Sentenza N. 325 del 1996
Corte Costituzionale
Data generale
29/07/1996
Data deposito/pubblicazione
29/07/1996
Data dell'udienza in cui è stato assunto
18/07/1996
Presidente: avv. Mauro FERRI;
Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato
GRANATA,
prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare
MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott.
Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Valerio ONIDA, prof.
Carlo MEZZANOTTE;
comma, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge quadro per
l’assistenza, integrazione sociale e i diritti delle persone
handicappate), promosso con ordinanza emessa il 10 agosto 1995 dal
pretore di Livorno nel procedimento civile vertente tra Nunnari
Ubaldo e le Ferrovie dello Stato S.p.A., iscritta al n. 683 del
registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 1995;
Visto l’atto di costituzione delle Ferrovie dello Stato S.p.A.
nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella udienza pubblica del 19 marzo 1996 il giudice relatore
Francesco Guizzi;
Uditi l’avvocato Attilio Maggini per le Ferrovie dello Stato S.p.A.
e l’avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del
Consiglio dei Ministri.
Ubaldo Nunnari contro le Ferrovie dello Stato, volto a ottenere il
trasferimento definitivo da Livorno a Reggio Calabria per assistere
il padre, colà residente, portatore di handicap, ha sollevato
questione di legittimità costituzionale dell’art. 33, quinto comma,
della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge quadro per l’assistenza,
integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), perché
pone una distinzione, ritenuta irrazionale, fra il caso in cui il
disabile già riceva assistenza e quello – altrettanto meritevole di
tutela – in cui l’esigenza sorga quando il lavoratore non sia
convivente e voglia essere trasferito per attendere alle cure del
congiunto. Il diverso trattamento di situazioni sostanzialmente
simili sarebbe illegittimo alla luce dell’art. 3 della Costituzione.
2. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, concludendo nel
senso dell’inammissibilità o, in subordine, dell’infondatezza della
questione.
Il giudice a quo – avverte l’Avvocatura – interpreta estensivamente
il concetto di assistenza, che l’art. 33, quinto comma, della citata
legge n. 104 limita a quella in atto. Tale erronea lettura rileva
innanzitutto circa l’ammissibilità, giacché – ove ci si riferisca
all’astratta potenzialità di assistenza da parte dei genitori, dei
parenti o affini entro il terzo grado – la circostanza che l’handicap
sopravvenga, ovvero preesista, è ininfluente. La questione sarebbe
comunque infondata, dal momento che la finalità perseguita dalla
norma denunciata è di garantire il rapporto che si instaura fra il
portatore di handicap e il familiare che dà assistenza continuativa,
evitando rotture traumatiche della convivenza. Solo l’assistenza in
atto, accettata dall’interessato, consente infatti di verificare
nella sua effettività la funzione di supplenza affidata alla
famiglia, in relazione alla quale si giustificano speciali diritti e
agevolazioni.
3. – Si è costituita in giudizio la S.p.A. Ferrovie dello Stato,
concludendo analogamente per la inammissibilità e, nel merito, per
l’infondatezza.
Il ricorrente, si osserva, non convive con il familiare, per cui
manca il requisito dell’assistenza già prestata e della reale
convivenza richiesto dall’art. 33, quinto comma, della legge n. 104:
norma che tutela il diritto del lavoratore a scegliere la sede più
vicina al proprio domicilio e non quello del disabile a essere
assistito, che l’ordinamento assicura mediante altri istituti. La
questione sarebbe comunque infondata, perché il legislatore ha
voluto salvaguardare le situazioni in atto, valutando i risvolti
sociali, tanto da limitare il diritto del datore di lavoro
all’autorganizzazione dell’impresa, anch’esso costituzionalmente
rilevante (art. 41 della Costituzione).
La difesa delle Ferrovie dello Stato S.p.A. richiama, infine, la
sentenza n. 193 del 1994, di non fondatezza, che attiene all’ipotesi
del trattamento meno favorevole riservato agli invalidi civili
rispetto a quello previsto per gli invalidi di guerra circa
l’indennità di accompagnamento.
Livorno verte sul quinto comma dell’art. 33 della legge n. 104 del
1992 (Legge quadro per l’assistenza, integrazione sociale e i diritti
delle persone handicappate), in base al quale il genitore o
familiare, lavoratore con rapporto di lavoro pubblico o privato, il
quale assiste con continuità un portatore di handicap, parente o
affine entro il terzo grado, con lui convivente, ha diritto a
scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio
domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra
sede.
Il giudice rimettente censura tale norma con riguardo al principio
contenuto nell’art. 3 della Costituzione, perché sottende, a suo
avviso, una irrazionale disparità di trattamento fra l’ipotesi in
cui il portatore di handicap riceva già assistenza e quella –
altrettanto meritevole di tutela – in cui l’esigenza sorga quando il
lavoratore non è convivente, e si renda quindi necessario il suo
trasferimento per attendere alle cure del congiunto.
2. – La questione non è fondata.
Questa Corte, esaminando alcuni profili della legge n. 104 del
1992, ne ha sottolineato l’ampia sfera di applicazione, diretta ad
assicurare, in termini quanto più possibile soddisfacenti, la tutela
dei portatori di handicap. Essa incide sul settore sanitario e
assistenziale, sulla formazione professionale, sulle condizioni di
lavoro, sull’integrazione scolastica; e in generale, detta misure che
hanno il fine di superare, o di contribuire a far superare, i
molteplici ostacoli che il disabile incontra quotidianamente nelle
attività sociali e lavorative, e nell’esercizio di diritti
costituzionalmente protetti (sentenza n. 406 del 1992).
La legge n. 104 può dunque considerarsi una prima, significativa
risposta al pressante invito, rivolto da questa Corte al legislatore,
di garantire la condizione giuridica del portatore di handicap, la
cui tutela passa attraverso l’interrelazione e l’integrazione dei
valori espressi dal disegno costituzionale (in tal senso v. la
sentenza n. 215 del 1987). In quella occasione, va ricordato, la
Corte non mancò di sottolineare la discrezionalità del Parlamento
nell’individuare le diverse misure operative; ma ciò non implica,
certo, che non si possa compiere il vaglio di costituzionalità dei
meccanismi predisposti dalla legge quadro in esame, al fine di
controllare sia la razionalità e congruità delle singole norme
denunciate sia la sussistenza di eventuali disparità di trattamento,
senza perdere di vista, comunque, l’insieme normativo.
Il giudice a quo appunta le sue censure su una disposizione
particolare della legge, l’art. 33, quinto comma, che assicura al
lavoratore il diritto di scegliere la sede di lavoro più vicina al
proprio domicilio quando assista con continuità un parente o affine,
portatore di handicap, con lui convivente. Ad avviso del pretore
rimettente, essa pone una distinzione irrazionale fra il caso in cui
il disabile riceva già assistenza e quello – che sarebbe altrettanto
meritevole di considerazione – in cui il bisogno si palesi nella sua
entità quando il lavoratore non sia di fatto convivente e voglia
pertanto essere trasferito per adempiere quanto ritiene doveroso, e
indispensabile.
L’ordinanza solleva una questione che richiede attenzione, tanto
sono importanti i valori costituzionali che concorrono alla
protezione del portatore di handicap. Ma occorre aggiungere che,
seguendo l’impostazione del giudice a quo, si rischia di dare alla
norma un rilievo eccessivo, perché non è immaginabile che
l’assistenza al disabile si fondi esclusivamente su quella familiare,
sì che il legislatore ha, con la legge quadro n. 104,
ragionevolmente previsto – quale misura aggiuntiva – la salvaguardia
dell’assistenza in atto, accettata dal disabile, al fine di evitare
rotture traumatiche, e dannose, della convivenza.
Tale misura è razionalmente inserita nel complesso normativo cui
si è accennato, e senza escludere che il legislatore, nell’esercizio
della sua discrezionalità, possa in futuro rivedere ed eventualmente
ampliare l’art. 33, quinto comma, deve qui dichiararsi insussistente
la lamentata disparità di trattamento, con conseguente infondatezza
della questione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 33, quinto comma, della legge 5 febbraio 1992, n. 104
(Legge quadro per l’assistenza, integrazione sociale e i diritti
delle persone handicappate), sollevata, in riferimento all’art. 3
della Costituzione, dal pretore di Livorno con l’ordinanza in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1996.
Il Presidente: Ferri
Il redattore: Guizzi
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 29 luglio 1996.
Il direttore della cancelleria: Di Paola