Sentenza N. 342 del 1983
Corte Costituzionale
Data generale
21/12/1983
Data deposito/pubblicazione
21/12/1983
Data dell'udienza in cui è stato assunto
14/12/1983
ANTONINO DE STEFANO – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO
MACCARONE – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO ANDRIOLI – Prof.
GIUSEPPE FERRARI – Dott. FRANCESCO SAJA – Prof. GIOVANNI CONSO – Prof.
ETTORE GALLO, Giudici,
della legge 22 maggio 1975, n. 152 (Disposizioni per la tutela
dell’ordine pubblico), promosso con ordinanza emessa il 18 marzo 1980
dal Tribunale di Roma, nel procedimento penale a carico di Caputi
Rufino ed altro, iscritta al n. 355 del registro ordinanze 1980 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 173 del 25
giugno 1980.
Visto l’atto di costituzione di Caputi Rufino e Cembalo Luigi,
nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 7 giugno 1983 il Giudice relatore
Livio Paladin;
udito l’avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
1. – Con ordinanza emessa il 18 marzo 1980, il Tribunale di Roma ha
sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, primo
comma, della legge 22 maggio 1975, n. 152, nella parte in cui vieta di
concedere la libertà provvisoria agli imputati del delitto di rapina
aggravata (che veniva in specifica considerazione nella specie).
Secondo il giudice a quo, la norma impugnata contrasterebbe anzitutto
“con lo spirito della Carta costituzionale”, desumibile dagli artt.
13-54 della Carta stessa: in quanto collegherebbe il trattamento in
esame a criteri “del tutto arbitrari”, sebbene indicati tassativamente.
Inoltre, essa violerebbe l’art. 3 Cost., per l’irragionevolezza della
soluzione accolta: vale a dire, poiché la particolare gravità del
reato in questione non rappresenterebbe un “indice adeguato”
dell'”esistenza di quegli interessi processuali per i quali solo
l’imputato può essere legittimamente privato della libertà
personale”; e poiché, d’altra parte, l’elenco dei reati per i quali la
libertà provvisoria è esclusa sarebbe viziato dalla mancata
previsione di altri reati egualmente o più gravi (quali il peculato,
la concussione, la corruzione, il naufragio, il disastro aviatorio).
Del pari, risulterebbero lesi gli artt. 13 e 111 Cost., poiché la
norma dispone direttamente l’esclusione e non consente al giudice
alcuna valutazione in proposito. E così pure, dato che la custodia
preventiva obbligatoria equivarrebbe ad un’anticipazione della pena,
sarebbe contraddetto il principio – fissato dall’art. 27 Cost. – per
cui l’imputato non è considerato colpevole fino alla condanna
definitiva.
2. – Nel presente giudizio si sono costituiti gli imputati, aderendo
alle tesi esposte nell’ordinanza di rimessione.
L’intervenuto Presidente del Consiglio dei ministri ha invece
concluso per l’infondatezza della questione.
Alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte, la
questione si dimostra non fondata in tutti i suoi aspetti.
Per prima cosa, la Corte non può condividere l’assunto che il
divieto legislativo di concedere la libertà provvisoria, quanto “alla
rapina aggravata prevista dal secondo capoverso dell’art. 628 del
codice penale” (come appunto dispone l’impugnato art. 1, primo comma,
della legge 22 maggio 1975, n. 152), collida o comunque interferisca
con il principio, sancito nel secondo comma dell’art. 27 Cost., per cui
l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”.
Fin dalla sentenza n. 64 del 1970, la Corte ha negato che la
presunzione di non colpevolezza dell’imputato escluda che, “nell’ambito
di una valutazione politica discrezionale, la legge… possa stabilire
ipotesi nelle quali, sussistendo sufficienti indizi di colpevolezza, al
giudice sia fatto obbligo di emettere il mandato di cattura”, per non
“porre in pericolo quei beni a tutela dei quali la detenzione
preventiva viene predisposta”. “Se fosse vero il contrario” – ha
chiarito in proposito la sentenza n. 14 del 1972 – “sarebbe illegittima
ogni misura di carcerazione preventiva, che è, invece, ammessa
dall’ultimo comma dell’art. 13 Cost.”; laddove è da dirsi come ha
ancora precisato la sentenza n. 88 del 1976 – che il diniego della
libertà provvisoria non implica alcuna presunzione di colpevolezza,
“poiché la detenzione preventiva non ha la funzione di anticipare la
pena”. Ed analoghi concetti sono stati espressi nella sentenza n. 1 del
1980 (per non dire della successiva sentenza n. 15 del 1982), anch’essa
ignorata da parte del giudice a quo.
Secondariamente, è vano appellarsi agli artt. 13 e 111 Cost., per
desumerne – come fa l’ordinanza in esame – l’illegittimità di ogni
“esclusione della applicazione della libertà provvisoria”, disposta in
via “unicamente automatica”; quasi che la sola soluzione del problema,
consentita dalla Carta costituzionale, fosse quella già indicata
dall’art. 277, primo comma, cod. proc. pen. (nel testo sostituito dalla
legge 15 dicembre 1972, n. 773), per cui la concessione della libertà
provvisoria era ammessa “anche nei casi di emissione obbligatoria del
mandato di cattura”. La Corte, infatti, ha contestato più volte la
fondatezza di opinioni del genere (cfr. le sentenze n. 64 del 1970, n.
21 del 1974, n. 1 del 1980); ed anche per questo verso il giudice a quo
non adduce alcun motivo, che possa indurre la Corte stessa a modificare
il proprio orientamento.
Infine, non regge nemmeno la tesi che il divieto del quale si tratta
sia tanto irragionevole da violare il principio costituzionale
d’eguaglianza e da contraddire, nel medesimo tempo, quello che il
Tribunale di Roma definisce “lo spirito della Carta costituzionale”. Da
un lato, con la citata sentenza n. 1 del 1980 la Corte ha ribadito che
rientra nelle finalità cautelari della carcerazione preventiva anche
la “tutela della collettività dal pericolo di commissione di certi
reati”. D’altro lato, non è affatto arbitrario che la legge n. 152 del
1975 abbia incluso la rapina aggravata fra i reati per i quali non è
ammessa la libertà provvisoria: la “particolare gravità” del reato in
questione è anzi riconosciuta dallo stesso giudice a quo; e la mancata
estensione del divieto ad altre ipotesi, che il Tribunale considera di
gravità non minore, non elimina l’intrinseca giustificatezza della
previsione in esame (mentre non spetta alla Corte sanare le eventuali
discrasie sottraendo determinate fattispecie alla comune disciplina
processuale penale, per ricondurle nell’ambito di una disciplina
speciale, come quella dettata dal primo comma dell’art. 1 l. cit.).
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1, primo comma, della legge 22 maggio 1975, n. 152, nella
parte concernente la “rapina aggravata prevista dal secondo capoverso
dell’art. 628 del codice penale”, sollevata dal Tribunale di Roma – in
riferimento agli artt. 3, primo comma, 13, ultimo comma, 27, secondo
comma, e Cost. – Con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 14 dicembre 1983.
F.to: LEOPOLDO ELIA – ANTONINO DE
STEFANO – ORONZO REALE – BRUNETTO
BUCCIARELLI DUCCI – ALBERTO
MALAGUGINI – LIVIO PALADIN – ARNALDO
MACCARONE – ANTONIO LA PERGOLA –
VIRGILIO ANDRIOLI – GIUSEPPE FERRARI
– FRANCESCO SAJA – GIOVANNI CONSO –
ETTORE GALLO.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere