Sentenza N. 305 del 2002
Corte Costituzionale
Data generale
03/07/2002
Data deposito/pubblicazione
03/07/2002
Data dell'udienza in cui è stato assunto
20/06/2002
Presidente: Cesare RUPERTO;
Giudici: Massimo VARI, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY,
Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE;
disposto degli articoli 139 e 143, terzo comma, del regio decreto
11 dicembre 1933, n. 1775 (Testo unico delle disposizioni di legge
sulle acque e impianti elettrici), promosso con ordinanza emessa il
9 maggio 2001 dal Tribunale superiore delle acque pubbliche sul
ricorso proposto dal Consorzio per l’incremento della irrigazione nel
territorio cremonese contro il comune di Spino d’Adda ed altri,
iscritta al n. 803 del registro ordinanze 2001 e pubblica nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, 1ª serie speciale,
dell’anno 2001.
Visto l’atto di costituzione del Consorzio per l’incremento della
irrigazione nel territorio cremonese;
Udito nell’udienza pubblica del 26 marzo 2002 il giudice relatore
Piero Alberto Capotosti;
Udito l’avv. Maria Cristina Zavatti per il Consorzio per
l’incremento della irrigazione nel territorio cremonese.
del 9 maggio 2001, depositata il 22 maggio 2001, solleva questione di
legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 139
e 143, terzo comma, del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775
(Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti
elettrici), “nella parte in cui non prevede la nomina di uno o più
supplenti destinati a sostituire i membri effettivi del Tribunale
superiore delle acque pubbliche nel caso in cui uno o più di tale
membri effettivi siano obbligati ad astenersi in presenza di uno dei
motivi stabiliti dall’art. 51, primo comma, cod. proc. civ.”, in
riferimento agli artt. 24, primo comma, 102, 103, 111, primo e
secondo comma, e 113 della Costituzione.
2. – La questione è stata sollevata nel corso di un giudizio di
rinvio – a seguito di annullamento da parte delle Sezioni unite della
Corte di cassazione della sentenza n. 78 del 24 novembre 1997
pronunciata dal Tribunale superiore delle acque pubbliche –
ritualmente riassunto dal Consorzio per l’incremento dell’irrigazione
nel territorio cremonese ed avente ad oggetto l’annullamento
dell’ordinanza n. 19 del 1 giugno 1993 con la quale il sindaco del
comune di Spino d’Adda dispose la demolizione di opere edilizie di
contenimento dell’argine del canale “Vacchelli” perché realizzate in
assenza di autorizzazione.
2.1. – Il giudice a quo espone che, a norma dell’ultimo comma
del citato art.143 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, nelle
materie indicate in tale articolo il Tribunale superiore decide con
sette votanti, cioè con tre magistrati, con tre consiglieri di Stato
e con un tecnico e che l’art. 139 dello stesso regio decreto
disciplina la composizione del Tribunale superiore delle acque
pubbliche e stabilisce che esso è composto di un presidente, di
quattro consiglieri di Stato, di quattro magistrati scelti fra i
consiglieri di Cassazione e di tre tecnici, membri effettivi del
Consiglio superiore dei lavori pubblici, non aventi funzioni di
amministrazione attiva.
Il collegio chiamato a pronunziare la sentenza in sede di rinvio
– rileva il rimettente – non potrà che essere composto da almeno uno
dei giudici che hanno già conosciuto della causa nel precedente
giudizio, in quanto il collegio che ha pronunciato la sentenza n. 78
del 1997, poi cassata con rinvio dalla Corte suprema, era costituito
da sette votanti, tra i quali tre consiglieri di Stato, e due di
questi ultimi sono attualmente componenti del Tribunale superiore per
il quinquennio in corso.
Il giudice a quo – tenuto conto che, a norma dell’art. 51, comma
primo, n. 4 cod. proc. civ., “applicabile anche ai giudizi davanti al
Tribunale superiore delle acque pubbliche, per effetto del rinvio di
cui all’art. 208 del regio decreto n. 1775 del 1933”, il magistrato
ha l’obbligo di astenersi quando ha conosciuto della causa quale
giudicante in altro grado del processo – ritiene che il costante
orientamento della giurisprudenza, secondo cui, in mancanza d’istanza
di ricusazione, la violazione da parte del giudice dell’obbligo di
astenersi per avere conosciuto della causa in un precedente grado del
processo non determini nullità della sentenza e non è deducibile
come motivo d’impugnazione, dovrebbe essere riesaminato, in virtù
della nuova formulazione dell’art. 111, secondo comma, della
Costituzione. Inoltre, non si potrebbe pretendere che un giudice, per
assicurare la formazione del collegio, debba esporsi non soltanto ad
essere ricusato, ma debba coscientemente violare un obbligo che gli
è imposto dalla legge.
La situazione, dunque, non sarebbe “allo stato superabile se non
imponendo al collegio di emettere una decisione che, ancorché non
viziata sul piano processuale – non configurandosi una nullità
deducibile in sede d’impugnazione in difetto di un’istanza di
ricusazione – si collocherebbe in un quadro di non conformità al
diritto” ed in contrasto con un fondamentale valore costituzionale.
Il giudice a quo pone in risalto il fatto che la determinazione
per legge della pianta organica e l’assenza di membri supplenti non
consentono, in virtù anche della riserva di legge ex art. 108 della
Costituzione, interventi di natura amministrativa, quali applicazioni
e supplenze. Le parti, però, hanno “diritto ad una decisione, come
espressione del diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri
diritti e interessi legittimi (artt. 24, primo comma, e 113 Cost.),
l’esercizio della funzione giurisdizionale deve essere assicurato
(artt. 102 e 103 Cost.), e tale esercizio deve attuarsi mediante un
giusto processo regolato dalla legge (art. 111, primo comma, Cost.),
davanti a un giudice che non soltanto sia ma si presenti anche
imparziale (art. 111, secondo comma, Cost.)”.
La questione, dunque, non sarebbe manifestamente infondata
perché l’impossibilità di comporre il collegio giudicante, in
conformità alla disciplina processuale vigente, si tradurrebbe “in
un vulnus per il corretto esercizio della giurisdizione”, incidendo
sia sul diritto di agire in giudizio, privato del contenuto proprio
di realizzare la tutela della situazione giuridica vantata in
giudizio, sia sull’attuazione della funzione giurisdizionale nel
rispetto delle condizioni di cui all’art. 111, comma secondo, della
Costituzione.
3. – Nel giudizio si è costituito il Consorzio per l’incremento
dell’irrigazione nel territorio cremonese, chiedendo l’accoglimento
della questione di legittimità costituzionale.
La difesa del Consorzio pone l’accento sull’evidente pregiudizio
del magistrato che abbia già conosciuto i fatti di causa ed abbia
pronunciato decisioni in una fase o grado diverso del processo. Tale
situazione sarebbe in contrasto con i precetti costituzionali
indicati dal Tribunale superiore nell’ordinanza di rimessione e
renderebbe incostituzionali le norme del testo unico in tema di
giurisdizione sulle “Acque pubbliche”, nella parte in cui non
prevedono la sostituzione del giudice che versi in una delle previste
ipotesi di astensione e voglia adempiere al dovere di astenersi.
4. – All’udienza pubblica la parte costituita ha insistito per
l’accoglimento delle conclusioni rassegnate nelle difese scritte.
Tribunale superiore delle acque pubbliche con l’ordinanza indicata in
epigrafe ha ad oggetto il combinato disposto degli artt. 139 e 143,
terzo comma, del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1175 (Testo unico
delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici), nella
parte in cui non prevede la nomina di supplenti dei membri effettivi
del Tribunale superiore delle acque pubbliche in caso di astensione
in presenza di uno dei motivi stabiliti dall’art. 51, primo comma,
del codice di procedura civile.
Le predette norme contrasterebbero infatti, secondo l’ordinanza
di rimessione, con gli artt. 24, primo comma, 102, 103, 111, primo e
secondo comma, e 113 della Costituzione, in quanto, nel caso di
astensione obbligatoria o in altre ipotesi di legittimo impedimento
di uno o più componenti del Tribunale, la mancata previsione di
membri supplenti e l’impraticabilità di forme di temporanea
sostituzione, determinerebbero l’impossibilità di comporre il
collegio giudicante in conformità alla disciplina processuale
vigente, traducendosi essenzialmente in una lesione del diritto alla
tutela giurisdizionale e in un vulnus al corretto e regolare
esercizio della giurisdizione, sotto i diversi profili evocati dai
parametri costituzionali indicati.
2. – La questione è fondata.
Va premesso che il Tribunale superiore delle acque pubbliche – i
cui componenti durano in carica un quinquennio, ma possono essere
riconfermati – in un giudizio del 1997 aveva emesso, ai sensi
dell’ultimo comma dell’art. 143 del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775,
una sentenza – poi annullata dalle Sezioni Unite della Corte di
cassazione con rinvio allo stesso Tribunale – con la partecipazione
di sette giudici, tra cui tre appartenenti al Consiglio di Stato, due
dei quali sono componenti del Tribunale superiore anche per il
quinquennio in corso. Ne consegue che del collegio, che ora è
chiamato in sede di rinvio a decidere su quella sentenza,
necessariamente dovrà far parte, tra i tre membri appartenenti al
Consiglio di Stato, almeno uno che aveva già conosciuto la causa nel
precedente giudizio. Sussistono quindi, secondo l’ordinanza di
rimessione, tutti i presupposti perché sorga l’obbligo di astensione
– ai sensi dell’art. 51, primo comma, numero 4, del codice di
procedura civile, applicabile anche ai giudizi davanti al Tribunale
superiore, in forza del rinvio contenuto nell’art. 208 dello stesso
r.d. n. 1775 del 1933 – a carico appunto di quel giudice, che si
trova nella predetta condizione di incompatibilità.
La dichiarazione di astensione, però, nel caso di specie,
condurrebbe, ad avviso del giudice rimettente, ad una insuperabile
situazione di “blocco” della funzione giurisdizionale, poiché
sarebbe impedita “perfino la costituzione del collegio”, non essendo
possibile alcuna forma di sostituzione del componente che si astiene,
dato che la legge fissa la composizione organica del Tribunale
superiore senza prevedere membri supplenti.
Così impostata la questione, il dubbio di costituzionalità
risulta fondato in riferimento al vulnus recato alla correttezza e
alla regolarità dell’esercizio della giurisdizione. Infatti le norme
denunziate, nella parte in cui omettono di prevedere meccanismi di
sostituzione di membri effettivi del Tribunale superiore nei casi di
astensione obbligatoria, a norma dell’art. 51, primo comma, numero 4
del codice di procedura civile, o in altri casi di legittimo
impedimento, precludono la regolare formazione del collegio
giudicante, determinando così la lesione, sotto vari profili, degli
artt. 24, primo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, che
in particolare fissano il principio del diritto di agire in giudizio
per la tutela dei propri diritti davanti ad un giudice terzo ed
imparziale nell’ambito del “giusto processo”. Il principio di
imparzialita-terzietà della giurisdizione ha infatti pieno valore
costituzionale in relazione a qualunque tipo di processo, pur nella
diversità delle rispettive discipline connessa alle peculiarità
proprie di ciascun tipo di procedimento (cfr., da ultimo, sentenza
n. 78 del 2002). E proprio in riferimento all’ipotesi specifica di
astensione obbligatoria prevista dall’art. 51, primo comma, numero 4
del codice di procedura civile, questa Corte ha affermato che è
ragionevole la scelta legislativa di garantire la
imparzialita-terzietà del giudice attraverso gli istituti
dell’astensione e ricusazione, essendo imprescindibile l’esigenza di
evitare la preesistenza di valutazioni da parte dello stesso giudice
sulla medesina res iudicanda (cfr. sentenza n. 387 del 1999).
Inoltre, la omessa previsione, da parte del combinato disposto
dei citati artt. 139 e 143, terzo comma, del r.d. n. 1775 del 1933,
di meccanismi di sostituzione dei membri effettivi del Tribunale
superiore delle acque pubbliche, nelle ipotesi di astensione
obbligatoria specificate dall’art. 51, primo comma, numero 4 del
codice di procedura civile o in altre ipotesi di legittimo
impedimento, comporta la lesione degli invocati parametri
costituzionali, anche perché pregiudica e compromette “la
continuità e la prontezza della funzione giurisdizionale” (sentenza
n. 156 del 1963), non risultando assicurati congrui modi per colmare
i vuoti temporanei nel collegio giudicante, così da garantire il
necessario funzionamento dell’ufficio (cfr. sentenza n. 392 del
2000).
Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l’illegittimità costituzionale del combinato disposto
degli artt. 139 e 143, terzo comma, del regio decreto 11 dicembre
1933, n. 1775 (Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e
impianti elettrici), nella parte in cui non prevede meccanismi di
sostituzione del componente astenuto, ricusato o legittimamente
impedito del Tribunale superiore delle acque pubbliche.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2002.
Il Presidente: Ruperto
Il redattore: Capotosti
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 3 luglio 2002.
Il direttore della cancelleria: Di Paola