Sentenza N. 355 del 2002
Corte Costituzionale
Data generale
17/07/2002
Data deposito/pubblicazione
17/07/2002
Data dell'udienza in cui è stato assunto
10/07/2002
Presidente: Cesare RUPERTO;
Giudici: Massimo VARI, Riccardo CHIEPPA, Valerio ONIDA, Carlo
MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK,
Francesco AMIRANTE;
8, del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507 (Revisione ed
armonizzazione dell’imposta comunale sulla pubblicità e del diritto
sulle pubbliche affissioni, della tassa per l’occupazione di spazi ed
aree pubbliche dei comuni e delle Province nonché della tassa per lo
smaltimento dei rifiuti solidi urbani a norma dell’articolo 4 della
legge 23 ottobre 1992, n. 421, concernente il riordino della finanza
territoriale), promosso con ordinanza emessa l’8 marzo 2001 dal
Tribunale amministrativo regionale della Liguria, iscritta al n. 964
del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 2, 1ª serie speciale, dell’anno 2002.
Visti l’atto di costituzione della parte privata del giudizio
principale nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio
dei ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 23 aprile 2002 il giudice
relatore Carlo Mezzanotte;
Uditi l’avvocato Federico Sorrentino per la parte privata del
giudizio principale e l’avvocato dello Stato Paolo Gentili per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
decidere su due ricorsi diretti ad ottenere, l’uno, l’annullamento
del provvedimento del comune di Genova con il quale era stata
respinta la richiesta di autorizzazione alla installazione di un
impianto pubblicitario su un sottoponte ferroviario sito in quel
comune, presentata nel 1995, e, l’altro, l’annullamento della
ordinanza dirigenziale con la quale era stata disposta la rimozione
del predetto impianto, ha sollevato, in riferimento all’articolo 41
della Costituzione, questione di legittimitacostituzionale
dell’art. 36, comma 8, del decreto legislativo 15 novembre 1993,
n. 507 (Revisione ed armonizzazione dell’imposta comunale sulla
pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per
l’occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle Province
nonché della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani a
norma dell’art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, concernente il
riordino della finanza territoriale).
La disposizione censurata stabilisce che “il comune non dà corso
alle istanze per l’installazione di impianti pubblicitari, ove i
relativi provvedimenti non siano già stati adottati alla data di
entrata in vigore del presente decreto, né può autorizzare
l’installazione di nuovi impianti fino all’approvazione del
regolamento comunale e del piano generale previsti dall’art. 3”.
Ad avviso del remittente, alla luce della normativa vigente, il
diniego opposto dal comune di Genova alla richiesta di autorizzazione
alla installazione dell’impianto pubblicitario sul sottopasso
ferroviario, motivato con il rilievo che “non sono assentibili
impianti come quello richiesto fino all’approvazione del piano
generale degli impianti previsto dall’art. 3 d.lgs. 15 novembre 1993,
n. 507”, sarebbe giustificato, dal momento che tale piano è stato
adottato dal comune di Genova con deliberazione in data 30 luglio
1998, successivamente, quindi, alla data di presentazione della
richiesta di autorizzazione. Del resto, prosegue il remittente,
trattandosi di impianto ubicato in ambito ferroviario e comunque
visibile dalla pubblica via, non potrebbe dubitarsi della necessità
dell’autorizzazione comunale, la quale è condizionata al rispetto di
tutte le condizioni relative al tipo di pubblicità considerato, ivi
comprese quelle poste dall’art. 36, comma 8.
Della legittimità costituzionale di tale disposizione, peraltro,
dubita il giudice a quo giacché la stessa, non prevedendo, a
differenza di quanto dispone il comma 2 dell’art. 36 del medesimo
decreto legislativo per l’adozione del regolamento comunale, il
termine entro il quale il comune deve provvedere alla adozione del
piano generale degli impianti pubblicitari, avrebbe l’effetto di
comprimere in maniera indeterminata nel tempo e non correlata ad
alcun pubblico interesse (la cui tutela militerebbe, anzi, per una
sollecita entrata in vigore del piano), la libera iniziativa
economica.
2. – Si è costituta nel presente giudizio la parte privata del
giudizio principale e ha chiesto l’accoglimento della questione.
La difesa della parte privata sostiene che la disposizione
censurata, in quanto prevede che una attività economica, subordinata
ad autorizzazione, possa essere interdetta, non perché esercitata in
violazione di altri interessi costituzionali meritevoli di tutela, ma
soltanto perché l’amministrazione non abbia approvato il piano degli
impianti, contrasterebbe con l’art. 41 della Costituzione. Infatti,
al cospetto di altri interessi, anche pubblici, che non ricevono pari
tutela in Costituzione, non dovrebbe essere l’interesse del privato
allo svolgimento dell’attività economica ad assumere valenza
recessiva. A questo proposito, la difesa privata ricorda che, secondo
la giurisprudenza di questa Corte, l’iniziativa economica privata
può essere sì limitata, ma solo in ragione di interessi di ordine
superiore, economici o sociali, che assumono rilievo a livello
costituzionale, restando in ogni caso decisivo il necessario e
ragionevole bilanciamento che il legislatore operi tra questa e gli
interessi nel caso concreto confliggenti (sentenza n. 393 del 2000).
Nella fattispecie in esame, ci si troverebbe invece di fronte ad
una situazione di vero e proprio blocco dell’attività economica: non
si tratterebbe, quindi, di una mera compressione dell’attività, ma
della totale esclusione della possibilità di esercizio della
attività stessa per un periodo non predeterminato. In ciò, dovrebbe
ravvisarsi una lesione del generale principio di proporzionalità, il
quale non consentirebbe in alcun caso che la compressione di una
situazione soggettiva si spinga oltre quanto strettamente necessario
per tutelare gli interessi considerati, sino a imporre una
restrizione all’attività economica che risulti assoluta e protratta
per un tempo illimitato, o il cui termine non sia configurato come
perentorio e di durata ragionevole, ma sia lasciato all’arbitrio
dell’amministrazione.
Pur non negando che l’attività di installazione di impianti
pubblicitari possa essere sottoposta al controllo da parte dell’ente
locale al fine del rispetto dei valori urbanistici (estetici,
ambientali e di decoro dell’assetto urbano) cui esso è preposto, né
che l’esercizio di tale potere possa, a sua volta, essere oggetto di
una pianificazione comunale, in modo da offrire all’ente locale
parametri obiettivi per i suoi interventi e al privato criteri di
orientamento per la propria attività, la parte privata conclude
affermando che l’omessa approvazione dell’atto di pianificazione non
potrebbe mai precludere un’attività economica di per sé non
rientrante nei divieti di cui all’art. 41, secondo comma, Cost., ma
oggetto di disciplina ai sensi del terzo comma del medesimo articolo.
3. – È intervenuto nel presente giudizio il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, e ha chiesto, in primo luogo, che la questione
sia dichiarata inammissibile, dal momento che con essa si
solleciterebbe un intervento additivo consistente nella
determinazione di un termine da introdurre nell’art. 36, comma 8, del
d.lgs. n. 507 del 1993, e cioè lo svolgimento di una funzione che
sarebbe propria del legislatore in considerazione degli interessi
pubblici che lo stesso remittente riconosce esistenti e meritevoli di
tutela.
Nel merito, la questione sarebbe anche infondata, in quanto
proprio l’esistenza di quegli interessi pubblici darebbe ragione
della particolare ponderazione valutativa richiesta ai comuni
nell’emanazione del provvedimento amministrativo generale nel proprio
ambito territoriale, e giustificherebbe la mancata previsione di un
termine che, del resto, non potrebbe non avere natura ordinatoria.
4. – In prossimità dell’udienza, la parte privata ha depositato
una memoria illustrativa, con la quale insiste per la declaratoria di
illegittimità costituzionale della disposizione censurata.
La difesa richiama in primo luogo una recente pronuncia della
Corte di cassazione, nella quale si afferma che la pubblicità
rientra nella libertà di iniziativa economica privata, che è
tutelata dall’art. 41 Cost; ciò vorrebbe dire, ad avviso della
parte, che essa è attività economica libera quanto all’iniziativa e
che tale resta quando il suo svolgersi non contrasti con i valori
indicati nell’art. 41, secondo comma, Cost. e nei limiti in cui non
sia oggetto di programmazione e controllo (e cioè di conformazione)
imposti da provvedimenti legislativi adottati ai sensi del terzo
comma del medesimo articolo.
Ricorda poi la giurisprudenza di questa Corte in materia di
vincoli di inedificabilità, e in particolare il principio secondo
cui solo entro i limiti della non irragionevolezza può riconoscersi
l’ammissibilità sul piano costituzionale di proroghe in via
legislativa degli stessi, e quella del Consiglio di Stato, secondo
cui l’obbligo della temporaneità dei vincoli urbanistici potrebbe
ritenersi assolto nel caso in cui la legge stabilisca misure di
salvaguardia in attesa dell’emanazione dei piani regolatori,
prevedendo misure sostitutive nei confronti degli enti inadempienti.
Nella sua memoria la parte privata contesta inoltre
l’impostazione difensiva dell’Avvocatura dello Stato, in quanto non
terrebbe conto del fatto che, nella specie, sono coinvolte anche
situazioni soggettive private protette costituzionalmente e che è in
discussione non il potere di pianificazione dell’amministrazione, ma
solo l’effetto che dalla mancata adozione del piano generale
deriverebbe, e cioè l’indefinito protrarsi dell’impedimento
all’esercizio dell’attività economica. Si concretizzerebbe, in tal
modo, una ingiustificata lesione della posizione del privato senza
che la responsabilità dell’amministrazione pubblica venga in alcun
modo sanzionata.
La difesa privata ritiene quindi giustificati gli sforzi
interpretativi compiuti da diversi TAR, i quali, avvertita
l’irrazionalità e l’ingiustizia di una disposizione che trasforma un
colpevole ritardo dell’amministrazione nell’attività pianificatoria
in un irreparabile pregiudizio per gli operatori del settore, hanno
rifiutato una interpretazione meramente letterale della disposizione
stessa e, richiamando il dovere di una interpretazione adeguatrice,
hanno ritenuto l’esistenza di un obbligo per l’amministrazione
comunale di svolgere l’attività autorizzatoria anche in mancanza del
piano generale degli impianti pubblicitari ovvero hanno ritenuto
applicabile all’adozione di tale piano il medesimo termine stabilito
dall’art. 36, comma 2, per l’adozione del regolamento comunale per la
pubblicità di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 507 del 1993.
costituzionale dell’articolo 36, comma 8, del decreto legislativo
15 novembre 1993, n. 507 (Revisione ed armonizzazione dell’imposta
comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni,
della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e
delle Province nonché della tassa per lo smaltimento dei rifiuti
solidi urbani a norma dell’art. 4 della legge 23 ottobre 1992,
n. 421, concernente il riordino della finanza territoriale), nella
parte in cui dispone che il comune non possa autorizzare
l’installazione di nuovi impianti pubblicitari fino all’approvazione
del regolamento comunale e del piano generale degli impianti previsti
dall’art. 3 del medesimo decreto legislativo. Tale disposizione, ad
avviso del Tribunale amministrativo regionale della Liguria,
contrasterebbe con l’art. 41 della Costituzione, in quanto, non
prevedendo alcun termine entro il quale il comune deve provvedere
all’adozione del piano generale degli impianti pubblicitari a
differenza di quanto dispone il comma 2 dell’art. 36 del citato
decreto legislativo per l’adozione del regolamento comunale avrebbe
l’effetto di comprimere in maniera indeterminata nel tempo, e non
correlata ad alcun pubblico interesse, la libera iniziativa
economica.
La questione di legittimità costituzionale sollevata dal
Tribunale amministrativo regionale della Liguria trae origine dal
diniego opposto dal comune di Genova alla richiesta di autorizzazione
alla installazione di un impianto pubblicitario su un sottoponte
ferroviario sito in quel comune, diniego motivato con la mancata
approvazione, al momento della domanda, del piano generale degli
impianti pubblicitari previsto dall’art. 3 del d.lgs. n. 507 del
1993.
2. – La questione non è fondata.
Il decreto legislativo n. 507 del 1993, nel dettare la nuova
normativa in materia di imposta comunale sulla pubblicità e di
diritto sulle pubbliche affissioni, ha previsto, all’art. 3, che il
comune, con un apposito regolamento, debba fra l’altro determinare la
quantità e la tipologia degli impianti pubblicitari, le modalità
per ottenere il provvedimento per l’installazione nonché i criteri
per la elaborazione del piano generale degli impianti. Il successivo
art. 36, sotto la rubrica norme transitorie, ha poi fissato al
30 giugno 1994 il termine entro il quale l’anzidetto regolamento
doveva essere approvato (termine prorogato al 30 settembre 1995
dall’art. 1, comma 9, del decreto-legge 28 giugno 1995, n. 250,
convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1995, n. 349). Il
comma 8 dell’art. 36, oggetto della presente questione di
legittimità costituzionale, al fine di contemperare l’esercizio
dell’attività pubblicitaria effettuata mediante la installazione di
cartelloni con l’esigenza di pianificazione degli impianti in ambito
comunale, ha disposto che “il comune non dà corso alle istanze per
l’installazione di impianti pubblicitari, ove i relativi
provvedimenti non siano già stati adottati alla data di entrata in
vigore del presente decreto, né può autorizzare l’installazione di
nuovi impianti fino all’approvazione del regolamento comunale e del
piano generale previsti dall’art. 3”.
La tutela degli interessi pubblici presenti nella attività
pubblicitaria effettuata mediante l’installazione di cartelloni si
articola dunque, nel decreto legislativo n. 507 del 1993, in un
duplice livello di intervento: l’uno, di carattere generale e
pianificatorio, mirante ad escludere che le autorizzazioni possano
essere rilasciate dalle amministrazioni comunali in maniera casuale,
arbitraria e comunque senza una chiara visione dell’assetto del
territorio e delle sue caratteristiche abitative, estetiche,
ambientali e di viabilità; l’altro, a contenuto particolare e
concreto, in sede di provvedimento autorizzatorio, con il quale le
diverse istanze dei privati vengono ponderate alla luce delle
previsioni di piano e solo se sono conformi a tali previsioni possono
essere soddisfatte.
3. – È erronea la premessa interpretativa dalla quale il
remittente procede, secondo cui nell’anzidetta disciplina non sarebbe
previsto un termine entro il quale i comuni debbano adottare il piano
generale degli impianti, che condiziona, a sua volta, l’adozione dei
singoli provvedimenti autorizzatori.
L’art. 2, commi 2 e 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove
norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di
accesso ai documenti amministrativi), applicabile anche agli atti
amministrativi generali di pianificazione e di programmazione, impone
alle pubbliche amministrazioni l’onere di determinare, per ciascun
tipo di procedimento, il termine entro il quale esso deve essere
concluso, quando non siano la legge o il regolamento a stabilire tale
termine. Nel caso in cui le pubbliche amministrazioni non operino
questa scelta, nella quale la durata del procedimento può essere
commisurata alla sua maggiore o minore complessità, il termine è di
trenta giorni, decorrenti dall’inizio d’ufficio del procedimento o
dal momento del ricevimento della domanda, se il procedimento è a
iniziativa di parte.
Nella specie, il dovere della amministrazione comunale di dotarsi
del piano generale degli impianti pubblicitari è divenuto operante
nel momento in cui è stato approvato il regolamento di cui
all’art. 3 del decreto legislativo n. 507 del 1993; né risulta che
l’amministrazione, avvalendosi del potere attribuitole dal richiamato
art. 2 della legge n. 241 del 1990, abbia stabilito il termine entro
il quale dovesse essere adottato il piano degli impianticoncernente
anche la cosiddetta pubblicità ferroviaria, vale a dire quella che
si effettua in ambito ferroviario mediante l’installazione di
impianti pubblicitari visibili dalla pubblica via. È quindi
applicabile il terzo comma dell’articolo 2 della legge n. 241 del
1990, che in via suppletiva pone a carico della pubblica
amministrazione l’obbligo di concludere il procedimento entro trenta
giorni, trascorsi i quali la medesima pubblica amministrazione è
inadempiente.
Questa Corte, attenendosi peraltro alla chiara lettera della
legge n. 241 del 1990, ha già affermato che il termine di trenta
giorni, stabilito in via suppletiva e in una misura tale da
sollecitare l’amministrazione a provvedere, riguarda ogni tipo di
procedimento, sia ad iniziativa d’ufficio che di parte, “a
prescindere dall’efficacia ampliativa o restrittiva della sfera
giuridica dei destinatari dell’atto” (sentenza n. 262 del 1997).
Nella stessa sentenza ha altresì precisato che la mancata osservanza
del termine a provvedere non comporta la decadenza dal potere, ma
vale a connotare in termini di illegittimità il comportamento della
pubblica amministrazione, nei confronti del quale i soggetti
interessati alla conclusione del procedimento possono insorgere
utilizzando, per la tutela della propria situazione soggettiva, tutti
i rimedi che l’ordinamento appresta in via generale in simili ipotesi
(dal risarcimento del danno all’esecuzione del giudicato che abbia
accertato l’inadempienza della pubblica amministrazione).
4. – Il fatto che nel quadro normativo poc’anzi delineato sia
comunque individuabile un termine entro il quale il comune deve
dotarsi del piano generale degli impianti e non resti senza sanzione
l’eventuale inadempienza, consente di concludere che al diritto di
iniziativa economica è assicurata una protezione adeguata e pertanto
di escludere che i privati possano essere autorizzati alla
installazione di cartelli pubblicitari in mancanza di pianificazione
territoriale. L’opposta opinione comporterebbe la completa
vanificazione di quel livello generale di tutela degli svariati
interessi pubblici sui quali questo tipo di attività potenzialmente
incide, livello che costituisce il tratto caratterizzante della
disciplina censurata. Essa, lungi dal contrastare con l’art. 41 della
Costituzione, introduce nei confronti dell’iniziativa economica un
limite non irragionevole, preordinato com’è alla salvaguardia di una
pluralità di beni di rilievo costituzionale, quali l’ambiente,
l’arte, il paesaggio, la sicurezza della viabilità.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’articolo 36, comma 8, del decreto legislativo 15 novembre 1993,
n. 507 (Revisione ed armonizzazione dell’imposta comunale sulla
pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per
l’occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle Province
nonché della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani a
norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421,
concernente il riordino della finanza territoriale), sollevata, in
riferimento all’articolo 41 della Costituzione, dal Tribunale
amministrativo regionale della Liguria, con l’ordinanza indicata in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2002.
Il Presidente: Ruperto
Il redattore: Mezzanotte
Il cancelliere:Di Paola
Depositata in cancelleria il 17 luglio 2002.
Il direttore della cancelleria:Di Paola