Sentenza N. 320 del 2000
Corte Costituzionale
Data generale
21/07/2000
Data deposito/pubblicazione
21/07/2000
Data dell'udienza in cui è stato assunto
11/07/2000
Presidente: Cesare MIRABELLI;
Giudici: Francesco GUIZZI, Fernando SANTOSUOSSO, Massimo VARI,
Cesare RUPERTO, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKI, Valerio ONIDA,
Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
sorto a seguito della delibera del 9 dicembre 1998 della Camera dei
deputati relativa alla insindacabilità delle opinioni espresse
dall’on. Amedeo Matacena nei confronti del dott. Vincenzo Macrì,
promosso con ricorso del giudice per le indagini preliminari presso
il Tribunale di Reggio Calabria, notificato il 5 ottobre 1999,
depositato in cancelleria il 20 successivo e iscritto al n. 33 del
registro conflitti 1999.
Visto l’atto di costituzione della Camera dei deputati;
Udito nell’udienza pubblica del 7 marzo 2000 il giudice relatore
Gustavo Zagrebelsky;
Udito l’avvocato Massimo Luciani per la Camera dei deputati.
l’altro, il reato di diffamazione a mezzo stampa (artt. 595, commi
secondo e terzo, cod. pen., e 13 e 21 della legge 8 febbraio 1948,
n. 47) addebitato al deputato Amedeo Matacena, il giudice per le
indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Calabria ha
promosso, con ordinanza del 19 febbraio 1999, conflitto di
attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei
deputati, in relazione alla deliberazione, adottata il 9 dicembre
1998, con la quale la Camera, accogliendo la proposta della Giunta
per le autorizzazioni a procedere, ha dichiarato che i fatti per i
quali è in corso il procedimento penale concernono opinioni espresse
dal deputato nell’esercizio delle sue funzioni, con conseguente
insindacabilità a norma dell’art. 68, primo comma, della
Costituzione.
1.2. – Il deputato Matacena premette, in fatto, il giudice che
solleva il conflitto è stato imputato di diffamazione in relazione a
un articolo, non firmato, apparso sul giornale “Il quotidiano della
Calabria” in data 26 marzo 1997; in detto articolo si dava conto
della presentazione di una denuncia da parte di Amedeo Matacena
senior padre del deputato, e imputato anch’egli nel medesimo
procedimento penale, con l’imputazione di calunnia contro Vincenzo
Macrì, magistrato addetto alla Direzione nazionale antimafia; la
denuncia, secondo il testo dell’articolo, era “volta ad accertare se
il PM nazionale Vincenzo Macrì avesse avuto o no titolo a percepire
la diaria che normalmente compete ai funzionari dello Stato che
vengono distaccati in luoghi dove non hanno alcuna dimora. Matacena
senior” – proseguiva il testo dell’articolo – “fa riferimento al
fatto che il magistrato alla data del 17 aprile 1993 era residente a
Reggio Calabria. E per dimostrare che la residenza in città dura
tuttora, tocca il tasto del servizio di vigilanza attorno
all’abitazione del magistrato, argomento che per le forti critiche
fatte in passato sono costate all’anziano armatore una condanna per
diffamazione del giudice Macrì”. Nell’articolo, poi, veniva riferito
che la denuncia riportava la risposta scritta del Ministro di grazia
e giustizia a un’interrogazione parlamentare del deputato Amedeo
Matacena, figlio del denunciante, sul medesimo argomento; in detta
risposta del Ministro, sintetizzata anch’essa nell’articolo, si
chiariva “… che i magistrati di quell’ufficio [la Direzione
nazionale antimafia] dimorano di fatto a Roma e percepiscono
l’indennità di missione allorché svolgono attività fuori
dell’ordinaria sede di servizio e del luogo di abituale dimora”.
Avviate le indagini sulla base di denuncia-querela proposta dal
magistrato nei confronti di entrambi i Matacena, e formulata dal
pubblico ministero richiesta di rinvio a giudizio degli imputati, la
Camera dei deputati, su richiesta del suo componente, ha dichiarato,
con deliberazione del 9 dicembre 1998, su conforme proposta della
Giunta per le autorizzazioni a procedere, che i fatti per i quali è
in corso il procedimento penale concernono opinioni espresse dal
deputato nell’esercizio delle sue funzioni, con conseguente
insindacabilità a norma dell’art. 68, primo comma, della
Costituzione.
La deliberazione della Camera prosegue l’ordinanza che ha
promosso il conflitto si incentra sul rilievo, formulato dalla Giunta
e fatto proprio dall’Assemblea, secondo il quale “l’antecedente
logico di tutta la vicenda è costituito da un atto di sindacato
ispettivo presentato dall’on. Matacena”, cioè dall’interrogazione
parlamentare al Ministro di grazia e giustizia n. 4-02698 del 31
luglio 1996, cui inscindibilmente si connetterebbero le vicende
successive, dall’iniziativa del padre del deputato, all’articolo
pubblicato sul giornale; quest’ultimo pertanto rappresenterebbe, per
la Camera, divulgazione di un’attività parlamentare e, per ciò
stesso, un comportamento scriminato dall’art. 68, primo comma, della
Costituzione.
1.3. – Ciò premesso, il ricorrente osserva che, alla stregua
delle risultanze processuali e dello stesso articolo (il quale
esordisce enunciando che “Il deputato di Forza Italia on. Amedeo
Matacena ha reso noto che il padre …”), non sussistono dubbi né
circa lo svolgimento dei fatti né circa la riferibilità di essi al
deputato; si tratta dunque, prosegue il ricorrente, soltanto di
verificare se all’attività posta in essere dal deputato possa dirsi
applicabile la prerogativa costituzionale e se, in particolare, sia
ravvisabile nel caso in esame il nesso funzionale tra l’attività
“tipica” del parlamentare (l’interrogazione) e quella successiva ed
“esterna” (la pubblicazione), nesso che giustifica l’estensione alla
seconda della garanzia posta per la prima.
A tale riguardo, il giudice critica la qualificazione di
“attività parlamentare” che la Camera ha attribuito alla
pubblicazione nel caso di specie, poiché il taglio complessivo
dell’informazione, ispirata dal deputato, non consentirebbe questa
qualificazione: l’articolo esordisce annunciando una iniziativa
giudiziaria di chi non è deputato – il padre del parlamentare – e
prosegue menzionando precedenti controversie giudiziarie tra la
stessa persona e il magistrato, risoltesi peraltro a favore di
quest’ultimo; solo in chiusura dell’articolo, si dà conto di stralci
della risposta (in data 3 aprile 1997) del Ministro
all’interrogazione del deputato Matacena.
Nel suo assieme e per il suo divulgare iniziative assunte nei
confronti di un magistrato da una persona, non parlamentare, che con
il primo coltiva una remota conflittualità, l’articolo pubblicato
non potrebbe dunque ricollegarsi alla funzione parlamentare svolta
dal deputato Matacena, funzione che ha natura personalissima e che
non è estensibile a terzi. Anzi, la pubblicazione in discorso
riveste, per il ricorrente, il carattere di uno “sfogo pubblico” di
iniziative giudiziarie assunte dal genitore del deputato, e lo stesso
sintetico accenno al contenuto della risposta del Ministro appare, in
questo quadro, un espediente, strumentale alla “cattura
dell’interesse del pubblico” su una vicenda che è e rimane tutta
privata.
Ritenendo, in conclusione, incongrua e arbitraria la valutazione
che nel caso concreto è stata effettuata dalla Camera dei deputati,
il giudice per le indagini preliminari chiede, sollevando conflitto,
che la Corte costituzionale dichiari che non spettava alla Camera dei
deputati affermare l’insindacabilità, a norma dell’art. 68, primo
comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dal deputato, per
le quali è sottoposto a procedimento penale, e conseguentemente
annulli la relativa deliberazione, adottata dall’Assemblea nella
seduta del 9 dicembre 1998, per riportare i fatti dedotti in giudizio
sotto il dominio delle regole comuni, non sussistendo la ratio
giustificativa della prerogativa.
2. – Con ordinanza n. 319 del 1999 la Corte costituzionale ha
dichiarato l’ammissibilità del conflitto; il ricorso e l’ordinanza
sono stati notificati alla Camera dei deputati il 5 ottobre 1999 e
depositati il successivo 20 ottobre.
3.1. – Nel giudizio così instaurato si è costituita la Camera
dei deputati, per chiedere che l’atto introduttivo sia ritenuto
irricevibile o che il conflitto sia dichiarato inammissibile e, nel
merito, respinto.
3.2. – Secondo la Camera, il conflitto sarebbe irricevibile per
essere l’atto introduttivo costituito da un’ordinanza, forma questa
che non sarebbe idonea a promuovere il giudizio per conflitto, alla
luce degli artt. 37, quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87,
e 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale, i quali considerano testualmente il (solo) “ricorso”,
escludendo equipollenti di esso.
3.3. – Il conflitto, secondo la Camera, sarebbe poi
inammissibile, poiché dal ricorso non si ricaverebbero
“l’esposizione sommaria delle ragioni di conflitto e l’indicazione
delle norme costituzionali che regolano la materia”, secondo quanto
prescritto dall’art. 26 delle norme integrative.
Non sarebbe, nella specie, sufficiente la menzione che
l’ordinanza-ricorso fa dell’esigenza del “pieno riespandersi della
giurisdizione”, giacché le disposizioni che “regolano la materia”
non si esauriscono nell’art. 68 della Costituzione, ma comprendono
quelle concernenti le attribuzioni dell’autorità giudiziaria.
3.4. – Nel merito del conflitto, la Camera dei deputati richiede
che la Corte dichiari che spettava a essa affermare
l’insindacabilità delle opinioni del deputato Matacena.
Anche alla stregua dell’indirizzo della giurisprudenza
costituzionale, ampiamente richiamata nell’atto di costituzione in
giudizio, rileva in via generale la Camera che, in materia, nessun
problema sorge per i due casi “estremi”, delle opinioni contenute
negli atti tipici della funzione (ad esempio, un’interrogazione),
certamente ricomprese nella garanzia, e all’opposto di quelle
puramente personali ed estranee alla sfera politica, certamente
escluse: il problema si pone per la zona intermedia, dovendosi di
volta in volta accertare l’esistenza del “nesso funzionale” tra le
opinioni e il mandato parlamentare, per farne derivare, in caso
positivo, la prerogativa dell’insindacabilità. A tale fine, assume
particolare rilievo, secondo la Camera, l’art. 67 della Costituzione,
che stabilisce che “ogni membro del Parlamento rappresenta la
Nazione”, perché da tale principio si ricaverebbe che la
rappresentanza è di tipo politico, e che l’attività parlamentare,
in quanto libera nel fine, non ha un terreno predefinito che possa
essere stabilito a priori: ciò rileverebbe, ai fini che interessano,
nel senso di negare la riconducibilità al mandato parlamentare delle
sole attività che siano “manifestamente” estranee alla funzione.
Ciò premesso in generale circa il metodo da utilizzare ai fini
della risoluzione del conflitto, la Camera osserva che nel caso di
specie deve ritenersi sussistente la “connessione funzionale” che è
la condizione necessaria e sufficiente per l’affermazione
dell’insindacabilità.
I fatti contestati al deputato Matacena consistono in
dichiarazioni rese dallo stesso e intimamente connesse con un atto di
esercizio della funzione di sindacato ispettivo; all’origine
dell’intera vicenda, infatti, si colloca l’interrogazione n. 4-02698
presentata dal deputato in data 31 luglio 1996: l’articolo del
quotidiano non fa altro che riprendere il contenuto di quello stesso
atto, che per definizione si osserva è coperto
dall’insindacabilità, menzionando successivi ma pur sempre connessi
atti riguardanti la stessa vicenda, cioè i presunti abusi contestati
al magistrato.
Ineccepibile risulta dunque, per la Camera dei deputati, la
relazione della Giunta per le autorizzazioni a procedere, poi fatta
propria dal relatore nella seduta dell’Assemblea, secondo la quale l’
“antecedente logico di tutta la vicenda è costituito da un atto di
sindacato ispettivo” presentato dal deputato, atto cui “tutto il
resto … si connette inscindibilmente”.
A fronte di ciò, rileva la Camera, le contestazioni mosse dal
giudice ricorrente non sono fondate. Il giudice sembra distinguere,
nel contesto della pubblicazione, tra il fatto storico della denuncia
presentata dal padre del deputato e la menzione dell’interrogazione
parlamentare, che però, sempre secondo il giudice, sarebbe
“strumentale” in quanto preordinata a divulgare una vicenda privata.
Ma tale conclusione, si osserva, è errata: il fatto di rendere noto
che è stata presentata una altrui denuncia, nella quale si fa
menzione esplicita di una propria attività ispettiva è, per il
parlamentare, attività strettamente collegata all’interrogazione
medesima; interrogazione nella quale, inoltre, si prospettava anche
la possibilità di una denuncia da parte del magistrato, denuncia che
in effetti è successivamente intervenuta, cosicché darne conto
nell’articolo non ha altro significato che quello di ricollegarsi,
ancora, all’interrogazione.
Del resto, impedire al parlamentare di intervenire pubblicamente
su una questione che ha formato oggetto di una sua interrogazione
equivarrebbe si osserva ancora a far rivivere la vecchia teoria della
copertura costituzionale delle sole opinioni “intramurarie”, tesi che
la Corte costituzionale ha già respinto.
Né ad avviso della Camera può avere rilievo la circostanza che
la denuncia cui si riferisce l’articolo sia stata presentata dal
padre del deputato Matacena: ciò non trasforma, come sostiene il
ricorrente, in vicenda privata un problema che è invece politico,
come è dimostrato dal fatto che il Ministro di grazia e giustizia ha
ritenuto di rispondere all’interrogazione.
Sussistono infine, si osserva, oltre ai presupposti sostanziali
per la dichiarazione di insindacabilità, i requisiti formali di
validità di essa: la Giunta ha proceduto in contraddittorio con il
deputato, e l’Assemblea ha deliberato, recependo le motivate
conclusioni della Giunta, dopo aver ascoltato le osservazioni del
relatore.
La Camera chiede pertanto che sia riconosciuta la sussistenza
degli elementi, sostanziali e procedurali, dell’insindacabilità,
che, conclude, è posta a presidio della rappresentanza e dunque del
corretto svolgimento della funzione parlamentare, secondo il disegno
della Costituzione.
4. – In prossimità dell’udienza, la Camera dei deputati ha
depositato una memoria nella quale si aggiungono ulteriori
argomentazioni sia per ribadire le eccezioni di carattere
processuale, sia quanto al merito del conflitto.
Nel merito, in particolare, la memoria della Camera si sofferma
sulle più recenti pronunce rese dalla Corte costituzionale in tema
di insindacabilità parlamentare (sentenze nn. 58, 56, 11 e 10 del
2000), per rilevare in primo luogo che, anche se tali decisioni
rappresentano per certi profili un mutamento di indirizzo rispetto
alla giurisprudenza precedente (mutamento del resto dichiarato, nella
sentenza n. 10), tuttavia esse si collocano a brevissima distanza da
una decisione di segno diverso (sentenza n. 417 del 1999), cosicché
non potrebbe dirsi, allo stato, che sia maturato un nuovo indirizzo
giurisprudenziale realmente consolidato, né che sia conclusa la
problematica determinazione dei criteri del giudizio sui conflitti
tra giudici e Parlamento, in riferimento all’art. 68 Cost.
Nel quadro della giurisprudenza costituzionale resa fino all’anno
1999, prosegue la Camera, non vi sarebbe alcun dubbio circa
l’applicabilità dell’art. 68, primo comma, della Costituzione alle
dichiarazioni rese dal deputato Matacena, essendosi sempre
riconosciuto il nesso con la funzione parlamentare quando vi sia un
“complessivo contesto parlamentare” nel quale le opinioni sono state
manifestate (sentenza n. 417 del 1999 citata).
Tuttavia, prosegue la memoria, neppure l’indirizzo della
giurisprudenza costituzionale più recente può portare a diversa
conclusione; e al riguardo, la Camera svolge un raffronto con la
fattispecie decisa dalla sentenza n. 10 del 2000.
In questa decisione, si è affermato che le dichiarazioni esterne
sono coperte dalla garanzia costituzionale solo quando siano
“sostanzialmente riproduttive di un’opinione espressa in sede
parlamentare”.
Al di là di possibili considerazioni critiche che potrebbero
svolgersi riguardo a questo indirizzo che sembra tener conto di un
dato estrinseco-formale più che di una corrispondenza di sostanza
osserva la resistente che nel caso all’esame della Corte sussiste
comunque proprio la stessa riproduzione delle dichiarazioni rese in
sede parlamentare: nell’interrogazione del 31 luglio 1996 del
deputato Matacena, si formulava espressamente l’invito al Presidente
del Consiglio dei Ministri e al Ministro di grazia e giustizia a
valutare se la percezione dell’indennità di missione da parte del
dott. Macrì, applicato alla direzione distrettuale antimafia di
Reggio Calabria, nonostante la sua residenza nella medesima città,
integrasse il reato di truffa e fosse perciò meritevole di denuncia
penale; nell’atto di sindacato ispettivo l’eventualità di una
denuncia era dunque esplicitamente prospettata, e nella successiva
dichiarazione resa all’esterno nulla si aggiunge, riferendosi
soltanto che in effetti una denuncia, relativa allo stesso
comportamento contestato in sede parlamentare, era stata presentata.
A fronte di tale evidente identità di sostanza, prosegue la
Camera, la pretesa del giudice ricorrente, espressa nel ricorso, di
definire la “congrua” divulgazione dell’attività parlamentare,
fissandone perfino il tipo di atto, i tempi e così via, in una sorta
di “decalogo” della divulgazione stessa, è, per la Camera,
inaccettabile: una impostazione del genere svuoterebbe di significato
la garanzia costituzionale dell’insindacabilità, affidandone la
delimitazione proprio al potere giudiziario, sovente contrapposto a
quello che dalla garanzia è assistito, e pertanto simile
impostazione deve essere, in conclusione, respinta.
giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio
Calabria contro la Camera dei deputati, in relazione alla delibera
della Camera stessa del 9 dicembre 1998 con la quale si è affermata
l’insindacabilità – alla stregua dell’art. 68, primo comma, Cost. –
delle affermazioni contenute in un articolo di giornale ascritto al
deputato Amedeo Matacena, affermazioni per le quali, come riferito
nell’esposizione dei fatti di causa, è in corso un procedimento per
diffamazione a mezzo stampa, pendente presso l’ufficio giudiziario
ricorrente. Ritiene il giudice ricorrente che la deliberazione
impugnata della Camera dei deputati sia espressione di una concezione
dell’insindacabilità parlamentare più ampia di quella che la
Costituzione prevede, circoscritta alle opinioni espresse e ai voti
dati nell’esercizio delle funzioni, e su questa premessa ricorre per
conflitto di attribuzione.
2. – La difesa della Camera dei deputati eccepisce
preliminarmente l’irricevibilità dell’atto introduttivo del giudizio
e l’inammissibilità del conflitto: l’irricevibilità, per avere il
giudice ricorrente utilizzato la forma dell’ordinanza, in luogo di
quella del ricorso, prescritta dagli artt. 37, quarto comma, della
legge 11 marzo 1953, n. 87, e 26 delle norme integrative per i
giudizi davanti alla Corte costituzionale; l’inammissibilità, per
avere trascurato di esporre, sia pure sommariamente, le ragioni del
conflitto, attraverso l’indicazione delle norme costituzionali che
regolano la materia, conformemente a quanto previsto nel medesimo
art. 26, ora ricordato.
Le eccezioni non sono fondate. Quanto all’irricevibilità, è
sufficiente richiamare gli argomenti con i quali questa Corte ha
ritenuto, per l’ipotesi di conflitto promosso dall’Autorità
giudiziaria, che l’atto introduttivo sia idoneo a promuovere il
giudizio per conflitto di attribuzione tutte le volte in cui esso
corrisponda, nel contenuto, al ricorso quale disciplinato dalla legge
(per tutte, sentenza n. 10 del 2000) e, nella specie, tale
corrispondenza non è né contestata né contestabile. Quanto
all’inammissibilità, dedotta rilevando la mancata esposizione delle
ragioni costituzionali del conflitto – carenza che discenderebbe
dall’omessa indicazione delle norme costituzionali identificative
delle attribuzioni giurisdizionali difese in giudizio -, basta
rilevare in contrario che la prospettata violazione dell’art. 68,
primo comma, della Costituzione, quando comporti, in ipotesi,
un’estensione abusiva della garanzia al di là dei casi ai quali si
riferisce, si traduce di per sé in una violazione delle attribuzioni
dell’Autorità giudiziaria, quali determinate dalla Costituzione.
Essendo l’art. 68, primo comma, della Costituzione posto al confine
tra protezione del parlamentare e ambito della giurisdizione, ogni
estensione non consentita dell’una ridonda automaticamente in lesione
della sfera di attribuzioni dell’altro e viceversa, con la
conseguenza che l’indicazione dell’art. 68, primo comma, della
Costituzione è sufficiente a ritenere adempiuto l’onere di indicare
la norma costituzionale che regola la materia, delimitando le
attribuzioni costituzionali in discussione nel presente giudizio,
secondo la previsione dell’art. 26 delle norme integrative e
dell’art. 37 della legge n. 87 del 1953.
3. – Nel merito, il ricorso per conflitto di attribuzione
proposto dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale
di Reggio Calabria non è fondato.
3.1. – Trattandosi di valutare l’applicabilità della prerogativa
parlamentare prevista dal primo comma dell’art. 68 della Costituzione
a dichiarazioni rese da un membro del Parlamento a un organo di
stampa, dichiarazioni dunque rilasciate al di fuori dell’esercizio di
attività parlamentari tipiche, l’intero problema si risolve nello
stabilire se – ciò non di meno – esse siano “identificabili come
espressioni di attività parlamentare” (sentenze nn. 10 del 2000 e
329 del 1999) e quindi siano da ricomprendere nella sfera delle
attività dei membri del Parlamento assistite dalla garanzia
costituzionale.
Come più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte,
ai fini di tale identificazione non basta la semplice comunanza di
argomenti, oggetto di attività parlamentari tipiche e di
dichiarazioni fatte al di fuori di esse, né basta la
riconducibilità di queste ultime dichiarazioni a un medesimo
“contesto politico” (sentenze nn. 375 del 1997, 329 del 1999 e 58 del
2000, nonché n. 56 del 2000). Occorre invece che la dichiarazione
possa essere qualificata come “espressione di attività parlamentare”
(sentenze nn. 10 e 11 del 2000), il che normalmente accade se e in
quanto sussista una sostanziale corrispondenza di significati tra le
dichiarazioni rese al di fuori dell’esercizio delle attività
parlamentari tipiche svolte in Parlamento e le opinioni già espresse
nell’ambito di queste ultime.
Nell’ordinario svolgimento della vita democratica e del dibattito
politico (sentenze nn. 10 e 56 del 2000), questo la sostanziale
corrispondenza e quindi il carattere divulgativo – è infatti il
criterio che consente di identificare le dichiarazioni rese al di
fuori di quelle attività e ciononostante riconducibili o inerenti
alla funzione parlamentare, distinguendole così da quelle che
ricadono nel diritto comune a tutti i cittadini e proteggendole
tramite la speciale garanzia dell’art. 68, primo comma, della
Costituzione, senza con ciò determinare situazioni ingiustificate di
privilegio personale (sentenza n. 375 del 1997). L’attività dei
membri delle Camere nello Stato democratico rappresentativo è per
sua natura destinata infatti a proiettarsi al di fuori delle aule
parlamentari, nell’interesse della libera dialettica politica che è
condizione di vita delle istituzioni democratico-rappresentative
(sentenze nn. 11 e 56 del 2000).
3.2. – Nella specie, il contenuto delle dichiarazioni affidate
alla stampa dal deputato Matacena corrisponde a quanto affermato
dallo stesso nell’interrogazione parlamentare presentata il 31 luglio
1996. In essa si richiama l’attenzione del Ministro di grazia e
giustizia sul percepimento di determinate somme a titolo di
indennità di missione da parte di un magistrato, percepimento che
l’interrogante presume indebito; si ipotizza la necessità di
promuovere la restituzione delle somme medesime e si sollecita la
presentazione di una denuncia all’Autorità giudiziaria sulla base
della ritenuta rilevanza penale del comportamento tenuto dal
magistrato. Parallelamente, nell’articolo di stampa, attribuito al
deputato interrogante, si riferisce dell’esistenza
dell’interrogazione e della risposta del Ministro e si dà notizia di
una denuncia, sporta dal padre del deputato nei confronti del
magistrato, riguardante gli stessi fatti oggetto dell’atto
parlamentare. Né la strutturazione dell’articolo a stampa – cioè
l’utilizzazione del contenuto di un atto altrui per richiamare il
contenuto di un atto parlamentare -; né l’indicazione, accanto al
contenuto principale, di circostanze di contorno, di per sé prive di
autonomo significato, come quella, riferita nell’esposizione in
fatto, relativa a un precedente contenzioso tra la famiglia del
deputato e il magistrato in questione, valgono a negare la
sostanziale corrispondenza tra il contenuto di questo e il contenuto
di atti parlamentari precedenti. E tale corrispondenza con atti
compiuti ed ammessi nell’esercizio della funzione di parlamentare
rende irrilevante la ragione, ritenuta dal ricorrente di natura
personale, che può, ipoteticamente, aver mosso il deputato a
promuovere la pubblicazione dell’articolo di stampa in questione.
4. – Riconosciuta così la riconducibilità dell’attività
incriminata a quella a garanzia della quale è posto l’art. 68, primo
comma, della Costituzione, il giudizio sul conflitto di attribuzione
proposto dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale
di Reggio Calabria contro la Camera dei deputati deve risolversi a
favore di quest’ultima.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara che spetta alla Camera dei deputati affermare
l’insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della
Costituzione, delle dichiarazioni espresse dal deputato Amedeo
Matacena, secondo quanto deliberato dall’Assemblea della Camera in
data 9 dicembre 1998.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta l’11 luglio 2000.
Il Presidente: Mirabelli
Il relatore: Zagrebelsky
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 21 luglio 2000.
Il direttore della cancelleria: Di Paola