Sentenza N. 324 del 1983
Corte Costituzionale
Data generale
28/11/1983
Data deposito/pubblicazione
28/11/1983
Data dell'udienza in cui è stato assunto
17/11/1983
ANTONINO DE STEFANO – Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE –
Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof.
LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO MACCARONE – Prof. ANTONIO LA PERGOLA –
Prof. VIRGILIO ANDRIOLI – Prof. GIUSEPPE FERRARI – Prof. GIOVANNI
CONSO – Prof. ETTORE GALLO, Giudici,
e terzo del r.d. 23 ottobre 1925, n. 2537 (approvazione del regolamento
per la professione di ingegnere e di architetto) promosso con ordinanza
emessa il 31 luglio 1979 dal Pretore di Mirandola nel procedimento
penale a carico di Cavalieri Giacinto ed altro iscritta al n. 717 del
registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 345 del 1979;
visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito, nella pubblica udienza del 26 aprile 1983, il Giudice relatore
Alberto Malagugini;
uditi gli avvocati dello Stato Vito Cavalli e Stefano Onufrio per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
1. – Nel corso di un procedimento penale a carico di persone imputate
del reato di cui all’art. 328 c.p. per aver omesso di denunciare alle
competenti autorità la situazione di incompatibilità in cui versava
l’ing. Ferraresi Martino per essere contemporaneamente dipendente
dell’ente pubblico (Azienda intercomunale Municipalizzata Acqua e Gas)
cui esse erano preposte ed iscritto all’albo professionale della
propria categoria, il Pretore di Mirandola, con ordinanza del 31 luglio
1979 (r.o. 717/79), sollevava questione di legittimità costituzionale
dell’art. 62, primo e terzo comma, del r.d. 23 ottobre 1925, n. 2537
(recante “Approvazione del regolamento per la professione di ingegnere
e di architetto”), assumendone il contrasto con gli artt. 3, primo
comma e 98 Cost.
Il citato art. 62, nei suoi primi tre commi, recita testualmente:
“Gli ingegneri ed architetti che siano impiegati di una pubblica
amministrazione dello Stato, delle provincie o dei comuni, e che si
trovino iscritti nell’albo degli ingegneri e degli architetti, sono
soggetti alla disciplina dell’ordine per quanto riguarda l’eventuale
esercizio della libera professione.
I predetti ingegneri ed architetti non possono esercitare la libera
professione ove sussista alcuna incompatibilità preveduta da leggi,
regolamenti generali o speciali, ovvero da capitolati.
Per l’esercizio della libera professione è in ogni caso necessaria
espressa autorizzazione dei capi gerarchici nei modi stabiliti dagli
ordinamenti dell’amministrazione da cui il funzionario dipende”.
Ad avviso del Pretore di Mirandola, il suddetto primo comma “sembra
presupporre il riconoscimento in favore degli ingegneri ed architetti
che siano impiegati di una pubblica Amministrazione del diritto di
iscrizione all’Albo Professionale e di esercizio della libera
professione”. Tale esercizio professionale appare poi, alla stregua del
secondo comma, configurato come diritto soggettivo, per la cui
attuazione l’iscrizione all’albo è presupposto e condicio iuris, e di
ciò vi è conferma nel terzo comma, ove il provvedimento di
autorizzazione all’esercizio della libera professione assume valore
meramente ricognitivo di un diritto presupposto.
Ciò premesso il Pretore assumeva che il riconoscimento, da parte
delle disposizioni impugnate, del diritto di iscrizione all’Albo in
presenza di un rapporto di dipendenza dalla P.A. darebbe luogo ad una
disparità di trattamento in favore di ingegneri ed architetti,
rispetto ad altre categorie “i cui ordinamenti sanciscono come
principio fondamentale il divieto di iscrizione all’albo per i
dipendenti dello Stato, delle Provincie, delle Regioni e dei Comuni
(es.: Avvocati e Procuratori: art. 3 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578;
Geometri: citato art. 7 r.d. 11 febbraio 1929 n. 274)”. Tale diritto,
in quanto presupposto di una potenziale attività di libera professione
(ancorché condizionata all’autorizzazione dei capi gerarchici),
sarebbe inoltre in contrasto con l’art. 98 Cost., giacché al principio
in forza del quale, “senza alcuna eccezione”, il pubblico impiegato è
al servizio esclusivo della nazione dovrebbe conseguire che egli debba
“riservare all’Amministrazione Pubblica la propria intera energia e
capacità di lavoro”.
La predetta ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, veniva
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 345 del 19 dicembre 1979.
2. – Intervenendo nel giudizio così instaurato, l’Avvocatura dello
Stato eccepiva preliminarmente l’inammissibilità della questione
assumendo che il r.d. n. 2537/1925 è un mero regolamento di esecuzione
della legge 24 giugno 1923, n. 1395 e non è perciò suscettibile di
sindacato di costituzionalità, che può concernere solo le leggi e gli
atti aventi forza di legge (art. 134 Cost.).
Ad avviso dell’Avvocatura, la questione è comunque infondata.
Premesso che, “a quanto sembra risultare dal tenore dell’ordinanza”, la
disparità di trattamento lamentata attiene non già all’esercizio
della professione di ingegnere da parte del dipendente comunale, bensì
alla sua iscrizione all’albo, l’Avvocatura osservava che la previsione
che consente tale iscrizione si giustifica col fatto che – a differenza
di quanto accade per altre professioni intellettuali (es. laureati in
legge) – essa è necessariamente richiesta ai fini dell’espletamento
delle mansioni istituzionali da parte degli ingegneri che siano
dipendenti della P.A.; tant’è che se altrettanto accade in altri casi
(come ad es. per i professori universitari) la compatibilità tra
impiego e iscrizione all’albo risorge (v. art. 3, a), r.d.l. 27
novembre 1933, n. 1578).
Dalla distinzione tra iscrizione (permessa) ed esercizio della
professione (di regola vietato) deriva inoltre che la norma impugnata
non influisce sull’esclusività del servizio dell’ingegnere dipendente.
E d’altra parte, secondo l’Avvocatura, l’art. 98 Cost., non ha
attinenza col dovere di non sottrarre energie alla P.A., essendo tale
disposizione intesa solo ad impedire “che l’attività dei pubblici
impiegati possa essere influenzata dalle loro convinzioni politiche o
dall’adesione ad un partito”.
La questione di legittimità costituzionale dell’art. 62, primo e
terzo comma, del r.d. 23 ottobre 1925, n. 2537 deve essere dichiarata
inammissibile, in quanto detto decreto va qualificato come atto non
avente forza di legge, e non è perciò suscettibile di sindacato di
costituzionalità ai sensi dell’art. 134 Cost.
Invero il r.d. n. 2537 citato, con il quale è stato approvato il
“regolamento per le professioni d’ingegnere e di architetto”, fu
emanato a per l’attuazione e per il coordinamento della legge 24 giugno
1923, n. 1395″ (concernente la “Tutela del titolo e dell’esercizio
professionale degli ingegneri e degli architetti”): legge che all’art.
7, prevedeva appunto che tali norme (di “attuazione” e “coordinamento”)
sarebbero state emanate “con regolamento”.
Oltre che dagli elementi testuali ora indicati – denominazione ed
oggetto – la natura regolamentare dell’atto in questione, risulta poi
dalle forme della sua emanazione, essendo esso stato adottato con
decreto reale, registrato alla Corte dei Conti ed emesso sentito il
parere del Consiglio di Stato, previa deliberazione del Consiglio dei
ministri, su proposta dei Ministri interessati: forme, queste, che sono
appunto quelle proprie dei regolamenti di esecuzione, giusta il
disposto dell’art. 1 n. 1 della legge 31 gennaio 1928, n. 100.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 62, primo e terzo comma, del r.d. 23 ottobre 1925, n. 2537
sollevata in riferimento agli artt. 3, primo comma e 98 Cost. dal
Pretore di Mirandola con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 17 novembre 1983.
F.to: LEOPOLDO ELIA – ANTONINO DE
STEFANO – GUGLIELMO ROEHRSSEN –
ORONZO REALE – BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO
PALADIN – ARNALDO MACCARONE – ANTONIO
LA PERGOLA – VIRGILIO ANDRIOLI –
GIUSEPPE FERRARI – GIOVANNI CONSO –
ETTORE GALLO.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere