Sentenza N. 314 del 1983
Corte Costituzionale
Data generale
18/10/1983
Data deposito/pubblicazione
18/10/1983
Data dell'udienza in cui è stato assunto
30/09/1983
ROSSANO – Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott.
BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO
PALADIN – Dott. ARNALDO MACCARONE – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof.
VIRGILIO ANDRIOLI – Prof. GIUSEPPE FERRARI – Dott. FRANCESCO SAJA –
Prof. GIOVANNI CONSO – Prof. ETTORE GALLO, Giudici,
13, 15, 21, 22 e 25 della legge 10 maggio 1976, n. 319 e dell’art. 1
quater della legge 8 ottobre 1976, n. 690 (Tutela delle acque
dall’inquinamento – insediamenti civili) promossi con le ordinanze
emesse il 29 maggio 1978 dal Pretore di Torino (due ordinanze), l’8
gennaio 1979 dal Pretore di Gallarate, il 6 febbraio 1979 dal Pretore
di Codogno, il 28 febbraio 1979 dal Pretore di Torino, il 12 dicembre
1979 dal Pretore di Pavia, il 26 novembre e il 6 dicembre 1980 dal
Tribunale di Mantova, il 18 dicembre 1980 dal Pretore di Bozzolo, il 4
marzo 1981 dal Tribunale di Como, il 13 novembre 1981 dal Tribunale di
Mantova e il 2 aprile 1982 dal Pretore di Pontedecimo, ordinanze
rispettivamente iscritte ai nn. 476 e 557 del registro ordinanze 1978,
ai nn. 275, 331 e 415 del registro ordinanze 1979, al n. 72 del
registro ordinanze 1980, ai nn. 121, 218, 223, 331 e 416 del registro
ordinanze 1981 e ai nn. 16 e 418 del registro ordinanze 1982 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 10, 31, 168,
175 e 196 del 1979, n. 85 del 1980, nn. 137, 207, 262 e 283 del 1981 e
nn. 129 e 324 del 1982.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio dell’11 maggio 1983 il Giudice
relatore Livio Paladin.
1. – Con due ordinanze emesse il 29 maggio 1978, il Pretore di Torino
ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1
quater della legge 8 ottobre 1976, n. 690, nonché degli artt. 9, 12,
13, 15 e 21 della legge 10 maggio 1976, n. 319, “nella parte in cui
escludono l’assoggettamento dei complessi immobiliari adibiti a
prestazione di servizi al regime dei controlli, delle autorizzazioni e
delle sanzioni penali previste per i soli insediamenti produttivi”; e
ciò, per pretesa violazione degli artt. 2, 3, 9 e 32 Cost.
Nella specie, erano in corso vari procedimenti penali,
rispettivamente concernenti una “lavanderia artigiana” ed una serie di
“stazioni di autolavaggio”: vale a dire due tipi di insediamenti che –
secondo il giudice a quo – sarebbero stati classificabili fra quelli
produttivi, a tutti gli effetti previsti dalla legge n. 319 del 1976.
Senonché il sopravvenuto art. 1 quater della legge n. 690 del medesimo
anno avrebbe testualmente incluso “fra gli insediamenti civili tutti
gli insediamenti adibiti a prestazione di servizi, indipendentemente
dalle modalità di formazione dello scarico, dall’origine e dalle
caratteristiche inquinanti delle acque reflue risultanti”. Così
disponendo, il legislatore avrebbe per altro violato il principio di
eguaglianza, introducendo un’ingiustificata disparità di trattamento
fra i titolari degli insediamenti delle specie in esame ed i titolari
degli insediamenti produttivi; e avrebbe, in pari tempo, dettato “una
disciplina del tutto incompatibile con il principio di razionalità che
deve presiedere ad ogni legge”. Inoltre, ne sarebbero stati lesi i
“doveri di solidarietà” previsti dall’art. 2, la tutela del paesaggio
di cui all’art. 9 e la garanzia della salute di cui all’art. 32 della
Costituzione.
2. – A sua volta il pretore di Gallarate, con ordinanza emessa l’8
gennaio 1979, in un procedimento penale a carico del titolare d’una
azienda zootecnica (avente ad oggetto l’allevamento di suini), ha
impugnato l’art. 1 quater della citata legge n. 690 del 1976, “nella
parte in cui considera l’impresa zootecnica insediamento civile
anziché insediamento produttivo”.
Tale disciplina – afferma il giudice a quo – “appare in contrasto con
la ratio della legge 319/1976 che mira alla salvaguardia delle acque
dall’immissione di sostanze pericolose…, raggruppate secondo criteri
ontologici piuttosto che in relazione alla tipologia del soggetto
titolare dello scarico”; dal che appunto deriva – aggiunge l’ordinanza
– una “illogica disparità di trattamento” fra le aziende zootecniche e
le altre imprese produttive, nonché una lesione dell’art. 32 Cost.,
“in conseguenza della inadeguatezza dei rimedi previsti” per gli
scarichi in esame.
3. – Ancora con riguardo ad un’azienda zootecnica, analoga questione
è stata prospettata dal Pretore di Codogno, mediante un’ordinanza
emessa il 6 febbraio 1979. Il giudice a quo deduce, in prima linea, che
“la sia pur fittizia equiparazione agli insediamenti civili delle
aziende agricole risponde a mere esigenze politiche, palesemente in
contrasto sia con la ratio della l. n. 319 del 1976 sia anche con gli
stessi criteri di opportunità posti a fondamento dell’art. 1 quater,
atteso che nessuna distinzione viene fatta tra piccola e grande
agricoltura, pur essendo ovviamente diversi quantitativamente e
qualitativamente i reflui prodotti”. Ma oltre che all’art. 1 quater,
l’impugnativa viene estesa, facendo sempre riferimento agli artt.3 e 32
Cost., anche agli artt.15,21 e 25 della legge n.319: che sono così
censurati, appunto perché inapplicabili al caso in esame.
4. – Sul solo art. 1 quater, in riferimento agli artt. 3 e 32 Cost.,
si appuntano invece le censure svolte dal Pretore di Pavia, con
ordinanza emessa il 12 dicembre 1979. Ma, anche in questo caso, la
disciplina predetta viene impugnata unicamente “nella parte in cui
equipara le imprese zootecniche agli insediamenti civili anziché a
quelli produttivi”.
Identica questione di legittimità costituzionale è stata sollevata,
inoltre, dal Tribunale di Mantova, con tre ordinanze rispettivamente
emesse il 26 novembre 1980, il 6 dicembre dello stesso anno ed il 4
marzo 1981, nonché dal Pretore di Bozzolo, con una ordinanza emessa il
18 dicembre 1980. Ma giova notare che, in tutti questi casi, i giudici
a quibus motivano ampiamente l’attuale rilevanza della questione
medesima, pur dopo l’entrata in vigore dell’art. 17 della legge n. 650
del 1979 e la pubblicazione della conseguente delibera 8 maggio 1980,
approvata dall’apposito Comitato interministeriale per “definire le
imprese agricole da considerarsi insediamenti civili”: da un lato,
infatti, tale definizione non opererebbe sul primo dei giudizi in corso
presso il Tribunale di Mantova (nonché nel giudizio pendente dinanzi
al Pretore di Bozzolo), trattandosi di “imprese dedite all’allevamento
di suini”, che “disponevano, in connessione con l’attività di
allevamento, di una superficie di terreno agricolo inferiore ad un
ettaro per 40 q.li di peso vivo di bestiame”; e, d’altro lato, la nuova
disciplina sarebbe comunque inapplicabile in sede penale, in quanto
“più sfavorevole all’imputato”.
5. – In pari tempo, vari altri giudici hanno riproposto alla Corte la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 quater della legge
n. 690 del 1976, nella parte concernente gli insediamenti adibiti a
prestazione di servizi: con specifico riguardo ad inquinamenti
rispettivamente contestati ai titolari di alcune stazioni di
autolavaggio, di una stazione per la distribuzione di carburante, di
una stazione di lavaggio di autocisterne e di una serie di macellerie.
Per altro, il Pretore di Torino, con ordinanza emessa il 28 febbraio
1979, ha impugnato l’art. 1 quater, per preteso contrasto con l’art. 3
Cost., in collegamento con l’art. 22 della legge n. 319 del 1976. Il
Tribunale di Como, con ordinanza emessa il 5 febbraio 1981, pur
censurando la disparità di trattamento derivante dall’art. 1 quater,
ha richiamato nel dispositivo i soli artt. 13,21, secondo comma, e 25
della legge n.319. Il Tribunale di Mantova, con ordinanza emessa il 13
novembre 1981, ha ritenuto lesivo del principio costituzionale
d’eguaglianza il combinato disposto degli artt. 1 quater della legge n.
690 e 21 della legge n. 319. Ed infine il Pretore di Pontedecimo, con
ordinanza emessa il 2 aprile 1982, ha impugnato il solo art. 1 quater,
ma in riferimento agli artt. 3 e 9 della Costituzione.
6. – Nei giudizi instaurati dal Pretore di Torino (con la seconda
ordinanza del 29 maggio 1978: r.o. n. 557/78), dal Pretore di
Gallarate, dal Pretore di Codogno e dal Pretore di Pavia, è
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, prospettando
anzitutto un’interpretazione adeguatrice dell’art. 1 – quater della
legge n. 690 del 1976. Sia quanto agli insediamenti adibiti a
“prestazione di servizi”, sia nella parte riguardante le “imprese
agricole”, la prevista equiparazione agli insediamenti civili
concernerebbe, cioè, i soli insediamenti produttivi che diano origine
“esclusivamente a scarichi terminali assimilabili a quelli provenienti
da insediamenti abitativi”.
D’altra parte, non sarebbe irrazionale (né lesiva del diritto alla
salute) “la diversità degli obblighi sanciti per i diversi tipi di
insediamento”, “stante la diversa dannosità o pericolosità dei
medesimi”: con la conseguenza che tutte le proposte impugnative
dovrebbero dirsi infondate.
1. – Le ordinanze in esame propongono alla Corte due gruppi di
problemi.
Da un lato, il Pretore di Torino (r.o. n. 476, 557/78, 415/79), il
Tribunale di Como (r.o. n. 416/81), il Tribunale di Mantova (r.o. n.
16/82) ed il Pretore di Pontedecimo (r.o. n. 418/82) censurano –
sempre in riferimento all’art. 3, ma talvolta richiamando anche gli
artt. 2, 9 e 32 della Costituzione – l’equiparazione operata, in tema
di tutela delle acque dall’inquinamento, fra gli insediamenti civili e
gli insediamenti adibiti a “prestazione di servizi”: con particolare
riguardo alle stazioni di autolavaggio, ai distributori di carburante,
alle macellerie… In tal senso ed entro questi limiti, i giudici a
quibus impugnano l’art. 1 quater della legge 8 ottobre 1976, n. 690. Ma
nelle impugnative viene per lo più coinvolta la corrispondente
disciplina dettata per gli insediamenti produttivi dalla legge 10
maggio 1976, n. 319 (vale a dire, gli artt. 9, 12, 13, 15 e 21, nel
caso delle due prime ordinanze del Pretore di Torino; il solo art. 22,
nel caso della terza ordinanza del Pretore medesimo; il solo art. 21,
nel caso del Tribunale di Mantova); ed anzi il Tribunale di Como si
limita a denunciare gli artt. 13, 21, secondo comma, e 25 della legge
stessa, senza che nel dispositivo della sua ordinanza sia fatta
menzione del citato art. 1 quater.
D’altro lato, il Pretore di Gallarate (r.o. n. 275/79), il Pretore di
Codogno (r.o. n. 331/79), il Pretore di Pavia (r.o. n. 72/80), lo
stesso Tribunale di Mantova (r.o. n. 121, 218, 331/81) ed il Pretore di
Bozzolo (r.o. n. 223/81) impugnano invece ora con riferimento agli
artt. 3 e 32 Cost., ora invocando il solo principio costituzionale di
eguaglianza – l’art. 1 quater della predetta legge n. 690 del 1976,
relativamente al suo secondo comma, cioè nella parte concernente le
“imprese agricole” e più precisamente le imprese zootecniche. Ma anche
in questo senso, l’ordinanza del Pretore di Codogno impugna altresì la
corrispondente normativa della legge n. 319 del 1976 (con specifico
riguardo agli artt. 15, 21 e 25).
2. – Nondimeno, i tredici giudizi si prestano ad essere riuniti e
decisi con unica sentenza.
Malgrado l’apparente varietà dei parametri costituzionali richiamati
e delle stesse norme coinvolte nelle varie impugnative, il nucleo del
problema concerne le pretese disparità di trattamento e gli arbitri in
cui sarebbe incorso il Parlamento, nel distinguere fra “insediamento o
complesso produttivo” ed “insediamento civile”, ai sensi e per gli
effetti della legge 10 maggio 1976, n. 319. Più precisamente, ciò che
tutti i giudici a quibus contestano è che – in virtù dell’art. 1
quater della legge n. 690 del 1976 – alcune specie di insediamenti,
adibite a “prestazione di servizi” o ricadenti fra le “imprese
agricole”, siano state considerate alla stregua degli insediamenti
civili anziché degli insediamenti produttivi, sebbene diano luogo a
scarichi non assimilabili a quelli abitativi.
Tale è anche il caso del Tribunale di Como, che pure non denuncia
espressamente l’art. 1 quater. Se infatti si raccorda il dispositivo
con la motivazione di quell’ordinanza, si avverte con immediatezza che
essa prende precisamente le mosse dalla definizione di insediamento
civile di cui al primo comma, lett. b), dell’articolo in esame; il
quale può dunque ritenersi implicitamente incluso nell’impugnativa,
tanto più che lo stesso Tribunale manifesta “fondati dubbi sulla sua
conformità al dettato dell’art. 3 della Costituzione”.
3. – Così circoscritta, la questione dev’essere però dichiarata
inammissibile, poiché – in definitiva – essa non attiene alla
legittimità costituzionale, bensì al merito delle scelte operate in
materia dal legislatore.
Effettivamente, le pronunce di accoglimento ipotizzate dalle
ordinanze in esame non si risolvono tanto nell’annullamento, sia pure
parziale, quanto nella ridefinizione dei concetti di insediamento
civile e di insediamento produttivo (cui la Corte dovrebbe pervenire,
in luogo del Parlamento, riformulando la disciplina dettata dall’art. 1
quater della legge n. 690, ad integrazione delle norme sulla tutela
delle acque dall’inquinamento). In altre parole, le contestazioni
delle quali si tratta non investono, in tutta la loro complessità,
determinate previsioni dell’art. 1 quater, ma riguardano piuttosto
determinati tipi di applicazioni cui l’articolo stesso ha già dato o
potrebbe dare luogo. Ciò assume una particolare evidenza, là dove i
dispositivi delle ordinanze di rimessione chiedono apertamente che la
Corte operi specifiche sottodistinzioni, trascurate dal legislatore:
decidendo, in particolar modo, sulla sorte delle “imprese zootecniche”
(r.o. n. 275/79 e n. 72/80) o delle “stazioni di lavaggio di
autoveicoli” (r.o. n. 415/79). Ma, in ultima analisi, è questa la
linea di ragionamento seguita dalla generalità delle ordinanze
medesime (e messa chiaramente in luce – per esempio – dal Pretore di
Bozzolo, il quale censura l’art. 1 quater per aver considerato alla
stregua di insediamenti civili “tutte” le imprese agricole, senza
dunque distinguere nell’ambito di esse, secondo la loro natura e le
loro dimensioni). Vero è che nessuno dei giudici a quibus motiva in
termini tali da investire la qualificazione degli insediamenti adibiti
a prestazione di servizi o delle imprese agricole in genere, in ordine
ai quali non si dubita che sia stato corretto differenziarli dagli
insediamenti di tipo industriale. Ben diversamente, le varie denunce
traggono lo spunto dalla considerazione di singole fattispecie, non
identificate dalla legislazione del 1976: come gli allevamenti
suinicoli, valutati sia per la loro capacità inquinante sia per i dati
che li accomunano all’industria, o come le predette stazioni di
autolavaggio.
D’altra parte, nemmeno il richiamo all’art. 3 della Costituzione vale
a mantenere questioni siffatte nei limiti del sindacato sulla
legittimità costituzionale delle leggi. In nome dell’eguaglianza,
questa Corte non è infatti abilitata a esercitare scelte di esclusiva
spettanza del legislatore, ma può solo ricondurre le deroghe
ingiustificate e le arbitrarie eccezioni alle regole già stabilite
dalla legge ovvero ai principi generali univocamente desumibili
dall’ordinamento. Per contro, gli stessi giudici a quibus affermano che
l’art. 1 quater, anziché dettare regole o ispirarsi a principi
generali, ha dato corpo ad una serie di scelte politiche, concernenti i
più diversi complessi di situazioni: dalle case di abitazione e dagli
alberghi agli insediamenti turistici, alle installazioni sportive o
ricreative, alle scuole, agli ospedali, agli immobili destinati a
servizi ed alle imprese agricole, fino agli insediamenti produttivi
equiparati a quelli civili in virtù dell’ultima parte dell’art. 1,
primo comma, lett. b). La specifica sorte di questi od altri tipi o
sottotipi, non considerata dalla legge n. 319 e poi disciplinata nelle
sole grandi linee dalla legge n. 690 del 1976, potrà essere certo
mutata o meglio precisata, ma sulla base di opzioni e di valutazioni
tecnico – politiche, eccedenti la competenza della Corte. E ne danno
conferma le vicende delle imprese agricole, che hanno già costituito
l’oggetto di tutta una serie di aggiustamenti, non solo legislativi ma
anche effettuati in forma amministrativa: dai primi chiarimenti del
Ministro dei lavori pubblici, precedenti lo stesso art. 1 quater, e
dalle deliberazioni ripetutamente adottate in tal campo dall’apposito
Comitato interministeriale, fino al ricordato art. 17 della legge 24
dicembre 1979, n. 650, ed alle conseguenti definizioni del Comitato
medesimo, approvate in data 8 maggio 1980.
4. – L’inammissibilità della questione concernente l’art. 1 quater
della legge n. 690 comporta che siano dichiarate inammissibili anche le
connesse impugnative degli artt. 9, 12,13,15, 21,22 e 25 della legge n.
319 del 1976: la cui legittimità non viene contestata autonomamente –
come già si è notato – bensì in combinato disposto con l’art. 1
quater.
Ma tali impugnative sarebbero comunque inammissibili, a più forte
ragione, là dove i giudici a quibus richiedono che la Corte pronunci
una sentenza di accoglimento additivo in materia penale: come,
specialmente, si verifica nel caso dell’ultima ordinanza del Tribunale
di Mantova (r.o. n. 16/82), che prospetta l’annullamento dell’art. 21
della legge n. 319, “nei limiti in cui esclude l’assoggettamento alla
sanzione penale del titolare di uno scarico contra legem proveniente da
un’installazione adibita a servizi”.
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1 quater della legge 8 ottobre 1976, n. 690, sollevata dal
Pretore di Torino, dal Pretore di Gallarate, dal Pretore di Codogno,
dal Pretore di Pavia, dal Tribunale di Mantova, dal Pretore di Bozzolo,
dal Tribunale di Como e dal Pretore di Pontedecimo, con le ordinanze
indicate in epigrafe;
b) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 9, 12,13,15,21,22 e 25 della legge 10 maggio 1976, n. 319,
rispettivamente impugnati dal Pretore di Torino (r.o. n. 476, 557/78,
415/79), dal Pretore di Codogno (r.o. n. 331/79), dal Tribunale di Como
(r.o. n. 416/81) e dal Tribunale di Mantova (r.o. n. 16/82).
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 settembre 1983.
F.to: LEOPOLDO ELIA – MICHELE ROSSANO
– GUGLIELMO ROEHRSSEN – ORONZO REALE
– BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI –
ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO PALADIN –
ARNALDO MACCARONE – ANTONIO LA
PERGOLA – VIRGILIO ANDRIOLI –
GIUSEPPE FERRARI – FRANCESCO SAJA –
GIOVANNI CONSO – ETTORE GALLO.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere