Sentenza N. 321 del 1983
Corte Costituzionale
Data generale
20/10/1983
Data deposito/pubblicazione
20/10/1983
Data dell'udienza in cui è stato assunto
07/10/1983
ANTONINO DE STEFANO – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO
MACCARONE – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO ANDRIOLI – Prof.
GIUSEPPE FERRARI – Dott. FRANCESCO SAJA – Prof. GIOVANNI CONSO – Prof.
ETTORE GALLO, Giudici,
dicembre 1981, n. 744 (Concessione di amnistia e di indulto) promossi
con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 28 dicembre 1981 dal Pretore di Orvieto nel
procedimento penale a carico di Morelli Andrea, iscritta al n. 125 del
registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 199 del 21 luglio 1982;
2) ordinanza emessa il 14 gennaio 1982 dal Pretore di Messina nel
procedimento penale a carico di Andò Antonio, iscritta al n. 170 del
registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 227 del 18 agosto 1982;
3) ordinanza emessa l’11 gennaio 1982 dal Pretore di Orvieto nel
procedimento penale a carico di Pella Paolo, iscritta al n. 236 del
registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 262 del 22 settembre 1982.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 7 giugno 1983 il Giudice relatore
Francesco Saja;
udito l’Avvocato dello Stato Ignazio F. Caramazza, per il Presidente
del Consiglio dei ministri.
1. – Nel corso di un procedimento penale a carico di Morelli Andrea,
imputato dei reati di emissione di assegni a vuoto (art. 116 r.d.l. 21
dicembre 1933 n. 1736) e di truffa (art. 640 cod. pen.), il Pretore di
Orvieto, con ordinanza del 28 dicembre 1981 (in G.U. n. 199 del 21
luglio 1982; reg. ord. n. 125 del 1982), sollevava questione di
legittimità costituzionale del d.P.R. 18 dicembre 1981 n. 744, di
concessione di amnistia e indulto, in riferimento all’art. 79 Cost.
Rilevava il Pretore che il citato decreto, essendo stato pubblicato
nella G.U. n. 348 del 19 dicembre 1981 contestualmente alla legge di
delega 18 dicembre 1981 n. 743, era stato necessariamente emanato prima
della pubblicazione di questa e quindi prima che il Presidente della
Repubblica fosse investito del relativo potere.
La stessa questione di legittimità costituzionale veniva sollevata
dal medesimo Pretore con ordinanza dell’11 gennaio 1982 nel
procedimento a carico di Pella Paolo, imputato del reato di cui
all’art. 46 l. 6 giugno 1974 n. 298, per avere effettuato un trasporto
senza la relativa autorizzazione (reg. ord. n. 236 del 1982; in G.U.
n. 262 del 22 settembre 1982) e dal Pretore di Messina con ordinanza
del 14 gennaio 1982 nel procedimento a carico di Andò Antonio,
imputato del reato di abuso in atti d’ufficio (art. 323 cod. pen.)
(reg. ord. n. 170 del 1982; G.U. n. 227 del 18 agosto 1982); in questa
ultima ordinanza viene indicata come norma costituzionale di
riferimento l’art. 73 della Costituzione.
2. – La Presidenza del Consiglio dei ministri, intervenuta in tutte e
tre le cause, eccepiva l’inammissibilità delle questioni sia per
omessa motivazione sulla loro rilevanza nei giudizi a quibus, sia
perché l’eventuale pronuncia di accoglimento renderebbe di nuovo
punibili fatti considerati nella non impugnata legge di delegazione.
Nel merito l’interveniente osservava che la legge delegata era stata
emanata dopo la promulgazione della legge di delegazione ed altresì
dopo il visto del Guardasigilli e l’inserzione nella Raccolta
ufficiale; il che, secondo lo stesso interveniente, è sufficiente
affinché la legge di delegazione conferisca il potere delegato e ne
renda legittimo l’esercizio, non rilevando la sua data di
pubblicazione.
1. – I giudizi relativi alle tre ordinanze suindicate, per la
identità delle proposte questioni, vanno riuniti per essere decisi con
unico provvedimento.
2. – Preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione di
inammissibilità formulata dall’Avvocatura dello Stato sotto duplice
profilo.
Rispetto al primo, rileva la Corte che non sussiste il denunziato
vizio di omessa motivazione sulla rilevanza della questione nei giudizi
a quibus, in quanto risulta inequivocabilmente che i giudici rimettenti
procedevano per reati compresi nell’impugnato provvedimento di
clemenza, sicché non può dubitarsi che l’applicazione della causa
estintiva dipendesse dal pregiudiziale accertamento della validità del
provvedimento stesso.
3. – L’eccezione non può essere condivisa neppure sotto l’altro
profilo, con cui l’Avvocatura dello Stato deduce che l’esame del
decreto delegato sarebbe precluso alla Corte in base alla sua stessa
giurisprudenza con cui, in materia penale, è stata negata la
possibilità di sindacare le disposizioni di legge contenenti, in
deroga alla disciplina generale, previsioni più favorevoli
all’imputato. Il richiamo non sembra infatti appropriato perché
l’indicata giurisprudenza (tutt’altro che uniforme, come si preciserà
subito dopo) concerne soltanto i casi di esclusione
dell’antigiuridicità della condotta ovvero quelli relativi alla
configurazione di speciali circostanze attenuanti sì che all’imputato
debba essere sempre applicata, qualunque sia la pronuncia della Corte
costituzionale, la norma vigente al momento in cui è stato commesso il
fatto, stante il principio di irretroattività perentoriamente sancito
dal secondo capoverso dell’art. 25 Costituzione. Ma, quando trattasi di
cause estintive (del reato o della pena), il problema di retroattività
logicamente non si pone perché esse seguono necessariamente la
commissione del fatto e pertanto, non potendo trovare applicazione il
ricordato principio, un’eventuale pronuncia di illegittimità ben
potrebbe avere efficacia concreta anche nei giudizi a quibus. Ed è
perciò che in subiecta materia non è stato mai formulato alcun dubbio
e la Corte ha sempre ritenuto che sia consentito il controllo di
legittimità dei provvedimenti di clemenza (cfr., ultima sent. n. 49
del 1980).
Peraltro, come già si è accennato, la richiamata giurisprudenza di
questa Corte non risulta affatto uniforme, giacché si è ritenuto
alcune volte pur sempre ammissibile il giudizio di costituzionalità,
spettando sempre al giudice rimettente di trarre poi le necessarie
conseguenze nel giudizio a quo, anche al lume del cit. art. 25 secondo
comma Cost. E tale indirizzo è stato di recente ribadito con la
sentenza n. 148 del 1983, nella quale il problema è stato
compiutamente ed approfonditamente esaminato nei vari aspetti e in
tutte le sue implicazioni.
4. – Ciò posto e passando al merito, osserva la Corte che i giudici
rimettenti dubitano tutti della legittimità costituzionale del d.P.R.
18 dicembre 1981 n. 744, con cui venne concessa l’amnistia e l’indulto
per alcuni reati, in quanto esso venne pubblicato nella stessa Gazzetta
Ufficiale n. 348 del 19 dicembre 1981, in cui fu pubblicata altresì la
legge di delegazione (18 dicembre 1981 n. 743): in altri termini, il
Presidente della Repubblica nell’emanare il decreto delegato in data 18
dicembre 1981 avrebbe esercitato un potere che ancora non gli competeva
perché la legge di delegazione era stata pubblicata il giorno
successivo (19 dicembre 1981) e pertanto solo da tale giorno era
divenuta efficace.
La questione che si pone a questa Corte consiste pertanto nel
decidere se, per l’attribuzione al Presidente della Repubblica del
potere di concedere l’amnistia o l’indulto, sia necessaria la
pubblicazione della legge di delegazione ovvero se sia sufficiente la
sua promulgazione, avvenuta nella specie, così come non è contestato,
prima dell’emanazione del decreto impugnato.
Ritiene la Corte che la questione debba essere risolta in questo
ultimo senso.
La pubblicazione della legge costituisce un atto diretto a dare
“comunicazione” della stessa ai cittadini per renderne possibile la
conoscenza ed impone conseguentemente la generale osservanza. Ma, ancor
prima della pubblicazione, interviene nel procedimento legislativo,
inteso in senso lato, la promulgazione da parte del Presidente della
Repubblica, la quale consiste in un atto che si compone di tre
elementi: l’accertamento della sussistenza e dell’identità della
volontà delle due Camere, espressa mediante l’approvazione del disegno
o della proposta di legge; la manifestazione della volontà del
Presidente della Repubblica di procedere alla promulgazione suddetta,
ed infine l’ordine di esecuzione diretto ad assicurare la piena
operatività della legge.
Tale atto non costituisce soltanto il presupposto della successiva
pubblicazione, la quale viene attuata attraverso una serie di
operazioni (il c.d. “visto”, l’inserzione nella Raccolta ufficiale
delle leggi e dei decreti, e la pubblicazione, propriamente detta,
nella Gazzetta Ufficiale).
Esso attribuisce altresì immediata efficacia, o se si vuole
“esecutorietà” (che si distingue dalla obbligatorietà “erga omnes”
conseguente alla pubblicazione), all’atto normativo. Quest’ultimo,
pertanto, deve considerarsi non solo esistente nell’ordinamento
giuridico ma, a taluni fini, anche efficace nei confronti di alcuni
organi pubblici, tra cui sicuramente il Presidente della Repubblica
nonché il Governo; ciò che è avvenuto nel caso di specie, in cui il
Consiglio dei ministri è intervenuto con la sua deliberazione nel
procedimento conclusosi con l’emanazione dell’atto di clemenza.
Da ciò le varie applicazioni che dal principio conseguono, e che
sono generalmente ricordate in dottrina. Così per stabilire
l’anteriorità o la posteriorità di una legge rispetto ad un’altra
deve farsi riferimento alla data della promulgazione e non a quella
della pubblicazione, sicché la legge promulgata successivamente abroga
quella promulgata prima anche se pubblicata dopo; così, ai fini
dell’osservanza del termine fissato dalle leggi di delegazione, è
sufficiente che l’atto (delegato) sia perfezionato con la emanazione
prima della scadenza di detto termine anche se la pubblicazione avviene
successivamente (cfr. in tali sensi anche le sentenze di questa Corte 6
luglio 1959 n. 39; 24 maggio 1960 n. 34; 12 novembre 1962 n. 91; 21
marzo 1974 n. 83).
6. – Dai superiori rilievi risulta evidente come, una volta avvenuta
la promulgazione, sussisteva il potere delegato dal Parlamento al
Presidente della Repubblica, il quale pertanto legittimamente ha
emanato l’impugnato decreto di concessione dell’amnistia e
dell’indulto.
In conclusione deve ritenersi che il d.P.R. 744 del 1981, in quanto
emanato dopo la promulgazione della legge di delegazione, non contrasta
né con l’art. 73 né con l’art. 79 della Costituzione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi, dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale del d.P.R. 18 dicembre 1981 n. 744, sollevata dai
Pretori di Orvieto e di Messina con le ordinanze indicate in epigrafe
in riferimento agli artt. 73 e 79 della Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 ottobre 1983.
F.to: LEOPOLDO ELIA – ANTONINO DE
STEFANO – ORONZO REALE – BRUNETTO
BUCCIARELLI DUCCI – ALBERTO
MALAGUGINI – LIVIO PALADIN – ARNALDO
MACCARONE – ANTONIO LA PERGOLA –
VIRGILIO ANDRIOLI – GIUSEPPE FERRARI
– FRANCESCO SAJA – GIOVANNI CONSO –
ETTORE GALLO.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere