacrificio di
tale diritto non è motivato da giustificazioni di carattere sociale,
prescindendo, comunque, la norma dalla capacità di reddito del
conduttore e dall’attività esercitata dallo stesso, “oltre che dalla
prova di un danno che questo subisca”.
Inoltre, per i contratti in corso alla data di entrata in vigore
della legge n. 392 del 1978 e che provengono da un precedente regime di
“blocco” delle locazioni e dei canoni locativi, essendo l’indennizzo
per la perdita di avviamento ragguagliato non al canone che il
conduttore corrisponde, bensì al valore locativo attuale
dell’immobile, potrebbe verificarsi “l’ipotesi assurda che il locatore
sia tenuto a corrispondere al conduttore, sotto forma di indennizzo per
la perdita di avviamento, più di quanto abbia ottenuto per canoni
locativi durante l’intero corso della locazione”.
L’ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 352 del 24 dicembre 1980.
È intervenuta nel giudizio la Presidenza del Consiglio dei
ministri, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato,
ed ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque
non fondata.
Perplessità circa la rilevanza della questione proposta manifesta
l’Avvocatura, dato che nel giudizio a quo si era in presenza di una
domanda di rilascio in ordine alla quale il Pretore non aveva ancora
provveduto; se ne deduce allora che in tanto una statuizione sulla
indennità di avviamento potrà essere emessa, ad accoglimento della
domanda riconvenzionale proposta dal convenuto, “in quanto avrà avuto
ingresso una domanda attrice”.
Quanto al merito, l’Avvocatura, dopo aver parzialmente riprodotto le
deduzioni sub 1, richiama la sentenza n. 36 del 1980 di questa Corte,
pronunciata nel giudizio sulla legittimità costituzionale dell’art. 34
legge n. 392 del 1978, la quale ha ritenuto doversi escludere che, con
riguardo alla situazione dedotta in giudizio, si possa parlare di
espropriazione, trattandosi della mera imposizione del pagamento di una
somma di denaro a favore di terzi, tendente, oltretutto, a garantire il
corrispettivo della utilità che l’onerato trarrebbe dall’immobile
valorizzato dall’avviamento impresso dal destinatario del pagamento e
difettando quella connotazione di natura reale che caratterizza
l’espropriazione considerata nell’art. 42 Cost..
3. – Con atto stipulato il 15 novembre 1975 Costanza Vincenzo locava
a Dimino Carmelo un immobile urbano sito in Piazza Armerina, da adibire
a farmacia; la durata della locazione veniva fissata in anni cinque,
convenendosi tra le parti la rinuncia per il conduttore ad avvalersi
delle norme che tutelano l’avviamento commerciale.
Il 30 aprile 1980 il Costanza proponeva azione di rilascio
dell’immobile avendo la necessità di servirsene per l’esercizio della
propria attività professionale. Il Dimino contestava la domanda
perché infondata e, in subordine, per l’eventualità di accoglimento,
proponeva domanda riconvenzionale di condanna del locatore al pagamento
dell’indennità per la perdita di avviamento.
Con ordinanza in data 16 dicembre 1980 (r.o. 75/1981), il Pretore di
Piazza Armerina, prima di decidere sulla domanda principale, ha
sollevato d’ufficio questione di legittimità costituzionale, in
riferimento all’art. 3 Cost., dell’art. 73 della legge n. 392 del 1978
(nel testo modificato dalla legge 31 marzo 1979, n. 93), in relazione
all’art. 69, settimo comma, legge n. 392 del 1978, nella parte in cui
riconosce il diritto del conduttore all’indennità per la perdita
dell’avviamento anche quando nessun vantaggio derivi al locatore.
L’ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 105 del 15 aprile 1981.
È intervenuta nel giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri,
rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo,
nel riportarsi sostanzialmente alle deduzioni sub 2, che la questione
venga dichiarata non fondata.
4. – Con ricorso depositato il 5 gennaio 1980, De Carlo Carlo
chiedeva che venisse disposto il rilascio di un immobile di sua
proprietà, sito in Pescara, concesso in locazione alla Unione
Subalpina Assicurazioni s.p.a., da questa destinato a sede della
propria agenzia di Pescara, avendo necessità di adibirlo a studio
professionale per un suo figlio ingegnere.
La società convenuta chiedeva, in via principale, il rigetto della
domanda ed, in via subordinata, proponeva domanda riconvenzionale
tendente ad ottenere il pagamento dell’indennità per l’avviamento
commerciale da determinarsi ai sensi dell’art. 69 della legge n. 392
del 1978. Nel corso del giudizio veniva pronunciato provvedimento di
rilascio ai sensi dell’art. 30 della stessa legge.
Con ordinanza in data 19 dicembre 1980 (r.o. 93/1981), il Pretore di
Pescara ha sollevato d’ufficio questione di legittimità costituzionale
dell’art. 69, settimo comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392, in
riferimento all’art. 42, secondo comma, Cost..
Premette il Pretore che l’art. 69, settimo comma, deve interpretarsi
nel senso che l’indennità di avviamento, determinata da tale
disposizione, va tassativamente quantificata assumendosi come base il
canone corrente di mercato e moltiplicando poi detto canone per il
numero delle mensilità, senza che il giudice abbia la possibilità di
temperare tale criterio tenendo conto di altri fattori e, in
particolare, della durata del rapporto locativo e dell’entità del
canone corrisposto durante il rapporto stesso.
Ne discenderebbe, allora, il contrasto della normativa denunciata con
l’art. 42, secondo comma, Cost., perché, mentre per le locazioni sorte
successivamente alla legge n. 392 del 1978, il locatore, potendo
conoscere preventivamente l’incidenza dell’indennità dovuta ex art.
34, può parimenti valutare la convenienza di concedere in locazione un
immobile per un determinato canone che può liberamente pattuire, e, in
ogni caso – dato il criterio di determinazione dell’indennità – alla
cessazione della locazione l’ammontare dell’indennità da corrispondere
al conduttore non falcidia mai il reddito locativo conseguito
dall’immobile in misura tale da coprirne, oltre i limiti della
ragionevolezza, il diritto di proprietà di cui quel reddito è
espressione, per contro, per le locazioni antecedenti alla legge del
1978, il meccanismo di determinazione dell’indennità ex art. 69,
settimo comma, conduce ad una irragionevole compressione del diritto di
proprietà del locatore.
È, infatti, dato di comune esperienza, prosegue il giudice a quo,
che, per le vecchie locazioni, specie per quelle stipulate prima che il
processo inflazionistico assumesse le patologiche dimensioni che ancora
perdurano, i canoni, in dipendenza del regime vincolistico cui essi
sono stati sottoposti dalla precedente normativa, sono tuttora rimasti
a livelli molto bassi anche perché le percentuali di aumento previste
dall’art. 68 (peraltro inferiori, anche la più alta, all’indice di
degrado monetario verificatosi in questi ultimi anni) non valgono ad
avvicinare i canoni stessi a quelli, di gran lunga superiori,
attualmente correnti sul mercato degli immobili non abitativi. Di
conseguenza, in applicazione del criterio adottato dalla norma
impugnata, il locatore deve sborsare una somma assai vicina, o, non di
rado, addirittura superiore, all’ammontare dei canoni percepiti per la
durata della locazione, vanificandosi in tal modo, per detto periodo,
il suo diritto al corrispettivo, il suo diritto di godimento
dell’immobile e, quindi , in definitiva, il suo diritto di proprietà.
L’ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 117 del 29 aprile 1981.
È intervenuta nel giudizio la Presidenza del Consiglio dei
ministri, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
Dopo aver sostanzialmente riprodotto le deduzioni sub 1 e 2,
l’Avvocatura conclude osservando che è “da escludere qualunque
rilievo, nell’ambito del problema di costituzionalità sollevato, del
criterio cronologico cui si è riferito il giudice a quo, apparendo con
forza all’evidenza che, anche in presenza di un contratto prorogato, si
fa luogo al pagamento di una somma, e non ad uno svuotamento del
diritto di proprietà”.
Identico incidente il Pretore di Pescara ha sollevato con ordinanza
27 febbraio 1981 (r.o. 288/1981), emessa nel procedimento instaurato a
seguito di ricorso di Amedeo e Angiolino Volpe diretto ad ottenere il
rilascio di un immobile locato, fin dal 1968, per l’esercizio di
attività alberghiera, dichiarando -prima di provvedere sulla domanda
principale – rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento
all’art. 42, secondo comma, Cost., la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 69, settimo comma, della legge n. 392 del
1978.
L’ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 200 del 22 luglio 1981.
È intervenuta nel giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri,
rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed ha
chiesto, riportandosi ai precedenti atti di intervento, che la
questione venga dichiarata non fondata.
5. – Il Tribunale di Parma, adito in sede di appello avverso la
sentenza in data 6 maggio 1980 emessa dal Pretore di quella città, che
aveva condannato Sbreveglieri Alfredo al pagamento della somma di L.
8.000.000 quale indennità di avviamento, ai sensi del combinato
disposto degli artt. 73 e 69 della legge n. 392 del 1978, con ordinanza
18 dicembre 1980 (r.o. 105/1981), ha sollevato questione di
legittimità costituzionale del settimo comma di tale ultima
disposizione, in riferimento agli artt. 3 e 42 Cost..
Il principio di eguaglianza sarebbe vulnerato per la disparità di
trattamento fra le parti del contratto di locazione, potendosi
verificare che il locatore non venga a conseguire alcuna utilità (o a
conseguire addirittura un danno) per avere concesso un bene in
locazione; tale disparità non sarebbe, peraltro, fondata su
presupposti logici e razionali, mentre non soccorrerebbero, a
giustificazione di essa, le esigenze della produzione o di solidarietà
sociale.
Quanto alla dedotta violazione dell’art. 42 Cost., rileva il giudice
a quo che la norma impugnata può condurre “ad una completa
vanificazione della facoltà di godimento del bene da parte del
proprietario, potendosi verificare che quest’ultimo, concedendo ad
altri il bene, non ne ricavi più un vantaggio economico, posto che –
in base al criterio di determinazione della indennità – egli può
essere tenuto a versare, a titolo di indennità per la perdita
dell’avviamento, una somma pari o addirittura superiore a quella
percepita con i canoni maturati”.
L’ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 123 del 6 maggio 1981.
È intervenuta nel giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri,
rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed ha
chiesto che la questione venga dichiarata non fondata.
Riprodotto il contenuto dei precedenti atti difensivi, l’Avvocatura,
con specifico riferimento alla pretesa violazione del principio
d’eguaglianza, deduce che è da escluderne la stessa astratta
configurabilità in quanto il legislatore, disponendo in ordine ad una
indennità’ di avviamento in favore del conduttore avente diritto, non
ha affatto trattato in modo diseguale identiche situazioni, ma, anzi,
ha tenuto doverosamente e razionalmente conto dei diversi interessi
delle parti contrattuali, diversamente proteggendoli in una globale
valutazione di un equo contemperamento .
6. – Con ordinanza 12 febbraio 1981 (r.o. 195/1981), il Pretore di
Rovigo, adito da Padovan Nives per la determinazione dell’importo
dell’indennità di avviamento conseguente al rilascio di un immobile
adibito a negozio, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 42
Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, settimo
comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392, nella parte in cui tale
norma prevede l’obbligo del locatore di corrispondere al conduttore
l’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale, da
determinarsi sulla base del canone corrente di mercato per i locali
aventi le stesse caratteristiche.
Analoghe a quelle sub 2 sono le censure rivolte alla norma impugnata.
Si rileva, inoltre, che se, in molti casi, il conduttore appare
veramente il contraente più debole, non si può adottare questo
criterio per ciascuna fattispecie, dato che si finirebbe con il
trattare in modo eguale situazioni tra di loro obiettivamente diverse.
L’ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 200 del 22 luglio 1981.
È intervenuta nel giudizio la Presidenza del Consiglio dei
ministri, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato,
ed ha chiesto, riportandosi alle precedenti deduzioni, che la questione
venga dichiarata non fondata.
7. – Il Pretore di Paternò, prima di provvedere sulla domanda di
recesso proposta da Asero Antonino, con ordinanza 29 gennaio 1981 (r.o.
216/1981), ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in
riferimento agli artt. 3, 41, 42 e 47 Cost., degli artt. 69 e 73 della
legge n. 392 del 1978, nelle parti in cui determinano, per le ipotesi
di recesso e di mancato rinnovo del contratto di locazione di immobili
urbani adibiti ad uso diverso dall’abitazione, la misura
dell’indennità dell’avviamento commerciale con riguardo non già
all’ultimo canone corrisposto ma al canone corrente di mercato.
Premette il giudice a quo che la questione sollevata si differenzia
da quelle proposte dal Conciliatore di Caltanissetta (ordinanza 19
ottobre 1979: r.o. 881/1979) e dal Conciliatore di Andria (ordinanza 8
settembre 1980: r.o. 757/1980) “in quanto muove dal riconoscimento – o,
almeno, dalla mancata contestazione – della legittimità
dell’indennità per avviamento, quale risulta, del resto, dalle
sentenze n. 73 del 1966 (con riferimento alla legge 27 gennaio 1963, n.
19) e n. 36 del 1980 della Corte costituzionale”.
Alla stregua di tali decisioni, che hanno individuato la ratio
dell’indennità di avviamento nell’attribuzione al conduttore,
indipendentemente da ogni possibile vantaggio del proprietario, di una
somma ragguagliata al canone mensile, in conseguenza della cessazione
della locazione, non sarebbe spiegabile perché si sia ritenuto di
stabilire una posizione gravemente deteriore a danno di una categoria
di locatori, identificati sulla base della loro precedente
sottoposizione ad un periodo più o meno lungo di blocco (della
locazione e del canone), prorogato ancora dalla legge n. 392 del 1978,
con evidente e sicuro vantaggio per i conduttori.
I parametri costituzionali invocati (cumulativamente presi in esame)
sarebbero vulnerati perché, se è vero che il passaggio dal vecchio al
nuovo regime può giustificare il protrarsi della proroga e
l’introduzione di alcuni temperamenti, tutto ciò non può valere a
comprimere oltre ogni ragionevole limite diritti costituzionalmente
garantiti, operando, tra l’altro, discriminazioni a favore di una
categoria di inquilini che, oltre a non essere, in generale, più
deboli, sono stati comunque già avvantaggiati nel corso del contratto.
Il divario esistente tra il canone corrisposto e quello di mercato,
costituente la misura concreta del beneficio conferito al conduttore
col regime di proroga, viene utilizzato per attribuire (senza alcuna
considerazione della situazione economica delle parti) un ulteriore
ingiustificato vantaggio alla parte favorita (con distorsione delle
stesse regole di concorrenza e con contestuale grave danno per il
proprietario) che può giungere – proprio per l’irrazionalità della
normativa e per l’inesistenza di qualsiasi previsione limitativa –
anche oltre la restituzione di tutti i canoni corrisposti durante
l’intero rapporto (al lordo degli oneri fiscali e di manutenzione), con
evidente aggressione del risparmio e del patrimonio personale di una
delle parti.
Il Pretore si dà anche carico di rilevare che analoga conclusione
circa l’illegittimità costituzionale della disciplina denunciata
dovrebbe trarsi anche nel caso in cui si aderisse a quella tesi
sostenuta da una minoritaria giurisprudenza di merito – peraltro non
condivisa dal giudice a quo – che, per evitare grosse sperequazioni, è
giunta alla conclusione che il canone da utilizzare per il calcolo non
è quello di mercato, ma dovrebbe essere determinato solo “sulla base”
di quello di mercato, con evidente arbitrarietà di valutazione e con
ulteriore disparità di trattamento rispetto alla ipotesi di mancata
accettazione del canone richiesto, di cui all’art. 69, sesto comma.
L’indicata violazione del principio di eguaglianza si
rifletterebbe, poi, oltre che sulla misura dell’indennità, sulle
modalità della sua concreta determinazione, incidendo, ancora, per
tale via, sull’esercizio concreto del diritto di recesso, subordinato,
nella sua esecuzione, all’avvenuta corresponsione dell’indennità (art.
69, ottavo comma). Se infatti sarebbe del tutto agevole determinare
l’indennità di avviamento con riguardo all’ultimo canone corrisposto
(art. 34), il criterio fissato dagli artt. 69 e 73 non consentirebbe,
invece, alcuna sicura predeterminazione della indennità, almeno con
riferimento alle ipotesi di recesso o di mancato rinnovo ed imporrebbe,
in sostanza, in difetto di un improbabile accordo, un difficile
giudizio, fondato su criteri opinabili ed incerti. E, conclude il
giudice a quo, poiché la Corte costituzionale, con la sentenza n. 22
del 1980, ha già riconosciuto la illegittimità della normativa che,
in contrasto con il principio di eguaglianza e di ragionevolezza,
esclude il diritto di recesso nei confronti di alcuni conduttori,
identificati sulla base del maggior reddito (e, per ciò stesso, meno
meritevoli di tutela), sussistono ulteriori valide ragioni per dubitare
della legittimità costituzionale della indicata normativa.
L’ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 200 del 22 luglio 1981.
È intervenuta nel giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri,
rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed ha
chiesto, riproducendo il contenuto dei precedenti atti difensivi, che
la questione sia dicharata non fondata.
Analogo incidente lo stesso Pretore di Paternò ha sollevato con
ordinanza 21 febbraio 1981 (r.o. 294/1981), emessa nel procedimento
civile instaurato a seguito di ricorso promosso da Fallica Giuseppina.
Il giudice a quo richiama espressamente la propria ordinanza 29
gennaio 1981 (r.o. 216/1981), aggiungendo, ad ulteriore motivo di
illegittimità costituzionale (identici, peraltro, i parametri
invocati), “la mancata previsione”, nell’art. 73 della legge n. 392 del
1978, “della circostanza della disponibilità di altro idoneo immobile
da parte del conduttore, come motivo di recesso del locatore”,
disponibilità che l’art. 59 n. 6 prevede, invece, espressamente, per
gli immobili adibiti ad uso di abitazione.
Rileva il Pretore che la proroga legale dei contratti di locazione
ha tradizionalmente trovato un limite nella inesistenza in concreto di
quell’interesse al prolungamento del contratto, che è presunto in via
generale, o nella concomitante esistenza di una effettiva necessità
del proprietario di disporre dell’immobile per destinarlo ad uso
proprio. La legge n. 392 del 1978, nell’introdurre un’ulteriore proroga
dei contratti, ha tenuto conto, con riferimento agli immobili adibiti
ad uso di abitazione, di entrambe queste possibilità, prevedendo,
all’art. 59, varie ipotesi di recesso; con riguardo, invece, agli
immobili adibiti ad uso diverso, il legislatore ha sostanzialmente
limitato (artt. 73 e 29, norma, quest’ultima, anch’essa oggetto di
censura) l’esercizio del diritto di recesso alla sola ipotesi della
necessità del locatore di ottenere il rilascio, “escludendo quella
della disponibilità, da parte del locatario, di altro immobile, idoneo
alle proprie esigenze, nella stessa zona”. Potrebbe così avvenire (ed
è il caso verificatosi nel procedimento a quo) che il conduttore, pur
disponendo di un’ampia bottega nuova, situata esattamente di fronte a
quella da lui tenuta in locazione, preferisca pagare un canone
irrisorio, contestando il diritto al rilascio e chiedendo, in ogni
caso, un’indennità ragguagliata ad un canone “enormemente maggiore”.
L’ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 262 del 23 settembre 1981.
È intervenuta nel giudizio la Presidenza del Consiglio dei
ministri, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato,
chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.
Riportatasi ai precedenti atti difensivi per quel che attiene alla
dedotta illegittimità della misura dell’indennità di avviamento
commerciale, l’Avvocatura rileva, quanto all’ulteriore questione
sollevata dal Pretore, che la differente normativa in materia di
recesso per necessità fra contratti di locazione di immobili destinati
ad abitazione e contratti di locazione di immobili destinati ad uso
diverso dall’abitazione trova valida giustificazione nella sostanziale
diversità della situazione degli immobili medesimi e, quindi, in una
giustamente diversa valutazione degli interessi posti a raffronto, dei
quali più meritevoli di tutela sono stati giustamente considerati
quelli del conduttore della casa d’abitazione.
Con ordinanza 12 ottobre 1981 (r.o. 773/1981), lo stesso Pretore di
Paternò, adito da Castelli Giuseppe per la determinazione e
liquidazione della indennità di avviamento in dipendenza del rilascio
di un immobile condotto in locazione dall’istante, richiamate
espressamente le motivazioni degli incidenti sollevati in data 29
gennaio 1981 e 21 febbraio 1981, ha ritenuto non manifestamente
infondata, in relazione agli artt. 3, 41, 42 e 47 Cost., la questione
di legittimità costituzionale degli artt. 69 e 73 della legge n. 392
del 1978, nella parte in cui determinano, per le ipotesi di recesso o
di mancato rinnovo del contratto di locazione di immobili adibiti ad
uso diverso dall’abitazione, la misura della indennità per avviamento
commerciale con riferimento non già all’ultimo canone corrisposto,
come previsto dall’art. 34, ma al canone corrente di mercato.
L’ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 68 del 10 marzo 1982.
È intervenuta nel giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri,
rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed ha
chiesto, riproducendo il contenuto dei precedenti atti difensivi, che
la questione sia dichiarata non fondata.
8. – Nel corso del giudizio promosso da Lunardo Salvatore, Di Dio
Perna Carmela e Mingrino Giovanni al fine di ottenere la determinazione
dell’indennità dovuta per la perdita dell’avviamento commerciale in
dipendenza di altro giudizio iniziato (e non ancora definito) avanti al
competente conciliatore per ottenere il rilascio di un immobile adibito
ad uso diverso da abitazione, condotto in locazione da Savoca Domenico,
il Pretore di Enna, con ordinanza 19 gennaio 1981 (r.o. 240/1981), ha
sollevato, in riferimento all’art. 42 Cost., questione di legittimità
costituzionale dell’art. 69, settimo comma, della legge n. 392 del
1978, richiamato dall’art. 73, secondo comma (come modificato dalla
legge 31 marzo 1979, n. 93), nella parte in cui non sancisce alcun
limite alla misura del compenso dovuto dal locatore, alla cessazione
del rapporto, per la perdita dell’avviamento commerciale.
L’ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 255 del 16 settembre 1981.
È intervenuta nel giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri,
rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, la quale
ha chiesto, sostanzialmente riproducendo il contenuto dei precedenti
atti difensivi, che la questione venga dichiarata non fondata.
Si sono costituiti in giudizio Lunardo Salvatore, Di Dio Perna
Carmela e Mingrino Giovanni, rappresentati dagli avvocati Pompeo Magno,
Giangaleazzo Stendardi e Giuseppe Tanteri, domandando l’accoglimento
della proposta questione di legittimità costituzionale.
In data 18 novembre 1982 i procuratori delle parti private hanno
presentato una memoria difensiva.
9. – Mariotti Vittorio, proprietario di alcuni locali siti in
Cisterna, condotti in locazione ad uso negozio da Ghelfo Luisa,
esercitava il recesso ex artt. 73 e 29 legge n. 392 del 1978, deducendo
la necessità di ottenere la disponibilità dell’immobile per
destinarlo alla vendita di ricambi per auto. La resistente contestava
la domanda ed, in subordine, chiedeva, in via riconvenzionale, il
riconoscimento della indennità per la perdita dell’avviamento
commerciale, nella misura fissata dal settimo comma dell’art. 69.
A seguito di eccezione della convenuta, il Pretore di Latina, con
ordinanza 21 febbraio 1981 (r.o. 266/ 1981), ha sollevato – prima di
decidere sulla domanda principale – questione di legittimità, in
riferimento agli artt. 3, 42 e 47 Cost., degli artt. 69, settimo comma,
e 73 (nel testo modificato dall’articolo unico della legge n. 93 del
1979), nella parte in cui tale ultima disposizione estende ai contratti
di cui all’art. 67 l’applicabilità dell’art. 69, settimo comma, e
nella parte in cui il settimo comma dell’art. 79 (recte: 69) prevede il
richiamo al secondo comma dell’art. 34.
L’ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 262 del 23 settembre 1981.
Ha spiegato intervento la Presidenza del Consiglio dei ministri,
rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed ha
chiesto, riproducendo le precedenti deduzioni, che la questione venga
dichiarata non fondata.
10. – Nel giudizio di appello avverso la sentenza in data 11 febbraio
– 10 aprile 1980 del Pretore di Monfalcone che aveva, fra l’altro,
affermato l’obbligo a carico di Cappelletto Elisa, conduttrice di un
immobile adibito ad uso diverso da abitazione, del pagamento – all’atto
del rilascio dell’immobile stesso – di diciotto mensilità del canone
pattuito, quale indennizzo per perdita di avviamento, il Tribunale di
Gorizia, con ordinanza 25 giugno 1981 (r.o. 592/1981), ha sollevato, su
eccezione di parte, questione di legittimità costituzionale dell’art.
73, in relazione all’art. 69, settimo comma, della legge n. 392 del
1978, novellato dalla legge n. 93 del 1979, in relazione agli artt. 3 e
42, secondo comma, Cost., ritenuti vulnerati in quanto, mentre per le
locazioni sorte successivamente alla legge n. 392 del 1978, il
locatore, potendo conoscere preventivamente l’incidenza dell’indennità
dovuta ex art. 34, sarebbe in grado di valutare la convenienza di
concedere in locazione l’immobile per un determinato canone, che può
liberamente pattuirsi, per quelle sorte anteriormente all’entrata in
vigore di detta legge il meccanismo di determinazione dell’indennità
ex art. 69, settimo comma, condurrebbe ad una irragionevole
compressione del diritto di proprietà, non consentendo al locatore di
calcolare la convenienza economica di recedere o meno dal rapporto
locatizio, e ad un trattamento diverso in situazioni eguali.
Inoltre, l’indennità, così come prevista dalla disciplina
impugnata, comporterebbe per il locatore l’obbligo di corrispondere una
somma che può talvolta essere superiore all’ammontare dei canoni
percepiti per la durata della locazione, così vanificandosi il diritto
al corrispettivo e il diritto di godimento dell’immobile, e, quindi, il
diritto di proprietà.
L’ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata, poi,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 19 del 20 gennaio 1982.
È intervenuta nel giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri,
rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed ha
chiesto, riproducendo il contenuto dei precedenti atti di intervento,
che la questione venga dichiarata non fondata.
11. – Con ricorso al Pretore di Vasto, Pellegrini Francesca, già
conduttrice di un negozio adibito a vendita al minuto di lane e
mercerie, conveniva in giudizio il proprietario dell’immobile , per
vedere riconosciuto il diritto a ricevere in pagamento l’indennità per
perdita di avviamento commerciale di cui all’art. 69, settimo comma,
legge n. 392 del 1978, in conseguenza dell’avvenuto rilascio
dell’immobile.
A seguito di eccezione del convenuto, l’adito Pretore, con ordinanza
11 giugno 1981 (r.o. 623/1981), ha sollevato questione di legittimità
costituzionale della predetta disposizione di legge, nella parte in cui
dispone che l’indennità dovuta al conduttore per la perdita
dell’avviamento commerciale è determinata sulla base del canone
corrente di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche, in
relazione agli artt. 3 e 42 Cost.
L’art. 42 Cost. sarebbe violato perché la norma censurata può
condurre alla abnorme conseguenza di obbligare il proprietario del bene
locato a corrispondere al conduttore una somma assai vicina – se non
superiore – all’importo globale dei canoni percepiti fino al momento
del rilascio, giungendo in tal modo ad una completa vanificazione della
facoltà di godimento del bene.
Vi sarebbe anche vulnerazione del principio di eguaglianza “perché
la diversa tutela accordata dal legislatore alle posizioni di
conduttore e di locatore non trova alcuna giustificazione né di ordine
giuridico, né di ordine metagiuridico, quale, ad esempio, una
ipotizzabile particolare debolezza di una delle parti”.
L’ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 19 del 20 gennaio 1982.
È intervenuta nel giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri,
rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, la quale
ha chiesto, riportandosi ai suoi precedenti atti di intervento, che la
questione venga dichiarata non fondata.
12. – Tosatti Giuseppina, conduttrice di un locale adibito a farmacia
del quale il Conciliatore di Roma, con sentenza 20 aprile 1980, aveva
ordinato il rilascio, conveniva in giudizio avanti al Pretore il
proprietario dell’immobile De Gregorio Michele per ottenere la
corresponsione dell’indennità di avviamento, ai sensi degli artt. 73 e
69, settimo comma, della legge n. 392 del 1978.
Il giudice a quo, con ordinanza 7 aprile 1981 (r.o. 645/1981), ha
denunciato, in relazione agli artt. 3, primo comma, 41, primo comma, e
42, secondo comma, Cost., l’illegittimità degli artt. 73 e 69, settimo
comma, della legge n. 392 del 1978, nella parte in cui dispongono che,
in caso di recesso del locatore, è dovuta l’indennità per avviamento
commerciale nella misura di diciotto mensilità sulla base del canone
corrente di mercato.
Ad avviso del giudice a quo, la diversa misura della indennità di
avviamento da corrispondere al conduttore a seconda dell’operatività
del regime transitorio (artt. 69, settimo comma, e 73) ovvero ordinario
(art. 34), malgrado si tratti di realtà omogenee, sarebbe contrastante
con l’art. 3 Cost., apparendo irrazionale una diversità di trattamento
fondata sull’elemento, del tutto accidentale, della data di stipula del
contratto.
“È invero” – rileva il Pretore – “in dipendenza di tale circostanza
che il conduttore consegue, se la locazione è nuova, il rimborso di
una quota (prevedibile, e, quindi, di fatto computata nella
regolamentazione economica del contratto) dei canoni versati, pari,
all’incirca (l’ultimo canone non sarà eguale a quelli precedenti per
effetto degli aggiornamenti ISTAT), ad 1/4 o ad 1/8 del totale
corrisposto, a seconda che la locazione venga a cessare dopo 6 o 12
anni. Per contro, nel caso di vecchia locazione, il conduttore può
addirittura percepire, grazie al divario tra canone pagato in regime di
blocco e canone di mercato ed alla mancata considerazione della durata
del rapporto, somme eguali o superiori a quelle complessivamente
versate”.
Sarebbe, poi, violato anche l’art. 41, primo comma, Cost., giacché
il locatore che intenda recedere dal contratto al fine di adibire
l’immobile all’esercizio di un’attività economica, è tenuto, ai sensi
degli artt. 73 e 69, settimo comma, della legge 392 del 1978, al
pagamento di un’indennità il cui importo non era prevedibile al
momento della conclusione del contratto e che può essere tale da
assorbire la totalità dei canoni percepiti (“per effetto della
macroscopica divaricazione tra canoni soggetti a blocco e canoni di
libero mercato, che vengono in considerazione ai fini del conteggio
dell’indennità”), con conseguente grave ed ingiustificata limitazione
della libertà d’iniziativa privata, poiché il proprietario-locatore
dovrebbe sopportare l’intollerabile sacrificio (“non certamente
giustificabile con finalità di ordine sociale, vertendosi in tema di
conflitto tra soggetti esercenti entrambi attività economiche, di cui
l’uno viene a godere di una posizione di vero e proprio privilegio”) di
rinunciare a tutto (o a gran parte di) quanto aveva percepito quale
corrispettivo della cessione del godimento del bene, per ritornarne in
possesso al fine di installarvi la propria attività.
Sarebbe, infine, vulnerato anche l’art. 42, secondo comma, Cost., che
tutela, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il
contenuto minimo del diritto di proprietà; in base a tale norma
costituzionale i limiti alla proprietà degli immobili urbani (fra cui
rientra la previsione dell’indennità di avviamento, a tutela delle
attività economiche socialmente utili) non possono giungere fino al
punto d’annullarla, cosa che si sarebbe verificata nel caso di specie,
dovendo il locatore corrispondere, a titolo di indennità di
avviamento, circa la metà di quanto percepito in oltre venti anni di
locazione.
L’ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata, poi,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 12 del 13 gennaio 1982.
È intervenuta nel giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri,
rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed ha
chiesto, riproducendo il contenuto dei precedenti atti d’intervento,
che la questione venga dichiarata non fondata.
13. – Con ricorso diretto al Pretore di Villa S. Giovanni la società
S.A.I. chiedeva la condanna di Tripepi Eufemia, ved. Grillo, alla
corresponsione dell’indennità per avviamento commerciale, da
determinarsi ai sensi dell’art. 69 della legge n. 392 del 1978, in
conseguenza della sentenza dello stesso Pretore, passata in giudicato,
che aveva accolto la domanda della Tripepi volta ad ottenere il
rilascio di un immobile di sua proprietà concesso in locazione alla
società attrice e da questa destinato a sede della propria agenzia di
Villa S. Giovanni.
La Tripepi, costituitasi in giudizio, deduceva che, mentre, da un
lato, l’agenzia assicuratrice non aveva subito alcun danno a seguito
del rilascio, essendosi trasferita in un immobile a poche centinaia di
metri di distanza, dall’altro, la locatrice non aveva ottenuto alcun
vantaggio, in quanto il rilascio dell’immobile era avvenuto per
necessità abitativa della figlia e non già per lo svolgimento di
attività commerciale; chiedeva, pertanto, il rigetto della domanda. In
subordine eccepiva l’illegittimità della normativa sull’indennità per
la perdita dell’avviamento commerciale, sia perché questa è dovuta
persino in ipotesi di rilascio dell’immobile per necessità abitativa
del locatore, sia per il criterio di liquidazione di tale indennità,
in forza del quale il locatore può essere condannato a pagare una
somma superiore all’ammontare dei canoni percepiti.
Con sentenza del 10 novembre 1980 il Pretore di Villa S. Giovanni
respingeva la domanda proposta dalla S.A.I.. Avverso tale decisione la
società attrice proponeva appello avanti al Tribunale di Reggio
Calabria che, con ordinanza del 22 maggio 1981 (r.o. 664/1981) –
premesso che, alla stregua della normativa vigente, la richiesta
indennità avrebbe dovuto essere corrisposta alla appellante – ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 42 Cost., questione di
legittimità dell’art. 69, settimo comma, della legge n. 392 del 1978.
Rileva anzitutto il giudice a quo che, mentre, secondo la disciplina
precedente, era jus receptum della Corte di cassazione il principio
secondo cui “il diritto al compenso restava subordinato alla prova
specifica della esistenza e della conseguente perdita dell’avviamento e
della concreta utilità derivante al locatore”, nella nuova disciplina
“è stato invece accolto il principio che l’indennità consegue
automaticamente alla cessazione del rapporto in una misura
prestabilita”. Di qui la conseguenza che l’indennità di avviamento
sarebbe dovuta nel caso sottoposto al suo esame, “pur non essendo
provati, ed anzi potendosi escludere il pregiudizio del conduttore e
l’utilità del locatore”.
Se è vero, allora, prosegue il Tribunale, che, nel nuovo sistema,
l’indennità di avviamento trova la sua ragion d’essere
nell’arricchimento di cui si gioverebbe il locatore senza alcun
contributo personale, è evidente che l’interesse del
proprietario-locatore può subire una compressione solo nel caso in cui
egli si avvantaggi del maggior valore dell’immobile creato dalla
attività dell’imprenditore “e solo ove l’interesse del conduttore
abbia una reale consistenza”; ma, allorquando il conduttore non subisca
alcun depauperamento in conseguenza della cessazione del rapporto
locatizio, riesce estremamente difficile giustificare il diritto
all’indennità che il proprietario deve comunque corrispondere, “non
essendo conducente il richiamo alla funzione sociale della proprietà e
alla tutela dell’iniziativa economica”.
Ad avviso del giudice a quo, una siffatta tutela indiscriminata non
avrebbe senso e contrasterebbe anche con il principio d’eguaglianza,
giacché verrebbe a rompere l’equilibrio degli interessi espresso dal
contratto, determinando l’esclusivo vantaggio di un soggetto del
rapporto contrattuale (l’imprenditore), vantaggio che “lungi dal
rispondere ad esigenze vere, aggraverebbe il disagio, già così acuto,
nell’attuale società, per il motivo del predominio legalizzato di una
categoria sull’altra”.
L’identico trattamento riservato dall’art. 69 al
proprietario-locatore che intenda adibire l’immobile di cui è
proprietario ad abitazione propria (e che, quindi, nessuna utilità
trarrebbe dall’immobile valorizzato dall’avviamento) rispetto a colui
che intenda adibirlo ad esercizio di attività commerciale,
costituirebbe, poi, altro motivo di violazione dell’art. 3 Cost.
Infine, il sistema di determinazione dell’indennità ex art. 69,
basato sul canone corrente di mercato per i locali aventi le stesse
caratteristiche, potrebbe condurre ad un’irragionevole compressione del
diritto di proprietà del locatore e ad una conseguente violazione
dell’art. 42 Cost.: non sarebbe raro, infatti, il caso che il
conduttore riceva, a titolo di indennità, più di quanto egli abbia
corrisposto per canoni dovuti al locatore.
L’ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 12 del 13 gennaio 1982.
È intervenuta nel giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri,
rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo,
riprodotte le deduzioni precedentemente svolte, che la questione sia
dichiarata non fondata.
Si è costituita la parte privata Tripepi Eufemia, rappresentata dal
prof. avv. Vincenzo Panuccio e dall’avv. Francesco Musolino, con atto
di deduzioni depositato il 7 luglio 1981, domandando, in primo luogo,
la pronuncia di una sentenza interpretativa di rigetto e, solo in
subordine, una decisione di illegittimità costituzionale della norma
denunciata dal Tribunale.
Quanto alla prima richiesta, rileva la difesa che le attuali
disposizioni in materia di avviamento, esaminate nella loro continuità
storico-positiva rispetto alla legge del 1963, hanno avuto l’unico
scopo di eliminare dispute sulla entità del vantaggio del locatore,
escludendo l’accertamento, caso per caso, di elementi di fatto di
difficile acquisizione; ne è conseguita una rigidità del meccanismo
di calcolo che ha comportato il mancato riferimento esplicito ai
presupposti, giuridici e di fatto, dell’indennità di avviamento (la
sussistenza e la correlativa perdita dell’avviamento) nei quali
soltanto può concretarsi l’utilità del locatore.
La ratio dell’attuale disciplina, prosegue la difesa, è stata
individuata dalla sentenza n. 36 del 1980 della Corte costituzionale la
quale ha ribadito che l’indennizzo a carico del locatore tende a
ristabilire l’equilibrio di ordine economico e sociale che verrebbe
turbato dal suo arricchimento, nell’ipotesi in cui egli subentri al
conduttore nella medesima attività o nel caso in cui, locando
l’immobile, ottenga, comunque, canoni particolarmente elevati in
funzione dell’avviamento dovuto all’attività svolta dal conduttore.
Tutto ciò, prosegue la difesa, “si evince chiaramente dall’esclusione
dell’indennizzo in quei casi in cui non è ravvisabile l’inerenza
diretta all’immobile dell’avviamento creato dal conduttore, giacché
trattasi di attività in cui prevale l’elemento soggettivo o
organizzativo imprenditoriale, indipendentemente dalla sede, o comunque
in ipotesi che escludono il verificarsi di quelle esigenze di
riequilibrio economico e sociale che costituiscono la ratio della
norma”.
Conseguentemente, “vien meno la ratio della norma nei casi in cui
(come il presente), non si verifica alcuno squilibrio di ordine
economico-sociale, né alcun arricchimento da riequilibrare, ma
addirittura si verrebbe proprio a creare tale squilibrio, mediante un
arricchimento indebito a favore del conduttore che verrebbe ad essere
privilegiato”. Tale argomentazione, prosegue la difesa, trova conforto
nello stesso art. 34 della legge n. 392 del 1978 che, nella sua
intitolazione (“Indennità per la perdita dell’avviamento”), postula,
anche letteralmente, “che un avviamento sussista, che venga perduto,
che il conduttore” (recte: il locatore) “in qualche modo lo utilizzi,
posto che anche letteralmente l’art. 31 include l’indennità ex art. 34
fra i risarcimenti del danno, il che significa che un danno deve
esserci stato e deve essere in concreto dimostrato”.
Il significato tecnico-giuridico di indennità presuppone, anche per
la nuova legge, la sussistenza di un avviamento, la perdita e
l’utilizzo di esso da parte del conduttore, insomma, un danno,
conformemente alla “continuità dei presupposti operativi e delle
finalità perseguite tra la vecchia e la nuova legge, ulteriormente
ribadita dall’art. 35” (legge n. 392 del 1978) “che esclude da tale
indennità situazioni caratterizzate, di regola, dalla mancanza di
elementi che, evidentemente, negli altri casi, il legislatore ha inteso
e voluto tutelare (insuperabile argomento a contrario), non essendo
contemplata, nelle ipotesi di esclusione, l’inerenza diretta
all’immobile dell’avviamento creato dal conduttore, perché si tratta
di attività in cui ordinariamente prevale l’elemento soggettivo o
organizzativo imprenditoriale indipendentemente dalla sede in cui
l’attività viene esercitata, o comunque in ipotesi particolari che
escludano quella esigenza di equilibrio economico-sociale che
costituisce la ratio della norma”.
Per quel che concerne la legittimità costituzionale della disciplina
transitoria sulla indennità per la perdita dell’avviamento, la difesa,
dopo aver sviluppato considerazioni adesive a quelle formulate
nell’ordinanza di rimessione, ha indicato, quali ulteriori parametri di
raffronto, gli artt. 41, primo comma, e 47 Cost..
In data 13 novembre 1982 la difesa della Tripepi ha depositato una
memoria con la quale ribadisce gli argomenti a favore della
illegittimità costituzionale della normativa impugnata. In
particolare vi si rileva che l’Avvocatura dello Stato “non ha
minimamente toccato la fattispecie che riguarda la concludente”, che
concerne la illegittimità dell’indennità di avviamento ex art. 69
nell’ipotesi di recesso locativo “per necessità abitativa del
locatore”, menzionando, invece, esclusivamente, giusta il richiamo alla
sentenza n. 36 del 1980 di questa Corte, l’utilizzo da parte del
locatore dell’immobile già locato, per uso diverso da abitazione.
14. – Covati Gino, proprietario di alcuni locali adibiti dai
conduttori Francesco Grandi ed Ercolina Vitali ad esercizio per la
vendita di prodotti alimentari, con ricorso al Pretore di Vigevano
domandava, previa declaratoria della legittimità del recesso
anticipato precedentemente intimato, la condanna dei conduttori al
rilascio dei locali. Instauratosi il contraddittorio, i convenuti
contestavano le avverse deduzioni, proponevano domanda riconvenzionale
per il pagamento dell’indennità di avviamento commerciale ex artt. 73
e 69, settimo comma, legge n. 392 del 1978 ed eccepivano
l’illegittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3 e 42 Cost.,
delle predette disposizioni.
Il giudice adito, con ordinanza 31 luglio 1981 (r.o. 694/1981) –
prima di decidere sulla domanda di rilascio – ha sollevato l’eccepita
questione di legittimità costituzionale, indicando, peraltro, come
parametri di raffronto, i soli artt. 3 e 42 Cost.; denunciava
altresì, in relazione all’art. 3 Cost., l’illegittimità
costituzionale dell’art. 69, ottavo comma, legge n. 392 del 1978.
L’ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 26 del 27 gennaio 1982.
Anche in tale giudizio ha spiegato intervento la Presidenza del
Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale
dello Stato, che, senza formulare alcuna deduzione sull’impugnativa
dell’art. 69, ottavo comma, legge n. 392 del 1978, ha riprodotto il
contenuto dei precedenti atti di intervento.
15. – Nel corso della causa di opposizione a precetto di rilascio di
un immobile adibito ad uso di parrucchieria per signora, promossa da
Nencioni Orsetta – dopo che le era stato notificato atto di precetto
per il rilascio del locale in forza di sentenza del Giudice
conciliatore di Poggibonsi, confermata dal Pretore in sede di appello –
deducendo che il diritto dei proprietari locatori, Consortini Giovanni
e Gloria e Fornai Natale e Antonio, di procedere all’esecuzione forzata
per il rilascio, non poteva essere esercitato fino a che gli stessi non
avessero provveduto a corrispondere l’indennità di avviamento, da
determinarsi sulla base del canone corrente di mercato (i locatori
avevano inviato un assegno di sole L. 538.200, pari a diciotto
mensilità del canone effettivamente corrisposto, assegno che
l’opponente aveva respinto), il Pretore di Poggibonsi, su eccezione
della Nencioni, ha sollevato, con ordinanza del 28 marzo 1981 (r.o.
739/1981), in relazione all’art. 3 Cost. (il parametro costituzionale
non è, peraltro, riprodotto nel dispositivo del provvedimento di
rimessione), questione di legittimità costituzionale dell’art. 73
legge n. 392 del 1978, modificato dall’art. 1 bis legge n. 93 del 1979,
in relazione all’art. 69, settimo comma, legge n. 392 del 1978, “nella
parte in cui commisura l’indennità di avviamento commerciale al canone
corrente di mercato anche per l’ipotesi che si tratti di immobile la
cui locazione è soggetta a proroga legale ed il recesso del locatore
è fondato sulla necessità di adibirlo ad attività propria o dei
congiunti, ed anche nel caso in cui l’importo predetto venga a superare
l’ammontare complessivo dei canoni di fatto percepiti dal locatore”.
Premette il giudice a quo che la parificazione delle modalità di
calcolo dell’indennità tra contratti (come nella specie) soggetti a
proroga e contratti non soggetti a proroga, ha una sua puntuale
giustificazione nel fatto che il canone coincida con quello corrente di
mercato e sia approssimato, per eccesso o per difetto, a tale canone; e
ciò perché “in qualche modo si è voluto ancorare il valore
dell’indennità all’utile generico derivato ad entrambe le parti dal
rapporto locatizio, laddove non era più possibile avere riguardo al
criterio variabile, vigente sotto l’impero della legge n. 19 del 1963,
che teneva conto anche della specifica utilità che veniva di fatto a
conseguire il locatore dall’avviamento commerciale instaurato, e
perduto dal conduttore”.
Senonché, prosegue il Pretore, “l’utilità specifica del locatore
torna, in via eccezionale, ad essere considerata anche nella nuova
normativa, laddove prevede che l’indennità va commisurata a 36,
anziché 18, mensilità dell’ultimo canone corrisposto (art. 34,
secondo comma), quando l’immobile venga adibito all’esercizio della
stessa attività o di attività affine a quella esercitata dal
conduttore”: di qui la conseguenza che, sia pure solo a tal fine, la
legge prende ancora in considerazione la posizione del locatore.
Se ciò è vero, “non è seriamente dubitabile che l’ipotesi per cui
è causa, configurandosi come sostanzialmente diversa da quella
ordinaria, nonché, normalmente, da quella disciplinata in via
transitoria ma con riferimento agli immobili locati in regime di
contrattazione libera, meriti un trattamento differenziato, che tenga
in debito conto l’ammontare dei canoni, a volte irrisorio, realmente
corrisposto al locatore, di tal che l’esercizio del suo diritto di
recedere ante diem dal contratto per provata necessità di adibire
l’immobile ad abitazione o attività commerciale, propria, del coniuge
o dei parenti, non si traduca in una ingiusta sanzione economica nei di
lui confronti”.
Ed allora, conclude il giudice a quo, l’attuale sistema, che ha
adottato, per la determinazione dell’indennità di avviamento, un
assoluto automatismo, è necessario che operi, “in situazioni
sostanzialmente omogenee con eguali indici e, in situazioni
sostanzialmente eterogenee, con indici differenziati”, giacché
l’esigenza di tutelare il conduttore dell’immobile non può
considerarsi così preminente “da trascurare del tutto il valore del
rapporto locatizio, il regime vincolato o meno della determinazione del
canone e qualsiasi giusto interesse del locatore, che potrebbe vedersi
tenuto a corrispondere, a titolo di indennità, una somma di gran lunga
superiore a quella da lui percetta a titolo di prezzo complessivo per
l’uso dell’immobile, senza garanzia, per altro, che a quella indennità
corrisponda in suo favore un qualche vantaggio”.
L’ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 47 del 17 febbraio 1982.
È intervenuta nel giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri,
rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo,
senza addurre ulteriori argomenti, che la questione sia dichiarata non
fondata.
1. – Le diciotto ordinanze in epigrafe sottopongono alla Corte
questioni di legittimità costituzionale in parte coincidenti, in parte
strettamente connesse: i relativi giudizi vengono, pertanto, riuniti e
decisi con un’unica sentenza.
2. – Tutte le ordinanze risultano emanate nel corso di procedimenti
che, pur variamente articolati quanto a natura, stato o grado, si
presentano caratterizzati da due connotati comuni. E, cioè,
anzitutto, dal fare comunque riferimento, in partenza, al rilascio,
già ottenuto o anche soltanto richiesto, di un immobile locato per uso
non abitativo, sulla base di un contratto “in corso soggetto a proroga”
ai sensi dell’art. 67 della legge 27 luglio 1978, n. 392, in ordine al
quale il rispettivo locatore si è avvalso di uno dei motivi di recesso
riconosciuti operanti per questa categoria di contratti dall’art. 73
della legge n. 392 del 1978 (articolo oggi vigente nel testo novellato
dall’art. 1 bis del decreto legge 30 gennaio 1979, n. 21, convertito
con modificazioni nella legge 31 marzo 1979, n. 93). In secondo luogo,
dall’avere come oggetto di domanda, principale o riconvenzionale a
seconda dei casi, la determinazione dell’indennità di avviamento
commerciale nei termini configurati dall’art. 69, settimo comma, della
legge n. 392 del 1978, espressamente richiamato alla fine del terzo ed
ultimo periodo dell’art. 73, quale risulta a seguito dell’accennata
novellazione.
Va, peraltro, sottolineato subito che nessuna ordinanza mette in
discussione la legittimità della suddetta normativa nella parte in cui
essa specifica i motivi di recesso fatti valere dai locatori, mentre
tutte sollevano dubbi nei confronti della parte della normativa che
prevede l’indennità per la perdita dell’avviamento (artt. 73, ultimo
periodo, e 69, settimo comma, della legge n. 392 del 1978). In aggiunta
a questo tipo di dubbi, due ordinanze di rimessione ne prospettano
altri, aventi portata più particolare: così, la seconda delle tre
ordinanze emanate dal Pretore di Paternò (r.o. 294/1981) si duole
anche del fatto che l’art. 73 della legge n. 392 del 1978 non preveda,
quale motivo di recesso per il locatore di un immobile adibito ad uso
diverso da abitazione, la disponibilità di un diverso immobile da
parte del conduttore; a sua volta, l’ordinanza del Pretore di Vigevano
(r.o. 694/1981) si domanda se sia legittimo che l’esecuzione del
provvedimento di rilascio dell’immobile venga subordinata dall’art. 69,
ottavo comma, della legge n. 392 del 1978 all’avvenuta corresponsione
dell’indennità di avviamento.
3. – Le suddette precisazioni, per quanto sintetiche, consentono di
prendere posizione sulle riserve in punto di rilevanza manifestate, sia
pur incidentalmente, dall’Avvocatura dello Stato in due distinte
occasioni: la prima volta, con l’atto di intervento nel giudizio di
legittimità (r.o. 881/1979) promosso dal Giudice conciliatore di
Caltanissetta (in quell’ordinanza, ad avviso dell’Avvocatura, non vi
sarebbe “traccia di un qualunque accenno al problema della rilevanza
delle questioni sollevate”); la seconda volta, con l’atto d’intervento
nel giudizio di legittimità (r.o. 757/1980) promosso dal Giudice
conciliatore di Andria (per l’Avvocatura, sussisterebbero le “più
serie perplessità” sulla rilevanza della questione dedotta “in
presenza di una domanda di rilascio in ordine alla quale il giudice a
quo non ha provveduto, sembrando ovvio il rilievo che in tanto una
statuizione sull’indennità in questione potrà essere emessa, in
accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dal convenuto, in
quanto avrà avuto ingresso la domanda attrice”).
Mentre non è condivisibile l’addebito mosso all’ordinanza del
Giudice conciliatore di Caltanissetta, giacché dalle sue premesse in
fatto (rilascio richiesto invocando la necessità di adibire l’immobile
ad una specifica attività commerciale del locatore; data di insorgenza
dell’invocata necessità; accertata manifestazione della volontà di
recedere ed intervenuto preavviso ai sensi della legge; esigenza di
pronunciare sull’indennità di avviamento) si ricavano tutti gli
estremi necessari per la ricostruzione della fattispecie concreta su
cui le sorti della norma impugnata verrebbero comunque ad incidere, le
perplessità manifestate nei confronti dell’altra ordinanza si
appalesano talmente giustificate da non coinvolgere la sola ordinanza
del Giudice conciliatore di Andria, né, conseguenza non meno
importante, la sola questione avente ad oggetto la norma che prevede
l’indennità per la perdita dell’avviamento.
Il requisito della rilevanza implica necessariamente che la questione
dedotta abbia nel procedimento a quo un’incidenza attuale e non
meramente eventuale: solo quando il dubbio investa una norma dalla cui
applicazione il giudice ordinario dimostri di non poter prescindere, si
concretizza il fenomeno della pregiudizialità costituzionale e trova
posto la sospensione del procedimento.
La situazione di non rilevanza evidenziata dall’Avvocatura dello
Stato con particolare riferimento all’ordinanza del Giudice
conciliatore di Andria è esemplare in proposito. Di fronte ad una
domanda per il rilascio di un immobile adibito ad uso non abitativo,
presentata adducendo l’esistenza di un valido motivo di recesso,
qualsiasi discussione, tanto in linea di diritto quanto in linea di
fatto, sull’indennità per la perdita dell’avviamento, conseguente alla
riconosciuta operatività del recesso, è da ritenersi assolutamente
prematura e, quindi, inconferente sino a che non sia stata accertata la
validità anche formale dell’addotto motivo di recesso ed ordinato
altrettanto formalmente il rilascio dell’immobile. Pertanto, la
circostanza che il Giudice conciliatore di Andria abbia messo in dubbio
la legittimità costituzionale della norma che prevede l’indennità di
avviamento, prima ancora di essersi pronunciato sulla domanda
principale, comporta l’inammissibilità della dedotta questione per
difetto di rilevanza.
La medesima conclusione negativa si impone per altre sei ordinanze,
contrassegnate dalla stessa sfasatura che si è riscontrata in quella
del Giudice conciliatore di Andria: sono le ordinanze del Pretore di
Piazza Armerina (r.o. 75/1981), del Pretore di Paternò (più
esattamente, la prima di tale giudice: r.o. 216/1981), del Pretore di
Latina (r.o. 266/1981) e del Pretore di Pescara (più esattamente, la
seconda di tale giudice: r.o. 288/1981), nonché le già menzionate
ordinanze dello stesso Pretore di Paternò e del Pretore di Vigevano. A
proposito di queste ultime due – che, come si è detto in precedenza,
non si sono limitate a mettere in discussione la legittimità della
sola norma che prevede l’indennità per la perdita dell’avviamento –
occorre precisare che l’inammissibilità per difetto di rilevanza va
dichiarata anche per quanto concerne la questione avente ad oggetto
l’altra norma da ciascuna di esse ulteriormente denunciata. Il discorso
sui rapporti con la domanda principale viene a porsi, infatti, in
termini non dissimili: così, da un lato, la questione (Pretore di
Vigevano) avente ad oggetto la norma che subordina l’esecuzione del
provvedimento di rilascio all’avvenuta corresponsione dell’indennità
in tanto può dirsi rilevante in quanto già sia stata emanata
l’ordinanza di rilascio dell’immobile, in mancanza della quale non sono
neppure proponibili problemi attinenti all’esecuzione; dall’altro, la
questione (Pretore di Paternò, seconda ordinanza) avente ad oggetto la
mancata previsione di un ulteriore motivo di possibile recesso in tanto
può dirsi rilevante nella specie in quanto il giudice adito abbia
prima disconosciuto l’esistenza o comunque l’operatività del motivo
inizialmente addotto dal locatore recedente sulla base delle
disposizioni vigenti.
Sempre per difetto di rilevanza è, infine, da dichiarare
inammissibile la questione proposta dall’ordinanza del Pretore di Enna
(r.o. 240/1981), emanata nel corso di un procedimento instaurato dai
locatori di un immobile per ottenere la determinazione dell’indennità
di avviamento dovuta al conduttore nella da essi auspicata eventualità
dell’accoglimento della domanda precedentemente avanzata in altra sede
per il rilascio. Lo sdoppiamento, operato dai locatori, tra l’azione di
rilascio e l’azione di accertamento dell’indennità eventualmente
spettante al conduttore non elimina, nella pendenza del primo
procedimento, le carenze riscontrabili sotto il profilo dell’attuale
incidenza della questione, anche perché ad acuirle contribuisce il
fatto che l’ordinanza non contiene alcun cenno alla situazione posta a
base della domanda di rilascio, donde l’innegabile genericità della
fattispecie presa in considerazione.
4. – Nello scendere ad esaminare il merito delle restanti dieci
ordinanze, tutte emanate in presenza di un rilascio dell’immobile già
disposto dal giudice o concordato tra le parti, si rende indispensabile
prendere le mosse dall’esatta individuazione delle questioni in
oggetto, per vero piuttosto variamente prospettate. Ciò vale non tanto
per quel che riguarda i parametri costituzionali invocati dai giudici a
quibus (riassuntivamente: gli artt. 3, 41, 42 e 47 Cost., chiamati in
causa talvolta tutti assieme, talvolta in combinazioni differenziate,
talvolta singolarmente, magari sotto più profili), quanto per quel che
riguarda la norma o le norme ordinarie censurate (alcune ordinanze
denunciano nel dispositivo il solo art. 69, settimo comma, della legge
n. 392 del 1978, ora senza specificare ulteriormente, ora con
riferimento ad una parte appositamente individuata; altre ordinanze,
sempre nel dispositivo, denunciano congiuntamente gli artt. 69 e 73
della medesima legge, anch’esse talora senza ulteriori specificazioni
all’infuori di quella concernente il settimo comma dell’art. 69, talora
con riferimento ad una parte specificamente individuata).
Tenendo nel debito conto sia la motivazione di ogni ordinanza, sia le
circostanze di fatto che di ciascuna meglio puntualizzano la portata
attraverso l’accertata, necessaria, rilevanza della pronuncia richiesta
alla Corte, si ricava agevolmente che tutti i giudici a quibus dubitano
della legittimità di un combinato disposto, sempre in attinenza alla
disciplina transitoria di cui al titolo II della legge n. 392 del 1978.
Più precisamente, la già menzionata ordinanza del Giudice
conciliatore di Caltanissetta (r.o. 881/1979), con riferimento agli
artt. 3, 41, 42 e 47 Cost., dubita della legittimità del combinato
disposto degli artt. 69, settimo comma, e 73 della legge n. 392 del
1978, nella parte in cui, per tutte le ipotesi di recesso contemplate
dall’art. 73 (“i motivi di cui all’art. 29” della stessa legge), pone a
carico del locatore il pagamento di un’indennità per avviamento
commerciale in favore del conduttore. Invece, l’ordinanza del
Tribunale di Reggio Calabria (r.o. 664/1981), con riferimento agli
artt. 3 e 42 Cost., dubita della legittimità del combinato disposto
degli artt. 69, settimo comma, e 73 della legge n. 392 del 1978, nella
parte in cui, con particolare riguardo al recesso motivato con
l’esigenza di adibire l’immobile ad abitazione propria del locatore o
del coniuge o di un parente entro il secondo grado in linea retta,
impone al locatore il pagamento dell’indennità per avviamento
commerciale, e, in via subordinata, nella parte in cui, sempre con
riguardo a tale fattispecie, commisura l’indennità per l’avviamento
sulla base del canone corrente di mercato per i locali aventi le stesse
caratteristiche.
Infine, le ordinanze del Pretore di Pescara (più esattamente la
prima di tale giudice: r.o. 93/1981), del Tribunale di Parma (r.o.
105/1981), del Pretore di Rovigo (r.o. 195/1981), del Tribunale di
Gorizia (r.o. 592/1981), del Pretore di Vasto (r.o. 623/1981), del
Pretore di Roma (r.o. 645/1981), del Pretore di Poggibonsi (r.o.
739/1981) e del Pretore di Paternò (più esattamente, la terza di tale
giudice: r.o. 773/1981) – la prima con riferimento all’art. 42, secondo
comma, Cost.; quella del Pretore di Roma agli artt. 3, primo comma, 41,
primo comma, e 42; quella del Pretore di Paternò agli artt. 3, 41, 42
e 47; le rimanenti agli artt. 3 e 42 – incentrano le proprie doglianze
esclusivamente sull’ultimo dei suddetti combinati disposti, non senza,
in qualche occasione, determinarne ulteriormente i confini. Così,
l’ordinanza del Pretore di Paternò sottopone all’esame della Corte il
combinato disposto degli artt. 69 e 73 della legge n. 392 del 1978,
nella parte in cui determina “la misura dell’indennità per avviamento
commerciale, con riferimento non già all’ultimo canone corrisposto,
come previsto in via generale dall’art. 34, ma al canone corrente di
mercato”, mentre nell’ordinanza del Pretore di Poggibonsi si aggiunge
che la questione è sollevata con riguardo all'”ipotesi in cui si
tratti di immobile la cui locazione è soggetta a proroga legale”.
L’opportunità, anzi la necessità, di quest’ultima indicazione, che
inserisce nel combinato disposto assoggettato a vaglio di
costituzionalità anche l’art. 67 della legge n. 392 del 1978, articolo
il cui primo comma delinea la categoria dei “contratti in corso
soggetti a proroga”, è senz’altro fuori discussione, dal momento che
tutti i procedimenti a quibus fanno riferimento a contratti di
locazione “in corso al momento dell’entrata in vigore della presente
legge e soggetti a proroga secondo la legislazione vigente” e mai a
contratti del tipo previsto dall’art. 70 oppure del tipo previsto
dall’art. 71 della stessa legge n. 392 del 1978, ai quali, pure, l’art.
73 estende l’applicazione dell’art. 69, settimo comma.
Non altrettanto opportuno, anzi inammissibile per irrilevanza, appare
il richiamo dell’ordinanza del Pretore di Paternò, invece che alle
sole ipotesi di recesso, anche alle ipotesi “di mancato rinnovo del
contratto di locazione di immobile adibito ad uso diverso
dall’abitazione”. Se è pur vero che l’art. 69 risulta di per sé
dettato con preciso riguardo alle ipotesi di mancata rinnovazione alla
“scadenza prorogata” di un contratto del tipo suddetto, non è men vero
che nella fattispecie concreta e in tutte le altre che hanno dato
origine al presente giudizio non era in discussione – né poteva
esserlo, stante la non ancora intervenuta scadenza dei termini
ulteriormente prorogati – un’ipotesi di non rinnovazione del contratto.
Il che, oltre a dimostrare la riferibilità delle questioni dedotte
unicamente alle ipotesi di recesso, conferma come, nonostante la
formulazione più limitata di parecchi dispositivi, dalle ordinanze in
esame l’art. 69, settimo comma, venga coinvolto non da solo, ma sempre
in combinato disposto con l’art. 73, nonché con l’art. 67, della
stessa legge n. 392 del 1978.
Va, piuttosto, precisato ancora, quanto alle ipotesi di recesso, che
da un esame globale delle ordinanze di rimessione e dei relativi
procedimenti non tutti “i motivi di cui all’art. 29” della legge n.
392 del 1978 risultano fatti valere in concreto. Infatti, si è sempre
e solo in presenza di casi previsti dalle lettere a) e b) del primo
comma di tale articolo, rispetto ai quali – per espressa statuizione
del secondo periodo dell’art. 73, così come novellato dall’art. 1 bis
del decreto legge 30 gennaio 1979, n. 21, convertito con modificazioni
nella legge 31 marzo 1979, n. 93 – la facoltà di recesso “è
riconosciuta soltanto ove ricorra la necessità del locatore o del
coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta,
verificatasi dopo la costituzione del rapporto locatizio”.
5. – Ovviamente, si deve esaminare per prima la questione sollevata
dal Giudice conciliatore di Caltanissetta: una declaratoria di
illegittimità della norma che, per tutti i casi qui considerati,
impone comunque il pagamento dell’indennità di avviamento commerciale,
assorbirebbe sia la questione con cui il Tribunale di Reggio Calabria
lamenta la previsione di una tale indennità con specifico riguardo
alle ipotesi di necessità abitativa del locatore, sia le questioni
concernenti lo specifico indice assunto a base della commisurazione di
detta indennità, sollevate in via subordinata dal Tribunale di Reggio
Calabria ed in via esclusiva dalle altre otto ordinanze.
La questione non è fondata.
Come questa Corte ha, sia pur indirettamente, avuto modo di precisare
in una recente occasione (v. la sentenza n. 128 del 1983),
pronunciandosi in ordine alla collegata tematica del diritto di
prelazione per il caso di nuova locazione e del diritto di prelazione e
riscatto per il caso di vendita, con particolare riguardo ai rapporti
tra l’art. 73 e l’art. 41 della legge n. 392 del 1978, l’attuale
previsione dell’indennità per la perdita dell’avviamento ha quale
scopo “la conservazione, anche nel pubblico interesse, delle imprese
considerate”, cioè delle imprese esercenti una delle attività di cui
ai numeri 1 e 2 dell’art. 27, salvi i limiti posti dall’art. 35, e
quale principale, più generale, giustificazione un “contenuto
riparatorio del danno subito dal locatario per la perdita
dell’avviamento stesso”.
Poiché il verificarsi di un danno per il conduttore esercente le
attività di cui sopra rappresenta la regola allorché la cessazione
del rapporto di locazione avvenga su iniziativa del locatore, il
legislatore vuole che in tutti i casi del genere un’indennità a favore
del locatario faccia carico al locatore. A questo fine, la legge n. 392
del 1978, che nel testo originario non contemplava alcuna indennità
per la perdita dell’avviamento a seguito di recesso del locatore da un
contratto prorogato ai sensi dell’art. 67, nel testo novellato in sede
di conversione del decreto-legge n. 21 del 1979 ha esteso a tutte le
ipotesi di recesso il diritto del conduttore all’indennità.
Alla stregua di dette costatazioni, nessuna delle doglianze,
sollevate tutte dal Giudice conciliatore di Caltanissetta sulla
falsariga di quelle che il medesimo ufficio aveva più volte
prospettato nei riguardi dell’art. 34 della legge n. 392 del 1978,
norma regolatrice dell’indennità per la perdita dell’avviamento
relativamente ai nuovi contratti di locazione aventi ad oggetto
immobili non adibiti ad uso abitativo, può essere condivisa.
Anche qui, infatti, valgono le argomentazioni con le quali questa
Corte ha dichiarato non fondate le corrispondenti questioni proposte,
appunto, in ordine all’art. 34 (v. la sentenza n. 36 del 1980). Così
si dica, anzitutto, per le “discriminazioni” tra inquilini e,
inversamente, tra locatori, lamentate in conseguenza del fatto che
l’indennità è dovuta in relazione alle sole attività di cui ai
numeri 1 e 2 dell’art. 27, con l’esclusione di quelle di cui all’art.
35 della stessa legge n. 392 del 1978: nessuna irrazionalità è
riscontrabile in siffatta enucleazione di categorie, restando
l’indennità circoscritta alle attività per le quali si ravvisa
un'”inerenza diretta all’immobile dell’avviamento creato dal
conduttore” (sent. n. 36 del 1980), in quanto attività che
presuppongono “contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei
consumatori” (sent. n. 128 del 1983). Né possono ritenersi irrazionali
le altre “discriminazioni” tra inquilini e, inversamente, tra locatori
derivanti dai necessariamente diversi meccanismi di computo predisposti
per i contratti soggetti a proroga dall’art. 69, a seconda che ricorra
una delle situazioni di mancato rinnovo da parte del conduttore
previste dal sesto comma oppure la situazione di non voluto rinnovo da
parte del locatore prevista dal settimo comma, cui l’art. 73 allinea –
circostanza trascurata dal giudice a quo – il trattamento delle ipotesi
di recesso.
La violazione dell’art. 41 Cost., che l’onere di indennizzo gravante
sul locatore cagionerebbe sia con il rendere difficile, per chi voglia
“oggi iniziare” una delle attività in parola, il reperimento di
immobili da affittare a prezzi accessibili, sia con l’indurre i
locatori a “svendere” i loro immobili “piuttosto che correre l’alea di
dover ricorrere a mutui” per pagare l’indennità di avviamento, va
esclusa sol che si tenga presente come la libertà di iniziativa
economica “si accompagni ad eventuali condizionamenti, intesi a
conseguire fini sociali” (sent. n. 36 del 1980), fra i quali rientra la
tutela dell’avviamento commerciale, finalizzata alla “conservazione,
anche nel pubblico interesse, delle imprese” di cui sopra si è detto
(sent. n. 128 del 1983).
Quanto alla violazione dell’art. 42 Cost., lamentata sulla base del
rilievo che il locatore, quale proprietario, subirebbe “una vera e
propria espropriazione forzata senza compenso”, è già stato osservato
che, in ordine all’indennità per la perdita dell’avviamento, difetta
totalmente “quella connotazione di natura reale” che caratterizza il
fenomeno espropriativo (sent. n. 36 del 1980). Non meno inconsistente
si palesa il richiamo all’art. 47 Cost.: a parte che ogni normativa del
tipo in esame “non è tale da influire sul complesso campo di
attuazione del risparmio, che presenta indubbiamente altre possibilità
di assorbimento” (sent. n. 36 del 1980), una scelta legislativa
favorevole a riconoscere in linea di principio una qualche indennità
per la perdita dell’avviamento non basta sicuramente a vanificare il
risparmio in immobili locati per uso non abitativo.
6. – Anche la questione sollevata in via principale dall’ordinanza
del Tribunale di Reggio Calabria, pure essa da affrontare con
precedenza sulle questioni attinenti alla commisurazione
dell’indennità, non è fondata.
L’attenzione prestata dal legislatore al danno subito, secondo l’id
quod plerumque accidit, dal conduttore e la preoccupazione per la
conservazione delle imprese “in contatto diretto con il pubblico degli
utenti e dei consumatori” valgono ad escludere la violazione del
principio di eguaglianza che l’ordinanza di rimessione addebita, in uno
con la violazione dell’art. 42 Cost., alla soluzione positiva
unitariamente data al problema dell’an debeatur. La previsione di un
indennizzo a carico di ogni locatore recedente, compreso quello che
abbia necessità di adibire l’immobile ad abitazione propria o del
coniuge o di un parente entro il secondo grado in linea retta, trova
una razionale spiegazione proprio nelle due esigenze di cui sopra,
ritenute meritevoli di tutela a prescindere dalla posizione del
locatore e, perciò, qualunque sia il motivo di recesso fatto valere da
quest’ultimo.
7. – Ad un discorso più complesso, per le maggiori articolazioni che
vi ineriscono, danno luogo le questioni concernenti la legittimità
costituzionale del combinato disposto degli artt. 69, settimo comma, e
73 della legge n. 392 del 1978, nella parte in cui prevede che al
conduttore sia dovuta un’indennità determinata sulla base del canone
corrente di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche. E
ciò non solo e non tanto perché, mentre alcune ordinanze non
forniscono precisazioni sull’indice da adottare in via sostitutiva,
altre fanno riferimento in proposito all’ultimo canone corrisposto,
richiamandosi, talora nella sola motivazione (Tribunale di Gorizia,
Pretore di Roma, Pretore di Poggibonsi), talora anche nel dispositivo
(Pretore di Paternò), all’indice che l’art. 34, primo comma, della
stessa legge utilizza per determinare l’indennità di avviamento
commerciale in ordine alla cessazione dei nuovi rapporti di locazione,
aventi ad oggetto un immobile adibito ad uso non abitativo, sorti a
partire dal 30 luglio 1978. Quanto e soprattutto perché, pur essendo
le questioni prospettate ogni volta in termini generali, cioè con
dispositivi che non distinguono a seconda del motivo addotto ai fini
del recesso, per due dei procedimenti a quibus – quello davanti al
Tribunale di Reggio Calabria e quello davanti al Pretore di Paternò –
il recesso preso in considerazione risulta motivato con l’esigenza di
adibire l’immobile “ad abitazione propria o del coniuge o dei parenti
entro il secondo grado in linea retta”, mentre per le altre ordinanze
il rispettivo procedimento a quo concerne un recesso motivato con
l’esigenza di adibire l’immobile “all’esercizio, in proprio o da parte
del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta, di una
delle attività indicate nell’art. 27” della legge n. 392 del 1978: a
proposito delle quali attività si potrebbe ulteriormente distinguere,
a seconda che si sia o no in presenza “della stessa attività o di
attività incluse nella medesima tabella merceologica che siano affini
a quella già esercitata dal conduttore uscente ed ove il nuovo
esercizio venga iniziato entro un anno dalla cessazione della
precedente” (art. 34, secondo comma, espressamente richiamato, quanto
“ai casi” in esso previsti, dall’ultimo periodo dell’art. 69, settimo
comma).
D’altronde, ad evidenziare queste, e consimili, distinzioni provvede
la stessa strutturazione dell’art. 29 della legge n. 392 del 1978, con
le lettere a), b), c) e d) in cui è suddiviso il primo comma e con i
vari periodi di cui consta il secondo comma, il tutto oggetto di
espresso rinvio da parte dell’art. 73, primo periodo, anche se – come
già si è accennato sotto altra prospettiva, con riguardo al profilo
della rilevanza – l’inserimento nel medesimo art. 73 dell’attuale
secondo periodo, avvenuto in sede di conversione del decreto legge n.
21 del 1979, ha portato ad isolare da quel tutto i motivi “previsti
dalle lettere a), b) e dall’ultimo periodo del secondo comma dell’art.
29”. Prova ne sia che proprio l’aver ristretto, per questi motivi,
l’ambito d’esercizio della facoltà di recesso, riconoscendola
“soltanto ove ricorra la necessità… verificatasi dopo la
costituzione del rapporto locatizio”, ha dato adito alla particolare
problematica di costituzionalità ora in esame, chi aramente collegata
al ri chie sto requisito della “necessità”, nell’intento di sottoporre
a verifica da parte di questa Corte la congruenza del trattamento che
le varie “esigenze” considerate ricevono sul piano dei rapporti fra
diritto di recesso e misura dell’indennità dovuta al conduttore per la
perdita dell’avviamento commerciale, quali risultano attraverso il
rinvio che in via generale l’art. 73 fa all’art. 69, settimo comma,
della legge n. 392 del 1978, comma dettato per la determinazione
dell’indennità di avviamento “qualora il locatore non intenda
procedere al rinnovo della locazione”.
8. – Poiché, ad avviso dei giudici a quibus, la determinazione
dell’indennità di avviamento “sulla base del canone corrente di
mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche” (art. 69,
settimo comma, della legge n. 392 del 1978), anziché sulla base
dell'”ultimo canone corrisposto”, porterebbe, nei casi in questione, a
risultati troppo pesanti per il locatore – sia nel senso di sottoporre
ad un’eccessiva compressione il suo diritto di proprietà (nonché, per
qualche giudice a quo, la sua libertà di iniziativa economica ed il
suo impegno al risparmio), sia nel senso di rendere la sua situazione
assai più onerosa di quella del locatore che, non rinnovando un
contratto di locazione stipulato per uso non abitativo in data
successiva al 29 luglio 1978, è tenuto al pagamento di un’indennità
commisurata all’ultimo canone corrispostogli dal conduttore (art. 34,
primo comma, della legge n. 392 del 1978) – occorre precisare quali
rapporti intercorrano fra l’indice rappresentato dall’ultimo canone
corrisposto e l’indice rappresentato dal canone corrente di mercato per
i locali aventi le stesse caratteristiche. Ciò ai fini dell’esatta
individuazione del trattamento conseguente all’applicazione dell’uno
piuttosto che dell’altro indice: un trattamento che si incentra
sull’ammontare, più o meno elevato, dell’indennità dovuta dal
locatore al conduttore.
Dato che, quando si parla di ultimo canone corrisposto, si utilizza
un indice suscettibile di essere determinato automaticamente, mentre,
quando si parla di canone corrente di mercato, ci si riferisce ad un
indice determinabile unicamente in via indiretta, il che si riflette
non solo e non tanto sulle metodologie da seguire per la rispettiva
individuazione (semplicissima l’una, desumibile dal contratto;
bisognosa di accertamenti sul territorio l’altra), quanto e soprattutto
sulla relatività e, quindi, sulla non univocità del secondo dei due
indici, è evidente che i rapporti tra essi, per quel che riguarda la
rispettiva incidenza sull’ammontare dell’indennità, si profilano in
modo ben diverso a seconda del tipo di contratto, “nuovo” o
“prorogato”, cui si riferisce l’ultimo canone corrisposto.
Muovendo dalla considerazione che l'”ultimo canone corrisposto dal
conduttore” nella situazione cui fa riferimento l’art. 34 della legge
n. 392 del 1978 tende sostanzialmente a coincidere con il “canone
corrente di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche”, sul
quale – a somiglianza dell’art. 4 della legge 27 gennaio 1963, n. 19,
ove, sia pur in un diverso contesto, il riferimento è al “canone di
affitto che l’immobile può rendere secondo i prezzi correnti di
mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche” – si basa l’art.
69 della legge n. 392 del 1978, la dedotta violazione dell’art. 3
Cost. discenderebbe, come puntualizza l’ordinanza del Pretore di
Poggibonsi, dall’adozione di “un eguale trattamento in situazioni
differenti”.
Effettivamente, da un lato (art. 34), sono in discussione contratti
di locazione stipulati in regime di libera determinazione del canone
iniziale e, dall’altro (art. 69, per quanto qui interessa), contratti
soggetti a proroga secondo la legislazione precedente ed ulteriormente
prorogati dalle nuove norme. Il che significa che, quando l’art. 34,
primo comma, e l’art. 69, settimo comma, parlano di un’indennità
commisurata a diciotto mensilità (ovvero a ventuno per le locazioni
con destinazione alberghiera) “dell’ultimo canone corrisposto” o,
rispettivamente, “sulla base del canone corrente di mercato”, ciò
porta sì ad indennità dal simile ammontare, con la differenza, però,
che l’art. 34 ragguaglia il computo delle mensilità ad un canone che
è stato, più o meno a lungo, materialmente corrisposto dal conduttore
(e, quindi, percepito dal locatore), mentre l’art. 69 ragguaglia il
computo delle mensilità ad un canone mai percepito in concreto. In
altri termini, il riferimento, nel primo caso, all’ultimo canone
corrisposto e, nel secondo caso, al canone corrente di mercato parifica
sostanzialmente l’indice per la misura dell’indennità, ma partendo da
situazioni nelle quali ben diversamente calcolato era il canone
corrisposto in concreto al momento della cessazione del rapporto di
locazione. Tanto è vero che, se l’art. 69 parlasse di “ultimo canone
corrisposto dal conduttore”, tale canone, sottoposto ai vincoli delle
proroghe vecchie e nuove, sarebbe tutt’altra cosa dal canone corrente
di mercato.
Del resto, è proprio la differenza tra canone corrente di mercato e
canone “vincolato” corrisposto dal conduttore a spiegare il rischio al
quale, come lamentano quasi tutte le ordinanze di rimessione, andrebbe
incontro il locatore: versare a titolo di indennità una somma
eccessivamente elevata rispetto a quella risultante da tutti i canoni
in complesso riscossi. Un rischio che discende direttamente dalla
scelta che il legislatore del 1978 ha operato con il discostarsi, per i
contratti sottoposti a disciplina transitoria, dall’indice dell’ultimo
canone corrisposto, attraverso la “sostituzione” – così espressamente
la definisce l’art. 69, nono comma – della disposizione dell’art. 34,
primo comma , con la disposizione dell’art. 69, settimo comma,
imperniata sul canone corrente di mercato: “sostituzione” realizzata,
appunto, nel preciso intento di pervenire, più o meno, quanto ad
ammontare dell’indennità, ai risultati, altrimenti non raggiungibili,
cui l’art. 34 conduce per i contratti a regime ordinario.
9. – Tutto ciò premesso, si tratta di verificare se la
determinazione della misura dell’indennità per l’avviamento
commerciale nelle ipotesi di recesso “necessitato” ex art. 73 della
legge n. 392 del 1978 sia o no in contrasto con i parametri
costituzionali variamente indicati dalle nove ordinanze di rimessione
che si stanno esaminando.
Queste fanno particolare riferimento o ad ipotesi in cui il recesso
è motivato con la necessità di “adibire l’immobile ad abitazione
propria o del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea
retta” ovvero ad ipotesi in cui il recesso è motivato con la
necessità di “adibire l’immobile all’esercizio, in proprio o da parte
del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta, di una
delle attività indicate nell’art. 27”, attività peraltro non affine a
quella esercitata dal conduttore (in nessuno dei procedimenti a quibus
il recesso risulta motivato con la necessità di adibire l’immobile
“all’esercizio della stessa attività o di attività incluse nella
medesima tabella merceologica che siano affini a quella già esercitata
dal conduttore uscente”).
Più propriamente, sette ordinanze, nell’occuparsi delle ipotesi in
cui il recesso viene motivato con la necessità di adibire l’immobile
all’esercizio , in proprio o da parte del coniuge o dei parenti entro
il secondo grado in linea retta, di una delle attività indicate
nell’art. 27″, allorché essa non sia affine a quella esercitata dal
conduttore, contestano la legittimità del criterio per la
commisurazione dell’indennità di avviamento, in rapporto agli artt. 3,
41 e 42 Cost..
La questione non è fondata.
Nel sostanziale coincidere, quanto ad ammontare dell’indennità, dei
criteri indicati negli artt. 34, primo comma, e 69, settimo comma,
della legge n. 392 del 1978, non può ravvisarsi un’esplicazione
irragionevole della discrezionalità legislativa, come non può dirsi
privo di qualsiasi razionalità il trattamento particolarmente
privilegiato di cui nel secondo caso, come lamenta l’ordinanza del
Tribunale di Parma, il conduttore viene conseguentemente a fruire
rispetto al locatore. Alla base della scelta operata dal legislatore
con le norme in esame vi è “la conservazione, anche nel pubblico
interesse, delle imprese” il cui avviamento sia strettamente collegato
all’ubicazione dell’immobile: un interesse che – qualora un’impresa
così localizzata venga a trovarsi esposta al rischio del rilascio
dell’immobile a vantaggio di un’altra impresa non affine che il
locatore intenda trapiantare od avviare in quello stesso luogo – il
legislatore ha ritenuto di dover tutelare con l’imporre al locatore il
pagamento di un’indennità idonea a porre riparo al danno attuale del
conduttore, anche a costo di risultare particolarmente gravosa per il
locatore. Ciò, anzi, verificandosi soprattutto nei confronti dei
contratti soggetti a proroga, ha trovato un’ulteriore, e più
specifica, spiegazione, quanto alle ipotesi di recesso, nel pericolo –
subito affacciatosi e subito contrastato con le modificazioni
apportate, in sede di conversione del decreto legge n. 21 del 1979,
all’art. 73 della legge n. 392 del 1978, il cui testo originario nulla
prescriveva in ordine all’indennità per l’avviamento – che la
possibilità di recedere in qualunque momento, largamente prevista
dall’art. 73, desse l’avvio ad un massiccio numero di richieste di
rilascio per gli immobili adibiti ad uso non abitativo. La stessa
incertezza, che rende non facilmente determinabile a priori
l’indennità dovuta sulla base del canone corrente di mercato rispetto
alla preventivabile certezza dell’ultimo canone corrisposto – e nella
quale alcune ordinanze (Tribunale di Gorizia, Pretore di Roma)
ravvisano un altro profilo di contrasto con l’art. 3 Cost. –
contribuisce a rafforzare la tutela e ad aumentare le remore cui dianzi
si accennava.
Tale non irragionevole bilanciamento dei contrapposti interessi
esclude pure che si possano considerare violati gli artt. 41 e 42
Cost.. Quanto al primo, è il Pretore di Roma a parlare di “grave ed
ingiustificata limitazione della libertà di iniziativa privata”: in
realtà, mentre l’attività economica del conduttore viene protetta,
potendo l’indennità, nel caso di non evitabile rilascio, facilitarne
la ripresa in altra sede, l’iniziativa economica del locatore, se non
velleitaria, non risulta bloccata, ma soltanto sottoposta ad un onere,
non impossibile, inteso a conseguire fini di utilità sociale, nel
necessario coordinamento con le esigenze dell’attività economica
altrui. Quanto all’art. 42 Cost., le ordinanze del Pretore di Pescara,
del Tribunale di Parma e del Tribunale di Gorizia sostengono che il
diritto di proprietà sarebbe “vanificato” dall’esborso di una somma
che svuoterebbe il diritto al corrispettivo della precedente locazione
e, quindi, al godimento dell’immobile: ma, a parte la necessità di
dimostrare che ogni corrispettivo rimarrebbe di regola totalmente
assorbito dall’indennità ex art. 69, settimo comma, della legge n. 392
del 1978, e a parte la “maggior valutazione che l’immobile riceve sul
mercato, una volta riottenutane la disponibilità” (argomento con cui
l’Avvocatura dello Stato, negli atti di intervento per la Presidenza
del Consiglio dei ministri, rimarca l’esistenza di una parziale
“compensazione”), è punto fermo che, riconosciuto il diritto di
proprietà privata, la Costituzione “ha affidato al legislatore
ordinario il compito di introdurre, a seguito delle opportune
valutazioni e dei necessari bilanciamenti dei diversi interessi, quei
limiti che ne assicurano la funzione sociale” (sent. n. 252 del 1982),
e ciò anche per quanto attiene al suo godimento.
10. – Restano le ipotesi di recesso dovute alla necessità di
“adibire l’immobile ad abitazione propria o del coniuge o dei parenti
entro il secondo grado in linea retta”: rispetto ad esse è da
ritenersi fondata la questione che il Tribunale di Reggio Calabria ha
sollevato in via subordinata, con riferimento agli artt. 3 e 42 Cost.,
affermando, da un lato, che l'”identico trattamento” previsto
dall’art.69 della legge n.392 del 1978, “sia per colui che ha
necessità di adibire l’immobile di cui è proprietario per abitazione
… sia per colui che ha necessità di adibirlo ad esercizio di
attività commerciale”, “non sembra conforme al principio di
uguaglianza” e, dall’altro, che il sistema di determinazione
dell’indennità “sulla base del canone corrente di mercato per i locali
aventi le stesse caratteristiche, senza che il giudice abbia la
possibilità di temperarne il criterio tenendo conto della durata del
rapporto locativo e dell’entità del canone locativo” (tale
possibilità, oltreché dalla lettera della legge e dal suo raffronto
con la precedente regolamentazione del compenso per la perdita
dell’avviamento ex art. 4 della legge n. 19 del 1963, è esclusa dal
diritto vivente, quale si rispecchia in tutte le ordinanze a quibus)
“può portare ad un’irragionevole compressione del diritto di
proprietà, potendo accadere che il conduttore riceva a titolo di
indennità più di quanto egli abbia corrisposto per canoni dovuti al
locatore”.
Anche a prescindere dal carattere meramente eventuale, e peraltro
indimostrato, di un tale supero, la “compressione del diritto di
proprietà del locatore” conseguente all’elevato livello cui giunge
comunque l’indennità per l’avviamento in forza del combinato disposto
degli artt. 69, settimo comma, e 73 della legge n. 392 del 1978, si
appalesa qui, di fronte ad un recesso per esigenze abitative, priva di
razionale giustificazione: e ciò sia se la si consideri in relazione
all’identica misura di indennità prevista per i casi di recesso
finalizzati all’esercizio di un’attività economica, sia se la si
consideri in rapporto agli analoghi risultati quantitativi cui conduce
l’art. 34, primo comma, in caso di cessazione, su iniziativa del
locatore, di un rapporto di locazione a regime normale. Infatti, non è
certamente razionale “bilanciare” gli interessi che vengono in
contrasto quando all’attività economica svolta dal conduttore si
contrappone un’esigenza abitativa del locatore o di un suo stretto
congiunto, utilizzando lo stesso modulo adottato per “bilanciare” gli
interessi che vengono in contrasto quando alla attività economica
svolta dal conduttore si contrappone un’esigenza economica perseguita
dal locatore o da un suo stretto congiunto. E non meno irrazionale è
l’imporre al locatore, per il quale sopravvenga la necessità di
abitare il proprio immobile locato per uso non abitativo sulla base di
un contratto da tempo a canone vincolato, il pagamento di un’indennità
altrettanto onerosa di quella dovuta dal locatore, il quale promuova la
cessazione del rapporto di locazione relativo ad un immobile locato per
uso non abitativo sulla base di un contratto il cui canone è stato
liberamente concordato.
Poiché gli immobili urbani, quando la strutturazione dei locali sia
adeguata, hanno come destinazione primaria quella di venire adibiti ad
uso di abitazione e poiché, d’altra parte, l’adibire tali immobili ad
abitazione del proprietario o del coniuge o di parenti entro il secondo
grado in linea retta rappresenta il modo di godimento della proprietà
privata immobiliare da privilegiare (e ciò anche in correlazione al
principio rivolto a “promuovere e favorire la proprietà privata
dell’abitazione” su cui si è appena soffermata la sentenza n. 252 del
1983), la tutela costituzionale del diritto di proprietà comporta
un’ovvia conseguenza: le necessità abitative del proprietario
dell’immobile non possono non essere tenute in particolare conto dal
legislatore, evitando di condizionarne il soddisfacimento ad oneri
eccessivi o comunque sproporzionati, allorché per esse si imponga un
contemperamento con altri interessi, pur meritevoli di tutela. Così,
di fronte alla perdita dell’avviamento commerciale per il conduttore
dell’immobile che il locatore, recedendo da un contratto a canone
vincolato, intende recuperare, per necessità sua o di uno stretto
familiare, all’uso abitativo, non si giustifica una misura
dell’indennità in base al canone reale di mercato, giustificabile,
invece, in altri casi.
11. – L’accoglimento della questione di legittimità costituzionale
proposta in via subordinata dal Tribunale di Reggio Calabria comporta
l’assorbimento della similare questione sollevata dal Pretore di
Paternò quanto ai parametri ivi più genericamente invocati, ma non
quanto alla prospettazione di un accoglimento che valga a dichiarare
l’illegittimità del combinato disposto degli artt. 69, settimo comma,
e 73 della legge n. 392 del 1978, non solo nella parte in cui, per le
ipotesi di recesso motivate da esigenze abitative, fa riferimento al
canone corrente di mercato per i locali aventi le stesse
caratteristiche, ma anche nella parte in cui, sempre per le suddette
ipotesi, non fa riferimento “all’ultimo canone corrisposto, come
previsto in via generale dall’art. 34” della stessa legge.
Tale precisazione è da condividere, non tanto perché nell’art. 34
sia da ravvisare una previsione di ordine generale (i rapporti fra
l’art. 34 e l’art. 69 non sono propriamente riconducibili allo schema
regola – eccezione, trattandosi di disposizioni relative a settori
autonomi l’uno dall’altro, sia per le ipotesi considerate sia per la
specifica disciplina), quanto perché, ad evitare la riscontrata
irragionevolezza, il combinato disposto degli artt. 69, settimo comma,
e 73 – o, meglio, il testo dell’art. 73, novellato in sede di
conversione del decreto legge n. 21 del 1979, nel richiamare per tutti
i casi ivi previsti l’applicazione dell’art. 69, settimo comma, dettato
in “sostituzione” dichiarata dell’art. 34 (cfr. art. 69, comma nono) non
avrebbe dovuto estendere tale “sostituzione” anche alle ipotesi di
recesso per esigenze abitative del locatore: cioè, non avrebbe dovuto
“sostituire”, per la determinazione dell’indennità di avviamento nei
casi del genere, l’indice rappresentato dal canone corrente di mercato
all’indice rappresentato dall’ultimo canone corrisposto. Tanto più che
l’utilizzazione di quest’ultimo indice era già stata prevista, anche
per il settore dei contratti prorogati, dal testo originario della
legge n.392 del 1978, in forza del richiamo che lo stesso art. 73 fin
da allora faceva all’art. 31 ed alle sanzioni ivi stabilite per il
locatore che, nel termine di sei mesi dall’avvenuta consegna, non abbia
adibito l’immobile alla destinazione indicata: fra tali sanzioni
figura, infatti, il risarcimento del danno “in misura non superiore a
quarantotto mensilità del canone di locazione percepito prima della
risoluzione del contratto”, formula quest’ultima praticamente
corrispondente a quella che, nell’ottica del conduttore, si riferisce
all’ultimo canone corrisposto.
La declaratoria di illegittimità del combinato disposto degli artt.
69, settimo comma, e 73 della legge n. 392 del 1978, va, quindi,
puntualizzata con la precisazione che a rimanerne colpita è la parte
in cui, relativamente alle ipotesi di recesso del locatore dai
contratti disciplinati dall’art. 67, motivate con la sopravvenuta
necessità di adibire l’immobile ad abitazione propria o del coniuge o
dei parenti in linea retta entro il secondo grado, prevede che
l’indennità per l’avviamento commerciale dovuta al conduttore sia
determinata sulla base del canone corrente di mercato per i locali
aventi le stesse caratteristiche, anziché con riferimento all’ultimo
canone corrisposto.
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 29, 34, 69, settimo ed ottavo comma, legge
27 luglio 1978, n. 392, e dell’art. 73 stessa legge 27 luglio 1978, n.
392, quale modificato dall’art. 1 bis decreto legge 30 gennaio 1979, n.
21, convertito con modificazioni nella legge 31 marzo 1979, n. 93,
sollevate dal Giudice conciliatore di Andria con l’ordinanza n. 757 del
1980, dal Pretore di Piazza Armerina con l’ordinanza n. 75 del 1981,
dal Pretore di Paternò con le ordinanze nn. 216 e 294 del 1981, dal
Pretore di Enna con l’ordinanza n. 240 del 1981, dal Pretore di Latina
con l’ordinanza n. 266 del 1981, dal Pretore di Pescara con l’ordinanza
n. 288 del 1981 e dal Pretore di Vigevano con l’ordinanza n. 694 del
1981;
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
del combinato disposto dell’art. 69, settimo comma, legge 27 luglio
1978, n. 392, e dell’art. 73 stessa legge 27 luglio 1978, n. 392 (quale
modificato dall’art. 1 bis decreto legge 30 gennaio 1979, n. 21,
convertito con modificazioni nella legge 31 marzo 1979, n. 93), nella
parte in cui – relativamente alle ipotesi di recesso del locatore dai
contratti disciplinati dall’art. 67 stessa legge 27 luglio 1978, n.
392 – prevede che al conduttore spetta l’indennità per l’avviamento
commerciale, questione sollevata, con riferimento agli artt. 3, 41, 42
e 47 Cost., dal Giudice conciliatore di Caltanissetta con l’ordinanza
n. 881 del 1979;
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
del combinato disposto dell’art. 69, settimo comma, legge 27 luglio
1978, n. 392, e dell’art. 73 stessa legge 27 luglio 1978, n. 392 (quale
modificato dall’art. 1 bis decreto legge 30 gennaio 1979, n. 21,
convertito con modificazioni nella legge 31 marzo 1979, n. 93), nella
parte in cui – anche relativamente alle ipotesi di recesso del locatore
dai contratti disciplinati dall’art. 67 stessa legge 27 luglio 1978, n.
392, motivate con la sopravvenuta necessità di adibire l’immobile ad
abitazione propria o del coniuge o dei parenti in linea retta entro il
secondo grado – prevede che spetta al conduttore l’indennità per
l’avviamento commerciale, questione sollevata, con riferimento agli
artt. 3 e 42 Cost., dal Tribunale di Reggio Calabria con l’ordinanza n.
664 del 1981;
4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
del combinato disposto dell’art. 69, settimo comma, legge 27 luglio
1978, n. 392, e dell’art. 73 stessa legge 27 luglio 1978, n. 392 (quale
modificato dall’art. 1 bis decreto legge 30 gennaio 1979, n. 21,
convertito con modificazioni nella legge 31 marzo 1979, n. 93), nella
parte in cui – relativamente alle ipotesi di recesso del locatore dai
contratti disciplinati dall’art. 67 stessa legge 27 luglio 1978, n.
392, motivate con la sopravvenuta necessità di adibire l’immobile
all’esercizio, in proprio o da parte del coniuge o dei parenti entro il
secondo grado in linea retta, di una delle attività indicate nell’art.
27 – prevede che l’indennità per l’avviamento commerciale dovuta al
conduttore sia determinata sulla base del canone corrente di mercato
per i locali aventi le stesse caratteristiche, questione sollevata, con
riferimento agli artt. 3, 41 e 42 Cost., dal Pretore di Pescara con
l’ordinanza n. 93 del 1981, dal Tribunale di Parma con l’ordinanza n.
105 del 1981, dal Pretore di Rovigo con l’ordinanza n. 195 del 1981,
dal Tribunale di Gorizia con l’ordinanza n. 592 del 1981, dal Pretore
di Vasto con l’ordinanza n. 623 del 1981, dal Pretore di Roma con
l’ordinanza n. 645 del 1981 e dal Pretore di Poggibonsi con l’ordinanza
n. 739 del 1981;
5) dichiara l’illegittimità costituzionale del combinato disposto
dell’art. 69, settimo comma, legge 27 luglio 1978, n. 392, e dell’art.
73 stessa legge 27 luglio 1978, n. 392 (quale modificato dall’art. 1
bis decreto legge 30 gennaio 1979, n.21, convertito con modificazioni
nella legge 31 marzo 1979, n. 93), nella parte in cui – relativamente
alle ipotesi di recesso del locatore dai contratti disciplinati
dall’art. 67 stessa legge 27 luglio 1978, n. 392, motivate con la
sopravvenuta necessità di adibire l’immobile ad abitazione propria o
del coniuge o dei parenti in linea retta entro il secondo grado –
prevede che l’indennità per l’avviamento commerciale dovuta al
conduttore sia determinata sulla base del canone corrente di mercato
per i locali aventi le stesse caratteristiche, anziché con riferimento
all’ultimo canone corrisposto.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 5 ottobre 1983.
F.to: LEOPOLDO ELIA – ANTONINO DE
STEFANO – GUGLIELMO ROEHRSSEN –
ORONZO REALE – BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO
PALADIN – ANTONIO LA PERGOLA –
VIRGILIO ANDRIOLI – GIUSEPPE FERRARI
– FRANCESCO SAJA – GIOVANNI CONSO –
ETTORE GALLO.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere