Sentenza N. 351 del 2000
Corte Costituzionale
Data generale
25/07/2000
Data deposito/pubblicazione
25/07/2000
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/07/2000
Presidente: Cesare MIRABELLI;
Giudici: Francesco GUIZZI, Fernando SANTOSUOSSO, Massimo VARI,
Cesare RUPERTO, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA,
Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza
degli enti territoriali, a norma dell’art. 4 della legge 23 ottobre
1992, n. 421), promossi con ordinanze emesse rispettivamente il
18 dicembre 1998 dalla Corte d’appello di Trieste nel procedimento
civile vertente tra Fabris Palma Maria Liliana e il comune di
Lestizza, iscritta al n. 258 del registro ordinanze 1999 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie
speciale, dell’anno 1999 e il 15 aprile 1999 dalla Corte d’appello di
Genova, nel procedimento civile vertente tra la ditta “Antonio
Cortesia” in concordato preventivo e il comune di La Spezia ed altra,
iscritta al n. 374 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale,
dell’anno 1999;
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 23 febbraio 2000 il giudice
relatore Riccardo Chieppa;
indennità di espropriazione, promosso dall’espropriato, la Corte
d’appello di Trieste, con ordinanza 18 dicembre 1998 (r.o. 258 del
1999), ha sollevato questione di legittimità costituzionale
dell’art. 16, comma 1, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino
della finanza degli enti territoriali, a norma dell’art. 4 della
legge 23 ottobre 1992, n. 421), in riferimento agli artt. 42 e 53
della Costituzione.
Premette il rimettente che l’art. 16 del d.lgs. 30 dicembre 1992,
n. 504 stabilisce che l’indennità dovuta in caso di espropriazione
di area fabbricabile deve essere ridotta al minor valore indicato
nell’ultima dichiarazione I.C.I., presentata dall’espropriato;
osserva, in proposito, che il proprietario, ai fini della
dichiarazione I.C.I. dovuta per l’anno 1993, aveva considerato il
terreno come agricolo e, conseguentemente, liquidato il tributo in
base ad un valore imponibile corrispondente a settantacinque volte il
reddito dominicale corrispondente.
Ciò premesso, il giudice a quo rileva che la norma in questione
si porrebbe in contrasto con gli artt. 42 e 53 della Costituzione, in
quanto, oltre a collegare l’ammontare del ristoro patrimoniale ad una
dichiarazione del proprietario resa a fini tributari, comporterebbe
la penalizzazione dell’interessato sul piano indennitario non solo in
caso di dichiarazione fiscale preordinata a fini di evasione
dell’imposta, ma, altresì, in caso di dichiarazione dovuta a mero
errore, dipendente – come nella fattispecie in rilievo nel giudizio
principale – da confusa ed ambigua situazione urbanistica.
2. – Analoga questione di legittimità costituzionale è stata
sollevata, sia pure in riferimento ad ulteriori parametri
costituzionali, dalla Corte d’appello di Genova con ordinanza
15 aprile 1999.
Premette il giudice a quo che, ai fini della dichiarazione
I.C.I., il proprietario dei terreni sottoposti ad esproprio aveva
denunciato per la maggior parte di essi un imponibile commisurato al
reddito dominicale e, comunque, inferiore al valore stimato dal
C.T.U., il quale ha indicato quale elemento di calcolo ex art. 5-bis
del d.l. n. 333 del 1992, convertito, con modificazioni, nella legge
8 agosto 1992, n. 359, della indennità un valore venale del comparto
di L. 1.278.030.000, che, per effetto della semisomma ex art. 5-bis
viene calcolato in L. 639.026.000 e con la deduzione del 40% ridotto
a L. 383.415.000.
La norma impugnata, secondo il rimettente, si porrebbe in
contrasto con gli artt. 3, 24, 42, terzo comma, e 97 della
Costituzione, per i seguenti rilievi:
il criterio di determinazione dell’indennità, di cui alla
norma impugnata, apparirebbe, prima facie, incompatibile con il
principio di adeguatezza dell’indennizzo di cui all’art. 42, terzo
comma, della Costituzione. Tale principio, pur rimesso alla
discrezionalità del legislatore in considerazione di finalità
perequative con gli scopi inerenti alla funzione sociale della
proprietà, tuttavia non dovrebbe consentire limitazioni che,
perseguendo altre finalità di tipo sanzionatorio fiscale, possano
dar luogo alla liquidazione di una indennità al di sotto della
soglia minima di serietà e non simbolicità dello stesso;
per la irragionevole disparità di trattamento tra
proprietario espropriato e proprietario che sia stato privato del
bene per effetto di occupazione appropriativa in cui l’infrazione
fiscale non produce alcun effetto sulla liquidazione del danno
egualmente calcolato ex art. 5-bis del d.l. n. 333 del 1992,
convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359 (con
alcuni correttivi migliorativi: non abbattimento del 40%, addizione
del 10%);
per una ulteriore disparità di trattamento – avente riflessi
anche sul diritto di difesa – sotto il profilo degli espropriati
“evasori totali” ed espropriati “evasori parziali” dell’I.C.I.;
per l’arbitrario ed indiretto recupero consentito all’ente
impositore (sub specie di minore indennizzo) di un tributo non più
dovuto dal proprietario spossessato del bene.
3. – In tutti i giudizi introdotti con le ordinanze alle quali si
è fatto sopra riferimento, è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei Ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale
dello Stato, che ha concluso per la infondatezza della questione
sollevata.
In particolare, la difesa dello Stato osserva che la norma
denunciata assolverebbe essenzialmente ad una funzione dissuasiva
dall’evasione dell’I.C.I. e che, peraltro, avendo la norma in esame
un ristretto ambito di operatività, potendo essa trovare
applicazione per le sole aree fabbricabili, il raffronto dovrebbe
essere posto tra “valore venale” dichiarato ai fini I.C.I. e “valore
venale” determinato ai fini dell’indennità (e da assumere, secondo
il vigente art. 5-bis del d.-l. n. 333 del 1992, convertito, con
modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, a base della
relativa liquidazione), in quanto entrambi “riferiti” ad un immobile
egualmente qualificato come area fabbricabile, con la conseguenza che
un divario di valori – con l’effetto sanzionatorio in discorso – non
rileverà se non quando lo stesso evidenzi una difformità nella
stima dell’identico bene.
via incidentale, all’esame della Corte, riguardano l’art. 16, comma
1, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli
enti territoriali, a norma dell’art. 4 della legge 23 ottobre 1992,
n. 421), il quale dispone che “in caso di espropriazione di area
fabbricabile l’indennità è ridotta ad un importo pari al valore
indicato nell’ultima dichiarazione o denuncia presentata
dall’espropriato ai fini della applicazione dell’imposta” (I.C.I.)
“qualora il valore dichiarato risulti inferiore all’indennità di
espropriazione determinata secondo i criteri stabiliti dalle
disposizioni vigenti”.
Viene denunciata la violazione:
dell’art. 42, terzo comma, della Costituzione, giacché la
anzidetta norma, oltre a collegare l’ammontare del ristoro
patrimoniale dovuto ad una dichiarazione del proprietario resa a fini
tributari, comporterebbe la penalizzazione dell’interessato non solo
in caso di dichiarazione fiscale preordinata a fini di evasione
dell’imposta, ma, altresì, in caso di dichiarazione dovuta a mero
errore ed, inoltre, sembrerebbe incompatibile con il principio di
adeguatezza dell’indennizzo (r.o. nn. 258 e 374 del 1999);
dell’art. 53 della Costituzione, in quanto si ricorrerebbe
all’applicazione di una sanzione extra-fiscale per inosservanza di un
dovere tributario (r.o. n. 258 del 1999);
dell’art. 3 della Costituzione, per la irragionevole
disparità di trattamento tra proprietario espropriato e proprietario
che sia stato privato del bene per effetto di occupazione
appropriativa (r.o. n. 374 del 1999);
degli artt. 3 e 24 della Costituzione, per disparità di
trattamento tra espropriati “evasori totali” ed espropriati “evasori
parziali” dell’I.C.I. (r.o. n. 374 del 1999) avente riflessi sul
diritto di difesa;
dell’art. 97 della Costituzione, per l’arbitrario ed
indiretto recupero, consentito all’ente impositore, di un tributo non
più dovuto dal proprietario spossessato del bene (r.o. n. 374 del
1999).
2. – I giudizi, avendo per oggetto la stessa norma, vanno riuniti
per essere decisi con un’unica sentenza, in considerazione della
evidente connessione oggettiva, ed attesa la sostanziale identità
delle questioni proposte.
3. – Le questioni sono prive di fondamento.
Giova precisare che la norma contestata non modifica il sistema
di calcolo dell’indennizzo, che per le aree fabbricabili resta
regolato secondo i criteri stabiliti dalle disposizioni vigenti
(art. 5-bis del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con
modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359 – sul quale è
intervenuta la sentenza n. 283 del 1993 – e successivamente
modificato dall’art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995,
n. 549 – sul quale è intervenuta la sentenza n. 369 del 1996 – a sua
volta, integrato poi dall’art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre
1996, n. 662).
Invece, l’art. 16 del d.lgs. n. 504 del 1992 prevede, per le sole
aree fabbricabili, una riduzione della indennità di espropriazione,
quando il valore venale, dichiarato o denunciato dall’espropriato ai
fini I.C.I., risulti inferiore all’indennità, come sopra calcolata.
Quale effetto ulteriore di bilanciamento equitativo della nuova
imposizione è prevista (senza una distinzione tra aree fabbricabili
e altri immobili) una maggiorazione della indennità, pari alla
differenza (con l’aggiunta degli interessi) tra l’importo della
imposta (I.C.I.) pagata dall’espropriato o dal suo avente causa per
il medesimo bene, negli ultimi cinque anni, e quello risultante dal
computo dell’imposta sulla base della indennità liquidata.
Con tale sistema, in particolare per le aree fabbricabili, per le
quali possono verificarsi difficoltà e differenze di valutazione, in
relazione a situazioni non omogenee che si riflettono sul calcolo
della semisomma tra valore venale e decuplo della rendita catastale,
il legislatore ha voluto introdurre un duplice correttivo: il primo
specifico per le sole aree fabbricabili – è che la indennità non
possa essere liquidata al di sopra del valore denunciato per
l’I.C.I..
In altri termini, la indennità, per le sole aree fabbricabili
(tali devono essere anche al momento della denuncia I.C.I.,
altrimenti la norma non è applicabile venendo neno l’omogeneità
delle posizioni valutate), viene ancorata, come limite massimo, al
valore venale dell’area, che ultimamente era stato dichiarato ai fini
I.C.I.; nello stesso tempo il contribuente è posto in condizione di
conoscere di questo ulteriore effetto della dichiarazione tributaria,
perché la disposizione risulta inserita sia nella legge di delega,
sia nel decreto delegato istitutivi dell’I.C.I., anteriore quindi a
qualsiasi espropriazione soggetta a questa regola, in quanto
logicamente applicabile solo con riferimento ad espropriazioni di
aree fabbricabili successive all’obbligo della dichiarazione I.C.I.
L’altro correttivo, non applicabile alle sole aree fabbricabili,
è, invece, di maggiorazione e consente a favore dell’espropriato il
recupero corrispondente alla eccedenza di imposta I.C.I. pagata per
gli ultimi cinque anni, rispetto alla imposta che sarebbe stata
calcolata sulla base della indennità concretamente liquidata.
4. – Il meccanismo (preventivo-disincentivante) di dissuasione
dall’evasione si inserisce in una manovra di finanza, diretta a
rafforzare le capacità finanziarie delle regioni e degli enti locali
attraverso risorse proprie: viene istituita l’imposta comunale sugli
immobili accompagnata dalla soppressione dell’I.N.V.I.M. (imposta
comunale sull’incremento di valore degli immobili) e dalla esclusione
dei redditi dominicali delle aree fabbricabili e dei redditi dei
terreni agricoli e dei fabbricati dall’I.L.O.R. (imposta locale
redditi).
In relazione a talune difficoltà di definizione di area
fabbricabile, la legge delega ed il decreto delegato istitutivo
dell’I.C.I. (puntualmente in aderenza) offrono, ai fini della
dichiarazione della stessa imposta, una individuazione di area
fabbricabile sulla base dei criteri previsti agli effetti della
indennità di espropriazione, ed attribuiscono, a favore del
contribuente, la facoltà di ottenere una attestazione dal comune che
definisca la natura dell’area (fabbricabile o meno), in modo da
potere rimuovere eventuali dubbi ed escludere errori e
responsabilità, tanto maggiori in quanto diversi sono i sistemi di
calcolo dell’imposta, sempre basata sul valore degli immobili
sottoposti all’I.C.I., ma determinato alla stregua del valore venale
in comune commercio (integrato da una serie di criteri) per le aree
fabbricabili, e degli estimi del catasto per tutti gli altri immobili
(fabbricati e terreni agricoli).
Il sistema è, quindi, nel complesso diretto ad incentivare
fedeli autodichiarazioni di valore delle aree fabbricabili ai fini
I.C.I. e, nello stesso tempo, ad avviare una armonizzazione tra
identificazione ai fini tributari ed ai fini espropriativi delle aree
fabbricabili, attesa la radice comune di definizione delle stesse
aree.
In tale maniera si produce un incentivo, per il proprietario, a
dichiarare – la dichiarazione era annuale per le variazioni di ogni
genere (trattasi di periodo anteriore alla ampliata potestà
regolamentare dei comuni: d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 59) –
fedelmente un valore venale, che tenga conto della destinazione (al
momento della dichiarazione) edificabile, comportante in genere una
lievitazione rispetto al valore su base catastale. L’incentivo è
prodotto, da un canto, dai riflessi limitativi, in caso di esproprio,
sulla liquidazione della indennità di esproprio (art. 16, comma 1,
del d.lgs. n. 504 1992), e, dall’altro lato, dalla possibilità
generale di un recupero (attraverso una maggiorazione della
indennità stessa) della imposta degli ultimi cinque anni, nel caso
in cui essa sia stata calcolata sul valore dichiarato in eccesso
rispetto a quella risultante sulla base dell’anzidetta indennità
(art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1992; art. 4, comma 1,
lettera a) numero 18, della legge 23 ottobre 1992, n. 421).
5. – Il meccanismo di aggancio (limitativo), tra indennità di
esproprio e valore dichiarato in sede di I.C.I., risulta, pertanto,
tutt’altro che manifestamente irragionevole o palesemente arbitrario,
risolvendosi, attraverso un giusto equilibrio tra mezzo impiegato e
scopo perseguito, in un rafforzamento indiretto dell’adempimento di
obblighi tributari ed in un incentivo alla lealtà, correttezza e
chiarezza di rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione, sia
nell’adempimento del dovere di concorrere alle spese pubbliche
(art. 53 della Costituzione), sia nel partecipare alla determinazione
di valore, anche ai fini della indennità di espropriazione per
motivi di interesse generale (art. 42, terzo comma, della
Costituzione).
Il disposto legislativo tende, principalmente, ad un recupero di
evasione o a disincentivarla. Il fatto che questa evasione sia totale
o parziale, ovvero dipendente o meno da volontà consapevole o da
mero errore nella dichiarazione, poco interessa ai fini della
legittimità costituzionale; in ogni caso è colpevole e, quindi, il
soggetto privato può essere assoggettato a conseguenze di
responsabilità. Infatti la legge, contestualmente, gli attribuisce
una facoltà di tutela, consentendogli di pretendere dal comune la
certificazione della qualità edificatoria dell’area (definizione di
area fabbricabile) (art. 4, comma 1, lettera a), numero 5, della
legge di delega n. 421 del 1992; art. 2, comma 1, lettera b), ultima
parte, del d.lgs. n. 504 del 1992). Dal combinato disposto delle
anzidette norme può trarsi l’ovvia conseguenza che una dichiarazione
conforme alla “definizione”, contenuta nella certificazione del
comune, non avrebbe potuto produrre per il soggetto privato
conseguenze negative, mentre sarebbe eventualmente sorta solo
responsabilità, di altro genere, dello stesso comune per la
attestazione rilasciata.
Le varie ipotesi di evasore totale o parziale formulate nelle
ordinanze di rimessione sono tutte erronee nei presupposti: infatti,
l’evasore totale non viene affatto avvantaggiato, in quanto è
destinato a subire in ogni caso le sanzioni per la omessa
dichiarazione, nonché l’imposizione per l’I.C.I. che aveva tentato
di evadere; inoltre, la erogazione dell’indennità di espropriazione
non può intervenire, se non dopo la verifica che non superi il tetto
massimo ragguagliato al “valore” denunciato per l’I.C.I., e, quindi,
solo dopo la presentazione della denuncia I.C.I. e la conseguente
regolarizzazione della posizione tributaria, con concreto avvio del
recupero dell’imposta e delle sanzioni. Il che presuppone in ogni
caso che si tratti di area fabbricabile (tale al momento della
dichiarazione) e che il soggetto espropriato, fosse, alla data di
riferimento dell’indennità, tenuto all’I.C.I..
L’evasore parziale resta soggetto alle stesse conseguenze per il
minor valore dichiarato, potendo il comune – ove nei termini e sempre
nel presupposto che l’I.C.I. sia dovuta – procedere ad accertamento
una volta richiesto dei dati necessari ai fini del calcolo definitivo
dell’indennità di esproprio.
6. – Sul piano più generale deve essere posto in rilievo che non
è estranea all’ordinamento giuridico la utilizzazione, in base a
legge, di un valore dichiarato anche ad altri fini e persino al di
fuori del rapporto intersoggettivo in cui è reso, soprattutto quando
il valore-prezzo assuma la funzione di corrispettivo per
trasferimenti a carattere coattivo. È sufficiente, a tal fine, il
richiamo esemplificativo alle ipotesi di prelazione legale e riscatto
sia nel campo dei fondi rustici per lo sviluppo della proprietà
coltivatrice (legge 26 maggio 1965, n. 590), sia per gli immobili
urbani in locazione (legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 39), sia
nell’ambito delle aree protette a favore dell’ente parco (legge
6 dicembre 1991, n. 394) ed infine alla prelazione dello Stato ai
sensi della legge 1° giugno 1939, n. 1089, in caso di alienazione di
bene storico-artistico vincolato (sentenza n. 269 del 1995) (v. ora
d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490).
7. – Non esiste neppure una ingiustificata disparità di
trattamento tra espropriato in base a regolare procedura di esproprio
e colui che abbia subito una occupazione acquisitiva (detta anche
accessione invertita), contemplata espressamente da una serie di
disposizioni legislative (v. art. 3 della legge 27 ottobre 1988,
n. 458; art. 6, comma 2, del d.l. 18 gennaio 1993, n. 8, convertito,
con modificazioni, nella legge 19 marzo 1993, n. 68; art. 10, comma
3-bis del d.l. 27 ottobre 1995, n. 444, convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 20 dicembre 1995,
n. 539; art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662).
Infatti, sono situazioni del tutto diverse, essendo la seconda
caratterizzata da un non legittimo agire della pubblica
amministrazione, sia pure assistito da una valida dichiarazione di
pubblica utilità dell’opera. È quindi naturale che la pubblica
amministrazione subisca le conseguenze del proprio operato, con un
risarcimento ragguagliato in modo necessariamente superiore a quella
che avrebbe potuto essere una indennità di espropriazione di area
fabbricabile e quindi con riferimento ad altri criteri meno
favorevoli per la stessa amministrazione (aumento del 10%; esclusione
dell’abbattimento del 40%) (v. sentenza n. 148 del 1999).
8. – Ai fini della contestata legittimità costituzionale, non
interessa la qualificazione dell’art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 504
del 1992, nel senso che esso contenga una misura sanzionatoria o
meno, o se il presupposto della norma sia una dolosa evasione
d’imposta o un errore, più o meno gravemente colpevole, sulla natura
dell’area oggetto dell’espropriazione.
Si tratta, invece, di ragionevole applicazione del principio
secondo cui il soggetto privato, nei rapporti con la pubblica
amministrazione, necessariamente improntati a lealtà, correttezza e
collaborazione, in quanto siano in gioco gli obblighi di solidarietà
politici, economici e sociali (art. 2 della Costituzione), tra i
quali quelli in materia tributaria, non può sottrarsi alle
conseguenze di una sua dichiarazione. Ciò ovviamente quando questa
dichiarazione sia contemplata espressamente dalla legge in modo
preciso e chiaro, con preventiva (e quindi consapevole) previsione di
duplice valenza, negli aspetti di valutazione del bene a fini
tributari e come limite di liquidazione di indennità di esproprio, e
quando non vi sia un intervallo di tempo significativo tra
dichiarazione di valore ad una certa data (1° gennaio dell’anno, a
fini tributari) e momento di riferimento – nello stesso anno – della
valutazione e liquidazione (di indennità).
Da rilevare, infine, che la natura edificatoria dell’area è in
genere una rivendicazione costante dei soggetti privati colpiti da
esproprio nel contestare la indennità offerta e pretendere una
indennità superiore, e lo è stato anche nelle presenti
controversie, sicché è fuori luogo ogni accenno a situazioni
meramente ipotetiche di errore incolpevole, attesa la consapevolezza
del valore dell’area e il mancato esercizio della facoltà di
richiesta di attestazione al comune interessato.
9. – Le predette considerazioni portano ad escludere la
sussistenza della denunciata violazione degli artt. 3, 24, 42, terzo
comma, e 53 della Costituzione.
Quanto all’invocato parametro dell’art. 97 della Costituzione, è
sufficiente, ai fini della infondatezza del profilo, il rilievo che
la norma in esame non coinvolge, se non in modo del tutto indiretto,
profili organizzativi dell’attività della pubblica amministrazione
ed, in ogni caso, tende a finalità che non contrastano con il buon
andamento della stessa pubblica amministrazione, ed anzi è
indirizzata ad un recupero della reciproca correttezza dei rapporti
tra pubblica autorità ed amministrati, presupposto di ogni civile
convivenza.
In ogni caso non si può configurare “un tributo non dovuto”, in
quanto la norma denunciata – giova sottolinearlo ancora una volta –
riguarda solo le aree fabbricabili per le quali sia dovuta l’I.C.I.
all’epoca di riferimento dell’indennità di espropriazione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi,
Dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 16, comma 1, del d.lgs. 30 dicembre 1992,
n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma
dell’art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), sollevate, in
riferimento agli artt. 3, 24, 42, terzo comma, 53 e 97 della
Costituzione, dalla Corte d’appello di Trieste e dalla Corte
d’appello di Genova, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2000.
Il Presidente: Mirabelli
Il redattore: Chieppa
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 25 luglio 2000.
Il direttore della cancelleria: Di Paola