Sentenza N. 357 del 1996
Corte Costituzionale
Data generale
22/10/1996
Data deposito/pubblicazione
22/10/1996
Data dell'udienza in cui è stato assunto
14/10/1996
Presidente: avv. Mauro FERRI;
Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato
GRANATA,
prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare
MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott.
Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY,
prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE;
il 22 maggio 1996, depositato in cancelleria l’11 giugno 1996, per
conflitto di attribuzione sorto a seguito della sentenza n. 503 del
6-14 marzo 1996 del Tribunale di Catanzaro che ha dichiarato la
decadenza del consigliere regionale Pietro Fuda ed ha proclamato
l’elezione del primo dei non eletti Francesco G. Minniti, iscritto al
n. 18 del registro conflitti 1996;
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 1 ottobre 1996 il giudice relatore
Gustavo Zagrebelsky;
Uditi l’avvocato Raffaele Mirigliani per la Regione Calabria e
l’avvocato dello Stato Plinio Sacchetto per il Presidente del
Consiglio dei Ministri.
Consiglio dei Ministri nella sua sede, la Regione Calabria solleva
conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in relazione alla
sentenza n. 503 del 6-14 marzo 1996 del Tribunale di Catanzaro di cui
chiede l’annullamento.
Premette in fatto che, con deliberazione n. 77 del 26 febbraio
1996, il Consiglio regionale, in accoglimento della istanza proposta
da un cittadino elettore, aveva contestato ad un consigliere
regionale (sig. Pietro Fuda) il ricorrere della causa di
incompatibilità per lite pendente prevista dall’art. 7, comma terzo
e seguenti, della legge 23 aprile 1981, n. 154 ed aveva, all’uopo,
concesso al predetto consigliere dieci giorni di tempo per formulare
osservazioni o per eliminare la causa di incompatibilità in
questione. Successivamente, con deliberazione n. 81 del 14 marzo 1996
lo stesso Consiglio regionale, preso atto che il consigliere aveva
“eliminato la sua condizione di incompatibilità per lite pendente”,
aveva confermato la elezione di questi a consigliere regionale.
Nello stesso tempo, il Tribunale di Catanzaro, cui era stata
prospettata e documentata la pendenza della procedura amministrativa
di cui si è detto, adìto da altro cittadino elettore per la
medesima causa di incompatibilità, aveva con sentenza n. 503 del
6-14 marzo 1996 dichiarato la decadenza del consigliere Fuda e
proclamato la elezione del primo dei non eletti, sig. Francesco G.
Minniti.
Ciò stante, la Regione ricorrente ritiene tale sentenza invasiva
della propria competenza in materia di convalida elettorale dei
consiglieri regionali.
Ricordato che la legge n. 154 del 1981 ha riordinato l’intero
sistema delle ineleggibilità e delle incompatibilità in vista “del
superamento degli inutili rigorismi e delle irragionevolezze della
precedente legislazione”, che mortificavano in modo ingiustificato e
sproporzionato il responso elettorale e il diritto di elettorato
passivo costituzionalmente garantito, la ricorrente osserva che tra
le innovazioni essenziali deve essere considerata l’introduzione
della fase del procedimento amministrativo che si svolge per la
contestazione ed eventuale rimozione di quelle cause ostative che
costituiscono semplici fonti di pericolo per il corretto esercizio
delle funzioni dell’eletto, senza incidere sulla regolarità del
procedimento elettorale.
La Regione non ignora la giurisprudenza ordinaria, la quale ha
ritenuto, pur dopo l’entrata in vigore della nuova legge, la
permanenza dell’azione diretta (c.d. popolare) in sede
giurisdizionale, per la declaratoria della decadenza, prevista
dall’art. 9-bis del testo unico 16 maggio 1960, n. 570, ma ritiene
che il sistema normativo debba essere interpretato nel senso che,
qualora il procedimento amministrativo sia, come nella specie,
instaurato – e sia quindi eliminato il rischio che il procedimento
non venga nemmeno avviato o ne sia rimessa la conclusione al solo
organo amministrativo – in tal caso l’azione diretta diventa
improponibile o, se già proposta, improcedibile sino all’esito del
procedimento amministrativo innanzi al Consiglio regionale.
Diversamente, si avrebbe invasione della sfera di competenza
regionale, garantita dall’art. 115 della Costituzione, per un
“aspetto essenziale attinente alla costituzione,
all’autoorganizzazione e al funzionamento” di propri organi, nonché
violazione dell’art. 51 della Costituzione, che tutela l’elettorato
passivo e l’esercizio delle cariche elettive in presenza dei
requisiti di legge, essendosi il Tribunale rifiutato di considerare
la pendenza del procedimento amministrativo di cui all’art. 7 citato
e di consentirne la conclusione, “salvo il successivo intervento
dell’autorità giudiziaria” che può sopravvenire soltanto “in via di
eventuale impugnativa”.
2. – Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato,
rilevando che, dopo qualche incertezza, la giurisprudenza della
Cassazione ha affermato la concorrenza dei due rimedi, amministrativo
e giurisdizionale, in quanto rispondenti a presupposti e finalità
diversi, così come sottolineato anche da pronunce della Corte
costituzionale (sentenza n. 235 del 1989). Osserva quindi che la
Regione, anziché confidare “sul successivo intervento dell’autorità
giudiziaria in via di eventuale impugnativa”, – secondo la tesi della
stessa ricorrente – ha proposto ricorso per conflitto limitandosi ad
evocare, oltre che genericamente l’art. 115, anche l’art. 51 della
Costituzione, ovverosia la norma che tutela, in via diretta, un
diritto fondamentale dei cittadini, garantito proprio da quella
azione giudiziaria che la Regione intende ora contestare.
Conclusivamente chiede che, in dipendenza di ciò, il ricorso sia
dichiarato inammissibile o comunque respinto nel merito.
con la sentenza n. 503 del 1996, abbia dichiarato l’incompatibilità
e quindi la decadenza di un consigliere regionale, in seguito a
ricorso promosso da un cittadino elettore a norma degli artt. 9-bis,
terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio
1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la
elezione degli organi delle Amministrazioni comunali) e 19, secondo e
terzo comma, della legge 17 febbraio 1968, n. 108 (Norme per la
elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale),
indipendentemente dalla circostanza che, nei confronti del medesimo
consigliere fosse in corso, di fronte al Consiglio regionale, la
procedura di contestazione della causa d’incompatibilità e di
eventuale rimozione della stessa ai fini della convalida, a norma
dell’art. 7, commi da tre a otto, della legge 23 aprile 1981, n. 154
(Norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche
di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e
in materia di incompatibilità degli addetti al Servizio sanitario
nazionale).
Ritiene la Regione Calabria che tale sovrapposizione di
procedimenti e di pronunce determini una lesione della propria sfera
di attribuzioni costituzionali, quali risulterebbero dagli artt. 51 e
115 della Costituzione, e propone quindi conflitto di attribuzioni
nei confronti dello Stato in ordine alla sentenza del Tribunale di
Catanzaro.
2. – Il ricorso è infondato.
2.1. – La Regione Calabria non contesta radicalmente la
giurisdizione del giudice ordinario in materia di ineleggibilità e
incompatibilità, né l’azione diretta dei cittadini elettori volta
ad attivarla. Rileva, invece, l’interferenza che l’incondizionato
esercizio di tale giurisdizione determinerebbe con la funzione del
Consiglio regionale di contestazione della causa di incompatibilità,
di delibera definitiva sulla stessa, di invito all’interessato a
rimuoverla e di eventuale dichiarazione di decadenza (funzione
prevista dall’art. 7, commi da tre a otto, della legge n. 154 del
1981). Sostiene la ricorrente che, per garantire la sfera di
attribuzioni del Consiglio regionale, dovrebbe affermarsi – per il
caso in cui sia pendente il procedimento di fronte al Consiglio
regionale medesimo – l’esistenza di una causa temporanea di
improponibilità o di improcedibilità dell’azione diretta al
Tribunale prevista dall’art. 9-bis, terzo comma, del decreto del
Presidente della Repubblica n. 570 del 1960, ovvero l’esclusiva
ricorribilità contro la decisione del Consiglio regionale sulla
esistenza della causa di incompatibilità contestata.
La procedura di convalida presso il Consiglio regionale e il
giudizio di fronte al Tribunale – per quanto attivabili entrambi per
iniziativa di cittadini elettori, estranei al Consiglio stesso, e
orientati in definitiva allo scopo comune dell’eliminazione delle
situazioni di incompatibilità e di ineleggibilità previste dal
legislatore, in cui versino i consiglieri – si svolgono su piani
diversi, mirando a finalità immediate anch’esse diverse: la verifica
del titolo di partecipazione all’organo collegiale a opera e
nell’interesse dell’organo stesso alla propria regolare composizione,
la prima; la garanzia del rispetto delle cause di ineleggibilità e
incompatibilità nell’interesse della generalità dei cittadini
elettori e a opera della Autorità giudiziaria, la seconda.
Questo spiega la concorrenza delle due distinte garanzie in ordine
alle cause di incompatibilità e di ineleggibilità, concorrenza
ormai pacificamente riconosciuta nella giurisprudenza della Corte di
cassazione e giudicata conforme alla Costituzione da questa stessa
Corte nella sentenza n. 235 del 1989, ove si è chiarito che
l’autonomia dell’azione di fronte al giudice – pur in presenza del
procedimento di contestazione dell’incompatibilità e della
possibilità di rimediarvi, che la legge consente all’interessato nel
medesimo procedimento – dipende dall’esistenza di interessi di ordine
generale circa la garanzia più tempestiva possibile della legittima
composizione degli organi elettivi e dalla necessità che
l’attivazione di tale garanzia obiettiva non sia paralizzata da
iniziative e procedure concorrenti, quali quelle che si svolgono di
fronte ai consigli elettivi (analogamente, la sentenza n. 113 del
1993 relativa al giudizio del giudice amministrativo su ricorsi in
materia di operazioni elettorali, proposti prescindendo dalla
convalida dei risultati).
Tanto basta a escludere che sussista la pretesa violazione delle
norme costituzionali sulla distribuzione delle competenze tra lo
Stato e la Regione e, in particolare, dell’art. 115 della
Costituzione, indipendentemente dalla genericità del richiamo a
questa disposizione.
2.2. – Il conflitto proposto dalla Regione Calabria, tuttavia,
sollevando un problema di coordinamento tra la disciplina dei due
anzidetti procedimenti, innanzi al giudice (a norma dell’art. 9-bis
del decreto del Presidente della Repubblica n. 570 del 1960) e
innanzi al Consiglio regionale (a norma dell’art. 7, commi da tre a
otto, della legge n. 154 del 1981), presenta anche una diversa
valenza, resa manifesta dal riferimento fatto nel ricorso all’art. 51
della Costituzione. Nella prospettazione della ricorrente, la
garanzia del proprio ambito di competenza costituzionale si intreccia
con il rispetto da parte della legge del diritto elettorale passivo.
Tale diritto sarebbe leso perché la decadenza direttamente disposta
dal Tribunale vanificherebbe il procedimento previsto dal ricordato
art. 7, commi da tre a otto, della legge n. 154 del 1981,
procedimento mirante in primo luogo alla rimozione della causa di
incompatibilità e, solo eventualmente e come extrema ratio, alla
dichiarazione di decadenza.
Ma l’anzidetta commistione di prospettive – resa palese
dall’eterogeneità dei parametri costituzionali invocati –
rappresenta una forzatura del giudizio per conflitto di attribuzioni
promosso dalla Regione nei confronti dello Stato, nel quale le norme
costituzionali di riferimento che possono venire direttamente in
rilievo sono solo quelle relative alla distribuzione delle
competenze. Escluso, di per sé – a causa della diversità di
livello, di finalità e quindi di forme e di competenze – che
l’incondizionata concorrenza tra l’azione di fronte all’autorità
giudiziaria ordinaria e la procedura di fronte al Consiglio regionale
determini una lesione delle attribuzioni costituzionali della
Regione, il riferimento all’art. 51 della Costituzione e alla
garanzia ivi prevista del diritto di elettorato passivo mostra il
carattere artificioso, per questo aspetto, del conflitto in esame.
Il ricorso della Regione per conflitto di attribuzioni, in casi come
quello presente, apparirebbe un improprio strumento di sostegno,
rispetto all’esito di una procedura giudiziaria, delle aspettative di
un suo consigliere, strumento che, al contrario, varrebbe contro
quelle del candidato il quale, eventualmente, dovesse prendere il
posto del primo, una volta riconosciutane l’incompatibilità.
Una norma come l’art. 51 della Costituzione, che dispone in
generale sui diritti politici dei cittadini, male si presta a essere
fatta valere dalla Regione in sede di conflitto di attribuzioni.
Essa, correttamente, può essere invocata se mai da chi ne abbia
interesse nel giudizio sulle leggi: ciò che per l’appunto è
avvenuto nel caso di specie quando, nel giudizio di fronte al
Tribunale di Catanzaro, è stata proposta – sia pure con esito
negativo, essendosene ritenuta in quell’occasione la manifesta
infondatezza – la questione incidentale di legittimità
costituzionale dell’art. 9-bis del decreto del Presidente della
Repubblica n. 570 del 1960, in riferimento all’art. 51 della
Costituzione. Il che conferma – per questo suo aspetto – la
strumentalità del presente ricorso, quale impropria alternativa al
giudizio sulle leggi.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara che spetta allo Stato e, per esso, alla Autorità
giudiziaria il giudizio sui ricorsi in tema di ineleggibilità e
incompatibilità promossi dai cittadini elettori nei confronti dei
consiglieri regionali, indipendentemente dalla pendenza presso il
Consiglio regionale del procedimento di cui all’art. 7, commi da tre
a otto, della legge 23 aprile 1981, n. 154.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 ottobre 1996.
Il Presidente: Ferri
Il redattore: Zagrebelsky
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 22 ottobre 1996.
Il direttore della cancelleria: Di Paola