Sentenza N. 304 del 2002
Corte Costituzionale
Data generale
03/07/2002
Data deposito/pubblicazione
03/07/2002
Data dell'udienza in cui è stato assunto
20/06/2002
Presidente: Cesare RUPERTO;
Giudici: Massimo VARI, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY,
Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria
FLICK, Francesco AMIRANTE;
legislativa statutaria adottata, in seconda votazione, il 24 luglio
2001 dal Consiglio regionale della Regione Marche e recante
“Disciplina transitoria in attuazione dell’articolo 3 della legge
costituzionale 22 novembre 1999, n. 1”, promosso con ricorso del
Presidente del Consiglio dei ministri notificato il 7 settembre 2001,
depositato in cancelleria il 15 successivo ed iscritto al n. 38 del
registro ricorsi 2001.
Visto l’atto di costituzione della Regione Marche;
Udito nell’udienza pubblica del 26 febbraio 2002 il giudice
relatore Carlo Mezzanotte;
Uditi l’avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del
Consiglio dei ministri e l’avvocato Stefano Grassi per la Regione
Marche.
legittimità costituzionale della deliberazione legislativa
statutaria adottata, in seconda votazione, il 24 luglio 2001 dal
Consiglio regionale della Regione Marche e recante “Disciplina
transitoria in attuazione dell’articolo 3 della legge costituzionale
22 novembre 1999, n. 1”, denunciandone il contrasto con gli
artt. 122, ultimo comma, e 126, terzo comma, della Costituzione,
nonché con l’art. 5, comma 2, lettera b), della legge costituzionale
22 novembre 1999, n. 1, recante “Disposizioni concernenti l’elezione
diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia
statutaria delle Regioni”.
In via preliminare l’Avvocatura rammenta che la deliberazione
legislativa impugnata non è stata ancora promulgata, in ossequio al
dettato dell’art. 123, comma 3, della Costituzione e che dal tenore
delle disposizioni costituzionali non è dato comprendere se essa
possa essere promulgata in pendenza di giudizio costituzionale,
quando siano decorsi i tre mesi previsti per la richiesta di
referendum confermativo e qualora questo non sia stato richiesto, né
è possibile dedurre se, in pendenza del giudizio costituzionale,
possa essere fissata la data della consultazione referendaria.
L’art. 1 dell’atto impugnato dispone che, fino alla approvazione
del nuovo statuto regionale, nel caso di morte o impedimento
permanente del Presidente della Giunta regionale, il vicepresidente,
nominato ai sensi dell’art. 5, comma 2, lettera a), della legge
costituzionale 22 novembre 1999, n. 1, subentra al presidente
nell’esercizio delle relative funzioni.
L’Avvocatura dello Stato contesta innanzitutto il meccanismo di
approvazione delle modifiche statutarie al quale si è dato corso. Si
osserva in proposito che l’art. 123 della Costituzione attribuisce al
legislatore regionale la potestà di approvare e modificare lo
statuto, e da ciò dovrebbe desumersi che sia consentito solo
approvare uno statuto organico, salva successiva sua modifica, mentre
resterebbe preclusa la possibilità di emendare lo statuto vigente,
così da dare vita ad un testo statutario “misto”. Ciò
corrisponderebbe all’esigenza di rendere manifesto il disegno
istituzionale complessivo, sia al corpo elettorale eventualmente
interpellato mediante consultazione referendaria, sia allo stesso
Governo della Repubblica legittimato a ricorrere dinanzi a questa
Corte.
La difesa erariale sostiene inoltre che la deliberazione
impugnata sarebbe in contrasto con l’art. 122, ultimo comma, con
l’art. 126, terzo comma, Cost. e con l’art. 5, comma 2, lettera b),
della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1, disposizioni,
queste, che collegano alla morte, all’impedimento permanente e alle
dimissioni volontarie del Consiglio regionale l’effetto automatico
dello scioglimento del Consiglio regionale, con la conseguente
necessità di procedere a nuove elezioni. Secondo l’Avvocatura
sarebbe sottratta alla potestà statutaria delle Regioni ogni
possibilità di incidere sull’automatismo di tale regola, come
intende fare invece la deliberazione impugnata. Il carattere
transitorio della disposizione, soggiunge la difesa del Presidente
del Consiglio, non sarebbe tale da far venire meno i denunciati vizi
di costituzionalità.
2. – Si è costituito in giudizio, per la Regione Marche, il
Presidente della Giunta regionale.
La difesa della Regione contesta in primo luogo l’argomento
secondo il quale l’art. 123 ammetterebbe solo la approvazione di un
testo statutario organico, replicando che sul piano logico come su
quello normativo non sarebbe possibile escludere che la Regione
approvi modifiche statutarie parziali, perché ciò equivarrebbe a
negare ad essa la stessa autonomia statutaria, che così come
potrebbe essere esplicata in pieno con l’approvazione di un intero
statuto, allo stesso modo potrebbe essere esercitata anche per
approvare norme che lo emendino solo in parte. Il pericolo, paventato
dall’Avvocatura, di interventi plurimi e frammentari che tolgano ogni
organicità al testo statutario risulterebbe d’altro canto
scongiurato sia per la particolarità della fattispecie disciplinata
dalla deliberazione impugnata, sia per il carattere provvisorio di
detta delibera.
Dopo aver premesso che la regola per la quale in caso di mozione
di sfiducia, dimissioni volontarie, impedimento permanente o morte
del Presidente della Giunta si procede alla indizione di nuove
elezioni costituisce espressione del sistema di governo regionale,
come delineato dall’art. 122, ultimo comma, della Costituzione, la
difesa regionale osserva però che lo stesso art. 122 mantiene la
scelta del meccanismo di elezione del Presidente della Giunta
regionale in capo alla Regione, quando afferma che esso è eletto a
suffragio universale e diretto “salvo che lo statuto regionale
disponga diversamente”. Da tale disposizione potrebbe desumersi che
ogni Regione sia autorizzata ad adottare un sistema di governo che
preveda il subentro del vicepresidente in caso di morte o impedimento
permanente del Presidente della Giunta. Né la disposizione così
posta potrebbe essere in alcun modo equiparata all’ipotesi di
dimissioni volontarie del presidente o di mozione motivata di
sfiducia, perché in entrambi questi casi viene a spezzarsi il
rapporto fiduciario che deve sussistere tra Consiglio regionale e
Presidente della Giunta, mentre nell’ipotesi di subentro del
vicepresidente la relazione fiduciaria non ne verrebbe intaccata.
Ulteriore conferma della legittimità della disposizione
statutaria impugnata dovrebbe trarsi dal rilievo che l’art. 123
attribuisce alla Regione la potestà di determinare, con lo statuto,
la propria forma di governo. Il richiamo alla necessità di
armonizzare la potestà statutaria con la Costituzione, in effetti,
non postulerebbe una assoluta aderenza al modello tratteggiato dalle
norme costituzionali, ma implicherebbe la possibilità di una
autonoma capacità di interpretazione dei principi costituzionali da
parte della Regione. Anche sotto questo profilo dovrebbe dunque
riconoscersi che la deliberazione impugnata costituisce una
integrazione del tutto logica e coerente, oltre che temporalmente
delimitata, delle previsioni costituzionali in materia di forma di
governo regionale.
3. – In prossimità della data fissata per la pubblica udienza la
Regione Marche ha presentato ulteriori memorie, nelle quali, dopo
aver dato atto che la legge statutaria oggetto del giudizio non è
stata ancora promulgata, sostiene che il nuovo articolo 123 della
Costituzione non impone che l’esercizio della potestà statutaria si
realizzi uno actu, ma consente interventi modificativi sugli statuti
previgenti approvati con legge statale. Sarebbe dunque da considerare
legittimo ogni intervento di integrazione dello statuto che presenti
i caratteri di un atto di esercizio della potestà statutaria
conferita dal nuovo art. 123 della Costituzione. La “novità” dello
statuto, continua la difesa regionale, da un punto di vista logico
non richiederebbe necessariamente l’approvazione di un testo organico
che sostituisca integralmente il vecchio e non potrebbe essere negata
di fronte al concreto esercizio, sia pure parziale, della nuova
potestà statutaria riconosciuta alle Regioni. Se si riflette sulla
natura del nuovo statuto regionale e sul suo rapporto con quello
vigente, secondo la difesa delle Marche, non potrebbe dubitarsi della
legittimità della delibera impugnata. In effetti, secondo la
Regione, il nuovo statuto, così come il vecchio, è una “fonte
sub-costituzionale a competenza materiale riservata”, che si colloca
in posizione sovraordinata rispetto alle altre fonti primarie e
quindi condiziona la validità delle leggi regionali, analogamente a
quanto avveniva nel regime precedente la riforma del Titolo V, parte
II, della Costituzione. Nonostante il diverso procedimento di
formazione e l’ampliamento del relativo ambito materiale, quindi, lo
statuto avrebbe conservato integra la propria natura, la propria
collocazione nel sistema delle fonti normative, nonché la propria
funzione istituzionale. In questi termini, una novella parziale
effettuata successivamente alla entrata in vigore della legge
costituzionale n. 1 del 1999 dovrebbe considerarsi legittima quanto
quella effettuata prima, unico elemento di diversità tra le due
fattispecie essendo la fonte abilitata a porre in essere la revisione
statutaria.
Quanto alla ipotizzata violazione, da parte della delibera
impugnata, dell’art. 126, ultimo comma, della Costituzione, la
Regione rileva che la regola aut simul stabunt aut simul cadent in
esso posta sarebbe diretta a disciplinare il rapporto tra presidente
e Consiglio solo nel contesto di una forma di governo autonomamente
definita dallo statuto e di una legge elettorale che preveda
l’elezione diretta del Presidente della Giunta, ed afferma che
nessuna di queste condizioni ricorrerebbe nel caso di specie. La
Regione Marche, infatti, non ha ancora adottato uno statuto organico
che definisca la propria forma di governo, né una legge elettorale
regionale, a causa dell’inerzia del legislatore statale, cui compete,
ai sensi dell’art. 122, primo comma, della Costituzione la
definizione dei principi della legislazione elettorale regionale. Non
ricorrerebbero dunque i presupposti per l’applicazione, alla
disciplina transitoria impugnata, dell’art. 126, ultimo comma, della
Costituzione. In ogni caso, anche a ritenere che esso possa trovare
applicazione, la difesa della Regione contesta che l’elezione del
Presidente della Giunta regionale, come disciplinata dalla legge
23 febbraio 1995, n. 43 (Nuove norme per la elezione dei consigli
delle Regioni a statuto ordinario) e dall’art. 5, primo comma, della
legge costituzionale n. 1 del 1999, possa essere considerata
tecnicamente “a suffragio universale e diretto”. Affinché una
elezione presenti tali caratteristiche, occorrerebbe “che il
candidato risulti eletto non soltanto da tutti i soggetti titolari
della capacità elettorale attiva, ma anche che la scelta avvenga
direttamente ed immediatamente, senza dunque che questa sia filtrata
o mediata da altri meccanismi o organi o procedure”. Ciò
postulerebbe che la manifestazione del voto si esprima sulla base di
una scheda che propone all’elettore solo la scelta di un capo
dell’Esecutivo, cosa che attualmente non accade. L’art. 5 poc’anzi
citato, del resto, non parla mai né di elezione diretta, né di
suffragio universale e diretto, ma introduce la indicazione popolare
del presidente della Giunta all’interno di un sistema elettorale che
prevede che il presidente risulti eletto in quanto capolista della
lista regionale dei candidati al Consiglio che ha ottenuto il maggior
numero di voti. La stessa legge elettorale, continua la Regione, reca
previsioni incompatibili con il sistema della elezione diretta del
presidente. Segnatamente, l’art. 2 della legge n. 43 del 1995, nel
disporre che – qualora l’elettore esprima il suo voto soltanto per
una lista provinciale, il voto si intende validamente espresso anche
a favore della lista regionale collegata – dimostrerebbe come al
capolista possano essere attribuiti anche voti non espressamente
indirizzati a lui, tradendo così la logica della elezione a
suffragio universale e diretto. Su queste premesse la difesa della
Regione Marche conclude che, in mancanza di un sistema di elezione
diretta, la regola simul stabunt simul cadent non possa trovare
applicazione. Proprio l’inapplicabilità dell’art. 126, ultimo comma,
nella vigenza dell’attuale sistema elettorale, avrebbe indotto il
legislatore costituzionale ad introdurre una apposita disposizione
transitoria diretta a vincolare anche l’elezione attuale del
presidente al regime della caduta contestuale con il Consiglio.
Sarebbe questa disposizione transitoria, non già l’art. 126, ultimo
comma, ad applicarsi fino alla data di entrata in vigore dei nuovi
statuti regionali e delle nuove leggi regionali, posto che giova
ricordare – la deliberazione impugnata opera all’interno di un
sistema nel quale è ancora vigente la legge elettorale n. 43 del
1995. La deliberazione impugnata, secondo la Regione, si
collocherebbe tuttavia nel campo di applicazione non del primo, ma
del secondo comma, lettera b), dell’art. 5 della legge costituzionale
n. 1 del 1999. Tale disposizione – che a differenza di quella del
comma 1, definisce un regime transitorio “fino all’entrata in vigore
dei nuovi statuti”, indipendentemente dalla intervenuta adozione
della legge elettorale regionale – sarebbe diretta a disciplinare le
situazioni nelle quali continua ad applicarsi un sistema elettorale
definito dalla legge statale vigente e non è stato ancora approvato
un nuovo statuto organico. Sarebbe dunque la stessa disposizione
costituzionale testé menzionata ad autorizzare il legislatore
regionale, nell’esercizio della sua nuova potestà statutaria, a
porre deroghe alla regola simul stabunt simul cadent.
Anche ad ammettere che l’art. 126, ultimo comma, della
Costituzione si debba applicare alla deliberazione legislativa
impugnata, l’introduzione di deroghe alla contestuale permanenza in
carica di presidente e Consiglio rientrerebbe, secondo la difesa
della Regione, nella competenza che il nuovo art. 123 riconosce allo
statuto in materia di forma di governo. Il limite della “armonia” con
la Costituzione, al quale è soggetta la potestà statutaria,
dovrebbe infatti essere riferito alle scelte di fondo che ispirano la
Carta, non già al rispetto formale di singole, puntuali disposizioni
costituzionali. In tale prospettiva, la disciplina impugnata non
potrebbe definirsi “orientata contro la Costituzione”, in quanto
sarebbe diretta semplicemente ad integrare il precedente statuto
senza pregiudicare le scelte da effettuare con il nuovo. In un quadro
di autonomia nel quale lo stesso legislatore costituzionale consente
allo statuto di introdurre deroghe alla elezione diretta del
Presidente, continua la Regione, dovrebbe a fortiori considerarsi
legittima una modifica come quella oggetto di impugnativa, che non
pone in questione il rapporto fiduciario tra Giunta e Consiglio
regionale, e quindi non compromette la finalità stabilizzatrice alla
quale tende la regola simul stabunt simul cadent. Il subentrare del
vicepresidente nelle ipotesi di morte o impedimento permanente del
presidente, infatti, non inciderebbe in alcun modo sul rapporto di
fiducia, ma anzi consentirebbe a tale rapporto di proseguire,
nonostante le vicende naturali che coinvolgano la persona fisica del
Presidente della Giunta.
costituzionale della deliberazione legislativa statutaria adottata,
in seconda votazione, il 24 luglio 2001 dal Consiglio regionale della
Regione Marche e recante “Disciplina transitoria in attuazione
dell’articolo 3 della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1”,
il quale dispone che, fino alla approvazione del nuovo statuto
regionale, nel caso di morte o impedimento permanente del Presidente
della Giunta regionale, il vicepresidente, nominato ai sensi
dell’art. 5, comma 2, lettera a), della legge costituzionale
22 novembre 1999, n. 1 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta
del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle
Regioni), subentra al Presidente nell’esercizio delle relative
funzioni. Il Governo della Repubblica ne denuncia il contrasto con
gli artt. 122, ultimo comma, e 126, terzo comma, della Costituzione,
nonché con l’art. 5, comma 2, lettera b), della legge costituzionale
n. 1 del 1999.
Poiché si tratta del primo ricorso proposto ai sensi
dell’art. 123 della Costituzione, nel testo risultante dalla
revisione operata con la legge costituzionale n. 1 del 1999, occorre
preliminarmente chiarire, ai fini della ammissibilità della
questione, che il termine per promuovere il controllo di legittimità
costituzionale dinanzi a questa Corte decorre dalla pubblicazione
notiziale della delibera statutaria e non da quella, successiva alla
promulgazione, che è condizione per l’entrata in vigore.
Ancor prima di scendere nell’esegesi delle singole proposizioni
costituzionali, va detto che una soluzione diversa da quella appena
indicata non potrebbe certo fondarsi su una esigenza di simmetria con
il giudizio di legittimità sulle leggi regionali, che ormai, a
seguito della revisione dell’art. 127 Cost., così come risultante
dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo
V della parte seconda della Costituzione), è successivo alla entrata
in vigore della legge. Ragioni di coerenza sistematica inducono a
negare che il valore della legge regionale – inteso nel senso
convenzionale di trattamento giuridico – sia in tutto assimilabile a
quello degli statuti regionali, la peculiarità dei quali si fa
evidente se si considerano le diverse innovazioni che li hanno
coinvolti. Il legislatore del 1999 ha introdotto un procedimento
aggravato di formazione dell’atto, imponendo al Consiglio regionale
due successive deliberazioni a maggioranza assoluta, adottate ad
intervallo non minore di due mesi; ha escluso il controllo preventivo
del Governo, lasciando però che ad esso restasse assoggettata la
generalità delle leggi regionali ed ha previsto in sua vece uno
speciale controllo di legittimità da parte della Corte
costituzionale; ha infine prefigurato una eventuale consultazione
referendaria, sicché può dirsi che il procedimento di formazione
richiami il modello che l’art. 138 della Costituzione delinea per le
leggi di revisione costituzionale.
Complessivamente considerata, la disciplina posta dall’art. 123
è chiara nelle sue linee portanti e realizza un assetto normativo
unitario e compatto, in cui ciascuna previsione è assistita da una
propria ragione costituzionale, e tutte si legano tra loro in un
vincolo di coerenza sistematica, che disvela il ponderato equilibrio
delle scelte del legislatore costituzionale. Da un lato, le istanze
autonomistiche sono state pienamente appagate con l’attribuzione allo
statuto di un valore giuridico che lo colloca al vertice delle fonti
regionali e con la scomparsa dell’approvazione parlamentare;
dall’altro, il principio di legalità costituzionale ha ricevuto una
protezione adeguata alla speciale collocazione dello statuto nella
gerarchia delle fonti regionali: la previsione di un controllo di
legittimità costituzionale in via preventiva delle deliberazioni
statutarie è intesa infatti ad impedire che eventuali vizi di
legittimità dello statuto si riversino a cascata sull’attività
legislativa e amministrativa della Regione, per le parti in cui
queste siano destinate a trovare nello statuto medesimo il proprio
fondamento esclusivo o concorrente.
Ebbene, se si considera la essenziale posizione che,
nell’art. 123 Cost., assume l’impugnazione governativa dinanzi alla
Corte costituzionale e si tiene conto delle istanze alle quali tale
posizione corrisponde, la tesi sostenuta dalla difesa regionale,
secondo cui la modifica dell’art. 127 Cost. avrebbe comportato
l’assimilazione del regime giuridico degli statuti a quello delle
“ordinarie” leggi regionali, non può essere accolta. Pieno
riconoscimento di autonomia statutaria e controllo preventivo di
legittimità costituzionale rappresentavano, nel sistema della legge
costituzionale n. 1 del 1999, un binomio inscindibile, che la
successiva modificazione del trattamento delle leggi regionali non ha
minimamente scalfito e che conserva la sua autonoma ragion d’essere
anche dopo l’ampia revisione del Titolo V della parte II e la
connessa modificazione del regime di impugnazione delle leggi
regionali.
2. – Il quadro sistematico poc’anzi tratteggiato non è
contraddetto dall’esegesi delle disposizioni costituzionali
coinvolte.
L’art. 123, secondo comma, della Costituzione dopo aver
disciplinato il procedimento di formazione dello statuto regionale ed
aver statuito che per tale peculiare legge non è richiesta
l’apposizione del visto da parte del Commissario del Governo, dispone
che “il Governo della Repubblica può promuovere la questione di
legittimità costituzionale sugli statuti regionali dinanzi alla
Corte costituzionale entro trenta giorni dalla loro pubblicazione”.
Il successivo comma prevede che lo statuto “è sottoposto a
referendum popolare qualora entro tre mesi dalla sua pubblicazione ne
faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori della Regione o un
quinto dei componenti il Consiglio regionale” e stabilisce che “lo
statuto sottoposto a referendum non è promulgato se non è approvato
dalla maggioranza dei voti validi”.
La parola pubblicazione, utilizzata nel terzo comma, indica un
evento che è anteriore alla promulgazione dello statuto (e quindi
anche alla pubblicazione cosiddetta necessaria che ne determina
l’entrata in vigore) e che funge da momento iniziale per il decorso
del termine per richiedere referendum. È a questo punto assai arduo
immaginare, in assenza di una esplicita indicazione in tal senso da
parte del legislatore costituzionale, che quella stessa parola
“pubblicazione”, che compare nel comma precedente e che ha,
anch’essa, la funzione di scandire l’iniziale decorso di un termine
(quello entro il quale il Governo della Repubblica può promuovere la
questione di legittimità costituzionale sugli statuti regionali),
abbia un significato totalmente disomogeneo e stia ad indicare non
una pubblicazione a fini notiziali, ma la pubblicazione successiva
alla promulgazione, la cui funzione, di per sé, non è quella di
provocare l’apertura di termini, ma l’entrata in vigore degli atti
normativi.
L’interpretazione testuale induce dunque a ritenere che il
termine pubblicazione di cui ai commi secondo e terzo indichi forme
di pubblicità notiziale; conclusione non dissimile suggerisce
l’architettura logica dell’art. 123 della Costituzione. Le diverse
disposizioni delle quali la disciplina degli statuti regionali si
compone sono poste in una successione che corrisponde pienamente
all’articolazione del controllo in due fasi procedimentali distinte
ed autonome: il giudizio di legittimità e il referendum. Ad
accogliere la tesi che il giudizio della Corte debba avvenire su
deliberazioni statutarie già entrate in vigore, la sequenza
procedimentale, che nell’art. 123 ha un andamento logicamente
coerente, ne risulterebbe rovesciata: sarebbe infatti disciplinato
prima, nel secondo comma, un controllo di legittimità temporalmente
successivo, e quindi, nel terzo, una consultazione popolare avente ad
oggetto quello stesso atto la cui validità potrebbe essere, in tutto
o in parte, negata dalla Corte costituzionale. Proprio quest’ultima
considerazione, insieme agli argomenti testuali e sistematici dei
quali si è detto, rende ragione della simmetria tra la collocazione
topografica delle disposizioni e la successione temporale delle
attività in esse previste.
In conclusione, il ricorso proposto dal Governo prima che la
deliberazione statutaria sia entrata in vigore, ma nei trenta giorni
dalla pubblicazione notiziale della deliberazione stessa sul
bollettino ufficiale della Regione, è da ritenere ammissibile.
3. – Una prima censura investe la deliberazione del Consiglio
regionale della Regione Marche per aver essa disposto una modifica
solo parziale dello statuto. La potestà di “approvare e modificare
lo statuto”, ad avviso dell’Avvocatura dello Stato, autorizzerebbe
solo l’approvazione di uno statuto organico e la sua successiva
modifica, ma non comprenderebbe la possibilità di emendare lo
statuto ancora vigente, approvato con legge statale. La molteplicità
di atti normativi autodefinentisi statuti – ragiona la difesa
erariale – in assenza di uno statuto interamente prodotto dalla
Regione potrebbe far sorgere difficoltà interpretative
insormontabili e rendere oscuro il disegno istituzionale complessivo
sia al Governo, legittimato a ricorrere innanzi alla Corte
costituzionale, sia al corpo elettorale nell’eventuale fase
referendaria.
Nessuno di tali rilievi può essere accolto, a partire dalla idea
alla quale la censura è ispirata, che guarda ai vecchi e tuttora
vigenti statuti come pura espressione di potestà statale e non
ravvisa in essi, nella sostanza, una manifestazione di autonomia
regionale, nonostante la loro imputazione formale e nonostante i
limiti assai più pregnanti entro i quali li costringeva l’originaria
formulazione dell’articolo 123 della Costituzione. Deliberati dal
Consiglio regionale, quegli statuti erano bensì approvati con legge
statale, ma non potevano da questa essere emendati né
successivamente modificati unilateralmente. Si può certo dire che le
norme in essi contenute non erano interamente disponibili dalle
Regioni, ma oggi, dopo l’innovazione introdotta dalla legge
costituzionale n. 1 del 1999, lo sono divenute: solo la legge
regionale, con il peculiare procedimento previsto dal nuovo
articolo 123 della Costituzione, può modificarle o sostituirle. Se
esse sono destinate a sopravvivere in tutto o in parte e per un
periodo transitorio più o meno lungo, ciò accade per una scelta
ascrivibile alla Regione. E se ne può dedurre che il vecchio
contenuto degli statuti risultante dalle leggi statali di
approvazione e quello nuovo che prenderà vita nelle future
deliberazioni statutarie sono unificati dal potere, che solo alle
Regioni è attribuito, di disporne: ciò che li rende, nel loro
insieme e senza possibilità alcuna di distinguerli in ragione della
diversa provenienza, espressione di autonomia.
Quanto poi all’argomento speso dalla difesa statale, per il quale
la frammentarietà di plurimi interventi di revisione statutaria
creerebbe disorientamento nell’elettorato e nel Governo perché
renderebbe incerto e precario il disegno riformatore complessivo, si
tratta di un rilievo inidoneo a fondare un onere costituzionale di
revisione totale degli statuti regionali vigenti e che mostra la sua
inconsistenza se appena si considera che anche in riferimento al
procedimento di revisione costituzionale è fisiologico, e comunque
comprovato dalla prassi applicativa dell’art. 138 della Costituzione,
che l’elettorato possa essere chiamato a pronunciarsi su proposte di
revisione parziale.
Del resto una limitazione tanto grave della potestà normativa
regionale di grado più elevato, che resterebbe paralizzata finché
non prendesse forma nella approvazione di un testo integralmente
sostitutivo di quello vigente, non potrebbe certo essere affermata
argomentando da presunti inconvenienti pratici derivanti
dall’esercizio frazionato dell’autonomia statutaria. In assenza di
statuizioni costituzionali esplicite che siano dirette a limitarne la
portata, il conferimento alle Regioni di tale autonomia non può non
incorporare il potere di determinarne le modalità ed i tempi di
esercizio.
4. – Con una seconda censura, il Governo lamenta che la
deliberazione statutaria impugnata, nel prevedere che in via
transitoria, e segnatamente fino alla approvazione del nuovo statuto
regionale, il vicepresidente della Giunta regionale subentra al
Presidente nell’esercizio delle relative funzioni, nel caso di morte
o impedimento permanente di quest’ultimo, sarebbe in contrasto con
gli artt. 122, ultimo comma, e 126, terzo comma, Cost., nonché con
l’art. 5, comma 2, lettera b), della legge costituzionale 22 novembre
1999, n. 1.
La questione è fondata.
L’art. 126, terzo comma, della Costituzione dispone:
“L’approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del
Presidente della Giunta eletto a suffragio universale e diretto,
nonché la rimozione, l’impedimento permanente, la morte o le
dimissioni volontarie dello stesso comportano le dimissioni della
Giunta e lo scioglimento del Consiglio”.
Analoga è la formulazione dell’art. 5, comma 2, lettera b),
della legge costituzionale n. 1 del 1999, dettato in relazione al
periodo transitorio (“fino alla entrata in vigore dei nuovi
statuti”).
Il significato delle due disposizioni è evidente: con esse si
tende a garantire, mediante il vincolo del simul stabunt, simul
cadent la stabilità dell’esecutivo regionale. Identiche nella ratio
le due previsioni normative si differenziano per la loro sfera
temporale di operatività. L’art. 5, comma 2, lettera b), contiene la
disciplina transitoria, destinata a permanere fino a quando,
nell’esercizio dell’autonomia statutaria loro riconosciuta
dall’art. 123, primo comma, le Regioni compiranno la scelta in ordine
alla propria forma di governo. Solo in quel caso sarà loro
consentito esercitare la facoltà prevista dall’ultimo comma
dell’art. 126 e optare per un sistema di elezione del Presidente
della Giunta regionale diverso dal suffragio diretto, ciò che le
scioglierà dall’osservanza del vincolo costituzionale di cui si
parla.
Non vale l’obiezione della difesa regionale secondo cui il
sistema elettorale che l’art. 5, comma 1, della legge costituzionale
n. 1 del 1999 impone alle Regioni fino alla adozione dei nuovi
statuti e delle nuove leggi elettorali non darebbe luogo ad una vera
e propria elezione del Presidente della Giunta a suffragio diretto.
Quale che sia la risposta tecnicamente corretta a tale quesito, il
fatto stesso che anche per il periodo transitorio si sia inteso
rendere operante il principio del simul stabunt, simul cadent
dimostra che, nella valutazione del legislatore costituzionale,
l’elezione del Presidente della Giunta è assimilabile, quanto a
legittimazione popolare acquisita dall’eletto, ad una vera e propria
elezione a suffragio diretto.
Neppure rileva in questa sede il prospettato problema se, per
compiere autonome scelte circa il proprio sistema elettorale, le
Regioni debbano attendere la determinazione dei principi fondamentali
da parte della legge statale, ai sensi dall’art. 122, primo comma,
Cost., o se, di fronte all’inerzia del legislatore nazionale, possano
desumere tali principi dalle leggi statali attualmente vigenti.
5. – Alla luce delle considerazioni fin qui svolte è agevole
verificare se la deliberazione statutaria impugnata debba essere
scrutinata sul parametro dell’art. 5 della legge costituzionale n. 1
del 1999 o se, come sostiene la difesa regionale, il regime da tale
disposizione previsto sia venuto a cessare proprio a causa
dell’esercizio, seppure parziale, della potestà statutaria. È
sufficiente a tal fine rilevare che la Regione Marche, con la sua
parziale innovazione statutaria, non ha operato quella diversa scelta
in ordine alla forma di governo regionale che sola avrebbe potuto
esonerarla dall’osservanza della regola stabilizzatrice che la
Costituzione e la disciplina transitoria impongono nel caso di
elezione diretta del vertice dell’esecutivo. Con lo stabilire che,
nel caso di morte o impedimento permanente del Presidente della
Giunta, non si proceda a scioglimento del Consiglio ed a nuove
elezioni, ma gli subentri un vicepresidente, la disposizione
censurata comporta una puntuale violazione della disposizione di
rango costituzionale contenuta nel più volte menzionato art. 5,
comma 2, lettera b).
La circostanza che la deliberazione impugnata sia stata adottata
nella forma statutaria non vale a superare il vizio di legittimità
dal quale essa è affetta. L’articolo 123 della Costituzione
assoggetta attualmente la potestà statutaria regionale al solo
limite dell'”armonia con la Costituzione” con formulazione meno
stringente di quella precedente, che richiedeva anche l’armonia con
le “leggi della Repubblica”. Da ciò la difesa regionale ha tratto
argomento per sostenere che il limite di legittimità degli statuti
dovrebbe essere riferito ai valori di fondo che ispirano la
Costituzione. L’armonia, si ragiona, esigerebbe solo che lo statuto
non sia “orientato contro la Costituzione” e non ne pregiudichi i
principi generali, ma non escluderebbe la possibilità di derogare a
sue singole norme.
Neppure questo ordine di considerazioni può essere accolto. Il
riferimento all'”armonia”, lungi dal depotenziarla, rinsalda
l’esigenza di puntuale rispetto di ogni disposizione della
Costituzione, poiché mira non solo ad evitare il contrasto con le
singole previsioni di questa, dal quale non può certo generarsi
armonia, ma anche a scongiurare il pericolo che lo statuto, pur
rispettoso della lettera della Costituzione, ne eluda lo spirito.
Tutto in conclusione può dirsi della deliberazione statutaria in
questione, adottata in aperto contrasto con la disciplina
costituzionale transitoria dell’art. 5, comma 2, lettera b), tranne
che essa sia “in armonia” con la Costituzione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l’illegittimità costituzionale della deliberazione
legislativa statutaria adottata, in seconda votazione, il 24 luglio
2001 dal Consiglio regionale della Regione Marche e recante
“Disciplina transitoria in attuazione dell’articolo 3 della legge
costituzionale 22 novembre 1999, n. 1”.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2002.
Il Presidente: Ruperto
Il redattore: Mezzanotte
Il cancelliere:Di Paola
Depositata in cancelleria il 3 luglio 2002.
Il direttore della cancelleria:Di Paola