Sentenza N. 319 del 1983
Corte Costituzionale
Data generale
20/10/1983
Data deposito/pubblicazione
20/10/1983
Data dell'udienza in cui è stato assunto
07/10/1983
ANTONINO DE STEFANO – Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE –
Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof.
LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO MACCARONE – Prof. ANTONIO LA PERGOLA –
Prof. VIRGILIO ANDRIOLI – Prof. GIUSEPPE FERRARI – Prof. GIOVANNI
CONSO – Prof. ETTORE GALLO, Giudici,
legge 6 dicembre I971, n. 1044 (Piano quinquennale per la istituzione
di asili – nido comunali con il concorso dello Stato); della legge
della Regione Lazio 17 agosto 1974, n. 41 (Norme per l’accelerazione
delle procedure in materia di opere pubbliche); dell’art. 39 della
legge della Regione Campania 16 maggio 1975, n. 30 (Piano di interventi
regionali di emergenza per l’anno finanziario 1975) e degli artt. 1 e 3
della legge 3 gennaio 1978, n. 1 (Accelerazione delle procedure per la
esecuzione di opere pubbliche e di impianti e costruzioni industriali),
giudizi promossi con le ordinanze emesse dal Tribunale amministrativo
regionale del Lazio il 16, il 5 e il 12 novembre 1975, dal Tribunale
amministrativo regionale della Campania il 4 febbraio 1976 e dal
Tribunale amministrativo regionale del Lazio il 1 febbraio 1978 e il 9
novembre 1979, rispettivamente iscritte ai nn. 286, 287, 604 e 654 del
registro ordinanze 1976, al n. 812 del registro ordinanze 1979 e al n.
431 del registro ordinanze 1980 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica nn. 145, 294 e 330 del 1976 e nn. 15 e 201 del 1980.
Visti gli atti di costituzione di De Tulle De Villefranche Guido, del
Comune di Roma, della Società Sabina Agricola a r.l., della Società
Italiana Risanamento Agrario s.p.a., di Marzilli Emma ed altri, della
Società Santa Sabina a r.l. e di Picano Michele;
visti gli atti di intervento della Regione Lazio, della Regione
Campania e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 20 ottobre 1982 il Giudice relatore
Guglielmo Roehrssen;
uditi l’avv. Antonio Stoppano per Marzilli Emma ed altri; l’avv.
Adriano Pallottino per Picano Michele; l’avv. Ugo Ardizzone per Gravina
Giuseppe (limitatamente alla questione pregiudiziale della costituzione
effettuata fuori termine); l’avv. Federico Sorrentino, delegato
dall’avv. Antonio Sorrentino, per la società Italiana Risanamento
Agrario; gli avv.ti Maria Athena Lorizio e Giuseppe Abbamonte, delegati
dall’avv. Guido Cervati, per la Regione Lazio; l’avv. Giuseppe
Abbamonte per la Regione Campania; l’avv. Nicola Carnovale per il
Comune di Roma e l’avvocato dello Stato Sergio Laporta per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
1. – Nel corso di un giudizio nel quale erano state impugnate una
deliberazione della Giunta municipale di Roma che aveva approvato un
progetto relativo alla costruzione di asilo-nido e l’ordinanza che
aveva disposto l’occupazione di urgenza dell’area destinata a tale
opera, il TAR del Lazio, con ordinanza 5 novembre 1975 (R.O. n.
287/1976) ha sollevato questione di legittimità costituzionale
dell’art. 6 della legge statale 6 dicembre 1971, n. 1044, in
riferimento all’art. 117 Cost., nonché della legge della regione Lazio
17 agosto 1974, n.41, (con particolare riferimento agli artt. 3, 4, 8,
13 e 14) per contrasto con gli artt. 117,97 e 128 della Costituzione.
L’art. 6 della legge 6 dicembre 1971, n. 1044 stabilisce che la
Regione, con proprie leggi, fissa i criteri generali per la
costruzione, gestione e controllo degli asili-nido: tale norma sarebbe
costituzionalmente illegittima, giacché la costruzione degli
asili-nido non rientra fra le materie nelle quali le regioni, ai sensi
dell’art. 117 Cost., hanno poteri legislativi e sarebbe “assai dubbio
che nella specie si sia di fronte ad una ipotesi di mera attuazione
della normativa statale, da ricomprendere nel secondo comma dell’art.
117 della Costituzione”.
La legge della regione Lazio n. 41 del 1974 demanda agli enti locali
infraregionali le funzioni amministrative di cui all’art. 3 del d.P.R.
15 gennaio 1972, n. 8, il quale trasferisce alle Regioni a statuto
ordinario, per le opere di loro competenza e per quelle ad esse
delegate, le competenze degli organi dello Stato in ordine alle
dichiarazioni di pubblica utilità, di urgenza e di indifferibilità
dei lavori nonché l’esercizio delle attribuzioni di carattere
amministrativo attualmente spettanti agli organi medesimi in materia di
espropriazione per pubblica utilità e di occupazione temporanea di
urgenza, comprese la determinazione amministrativa delle indennità e
la retrocessione.
Nell’ordinanza si afferma che se questa norma comporta delega di
funzioni dallo Stato alle regioni, esse non erano subdelegabili agli
enti locali.
La legge, comunque, sarebbe in contrasto con l’art. 117 della
Costituzione, per quanto attiene ai provvedimenti amministrativi
emanabili dagli enti locali a norma di essa in materia di costruzione
di asili – nido. Infatti, anche se gli asili-nido sono considerati
opere di urbanizzazione (art. 4 della legge 29 novembre 1964, n. 847
modificato dall’art. 44 della legge 22 ottobre 1971, n. 865), ciò non
è sufficiente a farli comprendere nella urbanistica, giacché tale
qualifica è soltanto un profilo (quello appunto urbanisticamente
rilevante) della complessa struttura dell’asilo, mentre dalla legge
statale n. 1044 del 1971 emergerebbe che la materia degli asili – nido
rientra nell’ambito dell’assistenza sociale, estranea alle competenze
regionali.
Inoltre – secondo l’ordinanza – l’avere affidato agli organi comunali
il potere di emanare gli atti delle procedure espropriative preordinate
a favore del Comune stesso, intaccherebbe il principio della
imparzialità della azione amministrativa, tenuto conto che la
struttura organizzativa del comune, estremamente semplificata, non
permette diversificazioni fra l’organo titolare dell’interesse a tutela
del quale la espropriazione viene attuata e l’organo titolare del
potere espropriativo.
L’art. 13 della legge impugnata, infine, disponendo che i sindaci dei
comuni sono delegati per l’esecuzione di opere pubbliche di loro
rispettiva competenza ad esercitare le funzioni amministrative
regionali violerebbe anche l’art. 128 della Costituzione, in quanto non
si limita ad affermare la delega in favore dell’ente subregionale, ma
dispone anche sulla competenza all’esercizio del potere delegato
nell’ambito dell’apparato organizzativo dell’ente stesso.
È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri deducendo che
gli atti vanno restituiti al TAR e, in subordine, l’infondatezza della
questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 6 della
legge statale n. 1044 del 1971. È intervenuta anche la regione Lazio,
chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.
Si sono costituite anche le parti private (la Soc. S.A.I. e la
Società S.I.R.A.) chiedendo che le questioni siano ritenute fondate.
Si è costituito pure il Comune di Roma, chiedendo che le questioni
siano ritenute non fondate.
2. – Questione analoga – ma limitata agli artt. 4,8 e 13 della legge
reg. Lazio 17 agosto 1974, n. 41 – è stata sollevata dal TAR del Lazio
anche con ordinanza 16 novembre 1975 (r.o. n. 286/1976), nel corso di
un consimile giudizio promosso da Guido de Tulle che si è costituito
dinanzi a questa Corte sostenendo in particolare l’illegittimità
costituzionale degli artt. 4,8 e 13 della legge reg. Lazio n. 41 del
1974.
Si sono costituiti pure la regione Lazio ed il comune di Roma,
svolgendo difese identiche a quelle del giudizio di legittimità
costituzionale promosso con l’ordinanza 5 novembre 1975.
3. – Questione simile è stata sollevata dal TAR del Lazio nel corso
di altro consimile giudizio, con ordinanza 1 febbraio 1978 (R.O. n.
812/1979) con la quale viene sollevata questione di legittimità
costituzionale degli artt. 4, 8 e 13 della legge reg. Lazio n. 41 del
1974, per contrasto con gli artt. 97 e 117 Cost. In tale ordinanza si
afferma, fra l’altro, che la questione non sarebbe superata
dall’entrata in vigore del d.P.R. n. 616 del 1977 (art. 106, terzo
comma) e della legge 3 gennaio 1978, n. 1 (art. 1) i quali hanno
attribuito ai comuni le funzioni amministrative concernenti le
occupazioni di urgenza e gli atti preparatori attinenti ad opere
pubbliche di loro pertinenza ed il potere di dichiarare la pubblica
utilità, indifferibilità ed urgenza in via implicita con
l’approvazione dei progetti delle stesse opere pubbliche. Tali leggi
infatti – si afferma – dispongono solo per il futuro, non essendo
retroattive. attive.
In tale giudizio la regione Lazio si è costituita fuori termine,
chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
Si è costituita pure la S.r.l. Santa Sabina, ricorrente nel giudizio
a quo, chiedendo che la questione sia ritenuta fondata.
Si è costituito infine il Comune di Roma, rilevando in particolare
che le norme impugnate sono state recepite dalle leggi statali citate e
chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque,
infondata.
4. – Nel corso di un giudizio avente ad oggetto l’impugnativa di un
provvedimento del sindaco di Acerra, di espropriazione di un ‘area per
la costruzione di un asilo-nido, con ordinanza 4 febbraio 1976 (R.O. n.
654/1976), il TAR per la Campania, ha a sua volta sollevato questione
di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 118, ultimo
comma Cost., dell’art. 39 della legge reg. Campania 16 maggio 1975, n.
30, nella parte in cui prevede la delega ai comuni, alle province ed ai
loro consorzi delle funzioni amministrative di cui all’art. 3 del
d.P.R. 15 gennaio 1972 n. 8, in materia di procedimenti espropriativi
per la costruzione di asili-nido.
Sia pure più sinteticamente l’ordinanza non si discosta dai motivi
di quelle precedenti.
È intervenuta la reg. Campania, chiedendo che la questione sia
dichiarata non fondata, appartenendo la regolamentazione degli asili –
nido alle materie della beneficenza pubblica o assistenza scolastica,
che sono di competenza regionale ed avendo l’art. 3 del d.P.R. n. 8 del
1972 trasferito alle regioni le competenze in ordine all’espropriazione
in relazione ad opere di competenza regionale.
Si è costituita – fuori termine – anche una parte privata, deducendo
di non avere mai ricevuto la notificazione dell’ordinanza del TAR e che
tale notificazione fu invalidamente eseguita.
Nel merito si afferma che solo allo Stato competono poteri
espropriativi e che l’art. 3 del d.P.R. n. 8 del 1972 avrebbe
illegittimamente attribuito tali poteri alle regioni; che, comunque, la
regione non avrebbe potuto subdelegarli agli enti locali.
Le parti hanno insistito nelle loro conclusioni con varie memorie.
5. – Con ordinanza 12 novembre 1975 (R.O. n.604/1976) il TAR del
Lazio ha sollevato questione di legittimità costituzionale della legge
della reg. Lazio 17 agosto 1974, n. 41, con particolare riferimento
agli artt. 4, 8 e 13 – in relazione agli artt. 97, 117 e 128 della
Costituzione – sotto il profilo che la regione non può legiferare in
materia di espropriazione per la pubblica utilità, subdelegare ai
comuni le funzioni amministrative eventualmente delegate dallo Stato,
concentrare nello stesso organo il potere di emanare la dichiarazione
di pubblica utilità ed il provvedimento di espropriazione o di
occupazione di urgenza.
Nell’ordinanza il TAR ha ritenuto rilevante la questione. L’ha poi
ritenuta non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 117, 97
e 128 Cost., ponendo in dubbio innanzitutto il potere delle regioni a
statuto ordinario di legiferare in materia di espropriazione per
pubblica utilità a norma dell’art. 117 Cost.. Afferma poi che assume
centrale rilievo definire se le funzioni amministrative in tema di
espropriazione possano competere istituzionalmente alla regione ex art.
117 primo comma, della Costituzione o non siano espressione di delega
dello Stato all’ente regionale: della seconda ipotesi, poiché la Corte
costituzionale ha affermato (dec. 28 febbraio 1957, n. 39 e 31 maggio
1960, n. 36) che l’ente regionale delegato non può delegarne
ulteriormente l’esercizio, le norme in questione, con le quali la reg.
Lazio demanda agli enti locali infraregionali le funzioni
amministrative di cui all’art. 3 del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8, per
l’esecuzione di opere pubbliche di loro competenza, solleverebbero
ulteriori dubbi di incostituzionalità.
Sotto altro aspetto, nella materia delle espropriazioni per pubblica
utilità, il tradizionale principio che garantisce l’imparzialità
dell’Amministrazione (articolo 97 Cost.) è quello della separazione
fra autorità competente ad adottare il provvedimento di dichiarazione
di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, autorità competente
ad emettere il provvedimento di espropriazione o d’autorizzazione
all’occupazione temporanea e soggetto beneficiario dell’espropriazione.
Pertanto, anche sotto tale riguardo, le norme impugnate non sarebbero
rispettose del dettato costituzionale.
Davanti a questa Corte si è costituita una parte privata chiedendo
che la questione sia dichiarata fondata.
Con altra ordinanza emessa il 9 novembre 1979 (R.O. n. 431/1980), il
TAR del Lazio ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in
riferimento all’art. 97 Cost., degli artt. 8 e 13 (nel testo mod.
dall’art. 12 della legge reg. 24 gennaio 1977, n. 12 della legge reg.
Lazio 17 agosto 1974, n. 41 e degli artt. 1, primo comma, e 3 della
legge 3 gennaio 1978, n. 1 (“Accelerazione della procedura per la
esecuzione di opere pubbliche e di impianti e costruzioni
industriali”).
Si osserva che in forza dell’art. 1, primo comma, della legge n. 1
del 1978, e dell’art. 8 della legge reg. n. 41 del 1974, la
deliberazione consiliare di approvazione della perizia dei lavori
assume valore di dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità
ed urgenza delle opere ivi previste, mentre in applicazione dell’art. 3
della legge n. 1/1978 e dell’art. 13 (nel testo mod. dall’art. 12 della
legge reg. n. 12/1977) della legge reg. n. 41/1974 la giunta municipale
agisce quale delegata dei poteri in materia di occupazione di urgenza
originariamente spettanti alla regione. Ma le norme che attribuiscono
all’Amministrazione comunale il potere di emanare gli atti di
espropriazione e di occupazione temporanea o d’urgenza in favore del
comune stesso sarebbero in contrasto con il principio, desumibile dalla
legislazione statale in tema di procedimenti ablatori, che
l’imparzialità della P.A. è garantita dalla diversificazione
dell’organo titolare del potere di dichiarare la pubblica utilità,
indifferibilità ed urgenza dell’opera rispetto all’organo competente
ad adottare il provvedimento di espropriazione o di autorizzazione
all’occupazione e rispetto all’organo titolare dell’interesse al cui
soddisfacimento è in concreto preordinato il procedimento
espropriativo.
Dinanzi a questa corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
Si è costituita pure una parte privata, la quale osserva che – anche
se nelle more le censurate disposizioni regionali sono state
espressamente abrogate dall’articolo 11 della legge reg. 29 dicembre
1978, n. 79, che ha approvato il testo unico delle norme sulle
espropriazioni per pubblica utilità – permane inalterato l’interesse
ad ottenere la pronuncia della Corte, sia perché la questione
sollevata dal TAR investe anche gli artt. 1, comma primo, e 3 della
legge statale 3 gennaio 1978, n. 1, sia perché le abrogate norme
regionali sono state trasfuse, anche se con formulazione letterale in
parte diversa, nel citato testo unico.
Nel merito si chiede che la Corte ritenga fondata la questione di
legittimità costituzionale sollevata.
1. – Le sei ordinanze di cui in epigrafe sollevano tutte questioni di
legittimità costituzionale sostanzialmente analoghe e pertanto i
relativi giudizi vanno riuniti ai fini di un’unica pronuncia.
2. – Preliminarmente occorre esaminare la ritualità della
costituzione della parte privata Gravina Giuseppe nel giudizio
incidentale sollevato dal TAR della Campania con l’ordinanza 4 febbraio
1976 (n. 654, r.o. 1976).
Risulta dagli atti che la citata ordinanza è stata notificata al
legale della parte sotto la data del 5 luglio 1976 e pubblicata nella
G.U. n. 330 del 15 dicembre 1976, mentre la costituzione in giudizio è
avvenuta in data 8 febbraio 1977, dopo, cioè, che erano
abbondantemente decorsi i 20 giorni all’uopo accordati dall’art. 25
della legge n. 87 del 1953 e dall’art. 3 delle Norme integrative per i
giudizi davanti a questa Corte.
La notifica è stata effettuata sotto la cennata data personalmente
dall’ufficiale giudiziario ed è comprovata dalla firma apposta dal
portiere dello stabile nel quale è elettivamente domiciliato il
legale.
Quest’ultimo nella pubblica udienza del 20 ottobre 1982 ha tentato di
dimostrare la irritualità della notifica, ma all’uopo lo stesso
legale, che non ha impugnato il documento predetto, si è limitato a
fare osservazioni e ad addurre circostanze di mero fatto prive di
qualsiasi principio di prova e, quindi, inidonee rispetto al fine
voluto.
Non rimane, quindi, che dichiarare inammissibile l’intervento del
Gravina.
3. – Una prima questione di legittimità costituzionale, sollevata
dal TAR del Lazio (ord. n. 287/1976) riguarda l’art. 6 della legge 6
dicembre 1971, n. 1044 (“Piano quinquennale per la istituzione di
asili-nido comunali con il concorso dello Stato”), con il quale lo
Stato avrebbe delegato alle Regioni a Statuto ordinario la facoltà di
dettare norme legislative in tema di asili nido. In tal modo sarebbe
stato violato l’art. 117 Cost., non rientrando la materia degli asili
nido fra quelle affidate alla potestà legislativa concorrente delle
Regioni.
La questione non è fondata.
In realtà l’art. 6, n. 1 della citata legge n. 1044 non contiene
alcuna delega di potestà legislativa alle Regioni per quel che attiene
alla questione che ha formato oggetto dei giudizi dinanzi ai giudici a
quibus, e cioè per quel che concerne i lavori relativi alla
costruzione degli asili nido.
Infatti ad avviso della Corte questi lavori non possono non essere
compresi nell’ambito dell’art. 117 Cost., laddove parla della materia
indicata come “lavori pubblici di interesse regionale”, la quale è
comprensiva anche dei lavori di interesse subregionale.
A riguardo è da rilevare che gli asili nido costituiscono
istituzioni le quali operano nell’ambito comunale, cioè in un ambito
locale, allo scopo di venire incontro alle esigenze delle famiglie
insediate in quel territorio: rappresentano, quindi, la localizzazione
di interessi certamente più vasti.
E ciò è sufficiente a fare ritenere che i lavori relativi alla
costruzione ed alla manutenzione degli edifici destinati a sede degli
asili nido erano da considerare compresi nell’art. 117 Cost., ancor
prima che tutta la attività dei medesimi asili fosse trasferita alle
Regioni per effetto della nuova concezione che è stata data alla
beneficenza pubblica con l’art. 22 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616
(sent. n. 174 del 1981 di questa Corte).
4. – Una seconda questione di legittimità costituzionale, sollevata
da cinque ordinanze (nn. 287/1976; 60/1976; 654/1976; 812/1979) investe
la legge regionale del Lazio 17 agosto 1974, n. 41 (“Norme per
l’accelerazione delle procedure in materia di opere pubbliche”) e
l’art. 39 della legge regionale della Campania 16 maggio 1975, n. 30
(“Piano di interventi regionali di emergenza per l’anno finanziario
1975”) per pretesa violazione dell’art. 117, primo comma e dell’art.
118, ultimo comma, Cost. in quanto nelle materie sottoposte all’esame
dei giudici a quibus (lavori attinenti a strade comunali e costruzioni
di asili nido), la Regione eserciterebbe funzioni delegate dallo Stato
e, di conseguenza, secondo quanto già è stato più volte ritenuto da
questa Corte (sent. n. 36/1960 e n. 39/1975), la Regione non potrebbe
procedere ad ulteriore delegazione a favore di altri enti pubblici.
Anche tale questione non è fondata (a prescindere da quanto è stato
poi disposto con l’art. 1, terzo comma, n. 3, lettera b), della legge
22 luglio 1975, n. 382).
I giudici a quibus, infatti, partono dal presupposto che le due
cennate materie esulino dall’ambito dell’art. 117, primo comma, Cost. e
di conseguenza le Regioni opererebbero qui in regime di delega di
poteri legislativi da parte dello Stato.
Si tratta, invece, di materie le quali rientrano senz’altro
nell’ambito dell’art. 117, primo comma, e quindi trasferite e non
delegate alle Regioni a statuto ordinario.
Per quel che riguarda la costruzione degli asili nido è sufficiente
fare riferimento a quanto si è già osservato nel precedente n. 3.
Per quel che riguarda, invece, i lavori attinenti alle strade
comunali, è da rilevare che l’art. 117 chiaramente comprende
nell’ambito delle funzioni legislative ed amministrative trasferibili
alle Regioni predette la materia della c.d. viabilità minore, cioè
della “viabilità di interesse regionale”. L’art. 2 del d.P.R. 15
gennaio 1972, n. 8, ha poi concretamente trasferito alle Regioni le
funzioni amministrative concernenti, fra l’altro, “le strade
costituenti la viabilità locale e provinciale nonché quella
regionale”, così precisando che nell’ambito di quella espressione
rientra anche la viabilità subregionale.
Non si è verificata, pertanto, alcuna delega dello Stato alle
Regioni, con la conseguenza che queste ben possono legiferare nelle
dette materie, con la osservanza dei principi fondamentali di cui
all’art. 117, secondo comma.
5. – Una terza questione di legittimità costituzionale (sollevata
dalle ordinanze nn. 286/1976; 287/1976; 812/1979 e 431/1980) investe
gli articoli 3,4,8,13 e 14 della legge n. 41 del 1974 della Regione
Lazio per violazione dell’art. 97 Cost., in quanto queste disposizioni
non avrebbero osservato il principio di imparzialità.
Questo richiederebbe ad avviso dei giudici a quibus, da un lato di
tener distinte le autorità che hanno competenza per le dichiarazioni
di p.u. e di indifferibilità ed urgenza e quelle che adottano i
provvedimenti di espropriazione e di occupazione d’urgenza e dall’altro
di non affidare al comune beneficiario delle espropriazioni il potere
di emanare gli atti espropriativi, il che è tanto più grave in quanto
il Comune non può avere una struttura amministrativa articolata al
pari della amministrazione statale.
L’ordinanza n. 431/1980 investe sotto questo stesso profilo anche gli
artt. 1 e 3 della legge statale 3 gennaio 1978, n. 1, i quali hanno
anch’essi eliminato ogni distinzione fra organi che espropriano ed
organi che dichiarano la p.u.
Anche tale questione non è fondata.
Premesso che la P.A. nello svolgimento dei suoi compiti agisce sempre
nella sua qualità di parte, cioè di esponente degli interessi
pubblici che le sono affidati, e che di conseguenza essa tende in
primis al soddisfacimento degli interessi della collettività, ma con
la rigorosa osservanza del principio di legalità (riaffermato anche
dall’art. 97 Cost., allorquando parla della imparzialità), non ritiene
la Corte che il non avere attribuito a distinte competenze
amministrative (e, precisamente, a diversi organi appartenenti al
medesimo soggetto) le due fasi proprie del procedimento espropriativo,
quella dell’accertamento dei presupposti per la espropriazione e quella
successiva della concreta adozione dei provvedimenti amministrativi
ablatori, ponga in essere alcuna violazione del cennato principio di
imparzialità.
L’obbligo di dare esatta e completa applicazione alla legge e di
osservarla pienamente nella sua lettera e nel suo spirito in modo da
perseguire in maniera obbiettiva il soddisfacimento degli interessi
pubblici può bene ottenersi anche se non si operino distinzioni di
quel genere: non si vede, in realtà, per qual motivo questo risultato
non possa ottenersi se non attraverso una più o meno netta separazione
degli organi che pongono in essere le due cennate fasi del procedimento
espropriativo.
La unificazione delle competenze, d’altro canto, è stata effettuata,
tanto dalla legge statale quanto dalle leggi regionali, allo scopo
essenziale di accelerare i tempi per la realizzazione delle opere
pubbliche, eliminando fasi procedurali ritenute superflue. E
certamente nel regolamentare in questo modo la materia i vari
legislatori hanno tenuto presente da un lato che non sono mancati,
anche in passato, casi nei quali le cennate fasi erano affidate ai
medesimi organi (art. 31 del r.d. 8 febbraio 1923, n. 422, art. 1
r.d.l. 15 agosto 1925, n. 1636 e artt. 1 e 2 r.d. 11 aprile 1926, n.
752, ecc.) e dall’altro che la più recente legislazione ha
notevolmente modificato il valore degli atti con i quali si autorizza
la occupazione di urgenza dei terreni o si procede all’esproprio. In
realtà i momenti principali ed essenziali per far luogo ad una
espropriazione sono quelli nei quali, deliberata la realizzazione
dell’opera (spesso già preveduta da appositi piani o programmi di
carattere vincolante), si fa luogo alla individuazione dell’area sulla
quale essa deve insistere, il che, se non è già avvenuto al momento
iniziale di detta deliberazione, avviene nel momento della
progettazione dell’opera, noto essendo che ogni progetto tecnico è
strettamente legato nella sua essenza al terreno.
Di conseguenza la prima decisiva incisione dei diritti dei singoli
avviene nel momento della dichiarazione di p.u. (che presuppone un
piano di massima indicante anche la descrizione dei terreni da
occupare: art. 3 legge 25 giugno 1865, n. 2359) o quando si fa luogo
alla approvazione del progetto (se si operi in regime di dichiarazione
implicita di p.u ) con la osservanza delle norme relative alla
localizzazione delle opere pubbliche: i successivi provvedimenti in
base ai quali la P.A. può immettersi nel fondo del privato, a titolo
provvisorio o definitivo, costituiscono, sotto questo profilo, più che
altro atti esecutivi, onde anche per questo aspetto non può ritenersi
irrazionale né l’avere affidato ai medesimi organi le due fasi
predette né l’avere affidato (come avviene del resto in non poche
leggi statali) la emanazione del provvedimento ablatorio allo stesso
soggetto che dell’esproprio deve beneficiare.
6. – L’ultima questione, sollevata con le ordinanze nn. 286/1976 e
287/1976, concerne l’art. 13 della citata legge regionale del Lazio n.
41 del 1974, il quale violerebbe l’art. 128 Cost. in quanto non si
limita a disporre la delega a favore del Comune, ma indica anche quale
sia l’organo comunale competente all’esercizio del potere delegato.
Anche tale questione non è fondata.
La disposizione contenuta nell’art. 128 Cost. indubbiamente sottrae
al potere legislativo delle Regioni a statuto ordinario la disciplina
della organizzazione degli enti territoriali, che rimane affidata
esclusivamente al potere legislativo statale
Ma la legge regionale che, nel delegare determinate funzioni
amministrative al Comune, precisi anche quale fra gli organi comunali
previsti dall’ordinamento dettato dallo Stato debba esercitare le
funzioni medesime senza alterare la tipologia della sua organizzazione,
non lede l’autonomia dei Comuni né invade la sfera di competenza dello
Stato.
Si tratta di norma la quale opera nell’ambito della organizzazione
data dalla legge statale e precisa lo specifico organo che deve in
concreto provvedere.
E ciò da un lato costituisce ovvia e necessaria precisazione di un
aspetto della delega e dall’altro corrisponde anche al concetto
espresso dall’art. 118, terzo comma, Cost., in base al quale le Regioni
esercitano normalmente le loro funzioni amministrative delegandole agli
enti minori o “valendosi dei loro uffici”: è evidente che la Regione
può individuare l’ufficio comunale che ritiene maggiormente idoneo a
svolgere le funzioni delle quali essa è titolare ed il cui esercizio
trasferisce ad altri.
7. – La difesa della parte privata soc. SIRA assume che quanto meno
per implicito il TAR del Lazio (ord. n. 287/1976) abbia denunciato
l’art. 13 della legge della Regione Lazio n. 41 del 1974 in quanto esso
violerebbe anche l’art. 130 Cost., avendo sottratto al sindacato della
Regione gli atti del Comune in materia espropriativa.
Ma la tesi della difesa è del tutto inattendibile: il giudice a quo
non accenna menomamente, né esplicitamente né implicitamente, ad una
qualsiasi violazione dell’art. 130 Cost. e le parti private, come è
ben noto, non hanno legittimazione a sollevare questioni del genere.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale:
1) dell’art. 6 della legge 6 dicembre 1971, n. 1044 (“Piano
quinquennale per la istituzione di asili-nido comunali con il concorso
dello Stato”), sollevata, in riferimento all’art. 117 Cost., dal T.A.R.
del Lazio con ordinanza 5 novembre 1975;
2) della intera legge della Regione Lazio 17 agosto 1974, n. 41
(“Norme per l’accelerazione delle procedure in materia di opere
pubbliche”), così come modificata dalla legge della Regione Lazio 26
gennaio 1977, n. 12 (“Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 17
agosto 1974, n. 41. Intervento regionale in materia di opere e lavori
pubblici d’interesse degli enti locali”), sollevata, in riferimento
all’art. 117 Cost., con ordinanze del T.A.R. del Lazio 5 novembre
1975, 12 novembre 1975 e 1 febbraio 1978;
3) degli artt. 3, 4, 8, 13 e 14 della suddetta legge della Regione
Lazio 17 agosto 1974, n. 41, sollevata, in riferimento agli artt. 97 e
128 Cost., con ordinanze del T.A.R. del Lazio 5 novembre 1975,16
novembre 1975, 1 febbraio 1978 e 9 novembre 1979;
4) dell’art. 39 della legge della Regione Campania 16 maggio 1975, n.
30 (“Piano di interventi regionali di emergenza per l’anno finanziario
1975”), sollevata, in riferimento all’art. 118 Cost., con ordinanza del
T.A.R. della Campania 4 febbraio 1976;
5) degli artt. 1 e 3 della legge 3 gennaio 1978, n. 1 (“Accelerazione
delle procedure per la esecuzione delle opere pubbliche e di impianti e
costruzioni industriali”), sollevata, in riferimento all’art. 97 Cost.,
con ordinanza del T.A.R. del Lazio 9 novembre 1979.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale. Palazzo
della Consulta, il 7 ottobre 1983.
F.to: LEOPOLDO ELIA – ANTONINO DE
STEFANO – GUGLIELMO ROEHRSSEN –
ORONZO REALE – BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO
PALADIN – ARNALDO MACCARONE – ANTONIO
LA PERGOLA – VIRGILIO ANDRIOLI –
GIUSEPPE FERRARI – GIOVANNI CONSO –
ETTORE GALLO.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere