Sentenza N. 360 del 1996
Corte Costituzionale
Data generale
24/10/1996
Data deposito/pubblicazione
24/10/1996
Data dell'udienza in cui è stato assunto
17/10/1996
Presidente: avv. Mauro FERRI;
Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato
GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE;
n. 463 (Disposizioni in materia di riutilizzo dei residui derivanti
da cicli di produzione o di consumo in un processo produttivo o in un
processo di combustione, nonché in materia di smaltimento dei
rifiuti), e dell’art. 12, comma 4, dello stesso decreto; del d.-l. 8
gennaio 1996, n. 8 (Disposizioni in materia di riutilizzo dei residui
derivanti da cicli di produzione o di consumo in un processo
produttivo o in un processo di combustione, nonché in materia di
smaltimento dei rifiuti), e dell’art. 12, comma 4, dello stesso
decreto; del d.-l. 8 marzo 1996, n. 113 (Disposizioni in materia di
riutilizzo dei residui derivanti da cicli di produzione o di consumo
in un processo produttivo o in un processo di combustione, nonché in
materia di smaltimento dei rifiuti), e dell’art. 12, quarto comma,
dello stesso decreto, giudizi promossi con ordinanze emesse il 22
dicembre 1995, il 19 gennaio 1996, il 22 dicembre 1995, il 18 marzo,
il 19 febbraio, il 29 gennaio ed il 22 marzo 1996 dal pretore di
Macerata rispettivamente iscritte ai nn. 218, 247, 334, 536, 615, 633
e 639 del registro ordinanze 1996 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica nn. 11, 12, 16, 25, 27 e 28, prima serie
speciale, dell’anno 1996;
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 2 ottobre 1996 il giudice
relatore Enzo Cheli.
Leonardi, imputata della contravvenzione di cui all’art. 25, primo
comma, del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, per il trasporto e lo
stoccaggio di rifiuti speciali prodotti da terzi senza la prescritta
autorizzazione regionale, il pretore di Macerata, con ordinanza del
22 dicembre 1995 (r.o. n. 218 del 1996), ha sollevato questione di
legittimità costituzionale, con riferimento all’art. 77 della
Costituzione, dell’intero d.-l. 8 novembre 1995, n. 463 (Disposizioni
in materia di riutilizzo dei residui derivanti da cicli di produzione
o di consumo in un processo produttivo o in un processo di
combustione, nonché in materia di smaltimento dei rifiuti), e,
nell’ambito di tale decreto, anche con riferimento all’art. 24 della
Costituzione, della disposizione contenuta nell’art. 12, comma 4.
Il giudice rimettente osserva, in primo luogo, che il decreto-legge
impugnato è l’ultimo di una lunga serie di decreti-legge reiterati,
con contenuto sostanzialmente identico, nell’arco di circa due anni,
decreti che non sono stati convertiti in legge. Il lungo lasso di
tempo durante il quale si è protratta la disciplina in tema di
smaltimento dei rifiuti prevista dai suddetti decreti verrebbe,
pertanto, a contrastare con l’art. 77 della Costituzione, che
richiede l’urgenza quale requisito essenziale per l’adozione di un
decreto-legge. Tale modo di legiferare da parte del Governo avrebbe,
altresì, alterato la natura provvisoria del decreto-legge, dal
momento che una reiterazione prolungata nel tempo produrrebbe come
effetto la surrettizia sostituzione della legge ordinaria da parte
del decreto-legge, in violazione dell’art. 77, primo comma, della
Costituzione.
Sotto un secondo profilo, il giudice rimettente rileva che l’art.
12, comma 4, del decreto-legge impugnato esclude la punibilità di
chi, fino al 7 gennaio 1995, abbia commesso un fatto previsto come
reato dal d.P.R. n. 915 del 1982 “nell’esercizio di attività
qualificate come operazioni di raccolta e trasporto, stoccaggio,
trattamento o pretrattamento, recupero o riutilizzo di residui nei
modi e nei casi previsti ed in conformità alle disposizioni del
decreto del Ministro dell’ambiente in data 26 gennaio 1990, ovvero di
norme regionali”. Tale decreto ministeriale, come ricorda
l’ordinanza, è stato, peraltro, in parte annullato con la sentenza
di questa Corte n. 512 del 1990, in quanto ritenuto lesivo
dell’autonomia costituzionalmente garantita alle Regioni. Di
conseguenza, sempre ad avviso del giudice rimettente, l’applicazione
di tale causa di non punibilità, risultando subordinata
all’osservanza di disposizioni già previste in un decreto
ministeriale annullato, esigerebbe – da parte di coloro che intendano
avvalersi della norma – una condotta inesigibile, perché
praticamente inattuabile. Nessun soggetto interessato avrebbe
potuto, infatti, ottemperare alle disposizioni del decreto
ministeriale citato dopo l’annullamento dello stesso da parte della
Corte costituzionale – e nelle more del recepimento del suo contenuto
nell’art. 12, comma 4, impugnato – non sussistendo nella fase
suddetta alcun obbligo giuridico di ottemperarvi.
L’art. 12, comma 4, verrebbe, pertanto, a violare, oltre all’art.
77 della Costituzione, anche il diritto di difesa sanzionato
nell’art. 24, dal momento che l’imputato non avrebbe avuto la
possibilità pratica di avvalersi dell’esimente speciale richiamata.
2. – Lo stesso giudice, con ordinanza del 22 dicembre 1995 (r.o.
n. 334 del 1996), ha sollevato identica questione di
costituzionalità sempre nei confronti del decreto-legge n. 463 del
1995 (e, in particolare, dell’art. 12, comma 4, di tale decreto),
mentre, con le ordinanze del 19 e 29 gennaio, del 19 febbraio e del
18 e 22 marzo del 1996 (r.o. nn. 247, 536, 615, 633 e 639)
l’impugnativa è stata indirizzata nei confronti dei successivi
decreti-legge 8 gennaio 1996, n. 8, e 8 marzo 1996, n. 113 (e, in
particolare, dell’art. 12, comma 4, di tali decreti), decreti che
hanno costituito un’ulteriore reiterazione di quello impugnato con le
prime due ordinanze.
3. – In tutti i giudizi (con l’eccezione di quello relativo
all’ordinanza n. 633 del 29 gennaio 1996) ha spiegato intervento il
Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che le questioni
sollevate siano dichiarate inammissibili o, comunque, manifestamente
infondate.
L’Avvocatura osserva preliminarmente che i decreti-legge impugnati
sono decaduti per mancata conversione nel termine e, pertanto, le
questioni dedotte dovrebbero essere dichiarate inammissibili. Ogni
valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti in base ai
quali si è proceduto alla reiterazione degli stessi decreti-legge
risulterebbe, pertanto, preclusa, né varrebbe a superare tale limite
il richiamo alla sentenza n. 302 del 1988, dal momento che anche in
quel caso la Corte non pervenne a una declaratoria d’illegittimità
della reiterazione, ma si limitò ad esprimere un auspicio a favore
di riforme ritenute opportune.
In riferimento alle censure concernenti l’art. 12, comma 4,
l’Avvocatura ritiene poi che il giudice rimettente confonda il
problema dei limiti di verificabilità concreta della fattispecie ivi
prevista con la legittimità costituzionale della stessa norma, dal
momento che la soluzione di tale problema comporterebbe soltanto una
valutazione compresa nella competenza interpretativa del giudice.
4. – In prossimità della camera di consiglio la difesa dello Stato
ha depositato una memoria, per ribadire le precedenti deduzioni.
tre distinti decreti-legge, pongono questioni sostanzialmente
identiche sia con riferimento agli atti considerati nel loro
complesso che alla particolare disposizione espressa nell’art. 12,
comma 4, di tali decreti.
I giudizi relativi vanno, pertanto, riuniti per essere decisi con
una stessa pronuncia.
2. – Le ordinanze in esame sollevano questione di legittimità
costituzionale nei confronti dei decreti-legge n. 463 dell’8 novembre
1995, n. 8 dell’8 gennaio 1996, e n. 113 dell’8 marzo 1996 (tutti
recanti “Disposizioni in materia di riutilizzo dei residui derivanti
da cicli di produzione o di consumo in un processo produttivo o in un
processo di combustione, nonché in materia di smaltimento dei
rifiuti”), per violazione dell’art. 77 della Costituzione, e,
nell’ambito di tali decreti, della disposizione di cui all’art. 12,
comma 4 – dove si prevede una particolare causa di non punibilità
per i reati di cui al d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 – per
violazione anche dell’art. 24 della Costituzione.
Ad avviso del giudice rimettente i decreti-legge in questione, in
quanto ripetutamente reiterati con contenuto sostanzialmente
identico, verrebbero a contrastare sia con il requisito dell’urgenza
che con il carattere della provvisorietà richiesti dall’art. 77
della Costituzione per l’adozione da parte del Governo di un atto con
forza di legge, determinando anche una surrettizia sostituzione del
decreto-legge alla legge ordinaria.
Nell’ambito di tali decreti-legge la disposizione contenuta
nell’art. 12, comma 4, risulterebbe, altresì, viziata per
violazione dell’art. 24 della Costituzione, avendo previsto come
causa di non punibilità un comportamento praticamente inesigibile,
in quanto connesso al rispetto di condizioni fissate in un decreto
del Ministro dell’ambiente (d.m. 26 gennaio 1990) in gran parte
annullato a seguito di una pronuncia di questa Corte (sentenza n. 512
del 1990).
3. – Dopo l’adozione delle ordinanze di rimessione nessuno dei tre
decreti-legge impugnati è stato convertito in legge. L’ultimo di
tali decreti (d.-l. 8 marzo 1996, n. 113) è stato, peraltro,
ulteriormente reiterato con il d.-l. 3 maggio 1996, n. 246, di
identico contenuto, anch’esso non convertito.
Successivamente, la materia del riutilizzo dei residui e dello
smaltimento dei rifiuti è stata regolata con il d.-l. 8 luglio 1996,
n. 352 (Disciplina delle attività di recupero dei rifiuti), che in
parte ha reiterato e in parte ha modificato la disciplina contenuta
nei precedenti decreti. La disposizione espressa nell’art. 12, comma
4, dei decreti impugnati – oggetto di specifica censura – è stata,
invece, reiterata, senza alcuna modifica, con l’art. 6, comma 4, del
decreto-legge suddetto. Anche questo decreto non è stato convertito,
ma reiterato, senza alcuna variante, con il d.-l. 6 settembre 1996,
n. 462, che è attualmente in vigore.
In sintesi, il decreto-legge n. 462 del 6 settembre 1996, oggi
vigente, ha introdotto variazioni formali e sostanziali rispetto agli
atti (decreti-legge nn. 463 del 1995, 8 e 113 del 1996) che formano
oggetto delle impugnative, ma ha recepito integralmente, nell’art. 6,
comma 4, il contenuto della disposizione già espressa nell’art. 12,
comma 4, specificamente impugnata.
Secondo i principi enunciati nella sentenza n. 84 del 1996 di
questa Corte (v., in particolare, il n. 4.2.3 del considerato in
diritto), la questione di costituzionalità sollevata, con le
ordinanze in esame, nei confronti dei decretilegge nn. 463 del 1995,
8 e 113 del 1996 non può, pertanto, essere “trasferita” sul
decreto-legge n. 462 del 1996 considerato nel suo complesso, dal
momento che lo stesso ha introdotto variazioni nel quadro generale
della disciplina posta con i decreti-legge impugnati. Il
“trasferimento” può essere, invece, operato nei confronti dell’art.
6, comma 4, del d.-l. n. 462 del 1996, che ha riprodotto sia il
contenuto precettivo essenziale che la formulazione letterale
dell’art. 12, comma 4, dei decreti-legge impugnati.
Le censure formulate con le ordinanze in esame, sia in relazione
all’art. 77 che all’art. 24 della Costituzione, vanno, di
conseguenza, riferite soltanto alla norma che è stata reiterata
mediante l’art. 6, quarto comma, del decreto-legge n. 462 del 1996,
oggi in vigore: norma che risulta anche essere la sola rilevante ai
fini della definizione dei giudizi nel cui ambito le questioni di
costituzionalità sono state sollevate.
4. – La questione relativa alla violazione dell’art. 77 della
Costituzione è fondata.
La norma impugnata – così come riprodotta nell’art. 6, comma 4,
del decreto-legge n. 462 del 1996 – ha formato oggetto di una lunga
serie di reiterazioni operate mediante decreti-legge, che trovano il
loro punto di partenza nel d.-l. 7 gennaio 1994, n. 12, e che si sono
prolungate, attraverso una catena ininterrotta, fino ad oggi.
L’art. 77, commi 2 e 3, della Costituzione prevede la possibilità
per il Governo di adottare, sotto la propria responsabilità, atti
con forza di legge (nella forma del decreto-legge) come ipotesi
eccezionale, subordinata al rispetto di condizioni precise. Tali
atti, qualificati dalla stessa Costituzione come “provvisori”, devono
risultare fondati sulla presenza di presupposti “straordinari” di
necessità ed urgenza e devono essere presentati, il giorno stesso
della loro adozione, alle Camere, ai fini della conversione in legge,
conversione che va operata nel termine di sessanta giorni dalla loro
pubblicazione. Ove la conversione non avvenga entro tale termine, i
decreti-legge perdono la loro efficacia fin dall’inizio, salva la
possibilità per le Camere di regolare con legge i rapporti giuridici
sorti sulla base dei decreti-legge non convertiti.
Questa disciplina, nella sua limpida formulazione, non offre
alternative al carattere necessariamente provvisorio della
decretazione d’urgenza: o le Camere convertono il decreto in legge
entro sessanta giorni o il decreto perde retroattivamente la propria
efficacia, senza che il Governo abbia la possibilità di invocare
proroghe o il Parlamento di provvedere ad una conversione tardiva. La
disciplina costituzionale viene, pertanto, a qualificare il termine
dei sessanta giorni fissato per la vigenza della decretazione
d’urgenza come un limite insuperabile, che – proprio ai fini del
rispetto del criterio di attribuzione della competenza legislativa
ordinaria alle Camere – non può essere né violato né
indirettamente aggirato.
Ora, il decreto-legge iterato o reiterato – per il fatto di
riprodurre (nel suo complesso o in singole disposizioni) il contenuto
di un decreto-legge non convertito, senza introdurre variazioni
sostanziali – lede la previsione costituzionale sotto più profili:
perché altera la natura provvisoria della decretazione d’urgenza
procrastinando, di fatto, il termine invalicabile previsto dalla
Costituzione per la conversione in legge; perché toglie valore al
carattere “straordinario” dei requisiti della necessità e
dell’urgenza, dal momento che la reiterazione viene a stabilizzare e
a prolungare nel tempo il richiamo ai motivi già posti a fondamento
del primo decreto; perché attenua la sanzione della perdita
retroattiva di efficacia del decreto non convertito, venendo il
ricorso ripetuto alla reiterazione a suscitare nell’ordinamento
un’aspettativa circa la possibilità di consolidare gli effetti
determinati dalla decretazione d’urgenza mediante la sanatoria finale
della disciplina reiterata.
Su di un piano più generale, la prassi della reiterazione, tanto
più se diffusa e prolungata nel tempo – come è accaduto nella
esperienza più recente – viene, di conseguenza, a incidere negli
equilibri istituzionali (v. sentenza n. 302 del 1988), alterando i
caratteri della stessa forma di governo e l’attribuzione della
funzione legislativa ordinaria al Parlamento (art. 70 della
Costituzione).
Non solo. Questa prassi, se diffusa e prolungata, finisce per
intaccare anche la certezza del diritto nei rapporti tra i diversi
soggetti, per l’impossibilità di prevedere sia la durata nel tempo
delle norme reiterate che l’esito finale del processo di conversione:
con conseguenze ancora più gravi quando il decreto reiterato venga a
incidere nella sfera dei diritti fondamentali o – come nella specie –
nella materia penale o sia, comunque, tale da produrre effetti non
più reversibili nel caso di una mancata conversione finale (v.
sentenza n. 161 del 1995; ordinanza n. 197 del 1996).
5. – Il divieto di iterazione e di reiterazione, implicito nel
disegno costituzionale, esclude, quindi, che il Governo, in caso di
mancata conversione di un decreto-legge, possa riprodurre, con un
nuovo decreto, il contenuto normativo dell’intero testo o di singole
disposizioni del decreto non convertito, ove il nuovo decreto non
risulti fondato su autonomi (e, pur sempre, straordinari) motivi di
necessità ed urgenza, motivi che, in ogni caso, non potranno essere
ricondotti al solo fatto del ritardo conseguente dalla mancata
conversione del precedente decreto. Se è vero, infatti, che, in caso
di mancata conversione, il Governo non risulta spogliato del potere
di intervenire nella stessa materia con lo strumento della
decretazione d’urgenza, è anche vero che, in questo caso,
l’intervento governativo – per poter rispettare i limiti della
straordinarietà e della provvisorietà segnati dall’art. 77 – non
potrà porsi in un rapporto di continuità sostanziale con il decreto
non convertito (come accade con l’iterazione e con la reiterazione),
ma dovrà, in ogni caso, risultare caratterizzato da contenuti
normativi sostanzialmente diversi ovvero da presupposti
giustificativi nuovi di natura “straordinaria”.
6. – I principi richiamati conducono, dunque, ad affermare
l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 77 della
Costituzione, dei decreti-legge iterati o reiterati, quando tali
decreti, considerati nel loro complesso o in singole disposizioni,
abbiano sostanzialmente riprodotto, in assenza di nuovi (e
sopravvenuti) presupposti straordinari di necessità ed urgenza, il
contenuto normativo di un decreto-legge che abbia perso efficacia a
seguito della mancata conversione.
Restano, peraltro, salvi gli effetti dei decreti-legge iterati o
reiterati già convertiti in legge o la cui conversione risulti
attualmente in corso, ove la stessa intervenga nel termine fissato
dalla Costituzione. A questo proposito va, infatti, considerato che
il vizio di costituzionalità derivante dall’iterazione o dalla
reiterazione attiene, in senso lato, al procedimento di formazione
del decreto-legge in quanto provvedimento provvisorio fondato su
presupposti straordinari di necessità ed urgenza: la conseguenza è
che tale vizio può ritenersi sanato quando le Camere, attraverso la
legge di conversione (o di sanatoria), abbiano assunto come propri i
contenuti o gli effetti della disciplina adottata dal Governo in sede
di decretazione d’urgenza.
7. – Da quanto precede discende l’illegittimità costituzionale
dell’art. 6, comma 4, del d.-l. 6 settembre 1996, n. 462, che ha
reiterato, con contenuto immutato ed in assenza di nuovi presupposti
di necessità ed urgenza, la disposizione espressa nell’art. 12,
quarto comma, dei decreti-legge impugnati.
Resta assorbita la censura relativa alla violazione dell’art. 24
della Costituzione.
8. – Questa Corte, nell’adottare la presente pronuncia, è
consapevole delle difficoltà di ordine pratico che dalla stessa, nei
tempi brevi, potranno derivare sul piano dell’assetto delle fonti
normative, stante l’ampiezza assunta dal fenomeno della reiterazione
nel corso delle ultime legislature. Tali difficoltà, ancorché ben
presenti, non sono, peraltro, tali da poter giustificare il protrarsi
di una prassi che è andata sempre più degenerando e che ha condotto
ad oscurare principi costituzionali di rilevanza primaria quali
quelli enunciati nell’art. 77 della Costituzione, principi la cui
violazione o elusione è suscettibile di incidere non soltanto sul
corretto svolgimento dei processi di produzione normativa, ma anche
sugli equilibri fondamentali della forma di governo.
Su questo piano, la Corte non può fare altro che segnalare al
Parlamento ed al Governo l’opportunità di intervenire sulle cause
che hanno condotto, negli ultimi anni, a dilatare il ricorso alla
reiterazione, cause che – anche al di fuori della prospettiva di una
riforma dell’art. 77 della Costituzione – potrebbero, sin da ora,
essere contenute e rimosse, mediante il più rigoroso rispetto da
parte del Governo dei requisiti della necessità e dell’urgenza e
attraverso le opportune iniziative che il Parlamento, nell’ambito
delle proprie competenze, potrà, a sua volta, adottare.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi, dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 6, comma 4, del d.-l. 6 settembre 1996, n. 462, recante
“Disciplina delle attività di recupero dei rifiuti”.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 17 ottobre 1996
Il Presidente: Ferri
Il redattore: Cheli
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 24 ottobre 1996.
Il direttore della cancelleria: Di Paola