Sentenza N. 349 del 1985
Corte Costituzionale
Data generale
17/12/1985
Data deposito/pubblicazione
17/12/1985
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/12/1985
REALE – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof.
VIRGILIO ANDRIOLI – Dott. FRANCESCO SAJA – Prof. GIOVANNI CONSO –
Prof. ETTORE GALLO – Dott. ALDO CORASANITI – Prof. GIUSEPPE BORZELLINO
– Dott. FRANCESCO GRECO – Prof. RENATO DELL’ANDRO, Giudici,
febbraio 1978 n. 41 (Provvedimenti in materia previdenziale); artt. da
16 a 19 l. 21 dicembre 1978 n. 843; art. 10 l. 3 giugno 1975 n. 160;
artt. 14, 14 bis e 14 ter l. 29 febbraio 1980 n. 33, promossi con
ordinanze emesse il 18 marzo 1980 dal Pretore di Aosta, il 16 luglio
1980 dal Pretore di Bassano del Grappa, il 9 marzo 1981 dal Pretore di
Arezzo, il 2 marzo 1981 dal Pretore di Padova, l’11 marzo 1981 dal
Pretore di Palermo, il 21 maggio 1981 dal Tribunale di Torino, il 28
aprile 1981 dal Pretore di Imperia, il 27 luglio 1981 dal Pretore di
Firenze, il 27 ottobre 1981 dal Pretore di Aosta, l’11 gennaio 1982 dal
Pretore di Genova, il 3 giugno 1981 dal Tribunale di Torino, il 3 marzo
1982 dal Pretore di La Spezia, il 18 marzo 1982 dal Tribunale di
Torino, il 22 giugno 1981 dal Pretore di Milano, il 10 aprile 1981 dal
Pretore di Milano, il 24 ottobre 1983 dal Pretore di Savona, il 10
novembre 1983 dal Pretore di Alessandria, il 18 maggio 1983 dal Pretore
di Torino, il 22 marzo 1984 dal Pretore di Palermo, iscritte
rispettivamente ai nn. 335 e 672 del registro ordinanze 1980; ai nn.
345, 383, 391, 509, 591 e 794 del registro ordinanze 1981; ai nn. 42,
108, 213, 278, 395, 517 e 618 del registro ordinanze 1982; ai nn. 18,
316, 319 e 1194 del registro ordinanze 1984 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica nn. 173, 311 dell’anno 1980; nn. 276 e 304
dell’anno 1981; nn. 33, 89, 129, 185, 255, 283, 317 e 331 dell’anno
1982; n. 53 dell’anno 1983; nn. 162, 252, 176 dell’anno 1984 e n. 59
bis dell’anno 1985.
Visti gli atti di costituzione di Gianasso, Chiuppani, Ceresa,
Delle Mura, Zanini, Maurizi, Radicati, Gianesini, Foga ed altri,
Marotta, Curti, Benedetti ed altri, dell’Inpdai, dell’Inps, della Cassa
di previdenza della Cassa di risparmio di Padova e Rovigo,
dell’Istituto bancario San Paolo di Torino e della Cassa di previdenza
del personale dello stesso istituto, nonché gli atti di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
uditi nell’udienza pubblica del 5 novembre 1985 i giudici relatori
dott. Francesco Saja e dott. Francesco Greco;
uditi gli avvocati Massimo Severo Giannini, Franzo Grande Stevens,
Mattia Persiani per Gianasso, Chiuppani, Ceresa, Dalle Mura e Zanini,
l’avvocato Parisio Ravajoli per Maurizi e Radicati, l’avvocato Mattia
Persiani per Gianesini, Foga ed altri, l’avvocato Massimo Severo
Giannini per Marotta, l’avvocato Andrea Comba per Curti, l’avvocato
Marino Bin per Benedetti ed altri, l’avvocato Mario Capaccioli per
l’Inpdai, l’avvocato Paolo Boer per l’Inps, l’avvocato Renato
Scognamiglio per la Cassa di previdenza del personale della Cassa di
risparmio di Padova e Rovigo, l’avvocato Mario Nigro per l’Istituto
bancario San Paolo di Torino e la Cassa di previdenza del personale
dello stesso istituto nonché l’avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1. – Con ricorso al Pretore di Aosta, Gianasso Giovanni, dirigente
industriale in pensione, rilevava che la l. 30 aprile 1969 n. 153,
contenente la revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in
materia di sicurezza sociale, aveva stabilito nel suo art. 19, tra
l’altro, l’aumento degli importi delle pensioni, a carico
dell’assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti e
delle gestioni speciali dell’assicurazione medesima per i lavoratori
autonomi, in misura pari all’aumento percentuale dell’indice del costo
della vita calcolata dall’Istituto centrale di statistica (Istat) ai
fini della scala mobile delle retribuzioni dei lavoratori
dell’industria. A questa disciplina – esponeva ancora il ricorrente –
si erano adeguate via via numerose disposizioni di legge relative a
diversi Fondi speciali di previdenza. Essa tuttavia era stata
modificata dalla legge 3 giugno 1975 n. 160, la quale – per i
lavoratori dipendenti – nell’art. 10 aveva stabilito un nuovo criterio
di determinazione delle pensioni superiori al minimo. Precisamente
esse sarebbero aumentate: a) in parte in quota variabile, risultante
dalla differenza tra percentuale d’aumento delle retribuzioni minime
degli operai dell’industria e percentuale d’aumento del costo della
vita (primo comma); b) in parte in quota fissa, risultante dai punti di
contingenza variamente tradotti in denaro, a seconda dei diversi
periodi, dal 1976 in poi (terzo comma).
Tanto premesso, il Gianasso chiedeva che l’Istituto nazionale di
previdenza per i dirigenti di aziende industriali (Inpdai) venisse
condannato a pagare, a titolo di pensione, la differenza tra quanto
già corrisposto in base all’art. 1 d.l. 23 dicembre 1977 n. 942 conv.
in l. 27 febbraio 1978 n. 41 – con cui il sistema di cui alla legge
sopra citata n. 160 del 1975 era stato esteso ai pensionati delle
gestioni di previdenza sostitutive o integrative dell’assicurazione
generale obbligatoria – e la maggior somma che asseriva dovutagli in
base alla l. 15 marzo 1973 n. 44, con cui ai pensionati ora detti era
stato esteso il precedente sistema di cui alla l. n. 153 del 1969.
2. – Con ordinanza del 18 marzo 1980 (reg. ord. n. 335 del 1980) il
Pretore sollevava questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1
l. n. 41 del 1978 in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 Cost.
Il magistrato osservava che la diminuzione in termini reali della
pensione spettante all’attore (posto in quiescenza alla fine del 1973)
e rideterminata ai sensi della norma impugnata, oltreché
incostituzionale in quanto idonea a peggiorare irrazionalmente un
trattamento legittimamente acquisito (art. 3 Cost.), poteva
pregiudicare il soddisfacimento delle esigenze di vita dell’attore
stesso (art. 38 Cost.); inoltre la pensione, dovendo in ogni caso
essere connessa alla retribuzione, non sembrava proporzionata alla
qualità e quantità del lavoro a suo tempo prestato (art. 36 Cost.).
Il Pretore ravvisava una violazione dell’art. 3 Cost. anche perché
riteneva non giustificata la differenza del meccanismo di perequazione
delle pensioni minime rispetto a quelle superiori al minimo.
3. – Il Pretore di Aosta sollevava analoghe questioni con ordinanza
del 27 ottobre 1981 (n. 42 del 1982) emessa nella causa civile vertente
tra Curti Luigi e l’Istituto bancario San Paolo di Torino, nonché la
Cassa di previdenza di quest’ultimo, le cui pensioni, prima
dell’entrata in vigore della norma impugnata, erano determinate dalle
norme statutarie della detta Cassa.
Questioni analoghe venivano sollevate ancora dai seguenti uffici
giudiziari: Pret. di Bassano del Grappa con ordinanza del 16 luglio
1980 (n. 672/1980) in causa Chiuppani Giuseppe c. Inpdai; Pret. di
Arezzo con ord. del 9 marzo 1981 (n. 345/1981) in causa Maurizi Mario
ed altri (già dipendenti da imprese di gestione delle abolite imposte
di consumo, ai quali la normativa in questione si applicava ai sensi
della l. 1 luglio 1975 n. 296) c. Inps; Pret. di Palermo con ordinanze
dell’11 marzo 1981 e del 22 marzo 1984 (n. 391/1981 e 1194/1984) in
cause Caradonna e Conti c. Fondo pensioni per il personale della Cassa
centrale di risparmio per le province siciliane (agli ex dipendenti
bancari la norma impugnata si applicava in sostituzione dei contratti
collettivi); Pret. di Padova con ordinanza del 2 marzo 1981 (n.
383/1981) in causa Gianesini c. Cassa di previdenza del personale della
Cassa di risparmio di Padova e Rovigo; Trib. di Torino con ordinanze
del 21 maggio 1981 (n. 509/1981) in causa Ceresa e Dalle Mura c.
Inpdai, 3 giugno 1981 (n. 213 del 1982) in causa Marinelli c. Inpdai,
18 marzo 1982 (395/1982) in causa Accatino ed altri c. Cassa di
risparmio di Torino; Pret. di Imperia con ordinanza 28 aprile 1981 (n.
591/1981) in causa Zanon c. Inpdai; Pret. di Firenze con ordinanza del
27 luglio 1981 (n. 794/1981) in causa Zanini c. Inpdai; Pret. di Genova
con ordinanza 11 gennaio 1982 (n. 108/1982) in causa Vaggi c. Inpdai;
Pret. La Spezia con ordinanza 3 marzo 1982 (n. 278/1982) in causa
Spinelli c. Inpdai; Pret. di Savona con ordinanza del 24 ottobre 1983
(n. 18/1984) in causa Tranquillo c. Inpdai; Pret. di Alessandria con
ordinanza del 10 novembre 1983 (316/1984) in causa Zaccaria c. Inpdai;
Pretore di Torino con ordinanza del 10 maggio 1983 (n. 319/1984) in
causa Benedetti ed altri c. Enasarco.
In alcune delle dette ordinanze venivano impugnate altresì la l.
21 dicembre 1978 n. 843 (artt. 16, 18), ossia la legge finanziaria per
il 1979 (Pretori di Bassano del Grappa, Firenze, La Spezia, Savona,
Alessandria; Tribunale di Torino), nonché gli artt. 14, 14 bis e 14
ter d.l. 30 dicembre 1979 n. 663, nel testo risultante dalla l. di
conv. 29 febbraio 1980 n. 33 (Pret. di Padova). Queste norme
modificavano i modi di determinazione risultanti dall’art. 10 l. n. 160
del 1975, ma senza alterare il sopra descritto criterio distintivo tra
pensioni minime e pensioni superiori al minimo.
Il Pretore di Torino impugnava anche, direttamente, l’art. 10 ult.
cit.
Quali norme di riferimento il Pretore di Bassano del Grappa
indicava, oltre agli artt. 36 e 38 Cost., art. 3 Cost., per il
trattamento deteriore riservato ai pensionati Inpdai, i quali a
differenza dei pensionati degli altri fondi di previdenza erano già
stati assoggettati ad un massimale di retribuzione imponibile, quale
che fosse stata la loro retribuzione reale, e quindi ad un massimale di
pensione; l’art. 42 Cost., per essere stato il “diritto quesito” ad una
pensione predeterminata sottoposto ad un prelievo forzoso simile ad
un’espropriazione senza indennizzo; l’art. 47 Cost., per
l’ingiustificata diminuzione della pensione, considerata come frutto di
retribuzione risparmiata; l’art. 53 Cost., per la sostanziale presenza
di una imposizione tributaria non commisurata sulla capacità
patrimoniale del contribuente.
I Pretori di Padova, di Palermno e di Firenze vedevano nelle norme
impugnate una menomazione della tutela del lavoro, di cui all’art. 35
Cost.
Il Pretore di Palermo, osservato che le norme censurate incidevano
su una pensione già determinata per contratto collettivo, indicava
quale norma costituzionale di riferimento anche l’art. 39 Cost. per
violazione dell’autonomia negoziale dei sindacati. Egli ravvisava
altresì una violazione dell’art. 45 Cost. nella “frustrazione della
cooperazione mutualistica realizzata attraverso la maggiore
contribuzione alla gestione autonoma”.
4. – Il Pretore di Torino sollevava poi una questione subordinata
di legittimità costituzionale.
Egli osservava che l’art. 19 l. n. 843 del 1978 – applicabile anche
all’Enasarco, convenuto in causa – stabiliva essere dovuta la quota
fissa di cui all’art. 10, terzo comma, l. n. 160 del 1975 (v. supra,
n. 1) una sola volta ai titolari di più pensioni, quali erano le parti
attrici. Ciò aggravava ulteriormente, a suo dire, il già deteriore
trattamento stabilito dalle norme sopra denunciate e determinava, per
le stesse ragioni già dette, una violazione degli artt. 3, 36, 38 e 53
Cost.
5. – Con ricorso del 9 gennaio 1981 Martinelli Franco conveniva in
giudizio davanti al Pretore di Milano l’Istituto nazionale di
previdenza dei giornalisti italiani (Inpgi) “G. Amendola”, chiedendo
la condanna alla corresponsione dell’assegno mensile di pensione.
Il giudice adito, con ordinanza emessa il 10 aprile 1981 (reg. ord.
n. 618 del 1982), sollevava questioni di costituzionalità dell’art. 10
della più volte citata l. n. 160 del 1975, che riteneva contrastante
con l’art. 3 Cost. in quanto: a) non essendo operante nei confronti di
tutti i pensionati, determinava disparità di trattamento fra costoro;
b) attuava poi una sperequazione, in danno dei pensionati, rispetto ai
lavoratori in servizio, producendo per i primi incrementi periodici del
trattamento di quiescenza minori di quelli prodotti sulle retribuzioni
dei secondi dall’operatività della scala mobile. Il Pretore indicava
anche, quali norme costituzionali di riferimento, gli artt. 36, 38, 42,
47 Cost., sostanzialmente ripetendo le censure svolte dai suddetti
giudici rimettenti.
Congiuntamente al citato art. 10 della l. n. 160 del 1975, il
Pretore denunciava poi, in relazione ai medesimi parametri
costituzionali, le norme ad esso connesse o di esso attuative e
segnatamente l’art. 2 del D. M. 20 ottobre 1977 (G.U. n. 298 del 2
novembre 1977) e del D. M. 5 gennaio 1980 (G. U. n. 38 dell’8 febbraio
1980) nella parte in cui, rispettivamente, stabilivano le misure degli
aumenti in percentuale ed in quota fissa a decorrere dal 1 gennaio 1978
e fissavano nella misura del 2,9% l’aumento decorrente dal 1 gennaio
1980.
Il Pretore impugnava infine l’art. 1 d.l. n. 942 del 1977 così
come conv. in l. n. 41 del 1978; l’art. 16 l. n. 843 del 1978; l’art.
14 d.l. n. 663 del 1979; l’art. 1 l. n. 33 del 1980. Queste norme,
secondo il magistrato rimettente, modificavano i criteri di cui
all’art. 10 l. n. 160/1975, determinando in ogni caso un peggioramento
dei trattamenti superiori al minimo.
6. – Lo stesso Pretore di Milano, in altra causa di identico
oggetto, promossa contro l’Inpgi da Paris Enzo, con ordinanza emessa il
22 giugno 1981 sollevava le medesime questioni di costituzionalità
(reg. ord. n. 517 del 1982).
7. – La Presidenza del Consiglio dei ministri interveniva in tutte
le cause, eccependo l’inammissibilità delle questioni. Nel merito
l’interveniente osservava che il precedente sistema di adeguamento,
ossia quello previsto nella l. n. 153 del 1969, aveva portato un
aumento delle pensioni superiori al minimo eccessivo rispetto a quelle
minime. Giustamente perciò il legislatore, nella sua discrezionalità
insindacabile ed esercitata nella specie in modo non esorbitante dai
limiti della ragionevolezza, aveva corretto il sistema: né era
ravvisabile nelle nuove norme alcuna violazione degli artt. 36 e 38
Cost., poiché esse lasciavano le pensioni adeguate alle esigenze di
vita degli aventi diritto.
La Presidenza del Consiglio negava poi che le norme impugnate
avessero attinenza alla tutela costituzionale della proprietà, del
risparmio e della equità tributaria.
Quanto alle questioni sollevate dal Pretore di Milano, essa
invocava ancora la discrezionalità del legislatore ed affermava la
ragionevolezza di scelte diversificate: si doveva infatti considerare
che le garanzie costituzionali del regime previdenziale, a differenza
di quelle poste dall’art. 36 Cost. per la retribuzione, non imponevano
l’adozione di un criterio di proporzionalità del trattamento di
quiescenza al pregresso trattamento retributivo.
8. – Al fine di sostenere la non fondatezza delle questioni si
costituivano l’Inpdai, l’Inps e le Casse di previdenza del personale
della Cassa di risparmio di Padova e di Rovigo e dell’Istituto bancario
San Paolo di Torino. Anche queste parti eccepivano preliminarmente
l’inammissibilità delle questioni stesse poiché esse, unico ed
immediato oggetto delle cause pendenti davanti ai giudici a quibus,
dovevano ritenersi proposte in via principale e non in via incidentale,
vale a dire in violazione dell’art. 23 l. 11 marzo 1953 n. 87.
Nel merito l’Inpdai osservava che il legislatore poteva
discrezionalmente determinare i criteri di calcolo delle pensioni
contemperando la tutela dei soggetti interessati con le esigenze di
bilancio degli enti previdenziali e senza che ciò comportasse la
violazione dei principi di eguaglianza e della tutela del lavoro o
previdenziale.
L’Inpdai negava, ancora, che la normativa in questione avesse
alcuna attinenza con gli artt. 47 e 53 Cost.
L’Ente aggiungeva, infine, che alcune norme successive a quelle
impugnate avevano modificato sia il massimale di retribuzione (l. n.
155 del 1981) sia il criterio di determinazione delle pensioni (l. n.
730 del 1983, art. 21).
Analoghe considerazioni svolgevano le altre parti private. In
particolare l’Inps notava che le pensioni più alte, come già le
retribuzioni, dovevano adeguarsi al costo della vita in misura minore
rispetto alle pensioni più basse, così potendo realizzarsi i principi
di solidarietà sociale e di eguaglianza.
9. – Al fine di sostenere la fondatezza delle questioni si
costituivano i pensionati Gianasso, Chiuffani, Maurizi, Gianesini,
Dalle Mura, Ceresa, Zanini, Curti, Foga (ed altri), Benedetti (ed
altri) e Martinelli.
Il Gianasso ravvisava un’evidente violazione del principio di
proporzionalità ed adeguatezza della retribuzione, e quindi della
pensione (artt. 36 e 38 Cost.), nel fatto che con il sistema di
perequazione censurato il potere di acquisto delle pensioni superiori
al minimo si sarebbe dimezzato nel giro di due-tre anni. Il principio
di eguaglianza, poi, veniva leso dall’ingiustificata disparità di
trattamento dei pensionati Inps rispetto a quelli di altre Casse di
previdenza, o anche rispetto ai dirigenti ancora in servizio, le cui
pensioni o retribuzioni continuavano ad adeguarsi pienamente
all’aumento del costo della vita. Analoghi argomenti venivano addotti
dalle altre parti.
10. – In prossimità dell’udienza sono state presentate memorie, di
adesione alle censure espresse nelle ordinanze di rimessione, dai
suddetti pensionati Chiuffani, Maurizi, Radicati Gianesini, Foga e
Benedetti.
Altre memorie, per contro, intese a sostenere l’infondatezza delle
questioni, sono state presentate dall’Inpdai (cause n. 335, 672/1980;
509, 591, 794/1981; 108, 213, 278/1982; 18, 316/1984), dall’Inps (causa
n. 345/1981), dalla Cassa di previdenza del personale della Cassa di
risparmio di Padova e Rovigo (causa n. 383/1981), dall’Istituto
bancario San Paolo di Torino nonché dalla sua Cassa di previdenza
(causa n. 42 del 1982).
11. – Nell’udienza pubblica del 5 novembre 1985 il giudice
Francesco Saja ha riferito su tutte le cause, tranne che su quelle n.
517 e 618 del 1982, sulle quali ha riferito il giudice Francesco Greco.
1. – Tutte le ordinanze indicate in epigrafe pongono, sia pure con
qualche lieve differenza di prospettazione, questioni analoghe o
connesse, relative alla perequazione automatica delle pensioni erogate
dalle gestioni speciali sostitutive del regime generale dei lavoratori
dipendenti. Pertanto i relativi giudizi vanno riuniti per essere
decisi con unica sentenza.
2. – Al fine di intendere compiutamente le ordinanze di rimessione,
sembra opportuno, data la complessità della materia, premettere
qualche cenno sulla disciplina legislativa che viene in discussione.
In proposito, è bene prendere le mosse dalla l. 30 aprile 1969 n.
153, la quale introdusse per la prima volta nel nostro ordinamento la
cosiddetta perequazione automatica, disponendo che le pensioni
venissero aumentate, con effetto dal 1 gennaio di ciascun anno, in
misura percentuale pari all’incremento dell’indice del costo della vita
calcolato dall’ISTAT ai fini della scala mobile della retribuzione ai
lavoratori dell’industria (art. 19). Tale normativa concerneva
l’assicurazione generale obbligatoria, e pertanto non comprendeva le
gestioni speciali, sostitutive o esonerative, alle quali continuava ad
applicarsi, anche in tema di perequazione, la disciplina propria di
ciascuna di esse.
Seguì la l. 3 giugno 1975 n. 160, la quale con l’art. 10
modificò, rispetto all’assicurazione generale obbligatoria, il
ricordato sistema di perequazione e, in particolare, per le pensioni
superiori al minimo (che costituiscono l’esclusivo oggetto dei giudizi
a quibus) stabilì che essa sarebbe avvenuta in base a due
coefficienti: a) uno variabile, rappresentato dalla differenza tra
l’aumento percentuale dei tassi delle retribuzioni minime contrattuali
e la variazione, parimenti percentuale, del costo della vita; b) uno
fisso, risultante dal prodotto tra l’ammontare del punto unico di
contingenza e il numero dei punti accertati per i lavoratori
dell’industria. Neppure questa normativa si applicava alle gestioni
speciali, che pertanto restavano ancora soggette ai rispettivi
ordinamenti.
Sopravvenne poi l’art. 1 d.l. 23 dicembre 1977 n. 942, così come
convertito nella l. 27 febbraio 1978 n. 41, il quale estese anche alle
predette gestioni, a decorrere dal 1 gennaio 1978, la disciplina
perequativa prevista dalla citata l. n. 160 del 1975.
Da ciò traggono origine le ordinanze di rimessione, le quali
formulano diverse censure, una riferita direttamente alla ricordata
norma di estensione, e le altre sostanzialmente rivolte contro la
suindicata disposizione dell’art. 10 l. n. 160 del 1975, la cui
disciplina, come ora detto, è divenuta applicabile alle diverse
gestioni speciali, in sostituzione dei rispettivi ordinamenti. I
giudici a quibus hanno sollevato anche questioni di minore rilievo,
impugnando disposizioni legislative connesse o conseguenziali, che
verranno in prosieguo specificate.
3. – Prima di occuparsi di dette censure rileva la Corte che il
Pretore di Milano ha ritenuto di poter coinvolgere nelle proposte
questioni anche i decreti ministeriali 20 ottobre 1977 e 5 gennaio
1980, i quali, in attuazione del più volte citato art. 10 l. n. 160
del 1975, stabiliscono le misure degli aumenti dei trattamenti
pensionistici. Al riguardo, però, è evidente come si imponga una
pronuncia di inammissibilità, non trattandosi di leggi né di atti
aventi forza di legge bensì di atti amministrativi, rispetto ai quali
non è consentito il giudizio di costituzionalità, ma è applicabile
la tutela prevista dall’art. 113, primo comma, Cost.
4. – Non può trovare accoglimento, invece, l’eccezione di
inammissibilità sollevata dall’Avvocatura dello Stato e da alcune
gestioni speciali, le quali hanno dedotto che le questioni di
legittimità costituzionale delle norme sopra indicate costituirebbero
l’unico oggetto dei giudizi a quibus e perciò non sarebbero state
sollevate in via incidentale, come imposto dall’art. 23 l. 11 marzo
1953 n. 87, bensì in via principale, al di fuori dei casi
tassativamente previsti dagli artt. 31, 32 e 33 della stessa legge
(impugnazione di legge regionale da parte dello Stato o di altra
regione, oppure di legge statale da parte di una regione). Invero
secondo i suddetti giudici, competenti a qualificare giuridicamente le
proposte domande, gli attori avevano convenuto in giudizio le varie
gestioni speciali al fine di ottenere che la perequazione delle
pensioni proseguisse secondo l’ordinamento loro proprio, di gran lunga
più favorevole della suindicata disciplina prevista dalla l. n. 160
del 1975. A fronte dell’eccezione formulata dalle convenute, i giudici
a quibus – rilevato che la disciplina ora richiamata, benché
peggiorativa del trattamento pensionistico originariamente previsto,
era applicabile al rapporto dedotto – hanno dubitato della legittimità
costituzionale di essa e ritenuto che una pronuncia di illegittimità
da parte di questa Corte avrebbe consentito l’accoglimento della
domanda.
Dal che si deduce chiaramente come le questioni di
costituzionalità siano state sollevate in via incidentale, perché
l’oggetto del giudizio di merito era dato dalla ricordata pretesa degli
attori, suscettibile di accoglimento soltanto previa caducazione della
normativa suddetta.
5. – Ciò posto, va esaminata la questione relativa all’art. 1 d.l.
n. 942 del 1977, convertito nella l. n. 41 del 1978, il quale, oltre ad
essere denunciato in via strumentale, al fine di censurare il sistema
perequativo dell’art. 10 l. n. 160 del 1975, da esso esteso alle
gestioni speciali, viene impugnato da numerose ordinanze anche in
maniera autonoma: si deduce, in proposito, che non era consentito al
legislatore disporre la detta estensione, idonea a peggiorare il
trattamento già assicurato ai pensionati delle gestioni sostitutive
per effetto di diritti quesiti, che la nuova legge era tenuta a
rispettare.
Osserva la Corte che nel nostro sistema costituzionale non è
interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali modifichino
sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata, anche se il loro
oggetto sia costituito da diritti soggettivi perfetti, salvo, qualora
si tratti di disposizioni retroattive, il limite costituzionale della
materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.). Dette disposizioni
però, al pari di qualsiasi precetto legislativo, non possono
trasmodare in un regolamento irrazionale e arbitrariamente incidere
sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti,
frustrando così anche l’affidamento del cittadino nella sicurezza
giuridica, che costituisce elemento fondamentale e indispensabile dello
Stato di diritto (v. sentt. n. 36 del 1985 e n. 210 del 1971).
Se quindi – in via di principio – rispetto alla fattispecie in
esame deve ritenersi ammissibile un intervento legislativo che, nel
rispetto dell’autonomia negoziale privata, modifichi l’ordinamento
pubblicistico delle pensioni, non può però ammettersi che tale
intervento sia assolutamente discrezionale. In particolare non potrebbe
dirsi consentita una modificazione legislativa che, intervenendo in una
fase avanzata del rapporto di lavoro, ovvero quando addirittura è
subentrato lo stato di quiescenza, peggiorasse senza un’inderogabile
esigenza, in misura notevole e in maniera definitiva un trattamento
pensionistico in precedenza spettante, con la conseguente,
irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite
dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria
attività.
Una siffatta irrazionale incidenza va però esclusa nel caso in
esame, in quanto l’estensione normativa considerata ha bensì
determinato un sacrificio per i pensionati delle gestioni speciali. Ma
questo sacrificio, da un lato, è strettamente collegato, secondo una
valutazione legislativa che non può ritenersi irrazionale, alla
necessità economico- sociale di evitare in un momento di grave crisi
economica notevoli disparità fra le diverse categorie di pensionati,
con le conseguenti tensioni sociali; mentre dall’altro, come sarà
chiarito in prosieguo, risulta sensibilmente contenuto nelle sue
dimensioni quantitative e temporali, in quanto il legislatore ha avuto
cura di sostituire senza eccessivi indugi il sistema denunciato con
altro, più rispondente alle esigenze dei pensionati, ed ha poi
altresì provveduto a compensare, sia pure in parte, il mancato
incremento patrimoniale verificatosi nel periodo di vigenza della
norma.
6. – Ritenuta non fondata la questione relativa alla disposizione
suddetta, in sé considerata, deve la Corte portare il suo esame sulle
numerose censure che, se pur formalmente riferite alla stessa
disposizione, sostanzialmente riguardano la disciplina dell’art. 10
della cit. legge n. 160 del 1975. Di tali censure, quella fondamentale
ha come parametri, congiuntamente, gli artt. 36 e 38 Cost. (qualche
ordinanza ha aggiunto pure l’art. 35, senza però addurre alcuno
specifico argomento in proposito, sì da rendere palese come detta
indicazione non dia luogo ad una distinta questione) perché sarebbero
stati violati i principi di proporzionalità ed adeguatezza, riferibili
non solo alla retribuzione, ma anche al trattamento pensionistico.
In proposito, la Corte non può non muovere dalla sua precedente
giurisprudenza e in particolare dalla decisione n. 26 del 1980,
ripetutamente invocata dalle parti private. Con essa venne ribadito
come dai parametri degli artt. 36 e 38 Cost. scaturisce “una
particolare protezione per il lavoratore, nel senso che il suo
trattamento di quiescenza, al pari della retribuzione in costanza di
servizio, della quale costituisce sostanzialmente un prolungamento a
fini previdenziali, deve essere proporzionato alla quantità ed alla
qualità del lavoro prestato, e deve in ogni caso assicurare al
lavoratore medesimo ed alla sua famiglia i mezzi adeguati alle loro
esigenze di vita per un’esistenza libera e dignitosa: proporzionalità
ed adeguatezza, che non debbono sussistere soltanto al momento del
collocamento a riposo, ma vanno costantemente assicurate anche nel
prosieguo in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto della
moneta”. Ciò – come la Corte ebbe ad aggiungere – non comporta
tuttavia automaticamente la necessaria e integrale coincidenza tra il
livello delle pensioni e l’ultima retribuzione; e peraltro lascia
sempre sussistere una sfera di discrezionalità riservata al
legislatore per l’attuazione, anche graduale, dei principi suddetti.
7. – Ora, la censura qui in esame concerne in realtà il principio
della proporzionalità, che si assume violato per effetto del sistema
introdotto in sostituzione di quello già ricordato dalla l. n. 153 del
1969 (che aveva determinato la perequazione automatica delle pensioni
in base a un criterio di aumento percentuale pari all’aumento
percentuale dell’indice del costo della vita calcolato dall’ISTAT):
sistema che indubbiamente determinerebbe non lievi perplessità se,
come fanno le ordinanze di rimessione e le parti private, venisse
considerato isolatamente, ossia in modo avulso dalle vicende
legislative successive.
È ben vero infatti che nei lavori preparatori e, in particolare,
nella Relazione ministeriale al disegno di legge del 1975, si affermò
che l’intento del legislatore era quello di agganciare le pensioni alla
dinamica salariale. Ma tale finalità non venne affatto tradotta nel
disposto legislativo, fondato come sopra si è detto (n. 2), su due
elementi, i quali, per la scarsa incidenza di quello variabile e la
preponderante rilevanza di quello fisso, hanno causato il c.d.
fenomeno dell’appiattimento. E proprio in questa situazione la qualità
del lavoro prestato non sembra trovare la considerazione e la tutela
voluta dalle norme costituzionali.
Invero, gli effetti concreti del sistema in questione hanno inciso
in maniera profondamente ineguale sulle pensioni, che, rispetto al
potere di acquisto della moneta, hanno subito, in casi che possono
considerarsi emblematici e secondo i calcoli dello stesso Istituto
nazionale della previdenza sociale, variazioni non rispondenti a
criteri di ragionevolezza e proporzionalità, in quanto comprese tra
aumenti del 179% per le pensioni meno alte (ma sempre superiori al
minimo) e diminuzioni del 39% ed oltre per quelle medio-alte.
Indubbiamente sulla nuova disciplina hanno esercitato il loro peso,
come già si è accennato, le particolari contingenze economiche di
quegli anni ed i connessi problemi, anche di carattere sociale; come
pure ha influito in modo rilevante l’evoluzione necessariamente
graduale del sistema di perequazione. Ma tutto ciò non avrebbe potuto
comunque giustificare le gravi conseguenze prodotte da detta
disciplina, se questa non fosse stata tempestivamente abbandonata e
sostituita con altra improntata a diverso criterio.
8. – Il che è avvenuto con la l. n. 730 del 1983 (art. 21), che ha
abolito, con decorrenza dal 1 gennaio 1984, il sistema del 1975 e ha
disposto che la perequazione automatica torni ad operare per tutte le
forme previdenziali solo in cifra percentuale, in base agli stessi
indici di aumento della scala mobile dei lavoratori dell’industria:
sicché, in luogo dell’incremento in misura fissa, il quale, come già
si è detto, ha comportato l’inammissibile fenomeno dell’appiattimento
delle pensioni, si è tornati al diverso sistema generale di incremento
commisurato all’importo di esse. Né in proposito sembra inutile
ricordare come la Relazione governativa al disegno di legge indichi,
tra gli scopi della nuova normativa, appunto quello di eliminare le
“distorsioni” prodotte da quella precedente.
Va altresì aggiunto che con la successiva l. 15 aprile 1985 n. 140
si è ulteriormente inteso riparare agli effetti negativi della l. n.
160 del 1975, disponendosi nell’art. 10 che le pensioni erogate dalle
gestioni speciali, quali quelle qui esclusivamente in discussione,
saranno valutate con i criteri previsti dalle normative delle singole
gestioni e secondo le possibilità economiche di esse: il che fa
altresì perdere rilievo all’argomento, ripetutamente addotto nel
presente giudizio e relativo all’ammontare dei contributi versati, in
quanto le somme eventualmente economizzate per effetto della l. n. 160
del 1975 verranno ora ridistribuite ai medesimi pensionati.
Dai superiori rilievi discende che la disciplina denunciata è
stata in vigore solo per alcuni anni, sicché questo carattere
temporaneo e contingente esclude, a parere della Corte, la fondatezza
della censura suddetta.
9. – Va ora esaminata la questione di legittimità costituzionale
della stessa norma, sollevata in riferimento all’art. 3 della
Costituzione sotto diversi profili, i quali debbono essere
separatamente considerati.
A) Senza fondamento si deduce anzitutto che sussisterebbe
ingiustificata disuguaglianza fra pensionati con trattamento superiore
al minimo, a cui si riferisce la denunciata norma dell’art. 10 l. n.
160 del 1975, e titolari di pensione pari al minimo, alle quali si
applica il diverso criterio dell’art. 9 della stessa legge (aumento
percentuale pari a quello delle retribuzioni minime nel settore
dell’industria).
Com’è noto, però, l’invocato principio di eguaglianza, sancito
dall’art. 3 della Costituzione, presuppone che le situazioni poste a
raffronto siano identiche ovvero, quanto meno, omogenee; mentre
nell’ipotesi qui esaminata risulta evidente l’intrinseca eterogeneità,
sia sotto il profilo sociale che sotto quello strettamente economico,
delle due categorie di soggetti (titolari di una pensione minima oppure
superiore al minimo), sicché non può considerarsi irrazionale una
diversa disciplina di perequazione per ciascuna di esse. Senza dire
che l’indicazione del cit. art. 9 come tertium comparationis non è
convincente anche sotto altro profilo e precisamente per la sua
inidoneità a costituire un elemento costante di raffronto, in quanto
agisce variamente secondo l’importo delle pensioni: ed appunto perciò
in altri giudizi la disciplina suddetta è stata denunciata in senso
inverso, reclamandosi l’applicazione della disposizione dell’art. 10,
più favorevole nei singoli casi di quella dell’art. 9 ult. cit.
B) Del pari la censura non regge sotto l’altro profilo dedotto,
concernente la diversità fra sistema di perequazione per il
trattamento pensionistico, da un lato, e sistema di retribuzione dei
lavoratori in servizio, dall’altro: sono invero palesemente diverse le
posizioni dei pensionati e dei lavoratori in servizio (si veda sul
punto anche la ricordata sent. n. 26 del 1980), sicché non può
ritenersi arbitrario un differente ordinamento anche in tema di
perequazione; il quale, peraltro, come già si è detto, è stato
successivamente modificato attraverso l’aggancio delle pensioni agli
indici di aumento della scala mobile dei lavoratori dell’industria
(cit. art. 21 l. n. 730 del 1983).
C) Ed infine non ha fondamento la censura riferita esclusivamente
ai dirigenti delle aziende industriali (i pensionati Inpdai) sul
rilievo che essi, a differenza degli altri pensionati, già prima
dell’entrata in vigore delle norme ora impugnate, avevano una base
massima di calcolo, e perciò di ammontare, della pensione: qui la
diversità di trattamento – che in ogni caso andrebbe considerata non
isolatamente ma in riferimento all’intero status normativo ed economico
dei detti dirigenti di azienda – riguarda semmai le norme che
stabiliscono la sunnominata base massima, estranee a questo giudizio,
ma non anche quelle relative alla perequazione attualmente sottoposte
all’esame della Corte.
10. – Il Pretore di Palermo con l’ordinanza n. 391 del 1981 ha
denunciato anche, per contrasto con l’art. 39 Cost., la disposizione
del cit. art. 10, sul rilievo che il sistema di perequazione da detta
norma previsto potrebbe avere modificato in peggio i criteri stabiliti
dai contratti collettivi, così violando l’autonomia contrattuale dei
sindacati. Va però rilevato come la censura viene proposta non già in
relazione ad una situazione costituente oggetto del giudizio a quo,
bensì ad una generica ipotesi: il che, per la mancanza del necessario
requisito della rilevanza, la rende inammissibile.
11. – Altra censura di cui la Corte deve occuparsi è quella mossa
in riferimento all’art. 42 Cost., sul rilievo che il diritto ad una
pensione predeterminata verrebbe assoggettato ad un prelievo forzoso
simile ad una espropriazione senza indennizzo (Pretori di Bassano del
Grappa e Arezzo). È evidente però l’inesattezza della qualificazione
della situazione giuridica considerata, non trattandosi dell’ablazione
di un bene ma della modificazione del trattamento pensionistico (sia
pure in senso sfavorevole) rispetto a quello in precedenza vigente. Non
è quindi in discussione l’istituto della proprietà, pur dovendosi
riconoscere che la posizione soggettiva in esame, la quale è
strettamente connessa al rapporto di lavoro e al conseguente
trattamento previdenziale, meriti la massima tutela, la quale però
trova la sua fonte, come si è detto, nelle disposizioni degli artt. 36
e 38 della Costituzione.
12. – Neppure fondate sono le altre questioni sollevate dai Pretori
di Palermo e Bassano del Grappa, con riferimento agli artt. 45, 47 e 53
della Costituzione.
Fuor di proposito, invero, rispetto alla prima è invocato il
principio della cooperazione mutualistica, giacché, a parte la
considerazione che in tema di assicurazioni sociali prevale di norma un
diverso principio (e cioè quello solidaristico, su cui cfr., da
ultimo, sent. nn. 132 e 133 del 1984), nulla impedisce al legislatore
di istituire, per superiori esigenze di politica sociale, un sistema
previdenziale omogeneo, che impedisca macroscopiche disparità ed
eventuali tensioni fra le varie categorie di lavoratori, sempre nel
rispetto dei principi e delle limitazioni dei quali si è fatto sopra
cenno (retro nn. 5 e 6) ed avendo riguardo alla “specialità” di alcuni
rapporti.
Altrettanto inconferente è il riferimento all’art. 47, poiché qui
non è in questione il fenomeno economico del risparmio, ma il ben
diverso istituto della sicurezza sociale, che, come già detto, va
esaminato in base ai principi, ad esso specificamente riferibili, di
cui agli artt. 36 e 38 Cost.
Infine non ha pregio il richiamo all’art. 53 Cost., non potendosi
certo ritenere che la nuova disciplina sia relativa ad una imposizione
tributaria; essa infatti non ha per oggetto una prestazione
patrimoniale diretta a contribuire agli oneri finanziari della pubblica
amministrazione, ma concerne esclusivamente, come più volte si è
osservato, il regime previdenziale dei lavoratori.
13. – Alcune ordinanze hanno poi denunciato gli artt. 16 e 18 l. 21
dicembre 1978 n. 843 nonché 14, 14 bis e 14 ter d.l. 30 dicembre 1979
n. 663, nel testo risultante della legge di conversione 29 febbraio
1980 n. 33, i quali hanno regolato diversamente talune modalità del
sistema di perequazione di cui all’art. 10 l. n. 160 del 1975, senza
tuttavia alterarne il criterio fondamentale. Queste norme, secondo i
giudici rimettenti (Pret. Bassano del Grappa, Torino, Imperia, Firenze,
La Spezia, Savona, Alessandria e Trib. Torino), violerebbero le
medesime norme costituzionali indicate per l’impugnazione della
norma-base (art. 10 l. n. 160/1975): pertanto le questioni ora
indicate si risolvono, in effetti, nella reiterazione di quelle sopra
esaminate, e risultano di conseguenza analogamente non fondate.
Con una diversa prospettazione le medesime norme degli artt. 16 l.
n. 843 del 1978 e 14 d.l. 30 dicembre 1979 n. 663 (convertito nella l.
n. 33 del 1980) sono state denunziate dal Pretore di Milano, sul
rilievo che esse, avendo sancito l’inapplicabilità alla quota
aggiuntiva fissa della misura percentuale degli aumenti rispettivamente
per gli anni 1979 e 1980, avrebbero ulteriormente peggiorato il
trattamento dell’art. 10 l. n. 160 del 1975, violando così – sempre ad
avviso del giudice rimettente – gli artt. 3, 38 e 42 Cost. In base ai
rilievi che precedono deve osservarsi anzitutto che l’unica norma in
tesi correttamente invocata sarebbe quella dell’art. 38. della quale,
però, nell’ipotesi suddetta si deve escludere la violazione, per la
medesima ragione sopra indicata: la disciplina denunciata va infatti
considerata nella sua sostanziale unitarietà e le singole
disposizioni, succedutesi su alcuni punti, aderiscono strettamente alla
gradualità di essa, sicché risultano prive di una propria autonomia e
perciò non suscettibili di un distinto giudizio di legittimità
costituzionale.
Si deve peraltro aggiungere che si tratta di misure legislative
disposte in uno dei momenti più critici del fenomeno inflattivo e
dirette a contenere gli effetti ad esso conseguenti, gravemente
negativi per la generalità dei cittadini e quindi anche per i
pensionati; la previsione normativa peraltro è stata contenuta in
limiti quantitativi talmente esigui (si è già detto della
modestissima portata della quota fissa), da escluderne una sensibile
incidenza nel quadro complessivo del singolo trattamento pensionistico.
14. – Dal Pretore di Torino (ord. n. 319 del 1984), è stata
denunciata la disposizione dell’art. 19 cit. l. n. 843/1978, la quale
stabilisce che la perequazione automatica si applica una sola volta ai
titolari di più pensioni.
Anche tale questione è destituita di fondamento.
La perequazione ha invero la peculiare finalità di compensare il
lavoratore delle conseguenze dell’accresciuto costo della vita, costo
che non irrazionalmente viene considerato soltanto una volta, onde
determinare un unico aumento di quanto corrisposto a titolo di pensione
o di retribuzione. Ciò può trovare anche conferma nella disciplina
dell’indennità integrativa speciale spettante al personale statale, la
quale, a norma dell’art. 1, quarto comma, l. 27 maggio 1959 n. 324,
compete ad un solo titolo, con opzione per la misura più favorevole
nei casi di consentito cumulo di impieghi.
15. – Il Pretore di Milano ha infine denunciato, per contrasto con
l’art. 3 Cost., l’art. 1 l. 29 febbraio 1980 n. 33, nella parte in cui,
aggiungendo al d.l. n. 663/1979, in sede di conversione, l’art. 14 bis,
prevede la periodicità semestrale della perequazione delle pensioni,
mentre i lavoratori in servizio fruiscono di un’indicizzazione delle
retribuzioni con periodicità trimestrale.
Anche tale censura non può trovare accoglimento, in quanto, come
già accennato, diversa è la posizione dei lavoratori in servizio
rispetto a quella dei pensionati, onde non risulta arbitraria la
disciplina che, anche su questo punto, preveda una regolamentazione
differenziata per le due categorie. Può anche aggiungersi che la
disposizione denunciata rappresenta un notevole miglioramento rispetto
alla normativa precedente, che prevedeva l’indicizzazione annuale (art.
10 cit. l. n. 160 del 1975) e va collocata quindi nell’ampio quadro
gradualmente migliorativo del sistema pensionistico, in corrispondenza
all’evoluzione della situazione socio-economica del Paese.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dei decreti ministeriali 20 ottobre 1977 e 5 gennaio
1980, sollevata in riferimento agli artt. 3, 36, 38, 42 e 47 Cost. dal
Pretore di Milano con le ordinanze indicate in epigrafe;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1 d.l. 23 dicembre 1977 n. 942 convertito
nella legge 27 febbraio 1978 n. 41, sollevata in riferimento all’art.
39 Cost. dal Pretore di Palermo, con l’ordinanza n. 391 del 1981
indicata in epigrafe;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 1 d.l. 23 dicembre 1977 n. 942, convertito nella legge 27
febbraio 1978 n. 41, nonché dell’art. 10 l. 3 giugno 1975 n. 160,
sollevate in riferimento agli artt. 3, 35, 36, 38, 42, 45, 47 e 53
Cost. dai Pretori di Aosta, Bassano del Grappa, Arezzo, Padova,
Palermo, Imperia, Firenze, Genova, La Spezia, Savona, Alessandria,
Torino, Milano e dal Tribunale di Torino con le ordinanze indicate in
epigrafe;
4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
degli artt. 16 e 18 l. 21 dicembre 1978 n. 843 nonché 14, 14 bis e 14
ter d.l. 30 dicembre 1979 n. 663, così come convertito nella l. 29
febbraio 1980 n. 33, sollevate, in riferimento agli articoli della
Costituzione citati sub 3, dai Pretori di Bassano del Grappa, Torino,
Imperia, Firenze, La Spezia, Savona, Alessandria, Milano e dal
Tribunale di Torino con le ordinanze indicate in epigrafe;
5) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 19 l. n. 843 del 1978 sollevata in riferimento agli artt. 3,
36, 38 e 53 Cost. dal Pretore di Torino con l’ordinanza indicata in
epigrafe;
6) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1 l. n. 33 del 1980 sollevata in riferimento agli artt. 3,
36, 38, 42, 47 Cost. dal Pretore di Milano con le ordinanze indicate in
epigrafe.
Così deciso in Roma. nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1985.
F.to: LIVIO PALADIN – ORONZO REALE –
ALBERTO MALAGUGINI – ANTONIO LA
PERGOLA – VIRGILIO ANDRIOLI –
FRANCESCO SAJA – GIOVANNI CONSO –
ETTORE GALLO – ALDO CORASANITI –
GIUSEPPE BORZELLINO – FRANCESCO GRECO
– RENATO DELL’ANDRO.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere