Sentenza N. 32 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
17/02/1999
Data deposito/pubblicazione
17/02/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
10/02/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
codice di procedura penale promossi con ordinanze emesse il 22 maggio
1997 dal tribunale di Verona, l’11 ed il 24 giugno 1997 dal tribunale
di Prato, il 21 ottobre 1997 dal tribunale di Perugia, il 9 ottobre
1997 dalla Corte d’Assise di Bari, il 10 dicembre 1997 dalla Corte
d’Assise di Napoli, il 27 ottobre 1997 dal tribunale di Milano ed il
28 gennaio 1998 dalla Corte d’Assise di Napoli, rispettivamente
iscritte ai nn. 605, 666, 667, 865 del registro ordinanze 1997 ed ai
nn. 14, 67, 80 e 191 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 39, 41, 52, prima serie
speciale, dell’anno 1997 ed i nn. 5, 7, 8 e 13, prima serie speciale,
dell’anno 1998.
Visto l’atto di costituzione di Kercuku Ramazan;
Udito nella camera di consiglio del 30 settembre 1998 il giudice
relatore Giuliano Vassalli.
tribunale di Prato adottava, nei confronti di persona imputata di
bancarotta fraudolenta, la misura cautelare della custodia in
carcere, misura che veniva eseguita, dopo un lungo periodo di
latitanza, il 4 marzo 1997, nella fase degli atti preliminari al
dibattimento.
Dopo aver disatteso la richiesta di revoca della misura avanzata
dal difensore dell’imputato, il tribunale di Prato, prima
dell’udienza dibattimentale, premesso di non aver proceduto
all’interrogatorio a norma dell’art. 294, comma 1, del codice di
procedura penale, solo perché, secondo la pressoché costante
interpretazione giurisprudenziale, l’interrogatorio c.d. di garanzia
deve essere espletato esclusivamente nella fase delle indagini
preliminari, ha, con ordinanza dell’11 giugno 1997, sollevato, in
riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale degli artt. 294, comma 1, e 302 del
codice di procedura penale, nella parte in cui l’uno non prevede che
il giudice del dibattimento debba procedere all’interrogatorio di
garanzia anche nella fase degli atti preliminari al giudizio e nella
parte in cui l’altro non prevede l’estinzione della custodia per
omesso interrogatorio in tale fase.
Punto di partenza delle contestazioni del rimettente è la sentenza
n. 77 del 3 aprile 1997, con la quale la Corte costituzionale ha
dichiarato, appunto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 294,
comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui non
prevede che, fino alla trasmissione degli atti al giudice del
dibattimento, il giudice proceda all’interrogatorio della persona in
stato di custodia cautelare in carcere immediatamente o comunque non
oltre cinque giorni dell’inizio di esecuzione della custodia e
dell’art. 302 dello stesso codice limitatamente alle parole “disposta
nel corso delle indagini preliminari”.
Dopo aver ripercorso le argomentazioni della indicata decisione
della Corte e le (supposte) ragioni, fondate su motivi strettamente
connessi alla rilevanza, che avrebbero determinato la decisione
stessa a delimitare al momento della trasmissione degli atti al
giudice del dibattimento la dichiarazione di illegittimità della
normativa ora ricordata, il tribunale ravvisa in tali argomenti “una
portata ben più ampia rispetto alla conclusione alla quale è giunta
la Corte”. Tanto più considerando il richiamo contenuto nella
sentenza n. 77 del 1997 alla Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà che richiede “la più tempestiva
presa di contatto con il giudice della persona arrestata o detenuta,
a prescindere dalla fase procedimentale in cui la privazione della
libertà è avvenuta”. Cosicché la fase degli atti preliminari al
dibattimento – non differenziandosi, sotto il profilo della funzione
dell’interrogatorio, da quella indicata dalla Corte quale dies ad
quem l’interrogatorio deve essere espletato, derivandone, in caso
contrario, la caducazione della misura – deve essere contrassegnata
dall’applicazione degli artt. 294 e 304 del codice di procedura
penale secondo la medesima ratio decidendi indicata dalla Corte.
2. – Un’identica questione lo stesso tribunale di Prato ha
proposto, con ordinanza del 24 giugno 1997, sempre nella fase degli
atti preliminari al dibattimento a carico di persona nei confronti
della quale la misura custodiale, applicata dal giudice per le
indagini preliminari il 9 maggio 1995, era stata eseguita solo il 12
giugno 1997, mentre il decreto che dispone il giudizio era stato
emesso il 17 ottobre 1995.
Ha denunciato pertanto, sempre richiamando la ratio decidendi della
sentenza n. 77 del 1997, in riferimento agli artt. 3 e 24 della
Costituzione, gli artt. 294, comma 1, e 302 del codice di procedura
penale, nella parte in cui l’art. 294, comma 1, non prevede che il
giudice del dibattimento debba procedere all’interrogatorio di
garanzia anche nella fase degli atti preliminari al giudizio e nella
parte in cui l’art. 302 non prevede l’estinzione della custodia per
omesso interrogatorio in tale fase.
3. – Con provvedimento del 16 gennaio 1996 il giudice per le
indagini preliminari del tribunale di Verona applicava la misura
cautelare della custodia in carcere nei confronti di persona imputata
di detenzione di sostanze stupefacenti. Dopo un lungo periodo di
latitanza, l’imputato veniva arrestato all’estero e consegnato alle
autorità italiane il 18 aprile 1997, quindi successivamente alla
trasmissione degli atti al giudice del dibattimento fissato per
l’udienza del 16 giugno 1997.
Il 23 aprile 1997 la difesa chiedeva al tribunale di Verona, quale
giudice del dibattimento, l’immediata liberazione dell’arrestato in
conseguenza del mancato espletamento dell’interrogatorio di cui
all’art. 294, comma 1, del codice di procedura penale; e ciò in
applicazione della sentenza n. 77 del 1997, la cui ratio decidendi
sarebbe riferibile anche ai casi di mancato interrogatorio in un
momento successivo alla trasmissione degli atti al giudice del
dibattimento.
Il giudice a quo, premesso che l’istanza era da ritenere infondata,
attesi i limiti cronologici all’operatività di entrambe le
statuizioni di illegittimità connaturati al decisum della Corte, ha
allora sollevato, con ordinanza del 22 maggio 1997, in riferimento
agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità
dell’art. 294, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte
in cui non prevede che, anche dopo la trasmissione degli atti al
giudice del dibattimento, il giudice proceda all’interrogatorio della
persona in stato di custodia cautelare in carcere immediatamente e
comunque non oltre cinque giorni dall’inizio della custodia.
Dopo aver ricordato gli argomenti che hanno indotto la Corte alla
dichiarazione di illegittimità, il giudice a quo ritiene che i detti
argomenti dovrebbero condurre ad un’analoga statuizione anche per
l’ipotesi in cui l’esigenza dell’interrogatorio insorga in una fase
successiva alla trasmissione degli atti al giudice del dibattimento;
pure in tal caso, infatti, l’imputato in vinculis verrebbe privato
“per un tempo considerevole, quello che va dalla trasmissione degli
atti al giudice del dibattimento, del contatto con il giudice per
motivi collegati unicamente alla diversità della fase processuale di
inizio dell’esecuzione della misura”.
4. – Con ordinanza del 21 ottobre 1997 il tribunale di Perugia,
premesso che uno degli imputati era stato tratto in arresto il 7
settembre 1997 in esecuzione dell’ordinanza custodiale adottata dal
giudice per le indagini preliminari il 14 febbraio 1997 e che non si
era proceduto al suo interrogatorio in quanto, alla stregua della
sentenza costituzionale n. 77 del 1997, il dovere di procedere
all’interrogatorio di cui all’art. 294 del codice di procedura penale
sussiste fino al momento della trasmissione degli atti al giudice del
dibattimento, ha denunciato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della
Costituzione, l’illegittimità degli artt. 294 e 302 del codice di
procedura penale, “nella parte in cui non prevedono l’inefficacia
della misura cautelare in caso di omesso interrogatorio dell’imputato
nel termine di cinque giorni, anche nel caso di esecuzione
dell’arresto dopo la trasmissione degli atti al giudice del
dibattimento”.
Ancora una volta è la ratio decidendi della sentenza n. 77 del
1997 ad essere invocata, sottolineandosi la peculiarità
dell'”interrogatorio di garanzia” e la sua non sostituibilità con
altre forme di presa di contatto con il giudice. Una peculiarità che
non vale certo a limitare nel tempo il dovere di compiere tale atto.
Tanto più che, a seguito della sentenza n. 71 del 1996 di questa
Corte, “non sussistono più limiti alla valutazione dei gravi indizi
di colpevolezza nella fase successiva al rinvio a giudizio” e che la
Corte avrebbe, con la sentenza n. 77 del 1997, indicato come termine
ultimo per l’effettuazione dell’interrogatorio il momento di
trasmissione degli atti al giudice del dibattimento “solo con
riguardo ai limiti del devoluto”.
5. – Con ordinanza del 9 ottobre 1997 emessa prima del dibattimento
la Corte di assise di Bari, rilevato che uno degli imputati era stato
tratto in arresto in esecuzione del provvedimento custodiale adottato
il 30 marzo 1996 dal locale giudice per le indagini preliminari,
quando già gli atti erano stati trasmessi alla Corte, ha sollevato,
in riferimento agli artt. 3, 24 della Costituzione, anche qui
richiamando la ratio decidendi della sentenza n. 77 del 1997,
questione di legittimità degli artt 294 e 302 del codice di
procedura penale nella parte in cui non prevedono che il giudice
debba procedere all’interrogatorio dell’imputato immediatamente e
comunque non oltre cinque giorni dall’esecuzione della custodia
intervenuta nella fase predibattimentale.
Si osserva che pure nella fase successiva alla trasmissione degli
atti rimane integra la funzione di garanzia dell’interrogatorio
finalizzato ad una pronta verifica della sussistenza dei presupposti
per l’applicazione della misura, anche considerando che il
dibattimento potrebbe essere differito a norma dell’art. 465 e che
anche le dichiarazioni dell’imputato in dibattimento (attraverso
l’esame o le dichiarazioni spontanee) non sono comunque in grado di
essere equiparate all’interrogatorio di cui alla norma censurata.
6. – Pure alla ratio decidendi della sentenza n. 77 del 1997
risulta riferirsi la Corte di assise di Napoli che, con due ordinanze
del 10 dicembre 1997 e del 28 gennaio 1998, ha denunciato, in
riferimento agli artt. 3, 10 e 24 della Costituzione, l’art. 294,
comma 1, del codice di procedura penale, limitatamente all’inciso
“Nel corso delle indagini preliminari”, anche qui in presenza di
imputato attinto da ordinanza di custodia cautelare in carcere
adottata dal giudice per le indagini preliminari ed eseguita nel
predibattimento.
Il giudice a quo rileva che né nella fase degli atti preliminari
al dibattimento né in quella degli atti introduttivi è prevista
alcuna forma di interrogatorio. Atto che non è contemplato neppure
nel dibattimento ove l’imputato viene esaminato sui fatti oggetto
dell’imputazione e non sui presupposti della custodia cautelare in
corso di applicazione. Per di più, in processi come quello pendente
davanti alla Corte di assise contrassegnati da una pluralità
d’imputati e da innumerevoli imputazioni, il dibattimento rischia di
protrarsi per molti mesi senza che l’imputato venga sottoposto
all’interrogatorio.
Con conseguente violazione: dell’art. 3 della Costituzione per
l’ingiustificata disparità di trattamento tra l’imputato arrestato
prima che gli atti vengano trasmessi al giudice del dibattimento e
l’imputato arrestato dopo tale trasmissione; dell’art. 10 della
Costituzione, non conformandosi la norma censurata alla Convenzione
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali ed al Patto internazionale relativo ai diritti civili e
politici che richiedono entrambi la più tempestiva presa di contatto
tra imputato e giudice; con l’art. 24 della Costituzione perché
l’esclusione dell’interrogatorio di garanzia viene a privare
l’imputato di un efficace mezzo di difesa.
7. – Con l’ordinanza del 27 ottobre 1997, il tribunale di Milano,
richiesto della scarcerazione ex art. 302 del codice di procedura
penale, di un imputato in vinculis in forza di una misura cautelare
adottata nel corso delle indagini preliminari ma eseguita dopo la
trasmissione degli atti al giudice del dibattimento, ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di
legittimità dell’art. 294, comma 1, del codice di procedura penale,
“nella parte in cui non prevede che, anche dopo la trasmissione degli
atti al giudice del dibattimento, il giudice proceda
all’interrogatorio dell’imputato in stato di custodia cautelare in
carcere immediatamente e comunque non oltre cinque giorni dall’inizio
della custodia”.
Analoghe le argomentazioni adottate, incentrate soprattutto sulla
impossibilità che l’interrogatorio di garanzia possa essere
sostituito da atti “equipollenti”.
8. – In nessuno dei giudizi si è costituita la parte privata né
ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri.
relativi giudizi vanno, pertanto, riuniti per essere decisi con
un’unica sentenza.
2. – Oggetto comune di censura sono gli artt. 294, comma 1, e 302
del codice di procedura penale, quali risultanti a seguito della
sentenza di questa Corte n. 77 del 1997 che ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’uno, “nella parte in cui non
prevede che, fino alla trasmissione degli atti al giudice del
dibattimento, il giudice proceda all’interrogatorio della persona in
stato di custodia cautelare in carcere immediatamente e comunque non
oltre cinque giorni dall’inizio di esecuzione della custodia”,
dell’altro, “limitatamente alle parole disposta nel corso delle
indagini preliminari”. Così da delineare, in forza del congiunto
intervento, additivo e demolitorio, della Corte, un assetto normativo
in cui il giudice (e cioè sempre e comunque il giudice per le
indagini preliminari) è tenuto a procedere all’interrogatorio della
persona in stato di custodia cautelare nei cinque giorni dalla
privazione dello status libertatis, non soltanto, come previsto
dall’originario precetto derivante dalle disposizioni a suo tempo
denunciate, nel corso delle indagini preliminari, ma anche fino al
momento della trasmissione degli atti al giudice del dibattimento.
Tutte le ordinanze, pronunciate successivamente alla trasmissione
degli atti a tale giudice, ma prima dell’apertura del dibattimento,
coinvolgono di nuovo sia l’art. 294, comma 1, sia l’art. 302 del
codice di procedura penale, censurati nella parte in cui non
prevedono il dovere del giudice di procedere all’interrogatorio nei
cinque giorni dall’inizio di esecuzione della custodia cautelare in
carcere e l’effetto che consegue alla sua mancata effettuazione fino
alla fase degli atti preliminari al dibattimento.
Pure se talune delle ordinanze di rimessione denunciano il solo
art. 294, comma 1, del codice di procedura penale, la denuncia deve
necessariamente considerarsi estesa all’art. 302 dello stesso codice,
risultando tutti i provvedimenti introduttivi del presente giudizio
di legittimità costituzionale adottati di fronte a richieste di
scarcerazione per omesso interrogatorio nei cinque giorni
dall’esecuzione della misura. Del resto, la comune evocazione, da
parte dei giudici a quibus, della sentenza costituzionale n. 77 del
1997, per trarne la conclusione che o la Corte, per motivi connessi
alla rilevanza avrebbe limitato il suo intervento fino al momento
della trasmissione degli atti al giudice del dibattimento ovvero che
comunque l’eadem ratio decidendi dovrebbe valere anche per la fase
successiva a quella indicata dalla detta decisione, comprova la
conseguenzialità fra tali denunce e la sentenza della Corte e,
dunque, il diretto coinvolgimento anche dell’art. 302.
3. – Ad essere chiamati in causa quali norme-parametro sono, ancora
una volta, gli artt. 24 e 3 della Costituzione, il primo invocato in
alcuni casi anche con riferimento alla Convenzione per i diritti
dell’uomo e delle libera’ fondamentali adottata a Roma il 14 novembre
1950, resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, ed entrata in
vigore per l’Italia il 6 ottobre 1955, che richiede “la più
tempestiva presa di contratto con il giudice della persona arrestata
o detenuta, a prescindere dalla fase procedimentale in cui la
privazione della libertà è avvenuta”; il secondo unanimemente
ritenuto vulnerato per la disparità di trattamento tra imputato che
venga privato della libertà personale nella fase in cui gli atti
sono ancora nella disponibilità del giudice delle indagini
preliminari e imputato che venga a trovarsi in vinculis dopo tale
momento ma prima che il dibattimento abbia avuto inizio.
Una delle ordinanze indica, poi, quale ulteriore parametro,
intrinsecamente collegato alla tutela del diritto di difesa, l’art.
10 della Costituzione, anche qui con richiamo alle convenzioni
internazionali ratificate e rese esecutive in Italia; precisamente,
oltre che la già ricordata Convenzione Europea per la salvaguardia
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il Patto
internazionale per i diritti civili e politici, adottato a New York
il 16 novembre 1966, reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n.
881, ed entrato in vigore per l’Italia il 15 dicembre 1978.
Le singole articolazioni dei provvedimenti rimessivi rivelano però
qualche, ma solo apparente, divaricazione, conseguente alla
peculiarità della fase in cui la misura è stata eseguita. Mentre,
infatti, talune ordinanze non indicano quale debba essere il giudice
tenuto a procedere all’interrogatorio, altre ne rivendicano,
esplicitamente o implicitamente, l’esecuzione al giudice del
dibattimento, a norma degli artt. 279 del codice di procedura penale
e 91 delle norme di attuazione dello stesso codice. Ma, poiché
nessuno dei rimettenti ha denegato la propria competenza a decidere
sulla richiesta di caducazione della misura, tutte le ordinanze,
anche per ragioni connesse al necessario requisito della rilevanza,
ravvisano nella fase che va dalla trasmissione degli atti al giudice
del dibattimento all’inizio del dibattimento la competenza del
giudice di tale fase tanto per l’espletamento dell’interrogatorio
quanto per l’eventuale dichiarazione di estinzione della misura. Una
problematica che riemerge con particolare efficacia in uno dei
provvedimenti rimessivi, precisamente quello pronunciato dalla Corte
di assise di Bari, che propone “l’ulteriore connessa questione della
precisa individuazione degli elementi probatori sui quali il
giudicante potrà contare nell’espletamento di tale incombente e
nella formazione del suo convincimento sui presupposti della misura
cautelare. Se, cioè, simile verifica vada compiuta sulla base degli
atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento e/o desumibili dai
provvedimenti cautelari a sua disposizione oppure – esprimendo, sul
punto, perplessità per il “pregiudizio” che potrebbe insinuarsi nel
convincimento del giudice che procede – sulla base di tutti gli atti
valutati dal giudice per le indagini preliminari prima dell’adozione
della misura.
4. – La questione è, nei termini che seguono, fondata.
Come si è ricordato, questa Corte, con sentenza n. 77 del 1997,
ebbe a dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 294,
comma 1, del codice di procedura penale, “nella parte in cui non
prevede che, fino alla trasmissione degli atti al giudice del
dibattimento il giudice proceda all’interrogatorio della persona in
stato di custodia cautelare in carcere immediatamente e comunque non
oltre cinque giorni dall’inizio di esecuzione della custodia” e
dell’art. 302 dello stesso codice, “limitatamente alle parole
‘disposta nel corso delle indagini preliminari'”.
La delimitazione temporale e di fase a suo tempo operata era
strettamente connessa al requisito della rilevanza, contestandosi da
parte di tutte le ordinanze di rimessione che il giudice fosse tenuto
a procedere all’interrogatorio prescritto dall’art. 294, comma 1,
esclusivamente nella fase delle indagini preliminari. Si ritenne,
dunque, che non fossero sufficienti per argomentare la legittimità
dell’assetto normativo allora vigente e, conseguentemente, per
sottrarre l’imputato all’interrogatorio “di garanzia” contemplato
dalla norma anche adesso denunciata, né la considerazione che dopo
la chiusura delle indagini l’imputato stesso abbia la possibilità di
venire a conoscenza del fascicolo contenente la notizia di reato e la
documentazione relativa alle indagini espletate trasmesso al momento
della richiesta di rinvio a giudizio da parte del pubblico ministero
(documentazione depositata nella cancelleria del giudice, con
notificazione dell’avviso al difensore di prendere visione degli
atti) né il rilievo che nel corso dell’udienza preliminare
l’imputato può richiedere di essere sottoposto ad interrogatorio;
sia perché i tempi, per giunta ordinatori, intercorrenti tra
richiesta del pubblico ministero ed espletamento dell’udienza
preliminare possono non consentire quella immediata presa di contatto
tra imputato in vinculis e giudice che è a fondamento dell’art. 294,
comma 1, sia perché l’interrogatorio in sede di udienza preliminare
– da espletarsi solo su richiesta dell’imputato e non ad iniziativa
del giudice, quale espressione di un suo specifico poteredovere – non
può identificarsi con l’interrogatorio “di garanzia”, soprattutto
con riferimento alle esigenze cautelari e tenuto anche conto del tipo
di delibazione demandato al giudice al termine dell’udienza. Senza
che possano colmare una simile lacuna né gli strumenti di gravame
cautelare, in ordine ai quali pure la legge consente l’esame
dell’imputato in vinculis, né il procedimento di revoca –
contraddistinto da una funzione profondamente diversa rispetto al
procedimento incentrato sulla genesi della custodia – perché il
dovere di interrogatorio in tale sede scaturisce dall’esistenza
proprio di una situazione che potrebbe emergere a seguito
dell’interrogatorio “di garanzia”, essendo l’interrogatorio
prescritto, nell’ambito di tale procedura, solo se l’istanza è
fondata su elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già valutati.
5. – Una volta superate le ragioni ostative all’applicabilità del
regime dell’interrogatorio previsto dall’art. 294, comma 1, al di là
del limite della fase delle indagini preliminari, diviene
contrastante, oltre che con il principio di eguaglianza, anche con il
diritto di difesa, una norma che non estende tale dovere dalla fase
successiva alla trasmissione degli atti al giudice del dibattimento
fino al momento dell’inizio del dibattimento stesso. Tanto più che
l’intervallo di tempo fra trasmissione degli atti ed inizio del
dibattimento può essere contrassegnato da una estensione maggiore
rispetto a quello che va dalla richiesta di rinvio a giudizio
all’espletamento dell’udienza preliminare; con la conseguenza di
rendere, in via di principio, ancor più irragionevole la diversità
di trattamento rispetto alla previsione già dichiarata
costituzionalmente illegittima. Tanto da caratterizzare un simile
regime come avente l’unica, e certo non costituzionalmente
tutelabile, finalità di protrarre senza limiti di tempo la presa di
contatto tra imputato e giudice e, di conseguenza, di adottare un
trattamento deteriore per il latitante.
Può, dunque, qui ripetersi, a maggior ragione, che un regime di
tal genere priva “l’imputato in vinculis del più efficace strumento
di difesa avente ad oggetto la cautela disposta: di quel colloquio,
cioè, con il giudice relativo alle condizioni che hanno legittimato
l’adozione della misura cautelare ed alla loro permanenza” (v.
sentenza n. 77 del 1997). Ancora una volta potendosi richiamare
(senza che, peraltro, ne risulti coinvolto l’art. 10 della
Costituzione che, secondo l’indirizzo di questa Corte esorbita dagli
schemi del diritto internazionale pattizio) sia il Patto
internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1966 (in
vigore per l’Italia dal 1978) sia la Convenzione per la salvaguardia
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950 (entrata
in vigore per l’Italia nel 1955), che reclamano “la più tempestiva
presa di contatto con il giudice della persona arrestata o detenuta,
a prescindere dalla fase procedimentale in cui la privazione dello
status libertatis è avvenuta”.
Appare chiaro, poi, come l’adempimento di un simile dovere
presuppone che non sia stata ancora instaurata la fase del giudizio
che, per i suoi caratteri essenziali di pienezza del contraddittorio
e per l’immanente presenza dell’imputato, assorbe la stessa funzione
dell’interrogatorio previsto dall’art. 294, comma 1; senza contare
che il giudice del dibattimento, quale giudice che “attualmente”
potrà procedere all’esame dell’imputato in vinculis su ogni elemento
dell’imputazione e sulle condizioni legittimanti lo status custodiae,
ha in ogni momento della fase la possibilità di verificare sia la
legittimità dello status sia la permanenza delle condizioni che
determinarono l’adozione della misura custodiale.
6. – L’affermazione, costituzionalmente imposta, che
l’interrogatorio di garanzia, oltre che un obbligo del giudice
costituisce un diritto fondamentale della persona sottoposta alla
custodia anche nella fase successiva alla trasmissione degli atti al
giudice del dibattimento e fino all’inizio del dibattimento stesso,
non comporta soluzioni necessitate quanto al giudice a cui affidare
il compito di procedere all’interrogatorio e agli atti da utilizzare
a tal fine, né in ordine al termine congruo entro cui
l’interrogatorio deve essere effettuato e alle conseguenze connesse
all’inosservanza del termine stesso.
È compito del legislatore, nel rispetto dei principi
costituzionali affermati dalla presente decisione, operare le scelte
discrezionali che sottostanno alla soluzione degli anzidetti
problemi, tenendo conto delle specifiche esigenze connesse alla nuova
fase processuale – diversa da quelle a cui si riferiva l’originale
disciplina dell’art. 294 cod. proc. pen. come integrata dalla
sentenza n. 77 del 1997 di questa Corte – alla quale viene esteso
l’obbligo dell’interrogatorio di garanzia.
In attesa dell’intervento legislativo, sarà il giudice a trarre
dal sistema in vigore, come integrato dalla presente pronuncia, le
soluzioni più corrette in ordine alla competenza, alle modalità e
al termine per l’osservanza dell’obbligo di interrogatorio, nonché a
valutare, anche in relazione alle concrete situazioni processuali,
incidenza, effetti e modo di operare della pronuncia medesima sulle
misure cautelari in atto.
7. – Deve, conseguentemente essere dichiarata l’illegittimità
costituzionale dell’art. 294, comma 1, del codice di procedura
penale, nella parte in cui non prevede che fino all’apertura del
dibattimento il giudice proceda all’interrogatorio della persona in
stato di custodia cautelare in carcere.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 294, comma 1,
del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che
fino all’apertura del dibattimento il giudice proceda
all’interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare in
carcere.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Vassalli
Il cancelliere: Malvica
Depositata in cancelleria il 17 febbraio 1999.
Il cancelliere: Malvica