Sentenza N. 332 del 2000
Corte Costituzionale
Data generale
24/07/2000
Data deposito/pubblicazione
24/07/2000
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/07/2000
Presidente: Cesare MIRABELLI;
Giudici: Francesco GUIZZI, Fernando SANTOSUOSSO, Massimo VARI,
Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA, Carlo
MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Franco BILE,
Giovanni Maria FLICK;
della legge 29 gennaio 1942, n. 64 (Modificazioni alle leggi di
ordinamento della regia Guardia di finanza), promosso con ordinanza
emessa il 17 dicembre 1997 dal tribunale amministrativo regionale del
Lazio sul ricorso proposto da un ex allievo finanziere contro il
Ministero delle finanze, iscritta al n. 405 del registro ordinanze
1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34,
prima serie speciale, dell’anno 1999.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 7 giugno 2000 il giudice
relatore Fernanda Contri.
allievo finanziere contro il Ministero delle finanze – per chiedere
l’annullamento sia del provvedimento con il quale il Comandante
generale della Guardia di finanza ha annullato d’ufficio l’atto di
arruolamento del ricorrente, sia dell’art. 2, primo comma, terzo
alinea del bando di arruolamento per allievi finanzieri, sulla base
del quale è stato adottato l’impugnato provvedimento di autotutela –
il tribunale amministrativo regionale del Lazio ha sollevato, in
riferimento agli articoli 2, 3, 4, 29, 30, 31, 35, 97 e
[erroneamente, solo nel dispositivo] 33 della Costituzione, questione
di legittimità costituzionale dell’art. 7, punto 3, della legge 29
gennaio 1942, n. 64 (Modificazioni alle leggi di ordinamento della
regia Guardia di finanza), che tra i requisiti necessari per essere
reclutati nel Corpo della Guardia di finanza include lo stato di
“celibe o vedovo senza prole”.
Il provvedimento impugnato nel giudizio a quo dal ricorrente, che
dopo aver superato la selezione per l’arruolamento aveva frequentato
il corso per la promozione a finanziere, era stato adottato in
seguito all’accertamento che egli, in quanto padre naturale di una
bambina – nata il 12 novembre 1992 e già riconosciuta all’atto della
domanda di ammissione – non era in possesso dei requisiti prescritti
dalla disposizione del bando impugnata come atto presupposto.
Trovando la censurata disposizione del bando di arruolamento il
suo fondamento nell’art. 7, punto 3, della legge n. 64 del 1942, la
prospettata questione di legittimità costituzionale sarebbe, afferma
il tribunale amministrativo regionale del Lazio, rilevante nel
giudizio a quo.
Quanto alla motivazione della non manifesta infondatezza della
questione, accogliendo alcune delle eccezioni d’incostituzionalità
sollevate ad istanza del ricorrente, il collegio rimettente prospetta
innanzi tutto il contrasto con gli articoli 3, 29, 30 e 31 della
Costituzione, lamentando sia l’assenza di una ragionevole
giustificazione della disciplina denunciata, sia la disparità di
trattamento rispetto ai sottufficiali, ai graduati ed ai militari di
truppa appartenenti all’Arma dei carabinieri e al Corpo della Guardia
di finanza già in servizio, contemplati dall’art. 17 della legge 1°
febbraio 1989, n. 53 (Modifiche alle norme sullo stato giuridico e
sull’avanzamento dei vicebrigadieri, dei graduati e militari di
truppa dell’Arma dei carabinieri e del Corpo della Guardia di finanza
nonché disposizioni relative alla Polizia di Stato, al Corpo degli
agenti di custodia e al Corpo forestale dello Stato).
Sotto il primo profilo, nell’ordinanza di rimessione si legge che
il riconoscimento di un figlio naturale “non impone necessariamente
anche vincoli di convivenza del nucleo familiare e quindi determina
minori obblighi rispetto alla paternità nell’a’mbito del
matrimonio”. Tali obblighi, ad avviso del giudice a quo non sarebbero
incompatibili con la frequenza del corso di addestramento (per gli
allievi finanzieri della durata di 10 mesi).
Sotto il secondo profilo, il tribunale amministrativo regionale
censura la difformità della disciplina impugnata da quanto previsto
dal citato art. 17 della legge 1° febbraio 1989, n. 53, che prevede
una deroga al divieto di contrarre matrimonio nei primi quattro anni
di servizio per “i carabinieri ed i finanzieri, gli appuntati, i
vicebrigadieri e i brigadieri” che abbiano compiuto il
venticinquesimo anno di età. A quest’ultimo riguardo, si legge
nell’ordinanza di rinvio, “il ricorrente, che aveva già compiuto
venticinque anni al momento dell’adozione dell’atto impugnato,
avrebbe addirittura potuto sposarsi se fosse stato finanziere, ma, in
quanto allievo, è stato escluso dall’arruolamento – e quindi dalla
possibilità di conseguire una stabile occupazione – solo perché non
ha voluto sottrarsi al dovere morale di riconoscere la propria figlia
naturale”.
Quanto alla questione di legittimità costituzionale del medesimo
art. 7, punto 3, della legge n. 64 del 1942, sollevata in riferimento
agli articoli 2, 4, 35 e 97 della Costituzione, il tribunale
amministrativo regionale del Lazio si limita a riformulare le
eccezioni d’incostituzionalità sollevate nel giudizio a quo ad
istanza di parte, dichiarando per altro di ritenere meritevoli di
“particolare attenzione” le questioni prospettate dal ricorrente in
riferimento agli articoli 3, 21 (recte: 29), 30 e 31 della
Costituzione, questioni poi argomentate autonomamente dal giudice a
quo con le considerazioni sopra riportate.
2. – Nel presente giudizio costituzionale, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha spiegato intervento il
Presidente del Consiglio dei Ministri.
Premesso che la disposizione denunciata “si colloca razionalmente
in un sistema normativo inteso a garantire il corretto inserimento,
nella peculiare realtà militare, dei neo-arruolati”, la difesa
erariale osserva che l’assenza di legami familiari costituisce un
requisito tipico della formazione e dell’addestramento iniziale del
personale militare, funzionale all’interesse al buon andamento delle
istituzioni militari. A sostegno di tale affermazione, l’Avvocatura
richiama l’articolo 4 della legge 29 maggio 1967, n. 371
(Disposizioni sul reclutamento degli ufficiali in servizio permanente
della Guardia di finanza); l’articolo 11 del decreto legislativo 12
maggio 1995, n. 196 (Attuazione dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992,
n. 216, in materia di riordino dei ruoli, modifica alle norme di
reclutamento, stato ed avanzamento del personale non direttivo delle
Forze armate); i bandi di reclutamento emanati a norma del decreto
legislativo 30 dicembre 1997, n. 490 (Riordino del reclutamento,
dello stato giuridico e dell’avanzamento degli ufficiali, a norma
dell’art. 1, comma 97, della legge 23 dicembre 1996, n. 662) e del
d.P.R. 2 settembre 1997, n. 332 (Regolamento recante norme per
l’immissione dei volontari delle Forze armate nelle carriere iniziali
della Difesa, delle Forze di polizia, dei Vigili del fuoco e del
Corpo militare della Croce rossa italiana).
3. – Non si è costituito nel giudizio davanti a questa Corte il
ricorrente nel procedimento principale.
riferimento agli artt. 2, 3, 4, 29, 30, 31, 35 e 97 della
Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 7, punto 3,
della legge 29 gennaio 1942, n. 64 (Modificazioni alle leggi di
ordinamento della regia Guardia di finanza), che tra i requisiti
necessari per essere reclutati nel Corpo della Guardia di finanza
include lo stato di “celibe o vedovo senza prole”.
Ad avviso del Collegio rimettente, la disposizione denunciata –
abrogata e sostituita dall’art. 6 del decreto legislativo 12 maggio
1995, n. 199, sul punto che qui interessa, per altro, riproduttivo
della disciplina denunciata, ma in vigore al momento dell’adozione
dei provvedimenti impugnati nel giudizio amministrativo a quo –
sarebbe priva di ragionevole giustificazione, giacché il
riconoscimento di un figlio naturale, da un lato, non imporrebbe
“necessariamente anche vincoli di convivenza del nucleo familiare”;
dall’altro, determinerebbe “minori obblighi rispetto alla paternità
nell’a’mbito del matrimonio”, compatibili con la frequenza del corso
di addestramento per allievi finanzieri.
La medesima disciplina si porrebbe poi in contrasto con il
principio di eguaglianza, in quanto difforme, in particolare,
dall’art. 17 della legge 1° febbraio 1989, n. 53, che prevede una
deroga al divieto di contrarre matrimonio nei primi quattro anni di
servizio per “i carabinieri ed i finanzieri, gli appuntati, i
vicebrigadieri e i brigadieri” che abbiano compiuto il
venticinquesimo anno di età.
2. – La questione di legittimità costituzionale è fondata.
2.1. – Occorre tuttavia premettere che non tutte le
argomentazioni prospettate nell’ordinanza possono essere condivise.
Certamente non si può condividere l’assunto secondo il quale il
riconoscimento di un figlio naturale determinerebbe “minori obblighi
rispetto alla paternità nell’a’mbito del matrimonio”. In più di
un’occasione, la giurisprudenza costituzionale ha censurato il
tradizionale disfavore verso la filiazione naturale (da ultimo,
sentenza n. 250 del 2000) e ha sottolineato la pienezza della
responsabilità e dei doveri che, in base alla Costituzione, derivano
per il genitore dal riconoscimento di un figlio naturale. Ancora di
recente, questa Corte ha chiarito che la posizione giuridica dei
genitori nei rapporti tra di loro, in relazione al vincolo coniugale,
non può determinare una condizione deteriore per i figli, perché
quell’insieme di regole, che costituiscono l’essenza del rapporto di
filiazione e che si sostanziano negli obblighi di mantenimento, di
istruzione e di educazione della prole, trova fondamento nell’art. 30
della Costituzione, che richiama i genitori alla loro
responsabilità; in altri termini – anche nello spirito della riforma
del diritto di famiglia del 1975 – l’esistenza del vincolo sorto tra
i genitori non costituisce più elemento di discrimine nei rapporti
tra genitori e figli, legittimi e naturali riconosciuti, identico
essendo il contenuto dei doveri, oltre che dei diritti, degli uni nei
confronti degli altri (sentenza n. 166 del 1998).
2.2. – Nondimeno, il contrasto della disciplina impugnata con gli
artt. 2, 3, 30 e 31 della Costituzione sussiste, non potendosi
ravvisare, neppure nella delicata fase del reclutamento e
dell’addestramento, un’esigenza dell’organizzazione militare così
preminente da giustificare una limitazione del diritto di procreare,
o di diventare genitore, sia pure prevista ai limitati fini
dell’arruolamento e dell’ammissione ai reparti di istruzione. Una
così grave interferenza nella sfera privata e familiare della
persona – suscettibile di protrarsi eventualmente anche oltre il
periodo di formazione del militare, durante i primi anni dopo
l’assunzione del servizio permanente – non può, sul piano dei
princìpi costituzionali, ritenersi giustificata dall’intensità e
dall’esigenza di tendenziale esclusività del rapporto di dedizione
che deve legare il militare in fase di istruzione al corpo di
appartenenza, dovendo la necessaria continuità nella frequenza dei
corsi di addestramento trovare garanzia in regole e rimedi diversi
dal divieto di avere prole.
Un divieto siffatto si pone in contrasto con i fondamentali
diritti della persona, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali
ove si svolge la sua personalità, tutelando l’art. 2 della
Costituzione l’integrità della sfera personale della stessa e la sua
libertà di autodeterminarsi nella vita privata. Ripetutamente, del
resto, questa Corte ha chiarito, da un lato, che “la Costituzione
repubblicana supera radicalmente la logica istituzionalistica
dell’ordinamento militare e riconduce anche quest’ultimo nell’ambito
del generale ordinamento statale, particolarmente rispettoso e
garante dei diritti sostanziali e processuali di tutti i cittadini”
(sentenza n. 278 del 1987); dall’altro, che la garanzia dei diritti
fondamentali di cui sono titolari i singoli “cittadini militari” non
recede di fronte alle esigenze della struttura militare (da ultimo,
sentenza n. 449 del 1999).
2.3. Né si potrebbe giustificare la disciplina in esame in base
all’art. 51 della Costituzione, che affida alla legge la
determinazione dei requisiti per l’accesso ai pubblici uffici.
La mancanza di prole non può costituire requisito attitudinario,
traducendosi invece la sua previsione in una indebita limitazione dei
diritti della persona.
2.4. – Da quanto precede, consegue l’illegittimità
costituzionale dell’art. 7, punto 3, della legge 29 gennaio 1942,
n. 64, nella parte in cui include, tra i requisiti necessari per
essere reclutati nel Corpo della Guardia di finanza, l’essere senza
prole.
La declaratoria d’incostituzionalità non può estendersi
all’intera disposizione denunciata, che richiede, accanto all’assenza
di prole, anche il requisito del celibato o dello stato di vedovo. Il
collegio rimettente non ha infatti prospettato dubbi di
costituzionalità in merito.
Rimangono assorbiti gli ulteriori profili prospettati
nell’ordinanza di rimessione.
3. – In applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953
n. 87, la dichiarazione di illegittimità costituzionale deve
estendersi ad una serie di disposizioni legislative ulteriori, di
contenuto identico o analogo a quello della disposizione impugnata
dal tribunale amministrativo regionale del Lazio con l’ordinanza in
epigrafe. Si tratta di norme sull’accesso a vari gradi e ruoli della
Guardia di finanza e delle Forze armate, o disciplinanti l’ammissione
ai relativi concorsi e corsi di formazione e addestramento,
tralatiziamente iterative del tradizionale requisito dell’assenza di
prole, la cui incompatibilità con i princìpi costituzionali è
stata ritenuta, nella presente decisione, a tutela dell’integrità
della sfera personale dell’individuo e della sua libertà di
autodeterminarsi nella vita privata, indipendentemente dal tipo di
organizzazione militare alla quale si tratti di accedere.
Deve pertanto essere dichiarata l’illegittimità costituzionale
conseguenziale dell’art. 9, secondo comma, lettera b) del r.d.l. 14
giugno 1923, n. 1281 (Provvedimenti per la regia Guardia di finanza),
come sostituito dall’art. 4 del r.d.l. 24 luglio 1931, n. 1223, nella
parte in cui include, tra i requisiti necessari per essere reclutati
nella Guardia di finanza, l’essere senza prole; dell’art. 35, primo
comma, della legge 10 giugno 1964, n. 447 (Norme per i volontari
dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica e nuovi organici dei
sottufficiali in servizio permanente delle stesse forze armate),
nella parte in cui richiede, come condizione per l’ammissione ai
vincoli annuali di ferma, l’essere senza prole; dell’art. 4, primo
comma, lettera a) della legge 29 maggio 1967, n. 371 (Disposizioni
sul reclutamento degli ufficiali in servizio permanente della Guardia
di finanza), nella parte in cui include, tra i requisiti necessari
per essere ammessi al corso di cui al precedente art. 2, numero 1),
l’essere senza prole; dell’art. 5, primo comma, numero 4) della legge
10 maggio 1983, n. 212 (Norme sul reclutamento, gli organici e
l’avanzamento dei sottufficiali dell’Esercito, della Marina,
dell’Aeronautica e della Guardia di finanza) – abrogato dall’art. 40
del d.lgs. n. 196 del 1995 – nella parte in cui include, tra i
requisiti necessari per partecipare all’arruolamento di cui al
precedente art. 4, l’essere senza prole; dell’art. 11, comma 2,
lettera a), numero 3 del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 196
(Attuazione dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia
di riordino dei ruoli, modifica alle norme di reclutamento, stato ed
avanzamento del personale non direttivo delle Forze armate), nella
parte in cui include, tra i requisiti necessari per essere ammessi ai
concorsi di cui alla lettera a) del comma 1 del medesimo art. 11,
l’essere senza prole; dell’art. 6, comma 1, lettera c) del decreto
legislativo 12 maggio 1995, n. 199 (Attuazione dell’art. 3 della
legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di nuovo inquadramento del
personale non direttivo e non dirigente del Corpo della Guardia di
finanza), nella parte in cui include, tra i requisiti necessari per
essere ammessi al corso per la promozione a finanziere, l’essere
senza prole; dell’art. 36, comma 1, lettera b), numero 3 dello stesso
decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 199, nella parte in cui
include, tra i requisiti necessari per essere ammessi ai corsi per il
conferimento della nomina a maresciallo, l’essere senza prole;
dell’art. 2, comma 2, del decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24
(Disposizioni in materia di reclutamento su base volontaria, stato
giuridico e avanzamento del personale militare femminile nelle Forze
armate e nel Corpo della guardia di finanza, a norma dell’articolo 1,
comma 2, della legge 20 ottobre 1999, n. 380), nella parte in cui
include, tra i requisiti necessari per la partecipazione ai concorsi
per l’ammissione ai corsi regolari delle accademie e di quelli degli
istituti e delle scuole di formazione, e tra i requisiti che debbono
essere posseduti all’atto dell’ammissione ai corsi e mantenuti fino
al transito in servizio permanente o all’acquisizione della qualifica
di aspirante, l’essere senza prole.
Alle su elencate disposizioni deve estendersi in via
conseguenziale la declaratoria di incostituzionalità, trattandosi di
previsioni legislative del medesimo requisito dell’assenza di prole –
ai fini dell’accesso ai corsi di addestramento ed ai ruoli della
Guardia di finanza e delle Forze Armate – censurato dal giudice a quo
e ritenuto da questa Corte, con la presente sentenza, contrastante
con gli artt. 2, 3, 30 e 31 della Costituzione, sotto i profili sopra
indicati.
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, punto 3,
della legge 29 gennaio 1942, n. 64 (Modificazioni alle leggi di
ordinamento della regia Guardia di finanza) nella parte in cui
include, tra i requisiti necessari per essere reclutati nel Corpo
della Guardia di finanza, l’essere senza prole;
b) dichiara, in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo
1953 n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, secondo
comma, lettera b) del r.d.l. 14 giugno 1923, n. 1281 (Provvedimenti
per la regia Guardia di finanza), come sostituito dall’art. 4 del
r.d.l. 24 luglio 1931, n. 1223, nella parte in cui include, tra i
requisiti necessari per essere reclutati nella Guardia di finanza,
l’essere senza prole;
c) dichiara, in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo
1953 n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 35, primo
comma, della legge 10 giugno 1964, n. 447 (Norme per i volontari
dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica e nuovi organici dei
sottufficiali in servizio permanente delle stesse forze armate),
nella parte in cui richiede, come condizione per l’ammissione ai
vincoli annuali di ferma, l’essere senza prole;
d) dichiara, in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo
1953 n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, primo comma,
lettera a) della legge 29 maggio 1967, n. 371 (Disposizioni sul
reclutamento degli ufficiali in servizio permanente della Guardia di
finanza), nella parte in cui include, tra i requisiti necessari per
essere ammessi al corso di cui al precedente art. 2, numero 1),
l’essere senza prole;
e) dichiara, in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo
1953 n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, primo comma,
numero 4) della legge 10 maggio 1983, n. 212 (Norme sul reclutamento,
gli organici e l’avanzamento dei sottufficiali dell’Esercito, della
Marina, dell’Aeronautica e della Guardia di finanza) – abrogato
dall’art. 40 del d.lgs. n. 196 del 1995 – nella parte in cui include,
tra i requisiti necessari per partecipare all’arruolamento di cui al
precedente art. 4, l’essere senza prole;
f) dichiara, in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo
1953 n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, comma 2,
lettera a), numero 3 del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 196
(Attuazione dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia
di riordino dei ruoli, modifica alle norme di reclutamento, stato ed
avanzamento del personale non direttivo delle Forze armate), nella
parte in cui include, tra i requisiti necessari per essere ammessi ai
concorsi di cui alla lettera a) del comma 1 del medesimo art. 11,
l’essere senza prole;
g) dichiara, in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo
1953 n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1,
lettera c) del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 199 (Attuazione
dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di nuovo
inquadramento del personale non direttivo e non dirigente del Corpo
della Guardia di finanza), nella parte in cui include, tra i
requisiti necessari per essere ammessi al corso per la promozione a
finanziere, l’essere senza prole, nonché dell’art. 36, comma 1,
lettera b), numero 3 dello stesso decreto legislativo 12 maggio 1995,
n. 199, nella parte in cui include, tra i requisiti necessari per
essere ammessi ai corsi per il conferimento della nomina a
maresciallo, l’essere senza prole;
h) dichiara, in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo
1953 n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, del
decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24 (Disposizioni in materia
di reclutamento su base volontaria, stato giuridico e avanzamento del
personale militare femminile nelle Forze armate e nel Corpo della
guardia di finanza, a norma dell’art. 1, comma 2, della legge 20
ottobre 1999, n. 380), nella parte in cui include, tra i requisiti
necessari per la partecipazione ai concorsi per l’ammissione ai corsi
regolari delle accademie e di quelli degli istituti e delle scuole di
formazione, e tra i requisiti che debbono essere posseduti all’atto
dell’ammissione ai corsi e mantenuti fino al transito in servizio
permanente o all’acquisizione della qualifica di aspirante, l’essere
senza prole.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta il 12 luglio 2000.
Il Presidente: Mirabelli
Il redattore: Contri
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 24 luglio 2000.
Il direttore della cancelleria: Di Paola