Sentenza N. 304 del 1986
Corte Costituzionale
Data generale
31/12/1986
Data deposito/pubblicazione
31/12/1986
Data dell'udienza in cui è stato assunto
19/12/1986
Presidente: prof. Antonio LA PERGOLA;
Giudici: prof. Virgilio ANDRIOLI, prof. Giuseppe FERRARI, dott.
Francesco SAJA, prof. Giovanni CONSO, dott. Aldo CORASANITI, prof.
Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato
DELL’ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof.
Vincenzo CAIANIELLO.
della Regione Emilia-Romagna 14 maggio 1975, n. 30 (Disciplina
dell’assistenza ospedaliera gestita dalla Regione Emilia-Romagna) e
dell’art. 2 della legge della Regione Puglia 15 novembre 1977, n. 36
(Modifica legge regionale 31 marzo 1973, n. 8) promossi con le
seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 17 aprile 1979 dal Pretore di Rimini nel
procedimento civile vertente tra Giavolucci Sergio e Pirroni
Giuseppe, iscritta al n. 575 del registro ordinanze 1979 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 284 dell’anno 1979;
2) quattro ordinanze emesse rispettivamente il 7 marzo (n. 2
ord.), il 29 dicembre 1983 e il 5 luglio 1984 dal Pretore di Forlì
nei procedimenti civili vertenti tra Ravaioli Giovanni, Ricci
Ermenegildo, Stradaroli Delmo c/ U.S.L. n. 38 e Regali Enzo c/ Ente
Ospedaliero G.B. Morgagni ed altra, iscritte ai nn. 414 e 415 del
registro ordinanze 1983 e ai nn. 482 e 1157 del registro ordinanze
1984 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 281
dell’anno 1983, n. 266 dell’anno 1984 e n. 59-bis dell’anno 1985;
3) ordinanza emessa il 18 maggio 1983 dal Pretore di Lecce nel
procedimento civile vertente tra S.p.a. La Fiduciaria e la Regione
Puglia, iscritta al n. 1293 del registro ordinanze 1984 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 91-bis dell’anno 1985;
Visti gli atti di costituzione della Regione Emilia-Romagna;
Udito nell’udienza pubblica del 10 dicembre 1986 il Giudice
relatore Antonio Baldassarre;
sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 15 della
legge regionale dell’Emilia-Romagna 14 maggio 1975 n. 30 (Disciplina
dell’assistenza ospedaliera gestita dalla Regione Emilia-Romagna),
laddove prevede, per il recupero del proprio credito pari agli oneri
relativi
all’assistenza sanitaria erogata, il ricorso alla procedura coattiva
di cui al r.d. 14 aprile 1910, n. 639. Il giudizio era stato
introdotto a seguito di opposizione ad ingiunzione di pagamento
emessa dall’Ente ospedaliero “Ospedale Infermi di Rimini” nei
confronti di Sergio Giavolucci, ritenuto responsabile delle lesioni
riportate da Carlo Ghinelli ricoverato in ospedale.
Nell’ordinanza di rimessione si prospetta la lesione:
a) dell’art. 24 Cost. per il fatto che l’ingiunzione è emessa
senza contraddittorio;
b) dell’art. 3 Cost. perché, quando un terzo cagiona lesione ad
un’altra persona, quest’ultima, diversamente dall’Ospedale, lo deve
convenire davanti al giudice ordinario senza potersi avvalere del
procedimento ingiuntivo;
c) dell’art. 117 Cost., perché l’applicazione della procedura
coattiva di cui al r.d. n. 639 del 1910 a soggetti terzi, vale a dire
a soggetti non legati da alcun rapporto – tributario o contrattuale
che sia – con il soggetto che ordina il pagamento, violerebbe il
limite dei principi fondamentali.
1.1. – Si è costituito in giudizio il Presidente della Regione
Emilia-Romagna chiedendo che la Corte dichiari, in via preliminare,
il difetto di rilevanza (art. 23, secondo comma l. 11 marzo 1953, n.
87) e comunque l’infondatezza della questione predetta.
Secondo la Regione Emilia-Romagna la questione sollevata non
sarebbe rilevante perché il giudizio di opposizione poteva essere
definito indipendentemente dalla questione di costituzionalità, dato
che già risultava dagli atti di causa la prova della completa
estraneità del Giavolucci al fatto generatore delle lesioni.
A proposito della presunta violazione dell’art. 24 Cost., la
Regione osserva che tale norma costituzionale non risulterebbe
violata giacché l’ingiunzione, determinando una semplice inversione
dell’iniziativa del contraddittorio, non priva il cittadino del
diritto di difesa. Né, sempre secondo la medesima Regione, potrebbe
ravvisarsi una violazione dell’art. 3 Cost. perché l’ingiunzione
può essere utilizzata limitatamente alla riscossione di un credito
dell’ente pubblico per rimborso delle spese di ospedalità e non per
il risarcimento del danno cagionato da lesioni personali.
E, infine, non risulterebbe violato neppure il limite dei principi
fondamentali di cui all’art. 117 Cost. dal momento che rientrerebbero
sicuramente tra i principi della legislazione statale tanto quello
fissato dal r.d. 14 ottobre 1910, n. 639, quanto quello codificato
dall’art. 635 c.p.c., secondo il quale l’ente pubblico può fare
generale ricorso alla procedura di ingiunzione sulla base dei propri
libri e registri.
2. – Con quattro ordinanze, in data rispettivamente 7 marzo 1983
(due), 29 dicembre 1983 e 5 luglio 1984 il Pretore di Forlì ha
sollevato questione di legittimità costituzionale del cit. art. 15,
quarto comma, della legge della Regione Emilia-Romagna n. 30 del
1975. I giudizi sono stati introdotti a seguito di opposizione a
quattro ingiunzioni di pagamento emesse dalla U.S.L. n. 38 di Forlì
nei confronti, rispettivamente, di Giovanni Ravaioli, Ermenegildo
Ricci, Enzo Regali e Delmo Stradaroli ritenuti responsabili di
lesioni riportate rispettivamente da Pietro Gori, Gianfranco
Bendandi, Antonio Mengozzi e Aldo Orlati ricoverati in ospedale.
Nelle prime tre ordinanze di rimessione si prospetta la lesione
dell’art. 117, primo comma Cost. Secondo i giudici a quibus, infatti,
mentre il r.d. n. 639 del 1910, richiamato dalla norma regionale,
comporterebbe una logica presunzione di legittimità della
determinazione sia del credito sia della persona dell’obbligato, la
quale si baserebbe sui dati derivanti dalla stessa attività
amministrativa dell’ente che procede alla riscossione, al contrario,
nel caso della legge regionale in esame, nessuna presunzione di
legittimità dell’indicazione dell’obbligato al pagamento potrebbe
razionalmente giustificarsi, dato che l’accertamento
dell’imputabilità al terzo preteso obbligato esulerebbe del tutto
dall’attività amministrativa dell’ente creditore.
Nella quarta ordinanza (5 luglio 1984), oltre ai profili appena
ricordati, si prospetta anche la lesione dell’art. 24 Cost., in
quanto risulterebbe menomato il diritto di difesa del terzo, autore
della condotta illecita, in conseguenza della possibilità offerta
dalla legge regionale alla U.S.L. di precostituirsi un titolo che non
riguarda direttamente la controparte di un rapporto contrattuale
obbligatorio, ma un terzo, a prescindere da qualsiasi intervento
dell’Autorità Giudiziaria.
2.1. – La Regione Emilia-Romagna si è costituita ritualmente solo
nei giudizi introdotti dalle due ordinanze del 7 marzo 1983: non si
è costituita invece nel giudizio introdotto dalla ordinanza del 29
dicembre 1983 e si è costituita fuori termine nell’ultimo giudizio.
La richiesta della Regione è stata nel senso della irrilevanza
delle questioni proposte e della loro infondatezza, in termini non
dissimili da quelli già esposti al n. 1.1.
3. – Con ordinanza del 18 maggio 1983 il Pretore di Lecce ha
sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della
legge della Regione Puglia 15 novembre 1977 n. 36 in forza del quale,
per la riscossione coattiva
delle entrate, l’Ufficio regionale del contenzioso si avvale delle
norme contenute nel già menzionato T.U. 4 aprile 1910, n. 639. Il
giudizio era stato introdotto a seguito di opposizione ad ingiunzione
proposta dalla compagnia di assicurazione (“La Fiduciaria” S.p.a.) di
Angelo Zimbari, ritenuto responsabile dell’incidente stradale che
aveva determinato il ricovero ospedaliero di Antonio Accoto.
Nell’ordinanza di rimessione si prospetta la lesione degli
articoli 117 (limite della materia) e 102 della Costituzione. Il
limite della materia sarebbe violato perché la norma impugnata
introdurrebbe, in tutti i casi in cui le somme siano dovute per
rivalsa nei confronti di terzi a seguito di fatti illeciti, una
deroga alle norme processuali, che è materia riservata alla legge
stradale. L’art. 102 Cost. sarebbe violato perché la regione,
nell’avvalersi della procedura coattiva di cui al r.d. n. 639 del
1910, produrrebbe un atto comportante affermazione di responsabilità
di un terzo che, come tale, sarebbe di natura sostanzialmente
giurisdizionale. La norma regionale, in altre parole, avrebbe violato
la riserva di giurisdizione statale per l’accertamento delle
responsabilità del terzo, nelle ipotesi in cui il credito della
Regione fosse originato da diritti di rivalsa per fatti illeciti.
Nessuna delle parti si è costituita.
4. – Alla pubblica udienza del 10 dicembre 1986, nella quale ha
svolto la relazione il giudice Antonio Baldassarre, nessuna delle
parti è comparsa.
l’illegittimità costituzionale di due disposizioni ponendo a questa
Corte una medesima questione: se le leggi regionali possano prevedere
l’utilizzazione della procedura coattiva disposta dal testo unico
sulle entrate patrimoniali dello Stato (r.d. 14 aprile 1910, n. 639)
al fine di recuperare, presso terzi responsabili, propri crediti
nascenti dalla prestazione di servizi ospedalieri (c.d. rivalsa
ospedaliera).
I profili per i quali le predette disposizioni di legge regionale
sono sospettate di incostituzionalità sono riferiti a diversi
articoli della Costituzione: l’art. 117 (violazione dei principi
fondamentali stabiliti dalle leggi statali e del limite delle materie
attribuite alla competenza legislativa regionale), l’art. 3
(disparità di trattamento fra i soggetti pubblici che possono fare
ricorso all’ingiunzione di pagamento e i soggetti privati che non
possono utilizzare tale procedura coattiva), l’art. 24 (violazione
del diritto di difesa in quanto l’ingiunzione è emessa senza
contraddittorio e non colpisce, in ipotesi, la controparte di un
rapporto contrattuale, ma un terzo) e l’art. 102 (violazione della
riserva stradale delle funzioni giurisdizionali con la previsione di
atti, come l’imputazione di responsabilità del terzo e l’ingiunzione
di pagamento, ritenuti di natura giurisdizionale).
2. – Le questioni, riunite in un medesimo giudizio per l’identità
del loro oggetto, sono comunque inammissibili.
Come ripetutamente affermato da questa Corte (sentenze n.
108/1957; n. 122/1976; n. 1/1977; n. 228/1985), ogni volta che nelle
ordinanze di rimessione viene denunciata una disposizione in luogo di
un’altra o, comunque, si omette di includere nella denuncia una
disposizione anch’essa applicabile (aberratio ictus), si versa in
un’ipotesi di irrelevanza della questione, poiché, qualunque dovesse
essere la pronunzia nel merito in relazione alle incostituzionalità
prospettate, rimarrebbe egualmente ferma, ai fini della definizione
del giudizio a quo, l’applicabilità di norme contenute in
disposizioni diverse da quelle denunciate.
Più in particolare, questa Corte ha applicato tali criteri di
giudizio non solo nel caso di norme del tutto diverse e autonome
l’una dall’altra, ma anche nell’ipotesi di impugnazione di una
disposizione di attuazione o di una norma meramente riproduttiva,
anche se diversamente collocate nel sistema delle fonti, rispetto a
quella principale non colpita dalla denunzia di illegittimità
costituzionale (sent. n. 1/1977).
Nel caso di specie le ordinanze di rimessione prospettano
l’incostituzionalità di due disposizioni di legge regionale che
contengono una formulazione che richiama l’applicabilità alle
Regioni, ai fini del recupero di crediti sorti a seguito della
prestazione di servizi ospedalieri, della procedura coattiva prevista
dal r.d. n. 639 del 1910. Si tratta di una formulazione, attualmente
presente in centinaia di leggi regionali vigenti in diversi campi
(come ad esempio, le revoche di contributi regionali in vari settori,
il recupero di spese sostenute dalle Regioni per interventi che
dovevano essere operati dai privati il recupero di spese relative ad
esecuzioni in danno o di somme dovute da concessionari o per sanzioni
amministrative, il recupero di spese di ricovero ospedaliero
sostenute a favore di non aventi diritto all’assistenza sanitaria),
che tuttavia non esprime la norma da applicare al caso di specie, ma
contiene piuttosto un richiamo ad abundantiam alle disposizioni
statali costituenti l’unica e vera fonte normativa del rapporto
dedotto nei giudizi a quibus vale a dire il r.d. n. 639 del 1910
(Testo Unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione
delle entrate patrimoniali dello Stato).
Quest’ultimo, al suo art. 1, dispone espressamente che “i sistemi
di procedura coattiva (…) per la riscossione delle entrate
patrimoniali dello Stato (…), delle Provincie, dei Comuni e delle
istituzioni pubbliche di beneficenza sono abrogati e sostituiti dalle
disposizioni delle presente legge, le quali sono applicabili anche ai
proventi del Demanio
pubblico e dei pubblici servizi esercitati dallo Stato e dagli enti
sopra menzionati”. Secondo una giurisprudenza pacifica del giudice
ordinario, confortata da una legislazione interpretativa
sostanzialmente conforme (art. 8 d.P.R. 25 giugno 1953, n. 492) e da
una dottrina pressoché unanime, il predetto art. 1 r.d. n. 639/1910
ha esteso l’applicabilità della procedura coattiva anche al recupero
dei crediti maturati a seguito della prestazione di servizi pubblici
erogati dalle Regioni e, quindi, al recupero delle spese di
ospedalità. Pertanto, le disposizioni applicabili al caso dedotto
nel giudizio a quo sono quelle, appena ricordate, contenute nel r.d.
n. 639/1910, le quali prevedono anche per le Regioni la possibilità
di ricorrere alla procedura coattiva per le proprie entrate
patrimoniali e per il recupero delle spese operate a fronte
dell’erogazione di servizi pubblici. Queste disposizioni, le quali
sono ovviamente applicabili soltanto ove ne ricorrano i presupposti
di diritto e di fatto – e, in particolare, quando il credito sia
certo, liquido ed esigibile – rispondono chiaramente alla volontà
del legislatore statale di garantire il buon andamento e la massima
speditezza possibile dell’azione amminstrativa dello Stato e degli
enti pubblici sopra menzionati.
3. – Rispetto a tali disposizioni di legge statale, che non
rientrano nell’oggetto della denunzia di incostituzionalità, le
norme di leggi regionali impugnate non possono essere minimanente
considerate “norme di rinvio”, quantomeno in un senso tecnico
giuridico. Queste, infatti, presuppongono una situazione che, in
mancanza del “rinvio” medesimo, non potrebbe esser minimamente
disciplinata dalle disposizioni o dagli atti normativi cui il
“rinvio” fa riferimento. Nel caso, invece, le norme del r.d. n.
639/1910 sono applicabili di per sé alle Regioni e non abbisognano,
a tal fine, di alcuna forma di intermediazione normativa da parte
delle Regioni stesse. Ciò esclude che, in ipotesi, possa trovare
applicazione la problematica del “rinvio” delle leggi regionali a
quelle statali, sulla quale questa Corte si è già soffermata in
passato (sent. n. 128/1963). Né è possibile configurare in questo
caso l’ipotesi di norme regionali di attuazione o addirittura
“correttive” rispetto a quelle statali, poiché nessuna delle
disposizioni denunziate contiene previsioni senza le quali non
potrebbero trovare applicazione le norme del r.d. n. 639/1910 e,
tantomeno, presenta disposizioni in deroga o semplicemente
limitative, modificative o integrative rispetto a quelle statali. E
neppure si riscontrano nelle disposizioni impugnate norme meramente
riproduttive che, anche se in passato, come si è prima ricordato,
sono state ritenute da questa Corte tali da precludere l’estensione
del sindacato di costituzionalità alle norme riprodotte e non
denunziate (sent. 1/1977), potrebbero indurre ipoteticamente ad un
atteggiamento meno severo ove si segiusse una dottrina che appare
incline a dare un’importanza prevalente all’identità sostanziale del
loro contenuto normativo anziché alla differenza formale delle
distinte disposizioni che le contengono (sempreché, ovviamente, si
tratti di norme aventi lo stesso valore giuridico). Al contrario, nel
caso di specie si ha a che fare con un richiamo a disposizioni
statali, le quali, applicandosi ex se anche alle Regioni, rendono il
richiamo stesso come assolutamente privo di significato normativo. Si
tratta, più precisamente, di un riferimento utile, volto a
facilitare presso gli operatori giuridici l’individuazione delle
norme (statali) da applicare al caso concreto o, per usare la
terminologia più comune in dottrina, di un “rinvio improprio” o
“dichiarativo”.
In una situazione del genere, come ha già notato questa Corte
(sent. n. 122/1976), non ricorrono neppure i presupposti perché si
possa sollevare incidentalmente una questione di costituzionalità
nel corso del giudizio, poiché tale possiblità si dà soltanto
quando la Corte dubiti della costituzionalità di una norma diversa
da quella impugnata che tuttavia appaia pregiudiziale rispetto alla
decisione finale, nel senso che sia necessariamente applicabile
nell’iter logico di definizione della questione principale. Qui,
infatti, non è nemmeno ipotizzabile un qualche rapporto di
pregiudizialità tra le disposizioni regionali denunziate e quelle
statali disciplinanti la procedura coattiva, poiché in realtà sono
soltanto queste ultime a dover essere applicate al rapporto dedotto
in giudizio.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi in epigrafe, dichiara inammissibili le questioni
di legittimità costituzionale relative all’art. 15 della legge della
Regione Emilia-Romagna 14 maggio 1975, n. 30 e all’art. 2 della legge
della Regione Puglia 15 novembre 1977, n. 36 sollevate dai pretori di
Rimini, di Forlì e di Lecce.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 dicembre 1986.
Il Presidente: LA PERGOLA
Il redattore: BALDASSARRE
Depositata in cancelleria il 31 dicembre 1986.
Il direttore della cancelleria: VITALE