Sentenza N. 327 del 2002
Corte Costituzionale
Data generale
09/07/2002
Data deposito/pubblicazione
09/07/2002
Data dell'udienza in cui è stato assunto
01/07/2002
Presidente: Cesare RUPERTO;
Giudici: Massimo VARI, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY,
Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPPI
MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE,
Giovanni Maria FLICK;
codice penale (Turbamento di funzioni religiose del culto cattolico),
promosso con ordinanza emessa il 18 dicembre 2000 dalla Corte di
cassazione, iscritta al n. 263 del registro ordinanze 2001 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, 1ª serie
speciale, n. 16 dell’anno 2001.
Udito nella camera di consiglio del 5 dicembre 2001 il giudice
relatore Carlo Mezzanotte.
cassazione ha sollevato questione di legittimità costituzionale
dell’articolo 405 del codice penale (Turbamento di funzioni religiose
del culto cattolico), in riferimento agli articoli 3, primo comma, e
8, primo comma, della Costituzione.
2. – Premesse le vicende del giudizio di merito, quanto al fatto
storico e quanto alle omologhe conclusioni dei giudici di primo grado
e di appello, la Corte remittente sottolinea in primo luogo la
rilevanza della questione: si tratta, infatti, di verificare la
legittimità costituzionale della norma incriminatrice oggetto della
contestazione all’imputato, “la cui riforma, espulsione o
conservazione nell’ordinamento penale influisce evidentemente sul
giudizio finale di condanna o proscioglimento, ovvero sulla entità
della pena comminata”.
3. – Quanto alla non manifesta infondatezza, la Corte di
cassazione ricorda che l’articolo 405 del codice penale punisce con
la reclusione fino a due anni “chiunque impedisce o turba l’esercizio
di funzioni, cerimonie o pratiche religiose del culto cattolico, le
quali si compiano con l’assistenza di un ministro del culto medesimo
o in luogo destinato al culto, o in luogo pubblico o aperto al
pubblico”, mentre ai sensi dell’articolo 406 dello stesso codice
(Delitti contro i culti ammessi nello Stato) “la pena è diminuita”
se il fatto è commesso contro un culto ammesso dallo Stato.
Ad avviso della Corte remittente, questa diversità di
trattamento sanzionatorio, stabilita in ragione del fatto che il
turbamento della funzione religiosa riguardi il culto cattolico
ovvero altri culti ammessi, sarebbe in contrasto con l’articolo 3,
primo comma, della Costituzione, che consacra la pari dignità ed
eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge senza distinzione
di religione, nonché con l’articolo 8, primo comma, della
Costituzione, in base al quale tutte le confessioni religiose sono
egualmente libere davanti alla legge.
La Corte di cassazione ricorda che la giurisprudenza
costituzionale in materia ha subito una evoluzione storica, in quanto
in un primo tempo la diversità di trattamento giuridico tra
religione cattolica e altre religioni era giustificata dalla
considerazione che il cattolicesimo era riconosciuto come fattore di
unità morale della Nazione, e come tale formava oggetto di
particolare protezione anche nell’interesse dello Stato, mentre,
nell’attuale mutato contesto sociale e culturale, l’atteggiamento
dello Stato non può che essere di equidistanza e imparzialità nei
confronti di tutte le religioni, “senza che possano assumere rilievo
il dato quantitativo dell’adesione confessionale a questa o a quella
chiesa, e la maggiore o minore ampiezza delle reazioni sociali
cagionate dall’offesa a questa o quella religione” (sentenza n. 508
del 2000).
Ad avviso del giudice remittente, l’equidistanza e
l’imparzialità nei confronti di tutte le religioni
rappresenterebbero il riflesso del principio di laicità dello Stato,
che sarebbe assurto al rango di “principio supremo” del vigente
ordinamento pluralistico, pur non implicando indifferenza o
astensione da parte dello Stato stesso davanti al fenomeno religioso.
In definitiva – conclude la Corte di cassazione – gli argomenti
tradizionalmente addotti per giustificare il diverso trattamento
sanzionatorio previsto dagli articoli 405 e 406 del codice penale
sarebbero divenuti privi di forza persuasiva, sicché tale diversità
di trattamento darebbe ormai corpo ad una discriminazione
costituzionalmente inammissibile (sentenza n. 329 del 1997).
costituzionale dell’articolo 405 del codice penale (Turbamento di
funzioni religiose del culto cattolico), che punisce con la
reclusione fino a due anni “chiunque impedisce o turba l’esercizio di
funzioni, cerimonie o pratiche religiose del culto cattolico, le
quali si compiano con l’assistenza di un ministro del culto medesimo
o in un luogo destinato al culto, o in luogo pubblico o aperto al
pubblico”.
Il giudice remittente dubita che la disposizione in esame,
prevedendo per i fatti di turbamento di funzioni religiose del culto
cattolico ivi considerati un trattamento sanzionatorio più severo
rispetto a quello stabilito dall’articolo 406 dello stesso codice
(Delitti contro i culti ammessi nello Stato) per i medesimi fatti
commessi contro un culto “ammesso” dallo Stato, violi gli articoli 3,
primo comma, e 8, primo comma, della Costituzione, cioè
l’eguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione di religione e
l’eguale libertà di tutte le confessioni religiose davanti alla
legge.
Ad avviso della Corte di cassazione, la diversità di pena nella
quale si incorre a seconda che il turbamento della funzione religiosa
riguardi il culto cattolico ovvero altri culti ammessi dallo Stato si
configurerebbe come una discriminazione costituzionalmente
inammissibile, in quanto contrasterebbe con il “principio supremo” di
laicità dello Stato, che richiede l’equidistanza e l’imparzialità
dello Stato nei confronti di tutte le religioni.
2. – La questione è fondata.
Nel sistema del codice penale sono oggetto della tutela del
sentimento religioso sia la religione cattolica, sia i culti
“ammessi” nello Stato, da intendersi, dopo l’entrata in vigore della
Costituzione, con la piena affermazione della libertà religiosa,
come culti diversi da quello cattolico. Identiche sono le condotte
sanzionate penalmente, descritte negli artt. 403, 404 e 405 cod.
pen., ma differente è il trattamento sanzionatorio: l’art. 406,
infatti, stabilisce che la pena prevista per tali reati è diminuita
se le medesime condotte vengono poste in essere contro i culti
“ammessi”.
L’esigenza di una unificazione del trattamento sanzionatorio ai
fini di una eguale protezione del sentimento religioso, che è
imposta dai principi costituzionali evocati dal giudice remittente,
è stata già affermata da questa Corte nella sentenza n. 329 del
1997. Con essa è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale,
per violazione degli articoli 3 e 8 della Costituzione, dell’articolo
404, primo comma, del codice penale (Offese alla religione dello
Stato mediante vilipendio di cose), nella parte in cui prevede una
pena maggiore di quella stabilita per le medesime condotte riferite a
confessioni diverse dalla cattolica dall’articolo 406 dello stesso
codice.
Si tratta ora di applicare i medesimi principi, già enucleati in
quella sentenza, al caso sottoposto all’esame di questa Corte,
giacché anche le diverse previsioni concernenti il turbamento di
funzioni religiose, se riferite al culto cattolico, devono essere
assoggettate al più lieve trattamento sanzionatorio previsto
dall’art. 406 cod. pen. per i culti “ammessi”.
Il principio fondamentale di laicità dello Stato, che implica
equidistanza e imparzialità verso tutte le confessioni, non potrebbe
tollerare che il comportamento di chi impedisca o turbi l’esercizio
di funzioni, cerimonie o pratiche religiose di culti diversi da
quello cattolico, sia ritenuto meno grave di quello di chi compia i
medesimi fatti ai danni del culto cattolico.
3. – Esula dai compiti di questa Corte indagare se l’art. 406
cod. pen. costituisca un’attenuante di un reato base ovvero debba
essere considerato autonoma figura di reato, come pure pronunciarsi
sulla qualificazione da riservare alla previsione di cui al secondo
comma dell’art. 405 cod. pen. (“se concorrono fatti di violenza o di
minaccia, si applica la reclusione da uno a tre anni”). E tuttavia,
quale che sia l’interpretazione che la giurisprudenza vorrà
accreditare, l’istanza costituzionale di equiparazione della tutela
penale dei culti va soddisfatta in relazione a tutte le previsioni
dell’art. 405 cod. pen.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 405 del
codice penale, nella parte in cui, per i fatti di turbamento di
funzioni religiose del culto cattolico, prevede pene più gravi,
anziché le pene diminuite stabilite dall’articolo 406 del codice
penale per gli stessi fatti commessi contro gli altri culti.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 1 luglio 2002.
Il Presidente: Ruperto
Il redattore: Mezzanotte
Il cancelliere:Di Paola
Depositata in cancelleria il 9 luglio 2002.
Il direttore della cancelleria:Di Paola