Sentenza N. 31 del 1971
Corte Costituzionale
Data generale
01/03/1971
Data deposito/pubblicazione
01/03/1971
Data dell'udienza in cui è stato assunto
24/02/1971
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
– Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO
– Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE –
Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
comma, della legge 27 maggio 1929, n. 847 (disposizioni per
l’applicazione del Concordato dell’11 febbraio 1929 tra la Santa Sede e
l’Italia, nella parte relativa al matrimonio), promosso con ordinanza
emessa il 23 ottobre 1968 dal tribunale di Milano nel procedimento
civile vertente tra il p.m. contro Ghisotti Denzo Giancarlo e
Siliprandi Bianca Virginia, iscritta al n. 34 del registro ordinanze
1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 78 del
26 marzo 1969.
Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica dell’11 novembre 1970 il Giudice
relatore Michele Fragali;
uditi i sostituti avvocati generali dello Stato Francesco Agro e
Vito Cavalli, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1. – È stato sottoposto al controllo di questa Corte l’articolo 7,
ultima parte (recte: comma), della legge matrimoniale 27 maggio 1929,
n. 847, in quanto non prevede una opposizione alle pubblicazioni di
matrimonio concordatario a causa dell’affinità di primo grado fra i
nubendi.
La questione è stata promossa dal tribunale di Milano, in
relazione all’art. 3 della Costituzione, con la sua ordinanza 23
ottobre 1968. Il tribunale ha rilevato che la norma determina
disparità di trattamento fra i cittadini che contraggono il matrimonio
concordatario ed i cittadini che contraggono matrimonio secondo la
legge civile, potendo solo i primi essere dispensati dal particolare
impedimento.
2. – Nel giudizio di costituzionalità così introdotto non si sono
costituite le parti private ed è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Il quale ha opposto che il matrimonio regolato in base agli accordi
lateranensi riconosciuti dall’art. 7 della Costituzione costituisce un
istituto distinto dal matrimonio civile. Lo Stato, riconoscendo che la
religione cattolica è quella della maggioranza dei cittadini e
ritenendo quindi opportuno agevolare le unioni matrimoniali celebrate
con rito cattolico, ha attribuito rilevanza giuridica ad una situazione
obiettiva di vasta portata, la quale presenta aspetti etici e religiosi
suoi propri.
La diversità di confessione dei cittadini di un medesimo Stato è
una realtà storica, e non è creare situazioni di privilegio o
autoritarie disparità il tenere conto delle più importanti
espressioni e dei riti di ciascuna confessione. La norma è disponibile
per tutti, perché ogni cittadino è libero di scegliere il rito
matrimoniale concordatario o quello civile: un trattamento disuguale
avrebbe potuto sussistere soltanto se il rito concordatario fosse stato
imposto.
In una memoria successiva alle deduzioni predette il Presidente del
Consiglio ha ribadito che il matrimonio concordatario è stato oggetto
di espressa considerazione nella Costituzione e che la disuguaglianza
rilevata dal tribunale di Milano costituisce l’effetto di disposizioni
legislative contemplate nell’art. 7 della Costituzione.
3. – La causa, con ordinanza 18 giugno 1970, n. 120, fu riunita a
quelle iscritte ai nn. 171 del registro ordinanze 1968, 190 del
registro ordinanze 1969 e 105 del registro ordinanze 1970.
Venne trattata all’udienza pubblica dell’11 novembre 1970 su unica
relazione; l’Avvocatura dello Stato svolse le sue tesi difensive e
insistette nelle conclusioni già prese.
Successivamente la causa passò a decisione separata avendo la
Corte rinviato al giudice di merito la causa iscritta al n. 105 del
registro ordinanze 1970, per un nuovo esame della rilevanza delle
questioni proposte.
È incontestabile che, quanto all’impedimento dell’affinità di
primo grado, v’è quella differenza di regime fra celebrazione del
matrimonio civile e celebrazione del matrimonio concordatario che il
tribunale di Milano ha denunciato: l’impedimento infatti può formare
oggetto di dispensa secondo l’ordinamento canonico, non secondo
l’ordinamento civile (salvo il caso di cui alla seconda parte dell’art.
87, quarto comma).
È parimenti esatto, come sostiene l’Avvocatura dello Stato, che il
matrimonio canonico è riconosciuto dall’art. 7 della Costituzione; ma
questa Corte, con sentenza in pari data n. 30, ha giudicato che la
predetta norma non preclude il controllo di costituzionalità delle
leggi che immisero nell’ordinamento interno le clausole dei Patti
lateranensi, potendosene valutare la conformità o meno ai principi
supremi dell’ordinamento costituzionale. La normativa concernente il
matrimonio concordatario ha una sua giustificazione nell’ambito del
disposto del menzionato art. 7; per cui la semplice differenza di
regime riscontrabile fra matrimonio civile e matrimonio concordatario,
che non importi violazione degli altri precetti costituzionali nel
senso predetto, non integra di per sé una illegittima disparità di
trattamento.
La norma denunciata non ammette che, per la ragione dell’affinità
dei nubendi, possa promuoversi opposizione alle pubblicazioni richieste
per il matrimonio concordatario, volendo rispettare le basi
confessionali sulle quali si fonda la dispensa di diritto canonico
relativa agli impedimenti al matrimonio. Basi diverse ha essenzialmente
il sistema della dispensa dagli impedimenti al matrimonio civile,
informato, com’è, a valutazioni esclusivamente laiche, dalle quali
possono razionalmente risultare difformità di determinazioni
normative.
Né si vede come la celebrazione del matrimonio fra affini di primo
grado, che il codice di diritto canonico consente, previa dispensa,
possa ledere i principi supremi dell’ordinamento costituzionale dei
quali si è fatta parola.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 7, ultimo comma, della legge matrimoniale 27 maggio 1929, n.
847, sollevata dal tribunale di Milano con ordinanza 23 ottobre 1968,
in riferimento all’art. 3 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 febbraio 1971.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE
FRAGALI – COSTANTINO MORTATI –
GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ
– GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI.