Sentenza N. 350 del 1985
Corte Costituzionale
Data generale
17/12/1985
Data deposito/pubblicazione
17/12/1985
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/12/1985
REALE – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof.
VIRGILIO ANDRIOLI – Dott. FRANCESCO SAJA – Prof. GIOVANNI CONSO –
Prof. ETTORE GALLO – Dott. ALDO CORASANITI – Prof. GIUSEPPE BORZELLINO
– Dott. FRANCESCO GRECO – Prof. RENATO DELL’ANDRO, Giudici,
78 legge 24 novembre 1981 n. 689 (Modifiche al sistema penale) promossi
con ordinanze emesse il 1 dicembre 1982 dal Pretore di Fermo, il 20
gennaio 1983 dal Pretore di Dolo, il 17 gennaio 1983 dal Pretore di
Genova, il 24 marzo 1983 dal Pretore di Oristano, il 12 aprile 1983 dal
Pretore di Adria, il 4 marzo 1983 dal Pretore di Gubbio, il 6 maggio
1983 dal Pretore di La Spezia (n. 2 ordd.), il 31 gennaio 1983 dal
Pretore di Milano, il 30 settembre 1983 dal Pretore di La Spezia, il 17
ottobre 1983 dal Pretore di Poggibonsi, il 29 settembre 1983 dal
Pretore di Arezzo, il 28 ottobre 1983 dal Pretore di La Spezia, il 29
novembre 1983 dal Pretore di Assisi, il 1 dicembre 1983 dal Pretore di
Rovereto, il 15 novembre 1983 dal Pretore di Assisi, il 31 ottobre 1983
dal Pretore di Poggibonsi, il 21 ottobre 1983 dal Pretore di Bergamo,
l’11 novembre 1983 dal Pretore di Gubbio, il 22 novembre 1983 dal
Pretore di Vigevano, il 30 gennaio 1984 dal Pretore di Poggibonsi, il
31 gennaio 1984 dal Pretore di Assisi, il 27 gennaio 1984 dal Tribunale
di Modena, il 14 febbraio 1984 dal Pretore di La Spezia (n. 2 ordd.),
il 13 marzo 1984 dal Pretore di La Spezia, il 28 aprile 1984 dal
Pretore di Livorno, il 5 marzo 1984 dal Pretore di Poggibonsi, il 26
marzo 1984 dal Pretore di Frattamaggiore (n. 2 ordd.), il 17 aprile
1984 dal Pretore di La Spezia, il 7 maggio 1984 dal Pretore di
Poggibonsi, il 27 aprile 1984 dal Pretore di Asti, il 10 maggio 1984
dal Pretore di Narni (n. 2 ordd.), il 14 maggio 1984 dal Pretore di
Frattamaggiore, il 25 maggio 1984 dal Pretore di La Spezia, il 21
maggio 1984 dal Pretore di Poggibonsi, il 28 maggio 1984 dal Pretore di
Frattamaggiore, il 10 aprile 1984 dal Pretore di Adria, il 25 ottobre
1983 dal Pretore di Adria, il 22 maggio 1984 dal Tribunale di La
Spezia, il 15 giugno 1984 dal Pretore di Castelfranco Veneto, il 24
marzo 1984 dalla Corte di cassazione (n. 2 ordd.), il 14 giugno 1984
dal Pretore di Dolo, il 28 gennaio 1984 dal Pretore di Pergine
Valsugana, il 23 ottobre 1984 dal Pretore di Chioggia (n. 2 ordd.), il
26 ottobre 1984 dal Pretore di La Spezia, il 5 novembre 1984 dal
Pretore di Castel Baronia, il 27 novembre 1984 dal Pretore di La
Spezia, il 17 novembre 1984 dal Pretore di Mirabella Eclano, iscritte
rispettivamente ai nn. 68, 220, 309, 492, 498, 527, 562, 563, 571, 981,
991, 1026, 1052 del registro ordinanze 1983, 2, 44, 46, 60, 72, 162,
281, 321, 356, 418, 467, 468, 499, 518, 522, 560, 561, 832, 867, 868,
890, 891, 892, 894, 944, 960, 961, 995, 1008, 1089, 1145, 1146, 1174,
1204, 1281, 1282, 1308 del registro ordinanze 1984, 15, 21 e 139 del
registro ordinanze 1985 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica nn. 184, 232, 239, 301, 308, 322 del 1983, 4, 102, 88, 95,
155, 141, 162, 204, 245, 252, 266, 231, 273, 307, 354 del 1984, 7 bis,
2 bis, 13 bis, 19 bis, 34 bis, 32 bis, 25 bis, 56 bis, 59 bis, 65 bis,
74 bis, 113 bis, 119 bis, 125 bis e 143 bis del 1985.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 5 novembre 1985 il Giudice relatore
Ettore Gallo;
udito l’Avvocato dello Stato Luigi Siconolfi per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
1. – Con le cinquantatré ordinanze riportate in epigrafe, le
Autorità giudiziarie ivi indicate hanno sollevato questione di
legittimità costituzionale dell’art. 77 della legge 24 novembre 1981
n. 689 (anche in riferimento all’art. 53 della stessa legge), in quanto
non consente l’applicabilità delle sanzioni sostitutive su richiesta
dell’imputato quando per il reato è prevista una pena detentiva
congiunta a quella pecuniaria. Tutte le ordinanze fanno riferimento
all’art. 3 Cost., ma talune anche all’art. 24 o all’art. 27 Cost..
Per i giudici rimettenti la particolare procedura in esame è
riservata esclusivamente agli autori di reati previsti con la sola pena
detentiva. In particolare, le Sezioni Unite penali della Corte di
Cassazione, nelle due ordinanze datate 24 marzo 1984, nn. 1145 e 1146,
hanno correttamente rilevato che la limitata area di applicazione
dell’art. 77 della legge si desume sia dal dato testuale che dalla
collocazione sistematica della norma: indicazioni queste assolutamente
preclusive di qualsiasi possibilità di sostituire la pena pecuniaria.
Ma poiché – ad avviso delle Sezioni Unite – il meccanismo delle
sanzioni sostitutive, attraverso cui si consegue l’effetto estintivo
del reato, deve necessariamente investire integralmente la pena
principale nella sua composita ma unitaria struttura, l’art. 77 è
inapplicabile anche ai reati puniti con pena detentiva congiunta a
quella pecuniaria “per la semplice ragione che la pena pecuniaria
(componente essenziale della sanzione complessa) non è sostituibile”.
2. – Le stesse Sezioni Unite penali, così come altri giudici dei
cinquantatré rimettenti, si davano poi carico di prendere in esame le
tre soluzioni proposte da una certa parte della dottrina e della
giurisprudenza nell’intento di superare le referite difficoltà
attraverso la via interpretativa: tutte, però, venivano definite prive
di pregio giuridico.
Disattesa subito, intanto, la tesi di chi ritiene che, nel caso di
pena congiunta, il giudice debba semplicemente astenersi dall’irrogare
la pena pecuniaria; sia perché – si sostiene – ciò presume
apoditticamente che i reati a pena congiunta sieno ricompresi nella
previsione normativa, sia perché poi ciò comporterebbe soprattutto
violazione del principio di legalità e obbligatorietà della pena,
sulla indimostrata presunzione di una rinunzia del legislatore
all’applicazione di quella pecuniaria.
Nemmeno, però, – sempre ad autorevole avviso delle Sezioni Unite
penali – può essere condivisa la tesi che sostiene una regolare
applicazione della pena pecuniaria principale da affiancarsi alle
sanzioni sostitutive di quella detentiva. Per tal modo, infatti, si
verrebbe a dar vita ad un contraddittorio provvedimento del giudice che
contestualmente dichiarerebbe la estinzione del reato e tuttavia
condannerebbe a pena pecuniaria per un reato estinto: per di più
determinerebbe ulteriori situazioni abnormi, come l’irrogazione di una
condanna in fase istruttoria o predibattimentale e l’ineseguibilità
della pena pecuniaria che resterebbe, comunque, travolta
dall’estinzione del reato.
La Corte di cassazione, però, non è favorevole nemmeno al
proposto ragguaglio (sia pure ai soli fini della sostituzione) della
pena pecuniaria a quella detentiva sulla base dell’art. 135 cod. pen.,
da cui procedere poi alla sostituzione dell’unica pena detentiva così
ottenuta. Ritiene, infatti, la Corte di cassazione che quel ragguaglio
sia operabile esclusivamente rispetto agli effetti previsti dal
legislatore: si tratterebbe, cioè, di una fictio iuris cui
l’interprete non può fare ricorso senza un riferimento normativo che
la giustifichi. Esclusa, quindi, la possibilità di risolvere la
questione in via interpretativa, ritengono le Sezioni Unite che una
siffatta situazione determini una disparità di trattamento fra coloro
che possono beneficiare della sostituzione e quelli che ne sono privati
per il solo fatto della presenza congiunta di una modesta pena
pecuniaria, dato che per ambo le situazioni vale la ratio che domina
l’istituto: evitare la sanzione detentiva di breve durata.
Per verità, questa motivazione in punto di non manifesta
infondatezza della sollevata questione è integrata dai rilievi dei
giudici di merito i quali, comparando una serie di reati, dimostrano
che la presenza di una modesta pena pecuniaria congiunta a quella
detentiva non è significativa di maggior gravità del reato rispetto a
quelli puniti con sola pena detentiva: l’aggiunta, infatti, di una
sanzione pecuniaria sottolinea di norma soltanto un certo carattere
dell’offesa, ispirata anche da motivi di lucro.
3. – Le ordinanze successive alla sentenza n. 148/1984 di questa
Corte, poi, (cfr. fra le altre, quelle del Pretore di Chioggia)
rilevando che la maggioranza della magistratura di merito, ed ora anche
le Sezioni Unite penali della Corte di cassazione, si sono trovate
concordi con la linea interpretativa della Corte costituzionale in
punto di sostituibilità della pena pecuniaria, fanno osservare che
questa Corte non si è invece, finora espressa riguardo alla questione
ora sollevata, essendo stata questa esplicitamente esclusa dall’ambito
di quella sentenza.
Come si è accennato, alcuni giudici fanno anche riferimento
all’art. 27 Cost., lamentando, nei casi di specie, la violazione delle
finalità rieducative della pena a causa della mancata previsione della
sua sostituibilità. Mentre – come pure si è detto – isolate ordinanze
(cfr. quelle del Pretore di Poggibonsi), sempre in aggiunta alla
denunzia del principio di uguaglianza, fanno anche riferimento a quello
di cui all’art. 24 Cost. lamentando, ma senza alcuna motivazione, la
violazione del diritto sostanziale di difesa.
Infine, il Pretore di Asti, con ord. 27 aprile 1984 n. 868, impugna
l’istituto stesso della sostituibilità della pena detentiva, nella
parte in cui prevede l’estinzione del reato in quanto – con riferimento
al principio di uguaglianza – rappresenterebbe un ingiustificato
beneficio a favore di taluni imputati, con discriminazione degli autori
di reati puniti con pena detentiva congiunta a pena pecuniaria.
4. – Le ordinanze sono state ritualmente notificate, comunicate e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale. È intervenuto nel giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura Generale dello Stato. Per le ordinanze antecedenti alla
citata sent. n. 148/1984 di questa Corte, l’Avvocatura ha concluso per
una sentenza interpretativa di rigetto, ritenendo applicabile l’art.
77 della legge anche alle ipotesi in esame attraverso un procedimento
di interpretazione o estensiva o addirittura analogica.
Per quelle, invece, successive alla richiamata sentenza,
l’Avvocatura richiede una pronunzia di inammissibilità della
questione.
1. – Tutte le ordinanze di rimessione impugnano la stessa norma,
lamentando che essa non consenta di sostituire la pena detentiva a
richiesta dell’imputato, se non quando essa sia prevista da sola o in
via alternativa a pena pecuniaria, ma non quando sia comminata
congiuntamente a quest’ultima. Tutte sollevano la questione con
riferimento al comune parametro di cui all’art. 3 Cost., anche se poi
alcune fanno altresì riferimento all’art. 24 o altre all’art. 27
Cost..
È, perciò, opportuno procedere alla riunione dei giudizi allo
scopo di decidere con unica sentenza.
2. – Una sola ordinanza, quella 27 aprile 1984 n. 868 del Pretore
di Asti, investe, come tale, lo stesso istituto della sostituibilità
della pena detentiva, che è visto come ingiustificato privilegio
rispetto alle altre ipotesi non sostituibili (pena pecuniaria, sola o
congiunta a pena detentiva).
Ma si tratta di questione palesemente irrilevante ex actis, in
quanto una pronunzia che annullasse – come si richiede -la denunziata
disposizione non avrebbe alcuna influenza sul processo cui l’incidente
si riferisce. L’art. 77 della legge, infatti, non potrebbe, in tal
caso, essere più applicato in assoluto, esattamente come, attualmente,
il Pretore lo giudica comunque inapplicabile al caso di specie.
Ciò dipende dal fatto che il giudice non chiede l’estensione della
procedura anche al caso sottoposto al suo esame, ma vuole che essa
venga esclusa anche per coloro che attualmente ne godono. E ciò,
peraltro, a prescindere dal fatto che il giudice non ha nemmeno risolto
il suo dubbio sulla pena che dovrà irrogare.
Così proposta, la questione è manifestamente inammissibile.
3. – Osservano i giudici rimettenti che il solo fatto di una
modesta pena pecuniaria, che si aggiunge nella previsione edittale a
quella detentiva, non è di per se stesso significativo di un più
grave disvalore del fatto di reato, rispetto a molti altri sanzionati
con la sola pena detentiva. Ed è bene chiarire che, correttamente si
parla di “modesta” pena pecuniaria, con riferimento a quel ragguaglio
di cui all’art. 135 cod. pen. che, contestato allo stato della
legislazione ai fini della sostituibilità della composita pena in
esame (come si è detto in narrativa), trova, invece, precisi
riferimenti nel sistema ogni qualvolta il legislatore fa dipendere da
un determinato ammontare complessivo della pena l’astratta possibilità
di applicazione di taluni istituti (sospensione condizionale della pena
– assoggettabilità a taluni provvedimenti restrittivi della libertà
personale – possibilità di concedere la libertà provvisoria –
ammissibilità di misure sostitutive in sede esecutiva etc.). Ne
deriva che qualunque indagine, diretta a stabilire la ragionevolezza
della sostituibilità anche delle pene detentive congiunte a quella
pecuniaria, ha comunque quale premessa indefettibile che si tratti di
una pena pecuniaria che, unita a quella detentiva, non abbia a superare
in concreto e nel complesso il limite di mesi tre oppure di un mese,
stabilito dal secondo inciso del primo comma dell’art. 53 della legge
(cui rimanda l’art. 77), a seconda che la sostituzione debba avvenire
con libertà controllata o con pena pecuniaria.
Entro questi limiti, pertanto, non può esservi dubbio che – come
lamentano le ordinanze di rimessione – se deve ritenersi che il
legislatore non consenta la possibilità di sostituire la pena
detentiva quando sia congiunta a pena pecuniaria, si verifichi una
disparità di trattamento rispetto agli autori di reati, anche più
gravi, puniti con sola pena detentiva: disparità resa evidente dal
rilievo secondo cui – scontata la modestia (e quindi la scarsa
rilevanza in punto di maggiore gravità) della pena pecuniaria – la
componente detentiva residua ha sicuramente quel carattere di brevità
che ha ispirato la concezione degli istituti di cui agli artt. 53 e 77
della legge.
4. – In realtà, le cinquantatré ordinanze in epigrafe, ivi
comprese le due delle Sezioni Unite penali della Corte di cassazione,
partono dalla premessa che, nel sistema e nel dettato della legge, la
pena pecuniaria non possa essere in alcun caso e in nessun modo
sostituibile.
Va notato che ben quarantanove delle predette ordinanze (Sezione
Unite comprese) sono antecedenti alla pubblicazione della sentenza n.
148/1984 di questa Corte, che ha espresso identico pensiero, escludendo
ogni possibilità di risolvere la questione in via interpretativa.
Ma tutte le citate ordinanze, ampliando il campo delle preclusioni,
assumono anche che uguale sorte tocchi, nell’ambito dell’art. 77 della
legge, alla pena detentiva quando sia congiunta a pena pecuniaria,
proprio perché, trattandosi di pena complessa, l’insostituibilità di
una delle sue componenti renderebbe impossibile l’intera operazione.
Tale indirizzo costituisce diritto vivente, particolarmente per
l’intervento delle due ordinanze delle Sezioni Unite penali che, con
ampia motivazione, hanno preso in esame le varie tesi che
giurisprudenza e dottrina avevano adombrate nell’intento di superare le
difficoltà di ordine letterale e sistematico.
La Corte, perciò, non può che prendere atto che il diritto
vivente esclude la possibilità di dare soluzione al problema sul piano
interpretativo.
5. – È nella costante giurisprudenza di questa Corte, però, il
principio secondo cui spetta alla autorità rimettente individuare
l’oggetto del giudizio, in guisa da circoscrivere in termini precisi
l’incidente di legittimità costituzionale. L’osservanza di tale
requisito si modella in vario modo a seconda della questione sollevata
dal giudice a quo. Talché, ad esempio, l’esigenza è stata ritenuta
insoddisfatta quando all’esame di legittimità, si prospetti in via
alternativa l’applicazione della norma denunziata (sent. 146/85),
ovvero sia stato portato un coacervo normativo con diversi precetti
autonomi campi di operatività (cfr. sent. 81/83) ovvero vengano
proposte questioni con un’antinomia di letture interpretative impugnate
così radicale da rendere ancipite il thema decidendi (sent. 169/1983).
In particolare quando, come nella specie, si invochi un intervento
additivo, e cioè un novum da introdurre nell’ordinamento, questa Corte
ha richiesto che il giudice a quo prospetti la soluzione idonea a
realizzarlo (cfr. sent. 296/84 e 230/85): soluzione che, in questo
caso, rappresenta l’indicazione normativa necessaria ad ancorare il
giudizio ad un oggetto determinato.
Orbene siffatta indicazione, nella specie, o manca del tutto o è
insufficiente nelle pur numerose ordinanze di rimessione, che si
limitano in genere a descrivere il profilo di illegittimità
costituzionale, ma non individuano in qual modo a questa carenza si
potrebbe porre rimedio con una statuizione che per di più si dovrebbe
palesare costituzionalmente obbligata (cfr., tra le altre, sentenze nn.
141, 234, 242, 294/84).
Vero è che talune ordinanze sembrano accennare in positivo una
soluzione additiva. Ma si tratta proprio di quei filoni interpretativi
che le Sezioni Unite della Cassazione hanno respinto sulla base di
precise argomentazioni sistematiche; le soluzioni da essi proposte, non
sarebbero, comunque, strettamente obbligate e perciò risulterebbero di
pertinenza del legislatore più che del giudice di legittimità
costituzionale (cfr. sent. n. 232 del 1984; n. 141/84; e 103/84): per
taluna di esse, anzi, la Cassazione ha adombrato anche qualche dubbio
di legittimità costituzionale.
6. – Purtroppo tante difficoltà e così gravi incertezze dipendono
dalla singolare vicenda parlamentare che la legge ha avuto proprio
riguardo al cosidetto “patteggiamento”.
Nella sua originaria concezione, così come lo aveva formulato il
comitato ristretto della Camera dei deputati, l’art. 52 bis del
progetto (l’attuale 77) parlava di applicazione (a richiesta
dell’imputato) di “misura corrispondente alla sanzione stessa, mediante
sentenza non impugnabile colla quale (il giudice) dichiara l’estinzione
del reato”. Non si trattava, perciò, di sanzione penale, e la sentenza
aveva senza dubbio, nel pensiero dei primi compilatori, carattere di
proscioglimento.
Ma, a seguito dei rilievi della Commissione affari costituzionali,
che ritenne improponibile in tema di provvedimenti limitativi della
libertà personale, un sistema analogo a quello della oblazione, l’art.
52 bis venne modificato coll’introduzione dei brevi accertamenti e
colla sostituzione dell’espressione “sanzione” a quella di “misura”.
A fronte di tale modificazione, la Commissione giustizia del Senato
(rel. Valiante) giudicò a quel punto contraddittoria la previsione di
una sentenza estintiva del reato e la soppresse per coerenza colla
nuova complessiva struttura della disposizione. Ma la Camera dei
deputati, osservando che per tal modo si sarebbe completamente
vanificato l’istituto, reintrodusse la sentenza estintiva (rel.
Sabbatini), ed il Senato – benché fosse rimasto di parere contrario –
non insistette a causa dei “pericoli di intollerabili allungamenti dei
tempi” che il rappresentante del Governo metteva in evidenza nella
seduta del 22 ottobre 1981. Il dissenso fra i due rami del Parlamento e
l’intervento sollecitatorio del Governo cagionarono, quindi, questa
frettolosa formulazione definitiva, carica di interne contraddizioni.
Non può stupire, perciò, che dottrina e giurisprudenza ne abbiano poi
dato interpretazioni così contrastanti, e che questa Corte
conseguentemente non abbia la possibilità di operare delle scelte
costituzionalmente obbligate, e tanto meno interventi che
postulerebbero una diversa e coordinata disciplina normativa.
Non resta, quindi, altra alternativa che la declaratoria di
inammissibilità: sicuramente inappagante per i quesiti che la
giustizia propone con giustificata preoccupazione. Proprio per questo,
però la Corte non può esimersi dal richiamare l’attenzione del
legislatore sull’ormai indifferibile esigenza di dare alla materia in
esame una più adeguata normativa.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi, dichiara manifestamente inammissibile la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 77 della l. 24
novembre 1981 n. 689 (modifiche al sistema penale) sollevata dal
Pretore di Asti con ordinanza 27 aprile 1984 n. 868/1984 R.O. in
riferimento all’art. 3 Cost..
Dichiara inammissibili tutte le questioni concernenti lo stesso
art. 77 l. 24 novembre 1981 n. 689 proposte dalle altre Autorità
giudiziarie indicate in epigrafe con le ordinanze ivi precisate, tanto
con riferimento all’art. 3 Cost., quanto in riferimento agli artt. 24 e
27 Cost. (reg. ord. nn. 68, 220, 309, 492, 498, 527, 562, 563, 571,
981, 991, 1026, 1052/83; 2, 44, 46, 60, 72, 162, 281, 321, 356, 418,
467, 468, 499, 518, 522, 560, 561, 832, 867, 890, 891, 892, 894, 944,
960, 961, 995, 1008, 1089, 1145, 1146, 1174 1204, 1281, 1282, 1308/84;
15, 21, 139/85).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1985.
F.to: LIVIO PALADIN – ORONZO REALE –
ALBERTO MALAGUGINI – ANTONIO LA
PERGOLA – VIRGILIO ANDRIOLI –
FRANCESCO SAJA – GIOVANNI CONSO –
ETTORE GALLO – ALDO CORASANITI –
GIUSEPPE BORZELLINO – FRANCESCO GRECO
– RENATO DELL’ANDRO.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere