Sentenza N. 322 del 1985
Corte Costituzionale
Data generale
11/12/1985
Data deposito/pubblicazione
11/12/1985
Data dell'udienza in cui è stato assunto
06/12/1985
REALE – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof.
VIRGILIO ANDRIOLI – Prof. GIUSEPPE FERRARI – Dott. FRANCESCO SAJA –
Prof. GIOVANNI CONSO – Prof. ETTORE GALLO – Dott. ALDO CORASANITI –
Prof. GIUSEPPE BORZELLINO – Dott. FRANCESCO GRECO – Prof. RENATO
DELL’ANDRO, Giudici,
29 aprile 1976, n. 177 (“Collegamento delle pensioni del settore
pubblico alla dinamica delle retribuzioni. Miglioramento del
trattamento di quiescenza del personale statale e degli iscritti alle
casse pensioni degli istituti di previdenza”), indicata per evidente
errore materiale, come “legge 26 aprile 1976, n. 176”, promosso con
ordinanza emessa il 16 novembre 1977 dal Pretore di Pescara nel
procedimento civile vertente tra Tinaro Antonio c/E.N.P.A.S., iscritta
al n. 268 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 243 dell’anno 1978.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 22 ottobre 1985 il Giudice relatore
Alberto Malagugini;
udito l’Avvocato dello Stato Franco Chiarotti per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Con ricorso depositato presso la cancelleria della Pretura di
Pescara in data 26 luglio 1977, il sig. Antonio Tinaro nella sua
qualità – recita l’ordinanza di rimessione – “di coniuge superstite
della signora Rachele Orsatti, insegnante elementare di ruolo presso la
locale scuola di via Regina Elena (terzo circolo), cessata dal
servizio, in seguito a morte avvenuta il 27 ottobre 1975, con i diritti
e i benefici della legge 336/70 e succ. mod.”, ha convenuto innanzi al
Pretore di Pescara “l’Ente Nazionale di Previdenza e di Assistenza
dipendenti Enti Statali (ENPAS) – Fondo di previdenza per il personale
civile e militare dello Stato – per ottenerne la condanna a
corrispondergli l’indennità di buonuscita a norma dell’art. 7, quarto
comma, della legge 26 aprile 1976, n. 176” (rectius: l. 29 aprile 1976,
n. 177) “che ha modificato il primo comma dell’art. 5 del decreto del
Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032, sollevando
questione di legittimità costituzionale dell’ultimo comma di detto
art. 7, che limita la retroattività della nuova normativa alle
cessazioni dal servizio con decorrenza dal 1 gennaio 1976 e successive,
per violazione degli artt. 3, 3 e 36, 3 e 29 della Costituzione”.
Il Pretore rilevava la manifesta infondatezza “del dubbio di
legittimità costituzionale dell’art. 7, quarto comma, della legge 26
aprile 1976, n. 176”, (rectius: l. 29 aprile 1976, n. 177) “con
riferimento al combinato disposto degli artt. 3, 29 e 36 della
Costituzione per le ragioni affermate dalla Corte costituzionale nella
sentenza n. 82 del 19 giugno 1979”.
Riteneva invece non manifestamente infondata la questione di
legittimità costituzionale afferente all’ult. comma del detto art. 7,
della l. 26 aprile 1976, n. 176 (rectius: l. 29 aprile 1976, n. 177),
nella parte in cui esso, modificando in melius (per i beneficiari della
nuova normativa) il disposto dell’art. 5 del d.P.R. 29 dicembre 1973,
n. 1032, limitava la propria efficacia retroattiva al 1 gennaio 1976,
ingenerando così disparità di trattamento – violativa dell’art. 3
Cost. – tra situazioni identiche o analoghe, distinte in virtù di una
(si assume, irragionevole) mera demarcazione temporale.
Con atto presentato presso la Cancelleria di questa Corte in data
16 settembre 1978 interveniva in giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, assistito dall’Avvocatura generale dello Stato, che
sosteneva la piena legittimità di una demarcazione temporale nella
produzione degli effetti della legge impugnata, anche in funzione della
opportuna gradualità dell’estensione delle garanzie pubbliche di
protezione sociale.
Non si sono costituite parti private.
1. – L’art. 7 della legge 29 aprile 1976, n. 177 (indicata
nell’ordinanza di rimessione per evidente errore materiale, come “legge
26 aprile 1976, n. 176”) ha sostituito il primo comma sia dell’art. 3
che dell’art. 5 del d.P.R. n. 1032 del 1973.
Mentre l’art. 3, primo comma, del d.P.R. n. 1032/1973 attribuiva
l’indennità di buonuscita, purché il servizio fosse durato almeno un
biennio compiuto, al dipendente statale che fosse cessato dal servizio
stesso con diritto alla pensione, anche se successivamente
riconosciuta, normale e privilegiata, il testo sostitutivo riconosce
tale diritto all’iscritto al Fondo di previdenza per il personale
civile e militare dello Stato, gestito dall’Ente Nazionale previdenza e
assistenza per i dipendenti statali, che cessi dal servizio per
qualunque causa dopo almeno un anno di iscrizione al Fondo.
A sua volta, l’art. 5, primo comma, del d.P.R. in esame stabiliva
che in caso di morte del dipendente statale in attività di servizio,
l’indennità di buonuscita, nella misura che sarebbe spettata al
dipendente, compete nell’ordine al coniuge superstite e agli orfani, ai
genitori, ai fratelli e sorelle, che conseguano il diritto alla
pensione di riversibilità.
Il testo sostitutivo del precitato art. 7, quarto comma, della
legge n. 177/1976 recita, invece, che in caso di morte del dipendente
statale in attività di servizio, l’indennità di buonuscita, nella
misura che sarebbe spettata al dipendente, compete, nell’ordine, al
coniuge superstite e agli orfani, ai genitori, ai fratelli e sorelle.
Il quinto comma del medesimo art. 7 statuisce, infine, che “le
disposizioni di cui al presente articolo si applicano per le cessazioni
dal servizio con decorrenza dal 1 gennaio 1976 e successive”.
2. – In presenza di questa normativa che modifica i presupposti ed
i requisiti per conseguire da parte del dipendente statale cessato dal
servizio e dei suoi familiari superstiti il diritto all’indennità di
buona uscita, il Pretore di Pescara dubita che “la demarcazione
temporale – retroattività limitata al 1 gennaio 1976 -“, stabilita
dall’ultimo comma del succitato art. 7 della legge n. 177 del 1976,
contrasti con l’art. 3 Cost.. Ciò perché il legislatore, così
disponendo, avrebbe travalicato il “generalissimo limite di
ragionevolezza” cui sarebbe tenuto, introducendo “rispetto a situazioni
identiche o semplicemente analoghe, trattamenti differenziali”.
3. – L’infondatezza della proposta questione risulta di piana
evidenza sol che si consideri come il giudice remittente censuri, per
usare parole sue, la “demarcazione temporale” adottata dal legislatore,
vale a dire la fissazione di un termine a partire dal quale si
applicano, retroattivamente, alcune delle disposizioni contenute nel
testo normativo in esame. In altre parole, il Pretore di Pescara non
contesta che rientri nella discrezionalità del legislatore
l’attribuire efficacia retroattiva a leggi od a disposti di legge,
ovviamente in materia diversa da quella penale, ma dubita, invece,
della legittimità costituzionale della specifica determinazione della
data a far tempo dalla quale si applicano talune disposizioni della
legge, per questo solo aspetto denunziata.
È allora agevole rilevare che una siffatta “demarcazione
temporale” è connaturale alla generalità delle leggi, sì che,
secondo la prospettazione del Pretore di Pescara, potrebbe dubitarsi
della legittimità costituzionale di ciascuna di esse perché la data
di entrata in vigore, fissata dal legislatore secondo la specifica
previsione costituzionale (art. 73, ultimo comma, Cost.), discrimina
tra situazioni identiche o semplicemente analoghe in ragione del mero
dato cronologico che, all’evidenza, il rimettente considera estraneo
alle situazioni considerate e poste a raffronto. Infatti, che il
legislatore, nel caso in esame, abbia attribuito una limitata efficacia
retroattiva alle disposizioni sopra riferite non muta i termini
sostanziali in cui è stata posta la questione concernente sempre e
soltanto la legittimità costituzionale della norma che determina la
data dalla quale si applicano alcune disposizioni, più favorevoli,
contenute nella legge de qua.
Vero è che il legislatore ha agito nell’ambito della propria
discrezionalità e senza incorrere in arbitrio di sorta, quando ha
fissato un termine per l’applicabilità di disposizioni che,
comportando maggiori oneri per l’ente previdenziale (e cioè in
definitiva per la finanza pubblica), presuppongono un giudizio di
compatibilità soltanto ad esso spettante.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 7, ultimo comma, della legge 29 aprile 1976, n. 177,
sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost. dal Pretore di Pescara con
l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 1985.
F.to: LIVIO PALADIN – ORONZO REALE –
ALBERTO MALAGUGINI – ANTONIO LA
PERGOLA – VIRGILIO ANDRIOLI –
GIUSEPPE FERRARI – FRANCESCO SAJA –
GIOVANNI CONSO – ETTORE GALLO – ALDO
CORASANITI – GIUSEPPE BORZELLINO –
FRANCESCO GRECO – RENATO DELL’ANDRO.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere