Sentenza N. 32 del 1969
Corte Costituzionale
Data generale
17/03/1969
Data deposito/pubblicazione
17/03/1969
Data dell'udienza in cui è stato assunto
27/02/1969
GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI –
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI
BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI
OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO
CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI
– Dott. NICOLA REALE, Giudici,
2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, sulle misure di prevenzione
nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la
pubblica moralità, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 20 luglio 1967 dal pretore di Firenze nel
procedimento penale a carico di Cecconi Romano, iscritta al n. 198 del
Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 271 del 28 ottobre 1967;
2) ordinanze emesse il 1 febbraio 1968 dal pretore di Genova nei
procedimenti penali rispettivamente a carico di Motta Mario e di Scioni
Francesco, iscritte ai nn. 34 e 35 del Registro ordinanze 1968 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 102 del 20
aprile 1968;
3) ordinanza emessa il 13 febbraio 1968 dal pretore di Sestri
Ponente nel procedimento penale a carico di Dell’Amico Bruna, iscritta
al n. 51 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 127 del 18 maggio 1968;
4) ordinanza emessa il 28 marzo 1968 dal pretore di Lentini nel
procedimento penale a carico di Sambasile Cirino, iscritta al n. 135
del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 222 del 31 agosto 1968.
Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
udita nell’udienza pubblica del 29 gennaio 1969 la relazione del
Giudice Angelo De Marco;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Cesare Soprano,
per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
1. – Con ordinanza 20 luglio 1967, pronunziata nel procedimento
penale a carico di Romano Cecconi, imputato del reato di cui all’art. 9
della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, per avere reiteratamente
contravvenuto alla prescrizione – impostagli dal tribunale di Firenze,
quale persona sottoposta a sorveglianza speciale dalla pubblica
sicurezza – di non uscire di casa fra le ore 20 e le ore 7,30, il
pretore di Firenze sollevava questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1 e “di ogni altra conseguenziale questione sulla stessa
legge (in particolare l’art. 9)” in relazione agli artt. 3, primo
comma, e 13, secondo comma, della Costituzione.
Più precisamente, il pretore rilevava che dalla dizione “possono
essere affidate dal questore…” contenuta nel denunziato art. 1
risulta chiaramente che la diffida ed i conseguenziali provvedimenti da
emanare, sia pure dal tribunale, in caso di inosservanza della diffida
stessa, dipendono, in sostanza, da un apprezzamento discrezionale del
questore, per effetto del quale, soltanto alcune e non tutte le persone
appartenenti alle categorie, tassativamente indicate nello stesso art.
1, sarebbero assoggettate alla misura nell’articolo stesso proveduta,
con evidente violazione del principio di eguaglianza sancito dall’art.
3 della Costituzione.
Non solo, ma, dato che la diffida è il presupposto necessario
delle altre misure, comprese quelle la cui adozione è devoluta alla
competenza del tribunale, la dichiarazione di illegittimità
costituzionale della diffida travolgerebbe tutte le norme della stessa
legge che la presuppongono.
Di qui anche la violazione dell’art. 13, secondo comma, della
Costituzione, in quanto la restrizione della libertà personale, per il
fatto di dipendere dalla discrezionalità del questore è non da atto
legislativo, violerebbe il principio della riserva di legge.
La rilevanza, poi, risulterebbe evidente dato che ove la questione
fosse riconosciuta fondata verrebbe a cadere anche l’art. 9, nella
violazione del quale consisterebbe il reato attribuito all’imputato.
2. – Con due distinte ordinanze, in data 1 febbraio 1968, emesse
nei procedimenti penali a carico di Mario Motta e di Francesco Scioni,
entrambi imputati di contravvenzione all’art. 2 della legge 27 dicembre
1956, n. 1423, rispettivamente, il primo per aver omesso di consegnare,
nel termine prescritto, alla questura di Genova il foglio di via
obbligatorio rilasciatogli dal questore di Imperia, il secondo per non
aver ottemperato al divieto di rientrare in Genova, impostogli dal
questore di detta città, il pretore di Genova sollevava questione di
legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 27 dicembre
1956, n. 1423, in relazione agli artt. 3 e 13 della Costituzione, in
quanto sia la formula usata dall’art. 1 “possono essere diffidati dal
questore” sia quella usata dall’art. 2 “il questore può rimandarvele”
dimostrano il conferimento al questore del potere discrezionale tanto
di impartire la diffida, quanto di rilasciare il foglio di via
obbligatorio, potere che si risolve in una scelta orientata da motivi
di opportunità, scelta che può venire a creare una disparità di
trattamento nei confronti di persone che in eguale misura si trovano
nelle condizioni previste dai citati artt. 1 e 2.
3. – Con ordinanza 13 febbraio 1968, emessa nel procedimento penale
a carico di Bruna Dell’Amico, imputata del reato di cui all’art. 2
della legge n. 1423 del 1956, per non aver ottemperato all’esplicito
divieto di rientrare in Genova, impostole dal questore di detta città,
il pretore di Sestri Ponente, sempre sotto il profilo del potere
discrezionale attribuito da tali norme al questore, sollevava questione
di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della ripetuta legge
del 1956, n. 1423, in relazione, peraltro, al solo art. 3, primo comma,
della Costituzione.
4. – Infine, con ordinanza 28 marzo 1968, emessa nel procedimento
penale a carico di Cirino Sambasile, imputato della contravvenzione di
cui all’articolo 9 della legge n. 1423 del 1956, per non aver
ottemperato agli obblighi impostigli dal tribunale di Siracusa, con
decreto 8 marzo 1966, di sottoposizione a sorveglianza speciale,
uscendo nottetempo e senza necessità dalla propria abitazione, il
pretore di Lentini sollevava questione di legittimità costituzionale
dell’articolo 1 della legge n. 1423 del 1956, in relazione agli artt.
3, primo comma, e 13, secondo comma, della Costituzione, sempre sotto
il profilo che il potere discrezionale accordato al questore dal citato
articolo 1 potesse dar luogo a disparità di eguaglianza e,
rispettivamente, fosse in contrasto con il principio della riserva di
legge.
Dopo le notificazioni, comunicazioni e pubblicazioni di legge i
cinque giudizi venivano fissati per la trattazione nell’udienza
odierna.
Nel solo giudizio di cui al n. 1 si è costituito il Presidente del
Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato.
Sia con la memoria di costituzione sia con altra memoria depositata
il 16 gennaio 1969, l’Avvocatura dello Stato deduce, in sostanza, che
la sollevata questione vorrebbe trovar fondamento su una inesatta
nozione del contenuto e dei limiti della discrezionalità nel diritto
amministrativo, la quale, lungi da ogni sorta di arbitrarietà, va
concepita ed esercitata dall’autorità amministrativa entro
l’osservanza di precisi e molteplici limiti, la cui violazione
determina il vizio dell’eccesso di potere sotto i profili della
disparità di trattamento e della manifesta ingiustizia. Inoltre
sottolinea che la diffida esula dai provvedimenti di restrizione della
libertà personale che costituiscono il contenuto della norma di cui
all’art. 13 della Costituzione, e chiede, in conseguenza, che la
proposta questione di costituzionalità venga dichiarata manifestamente
infondata.
1. – Anzitutto è manifesta l’opportunità di riunire i cinque
giudizi, data la sostanziale identità delle questioni in essi
proposte.
2. – Comune a tutti i detti giudizi è la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, in
riferimento all’art. 3 della Costituzione, la quale, peraltro,
nell’ordinanza 20 luglio 1967 del pretore di Firenze viene motivata
più ampiamente che nelle altre, ma sempre sotto il medesimo profilo
che, come si è esposto in narrativa, può essere così riassunto:
L’art. 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, nel primo comma,
dispone: “Possono” – (e non devono o sono) – “essere diffidati dal
questore”. A questo comma segue, poi, l’elenco delle categorie di
persone che si presumono pericolose per la sicurezza e la pubblica
moralità.
Pertanto, al questore verrebbe attribuito un potere discrezionale
che gli permetterebbe di sottoporre soltanto alcune e non tutte le
persone contemplate dall’art. 1 alla diffida, presupposto necessario
per l’applicazione delle misure di prevenzione prevedute dai successivi
articoli della legge, con una evidente disparità di trattamento, che
si risolve nella violazione del principio di eguaglianza.
3. – La questione, nei medesimi termini, è già stata esaminata
dalla Corte con riferimento peraltro alla identificazione delle persone
che possono essere comprese nelle categorie elencate nei numeri da 1 a
5 dello stesso art. 1, ma è stata dichiarata infondata (sentenze n.
23 e n. 68 del 1964).
Anche se la diversa prospettazione esclude che le questioni possano
considerarsi del tutto identiche, cosicché non è il caso di
dichiarare senz’altro, con ordinanza, manifestamente infondata la
questione nei presenti giudizi sollevata, non può sfuggire che vi è
una notevole analogia.
Tanto chiarito si rileva:
anzitutto la discrezionalità non implica arbitrio: anche
nell’esercizio del potere discrezionale l’autorità amministrativa non
è libera nelle sue determinazioni; comunque essa deve aver sempre di
mira il conseguimento dei fini ad essa assegnati, e non può
discostarsene, e deve operare ponderando adeguatamente e imparzialmente
i diversi interessi, pubblici e privati, implicati nella fattispecie.
Nel caso presente vi è qualche cosa di più, in quanto nel testo
stesso dell’art. 1 impugnato, risulta chiaramente che anche il criterio
è notevolmente limitato, dato che il potere si risolve
nell’accertamento di una specifica maggiore pericolosità di persone,
che già, in potenza, sono da considerare pericolose per la sicurezza e
per la pubblica moralità.
Riconosciuta, infatti (come risulta dalle citate sentenze di questa
Corte) la legittimità costituzionale del provvedimento di
identificazione concreta di coloro che vanno compresi nelle categorie
di persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità, non
si può disconoscere che tale elencazione è, bensì, tassativa, ma non
anche vincolante, nel senso che il solo fatto di essere compresi in una
di quelle categorie renda obbligatoria, nei confronti di tutti coloro
che vi appartengono, l’adozione di misura di prevenzione.
L’appartenenza a quelle categorie è invero condizione necessaria,
ma non sufficiente per la sottoposizione a misure di prevenzione:
perché in concreto tali misure possano essere adottate, occorre,
infatti, anche un particolare comportamento che dimostri come la
pericolosità sia effettiva ed attuale e non meramente potenziale.
L’accertamento di questa specifica pericolosità – la quale tra
l’altro realizza una differenza tra le persone comprese nelle categorie
genericamente ritenute pericolose – si raggiunge necessariamente
attraverso un apprezzamento di merito.
Che, poi, come in sostanza è stato ritenuto con le citate sentenze
di questa Corte, in ogni apprezzamento di merito, diretto ad accertare
la sussistenza degli estremi per l’applicazione di una norma di legge,
vi è sempre un certo margine affidato alla discrezionalità, non per
questo, chiarita quale sia la natura funzionale dell’accertamento
affidato al questore, si può parlare di violazione del principio di
eguaglianza, tanto più che in ogni caso l’esercizio del potere
discrezionale è soggetto al controllo del giudice, il quale
sicuramente si estende alla irrazionalità, alla imparzialità, alla
parità di trattamento.
Si deve, quindi, concludere che sotto questo primo profilo la
sollevata questione risulta infondata.
4. – Per le stesse ragioni deve essere dichiarata infondata la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della stessa legge
n. 1423 del 1956, in riferimento all’art. 3 della Costituzione,
sollevata con le due ordinanze, entrambe in data 1 febbraio 1968, del
pretore di Genova e con ordinanza 13 febbraio 1968 del pretore di
Sestri Ponente, sempre sotto il profilo che la discrezionalità
conferita al questore con la dizione “Il questore può rimandarvele”
sia suscettibile a creare una disparità di trattamento nei confronti
di persone che egualmente si trovino nelle condizioni da detto art. 2
prevedute.
5. – Comune a tutti i giudizi, tranne quello instaurato per effetto
dell’ordinanza 13 febbraio 1968 del pretore di Sestri Ponente, è,
infine, la questione di illegittimità tanto dell’art. 1 quanto
dell’art. 2 della citata legge, in riferimento all’art. 13, secondo
comma, della Costituzione.
Come si è posto in rilievo in narrativa, tale questione poggia sul
presupposto della arbitrarietà dei poteri attribuiti al questore con
le norme suddette.
Poiché questo presupposto, dato quanto precede, viene a mancare,
anche sotto il profilo del contrasto con l’art. 13, secondo comma,
della Costituzione, la questione di legittimità dei ripetuti artt. 1 e
2 risulta infondata.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate:
a) la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della
legge 27 dicembre 1956, n. 1423, sulle misure di prevenzione nei
confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica
moralità, in riferimento agli artt. 3 e 13, secondo comma, della
Costituzione, sollevata con ordinanza 20 luglio 1967 del pretore di
Firenze e con ordinanza 28 marzo 1968 del pretore di Lentini;
b) la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2
della legge suddetta, in riferimento agli artt. 3 e 13, secondo comma,
della Costituzione, sollevata con due distinte ordinanze, in data 1
febbraio 1968, del pretore di Genova;
c) la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2
della ripetuta legge, in riferimento all’art. 3 della Costituzione,
questione sollevata con ordinanza 13 febbraio 1968 del pretore di
Sestri Ponente.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 27 febbraio 1969.
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE.