Sentenza N. 362 del 1998
Corte Costituzionale
Data generale
06/11/1998
Data deposito/pubblicazione
06/11/1998
Data dell'udienza in cui è stato assunto
28/10/1998
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
Riccardo CHIEPPA, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
4, commi 1 e 6, 5, comma 1, lettera f) 7, commi 2 e 6, 11, comma 1,
13, comma 1, 14, comma 4, 17, commi 1 e 2, e 20 della legge della
Regione Lombardia del 16 settembre 1996, n. 27 (Disciplina
dell’attività e dei servizi concernenti viaggi e soggiorni.
Ordinamento amministrativo delle agenzie di viaggio e turismo e
delega alle Province), promosso con ordinanza emessa il 16 gennaio
1997 dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sul
ricorso proposto da Ferti Viaggi s.r.l. ed altre contro la Regione
Lombardia ed altra, iscritta al n. 412 del registro ordinanze 1997 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima
serie speciale, dell’anno 1997.
Visti gli atti di costituzione della Ferti Viaggi s.r.l. ed altre e
della Regione Lombardia;
Udito nell’udienza pubblica del 24 marzo 1998 il giudice relatore
Carlo Mezzanotte;
Uditi gli avvocati Massimo Burghignoli e Guido Romanelli per la
Ferti Viaggi s.r.l. ed altre e l’avvocato Beniamino Caravita di
Toritto per la Regione Lombardia.
confronti della Regione Lombardia, per ottenere l’annullamento,
previa sospensione della esecuzione, della deliberazione 18 ottobre
1996 della Giunta regionale avente ad oggetto “Criteri operativi per
la gestione amministrativa delle istanze di nuova apertura nonché
delle autorizzazioni regionali per l’esercizio di attività di
agenzia di viaggio e turismo, di cui alla legge regionale 16
settembre 1996, n. 27”, il Tribunale amministrativo regionale per la
Lombardia, dopo aver disposto, in via interinale e sino alla
restituzione degli atti a seguito del giudizio di questa Corte, la
sospensione della esecuzione della delibera impugnata, ha sollevato
questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 3, 4,
commi 1 e 6, 5, comma 1, lettera f), 7, commi 2 e 6, 11, comma 1, 13,
comma 1, 14, comma 4, 17, commi 1 e 2, e 20 della legge della Regione
Lombardia 16 settembre 1996, n. 27 (Disciplina dell’attività e dei
servizi concernenti viaggi e soggiorni. Ordinamento amministrativo
delle agenzie di viaggio e turismo e delega alle Province),
deducendone il contrasto con gli articoli 117, 120, 41, 3 e 97 della
Costituzione.
Il giudice a quo prospetta la illegittimità costituzionale delle
disposizioni della legge regionale che impongono la autorizzazione
non solo per lo svolgimento della attività della agenzia, ma anche
per l’apertura di eventuali filiali (art. 4, comma 1, e 7, comma 6);
delle connesse disposizioni concernenti la indicazione della qualità
di agenzia principale o di filiale sia nella domanda volta ad
ottenere l’autorizzazione (art. 5, comma 1, lettera f), sia nel
provvedimento di autorizzazione (art. 7, comma 2); di quelle che
impongono la necessaria presenza del direttore tecnico (art. 14,
comma 4), il pagamento della tassa regionale (art. 11, comma 1) e il
versamento della cauzione non solo per la sede principale ma anche
per le filiali (art. 13, comma 1); di quella che consente
l’installazione di terminali remoti presso strutture o locali diversi
da quelli dell’agenzia, precludendo, peraltro, la possibilità di
distaccare presso tali strutture personale dipendente dall’agenzia
stessa (art. 3, comma 3); di quella che richiede il requisito della
indipendenza dei locali per le agenzie che svolgano la propria
attività presso strutture pubbliche o private (art. 4, comma 6).
Le disposizioni relative alla prescrizione dell’autorizzazione
anche per le filiali sarebbero illegittime, ad avviso del giudice a
quo per violazione:
dell’articolo 117 della Costituzione, come attuato dall’art. 9
della legge 17 maggio 1983, n. 217 (Legge quadro per il turismo e
interventi per il potenziamento e la qualificazione dell’offerta
turistica), in quanto contrasterebbero con il principio della legge
statale, secondo il quale l’agenzia di viaggi costituisce una impresa
destinata ad essere considerata unitariamente;
dell’articolo 41 della Costituzione, in quanto limiterebbero il
nucleo essenziale della libertà di impresa economica;
dell’articolo 120 della Costituzione, in quanto irragionevolmente
richiederebbero il rilascio di un’autorizzazione anche per le agenzie
che già siano state autorizzate da altre Regioni e che intendano
operare nella Regione Lombardia, così limitando il diritto delle
agenzie stesse di esercitare la propria attività in qualunque parte
del territorio nazionale.
Le disposizioni che prescrivono il pagamento della tassa regionale
(art. 11, comma 1) e il deposito cauzionale per ogni filiale (art.
13, comma 1) sarebbero poi illegittime, sempre ad avviso del giudice
a quo, per contrasto con l’articolo 41 della Costituzione, in quanto
creerebbero ostacoli all’attività dell’agenzia, mentre la
disposizione che prescrive la necessaria presenza del direttore
tecnico presso ogni filiale sarebbe illegittima anche per violazione
dell’articolo 117 della Costituzione, nell’attuazione ad esso data
dall’articolo 9 della legge quadro, secondo il quale l’agenzia
dovrebbe essere considerata come una unica impresa, a prescindere
dalle sue articolazioni territoriali.
La disposizione concernente la disciplina dei terminali remoti
(art. 3, comma 3) sarebbe a sua volta contrastante con l’articolo 41
della Costituzione, in quanto inciderebbe sulla autonomia
imprenditoriale in ordine alla scelta sulla opportunità o meno di
attrezzare la dislocazione dell’agenzia con proprio personale ed in
quanto imporrebbe di considerare i distaccamenti presso i clienti
come filiali con i conseguenti obblighi di munirsi della relativa
autorizzazione, di pagare la tassa regionale, di versare il deposito
cauzionale e di dotarsi di un direttore tecnico, determinando così
una lesione del principio della concorrenza, tanto più evidente dal
momento che l’articolo 17 della legge regionale, oggetto di autonoma
censura, esclude le imprese esercenti il servizio pubblico di
trasporto dalla disciplina della legge regionale nel caso in cui
intendano svolgere la prenotazione e la vendita dei propri biglietti
presso strutture pubbliche o private.
Un’ultima censura è rivolta dal giudice a quo alla disposizione di
cui all’articolo 20 della legge regionale, sotto il profilo che il
riparto di competenze ivi stabilito tra Regione e Province sarebbe
lesivo del principio di buon andamento della pubblica
amministrazione.
2. – Si sono costituite nel presente giudizio le parti private del
giudizio principale, insistendo per la dichiarazione di
illegittimità costituzionale delle disposizioni impugnate.
Nella loro memoria, le parti private, tutte agenzie di viaggi
particolarmente impegnate nella organizzazione di viaggi di affari,
ivi compreso il relativo servizio di prenotazione e biglietteria,
dopo aver illustrato le caratteristiche di tale settore di attività,
rilevano che le disposizioni impugnate contrasterebbero con il
principio della unitaria considerazione dell’agenzia come impresa,
risultante dalla normativa statale di attuazione dell’articolo 117
della Costituzione in materia.
Le medesime disposizioni, ad avviso delle parti private,
contrasterebbero ad un tempo anche con l’articolo 120 della
Costituzione, dal momento che costituirebbero un evidente ostacolo al
libero esercizio di una professione, e con l’articolo 41 della
Costituzione, perché impedirebbero all’agente di viaggi di estendere
sul territorio la propria organizzazione.
In particolare, quanto al dedotto contrasto delle disposizioni
impugnate con l’art. 41 della Costituzione, la difesa delle parti
private ricorda che, con segnalazione del 30 giugno 1995, l’Autorità
garante della concorrenza e del mercato, sul presupposto che nel
settore delle agenzie di viaggio la tutela del pubblico interesse,
assicurata dalla verifica della idoneità tecnica, della correttezza
professionale e della solidità finanziaria degli operatori del
settore, costituisce l’unica esigenza che possa giustificare un
intervento regolativo, ha censurato le normative regionali allora
vigenti basate sul sistema del contingentamento, in quanto limitative
della possibilità di entrata di nuovi operatori nel mercato stesso.
Le disposizioni censurate sarebbero lesive, per le parti private,
anche dell’art. 3 della Costituzione, dal momento che dalla
applicazione della legge regionale discenderebbe un risultato
irragionevole, non potendosi limitare in una sola Regione la libertà
di impresa se non per fondatissime ragioni inerenti a particolarità
del singolo territorio, ragioni nel caso insussistenti.
Contraddittoriamente, poi, la legge consentirebbe la installazione
presso la clientela di macchine emettitrici di biglietti, vietando
però la permanenza di personale sul posto. Irrazionale sarebbe
anche, ad avviso delle parti private, la pretesa che il distaccamento
trasformato in filiale ottemperi al requisito di indipendenza dei
locali da altre attività, trattandosi di requisito impossibile
perché in contrasto con l’interesse del cliente. Ma irrazionalità
e diseguaglianze sarebbero amplificate, sempre ad avviso delle parti
private, dal mancato assoggettamento delle imprese esercenti servizi
pubblici di trasporto, la cui attività si limiti esclusivamente alla
prenotazione e vendita dei propri biglietti, ai vincoli autorizzativi
ed operativi imposti invece alle agenzie di viaggi. Secondo le parti
private, la normativa sui terminali remoti contrasterebbe anche con
l’articolo 97 della Costituzione, dal momento che il divieto di
permanenza dei dipendenti potrebbe essere giustificato solo nel caso
in cui costoro si fossero resi responsabili di condotte non
regolamentari; ma, in questo caso, il loro allontanamento non
potrebbe non costituire una sanzione amministrativa, che potrebbe
essere applicata solo all’esito di un procedimento disciplinare.
Quanto, infine, alla questione concernente l’articolo 20, le parti
private rilevano che la frammentazione delle competenze tra Regione e
Province non costituirebbe certo il miglior modo di coniugare i
controlli amministrativi che precedono l’applicazione delle sanzioni
con le informazioni che sono istituzionalmente disponibili a chi ha
effettuato le istruttorie ed emesso le autorizzazioni.
3. – Si è costituita anche la Regione Lombardia, la quale,
rinviando ad una successiva memoria lo svolgimento delle proprie
difese, ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili e
comunque non fondate.
Nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, la Regione ha
poi illustrato le ragioni della inammissibilità delle questioni, le
quali sarebbero costituite, in via generale, dall’assoluto difetto di
motivazione della ordinanza di remissione in ordine alla rilevanza
delle questioni e dalla errata individuazione delle disposizioni
impugnate. Dalla lettura degli atti di causa, resa necessaria, ad
avviso della Regione, dalla laconicità della ordinanza quanto alla
rilevanza (di per sé sintomo della inammissibilità delle
questioni), sembrerebbe, infatti, potersi desumere che la delibera
della Giunta regionale è stata impugnata esclusivamente per la
questione dei terminali remoti; tuttavia, l’articolo 3, comma 3, che
disciplina appunto i terminali remoti, non risulta incluso, nel
dispositivo dell’ordinanza, tra le disposizioni per le quali è
sollevata questione di legittimità costituzionale. In ogni caso, a
prescindere dalla mancanza della motivazione, difetterebbe, ad avviso
della Regione, la rilevanza delle questioni sollevate ai fini della
definizione del giudizio principale, dal momento che non risulterebbe
in atto né una controversia circa il rilascio o il mancato rilascio
di un’autorizzazione per una filiale, né una controversia sul
requisito della presenza del direttore tecnico in ogni filiale, né,
infine, una controversia circa la indipendenza dei locali della
agenzia o della filiale. Del tutto estranea all’oggetto del giudizio
principale sarebbe poi la disposizione dell’art. 20, in relazione
alla quale la questione sarebbe comunque proposta in termini
ipotetici e dubbiosi. In sostanza, conclude la Regione, sarebbe del
tutto evidente il carattere astratto delle questioni, le quali
celerebbero una sorta di inammissibile impugnazione diretta della
legge.
Le questioni sarebbero, ad avviso della Regione, in ogni caso non
fondate.
La Regione osserva che la legge quadro, contrariamente a quanto
sostenuto dal giudice a quo, porrebbe il principio secondo il quale,
a tutela del pubblico, ogni struttura dotata di autonomia deve essere
diretta da un soggetto adeguato e preparato; quindi, il principio
della unicità, ma in senso diverso da quello sostenuto dal giudice a
quo: una sede, un soggetto autorizzato. La legge regionale non
limiterebbe in alcun modo l’articolazione organizzativa delle agenzie
sul territorio regionale e anzi la consentirebbe, ma nel rispetto
dell’esigenza che il titolare o il direttore tecnico siano sempre in
possesso dei requisiti minimi di professionalità previsti dalla
legge. Del resto, la stessa legge quadro stabilisce che il titolare
debba prestare la propria attività con carattere di continuità ed
esclusività nella agenzia e che se il titolare è impedito (il che
si verificherebbe anche in caso di pluralità di sedi) deve esserci
un direttore tecnico munito dei medesimi requisiti professionali del
titolare. Ciò renderebbe manifesto, ad avviso della Regione, che
mentre l’attività di direzione e di organizzazione spettante
all’imprenditore rimane inscindibile e unitaria, gli specifici
requisiti possono essere posseduti da altri soggetti che svolgano con
continuità ed esclusività la loro opera nella sede alla quale sono
preposti sotto la direzione dell’imprenditore.
Del tutto infondato, poi, sarebbe il rilievo secondo il quale il
regime dell’autorizzazione mirerebbe ad una regolamentazione
dirigistica e contraria alla libertà di impresa, dal momento che
esso costituirebbe estrinsecazione del principio di tutela degli
utenti fatto proprio dalla legge. Inoltre, poiché l’autorizzazione
è legata a parametri predeterminati, con esclusione di ogni
discrezionalità, e risponde all’esigenza della tutela dei
consumatori, dovrebbe escludersi ogni violazione dell’articolo 41
della Costituzione. Così come dovrebbe escludersi ogni violazione
dell’articolo 120 della Costituzione, dal momento che sarebbe la
legge statale ad esigere la presenza in ogni unità operativa di un
soggetto dotato di alcuni requisiti tecnici e quindi la relativa
verifica da effettuarsi in sede di rilascio dell’autorizzazione ad
opera della singola Regione.
Quanto infine alla questione relativa alla situazione dei terminali
remoti, la Regione rileva che è la descrizione dell’attività di
tali strutture contenuta nel ricorso al tribunale amministrativo
regionale a suggerire la necessità che l’attività stessa si svolga
sotto la vigilanza di un soggetto qualificato.
4. – Anche le parti private hanno depositato una memoria, nella
quale contestano le eccezioni di inammissibilità formulate dalla
Regione, rilevando che la delibera impugnata nel giudizio principale
ha una sua autonoma efficacia prescrittiva ed è idonea, comunque, a
ledere le posizioni soggettive delle agenzie.
Quanto al merito delle questioni, le parti private sottolineano che
l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, con segnalazione
in data 30 ottobre 1997, ha ritenuto che varie disposizioni delle
leggi delle Regioni Lombardia, Liguria e Marche, e tra queste quelle
della Regione Lombardia oggetto di censura, determinano distorsioni
della concorrenza che non sono giustificate da un interesse generale.
Le parti private osservano sul punto che l’Autorità ha ritenuto
anticoncorrenziali e, quindi, illegittimi: il non riconoscimento
dell’efficacia ultraregionale dell’autorizzazione conseguita presso
una singola Regione; l’imposizione dell’autorizzazione per ogni
articolazione territoriale dell’agenzia di viaggio; il divieto di
distaccare personale dipendente dell’agenzia presso la clientela
d’affari. Le ultime due prescrizioni, sottolineano le parti private,
prefigurano una struttura obbligata dell’agenzia di viaggi, la quale
viene regolata come un esercizio commerciale, in contrasto con
l’articolo 9 della legge quadro. Le parti private rilevano, poi, che
la pretesa di sottoporre a controllo l’organizzazione interna delle
agenzie di viaggi sarebbe irragionevole anche in considerazione del
fatto che il mercato della mobilità sta subendo rilevanti
trasformazioni e che, secondo autorevoli stime, nei prossimi cinque
anni, il 35 per cento di tale mercato verrà gestito da agenzie
multimediali o da operatori che utilizzano canali innovativi o nuove
tecnologie o servizi, e che solo il 45 per cento sarà intermediato
dalle agenzie tradizionali. In un contesto in cui le agenzie di
viaggi, sia grandi che piccole, debbono competere con i nuovi
operatori in un momento di profonda trasformazione del mercato, solo
le agenzie di viaggi, quindi, e non anche gli altri operatori del
medesimo mercato, si troverebbero sottoposte ad un regime
autorizzatorio e ai connessi costi aggiuntivi. Paradossalmente,
proseguono le parti private, proprio la Lombardia, che è l’unica
Regione che sembra tenere conto delle nuove forme di distribuzione
telematica dei servizi di viaggio, non considera affatto l’esigenza
di tutelare la concorrenza in modo paritario tra tutti i competitori.
Le parti private, oltre a ribadire le argomentazioni già svolte
all’atto della costituzione nel presente giudizio, prospettano poi
una nuova questione di legittimità costituzionale, chiedendo alla
Corte di sollevarla dinanzi a sé. Muovendo dalla premessa che gli
articoli 52 e 59 del trattato dell’Unione europea, nel garantire la
libertà di circolazione e di stabilimento, non ostano a che la
normativa di uno Stato membro preveda la necessità di
un’autorizzazione amministrativa, le parti private rilevano che la
previsione dell’autorizzazione anche per le filiali delle agenzie di
viaggio da parte della legge regionale difetterebbe dei requisiti di
legittimità richiesti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia
dell’Unione europea, ponendosi così in contrasto con gli articoli
del trattato e, quindi, indirettamente, con gli articoli 11 e 117
della Costituzione.
sono numerose disposizioni della legge della Regione Lombardia 16
settembre 1996, n. 27 (Disciplina dell’attività e dei servizi
concernenti viaggi e soggiorni. Ordinamento amministrativo delle
agenzie di viaggio e turismo e delega alle Province), della
legittimità costituzionale delle quali il Tribunale amministrativo
regionale per la Lombardia dubita in riferimento agli articoli 117,
120, 41, 3 e 97 della Costituzione.
In particolare, oggetto di censura sono sia la disposizione che
stabilisce che l’esercizio dell’attività delle filiali delle agenzie
di viaggio sia sottoposto ad autorizzazione regionale (articolo 4,
comma 1), sia le altre disposizioni che presuppongono la distinzione
delle agenzie di viaggio e turismo in relazione alla natura
principale o secondaria della loro sede e che, sulla base di tale
distinzione, impongono determinati oneri: l’articolo 5, comma 1,
lettera f), il quale impone di specificare, nella domanda volta ad
ottenere l’autorizzazione, la qualità di agenzia principale ovvero
di filiale alla quale si riferisce la richiesta; l’articolo 7, comma
2, il quale dispone che nell’autorizzazione venga annotato il
carattere di agenzia principale ovvero di filiale, e comma 6, il
quale prevede che l’esercizio dell’attività in sedi diverse, fermo
l’obbligo del pagamento di una sola tassa di concessione, comporta
autorizzazioni distinte con l’indicazione della sede e della filiale;
l’articolo 11, comma 2, il quale subordina al pagamento della tassa
di concessione regionale l’apertura dell’agenzia di viaggio e
turismo, principale e/o filiale; l’articolo 13, comma 1, secondo il
quale la cauzione deve essere prestata dall’agenzia, sia essa sede o
filiale; l’articolo 14, comma 4, il quale dispone che il direttore
tecnico deve prestare la propria attività in una sola agenzia, o
filiale, a tempo pieno e con carattere di esclusività.
Ad avviso del remittente, tutte queste disposizioni sarebbero
illegittime per violazione: a) dell’articolo 117 della Costituzione,
come attuato dall’articolo 9 della legge 17 maggio 1983, n. 217
(Legge quadro per il turismo e interventi per il potenziamento e la
qualificazione dell’offerta turistica), in quanto contrasterebbero
con il principio fondamentale della materia, secondo il quale
l’agenzia di viaggio e turismo costituisce una impresa destinata ad
essere considerata unitariamente; b) dell’articolo 41 della
Costituzione, in quanto limiterebbero il nucleo essenziale della
libertà di iniziativa economica; c) dell’articolo 120 della
Costituzione, in quanto irragionevolmente assoggetterebbero alla
medesima disciplina agenzie già autorizzate da altre Regioni che
intendano operare nel territorio della Regione Lombardia.
Il remittente dubita, poi, della legittimità costituzionale della
disciplina posta dall’articolo 3, comma 3, della legge regionale,
secondo il quale l’attività delle agenzie di viaggio esercitate
presso i locali dei propri clienti può essere svolta solo se è
supportata esclusivamente da sistemi e mezzi informatizzati, con
esclusione di personale dipendente dell’agenzia stessa. La questione
è prospettata sia in riferimento all’articolo 41 della Costituzione,
sotto il profilo della indebita compressione dell’autonomia
imprenditoriale, sia in relazione all’articolo 3 della Costituzione,
sotto il profilo della diversità di trattamento riservata alle
imprese esercenti servizi pubblici di trasporto, alle quali non si
applicano le disposizioni della legge regionale.
Censure più particolari riguardano, inoltre, l’articolo 4, comma
6, che prevede per le agenzie che svolgono la propria attività
all’interno di strutture pubbliche o private, il requisito della
indipendenza dei locali da altre attività, della legittimità
costituzionale del quale il giudice remittente dubita in riferimento
agli articoli 117 e 41 della Costituzione, e l’articolo 20, il quale
attribuisce alla Regione, in via esclusiva, le funzioni di vigilanza
e controllo sulle agenzie di viaggio, della cui legittimità
costituzionale il giudice remittente dubita in riferimento
all’articolo 97 della Costituzione.
Un’ultima questione è prospettata, ma solo nel dispositivo della
ordinanza di remissione, in relazione alle disposizioni di cui
all’articolo 17, commi 1 e 2, della legge regionale, il quale esclude
dall’ambito di applicazione della legge stessa le imprese di viaggio
esercenti servizi pubblici di trasporto la cui attività si limiti
esclusivamente alla prenotazione e vendita dei propri biglietti
mediante l’apertura di propri uffici.
2. – Vanno preliminarmente respinte le eccezioni di
inammissibilità sollevate, sotto più profili, dalla Regione
Lombardia.
Privo di fondamento è, in primo luogo, l’addebito mosso
all’ordinanza di remissione circa l’assenza di qualsiasi motivazione
sulla rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale.
Seppure in maniera succinta, nella ordinanza si dà atto della
posizione delle ricorrenti quali imprese aventi sede anche in Regioni
diverse dalla Lombardia e dei motivi per i quali esse ritengono
lesive del loro interesse le varie prescrizioni contenute nella
delibera della Giunta regionale del 18 ottobre 1996, impugnata nel
giudizio a quo, concernente le modalità di presentazione delle
istanze di apertura e di estensione delle attività delle agenzie di
viaggio, nonché di variazione delle condizioni originali
dell’autorizzazione.
La rilevanza è motivata, in termini generali, allorché nella
ordinanza si riferisce che i vizi denunciati nei confronti della
deliberazione regionale riguardano l’illegittimità derivata, per
contrasto con parametri costituzionali puntualmente indicati, delle
disposizioni della legge regionale, della quale la deliberazione
della Giunta costituisce attuazione.
Non può essere condiviso neppure il rilievo secondo il quale la
disposizione che disciplina i terminali remoti, e cioè l’articolo 3,
comma 3, della legge regionale, non è ricompresa tra quelle per le
quali è sollevata questione di legittimità costituzionale. Anche se
non specificamente indicato nel dispositivo dell’ordinanza, una
corretta interpretazione di questa induce a ritenere che la censura
sia stata estesa all’articolo 3, là dove (a pagina 7, punto 3) si
prospetta una violazione della “autonomia imprenditoriale di ciascun
singolo operatore turistico autorizzato, al quale soltanto compete,
fermo il riscontro della conformità della stessa attività alle
diverse prescrizioni stabilite dall’articolo 3, di valutare se sia
opportuno o meno attrezzare la indicata dislocazione remota con
proprio personale”.
Quanto, poi, alla eccezione secondo la quale dall’ordinanza di
remissione non risulterebbe l’esistenza di controversie concrete tra
le agenzie ricorrenti e la Regione a seguito della applicazione delle
singole disposizioni oggetto di censura, si deve osservare che la
natura dell’atto impugnato, che è atto generale, rende vana la
ricerca di controversie sugli eventuali atti applicativi. Il solo
problema che avrebbe potuto essere posto, nel giudizio a quo era se,
di fronte a un atto generale, la lesione lamentata dalle ricorrenti,
alla stregua dei criteri elaborati dal giudice amministrativo,
potesse dirsi attuale e non meramente ipotetica o se, al contrario,
perché sorgesse un interesse a ricorrere, fosse necessario attendere
l’adozione di un provvedimento applicativo. Ma si tratta di una
questione che non può essere affrontata da questa Corte, non
apparendo manifestamente implausibile che la delibera della Giunta
regionale, per il contenuto proprio delle sue prescrizioni, fosse
suscettibile di ledere immediatamente le posizioni soggettive dei
destinatari imponendo vincoli e divieti incidenti direttamente sulla
loro attività.
3. – La questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma
1, della legge regionale lombarda è fondata. Correttamente il
giudice remittente rileva una contraddizione tra l’articolo 3 della
stessa legge regionale che definisce le agenzie di viaggio e turismo
come “imprese che esercitano attività di produzione, organizzazione,
prenotazione e vendita biglietti di viaggi e soggiorni”, e il
successivo articolo 4 che assoggetta ad autorizzazione le eventuali
filiali, che non sono autonome imprese, comprendendovi anche le
agenzie che hanno la loro sede principale in altre Regioni. In
quest’ultima previsione è effettivamente ravvisabile una violazione
degli articoli 41, 117 e 120 della Costituzione.
La definizione delle agenzie di viaggio e turismo è contenuta
nell’articolo 9 della legge 17 marzo 1983, n. 217. Da questa
disposizione, che funge da principio al quale la legislazione
regionale, in forza dell’articolo 117 della Costituzione, è
vincolata ad attenersi, emerge una configurazione unitaria delle
agenzie. Queste sono definite, testualmente, imprese, termine dotato
di una attitudine qualificatoria non equivoca, che rimanda, per
l’ovvia esigenza di lettura sistematica della disposizione, alla
nozione di impresa desumibile dagli articoli 2082 e 2555 del codice
civile, riguardanti, rispettivamente, l’imprenditore e l’azienda: il
primo è colui che esercita professionalmente una attività economica
per la produzione o lo scambio di beni o servizi; la seconda è il
complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio
dell’impresa. Le filiali, le sedi secondarie, o le altre
articolazioni territoriali della attività produttiva (uffici, punti
vendita, ecc.) non costituiscono, nel nostro ordinamento, entità
separate dall’azienda, né centro autonomo di imputazione di
interessi economici distinti da quelli che fanno capo
all’imprenditore.
Non si vuol dire che sarebbe inibito al legislatore nazionale
stabilire, avuto riguardo alle caratteristiche peculiari
dell’attività produttiva nei diversi settori economici e degli
interessi pubblici che siano in essi coinvolti, oneri o limitazioni
suscettibili di attenuare la configurazione unitaria dell’impresa
quale scaturisce dal diritto comune, ed attribuire autonoma
rilevanza, a determinati fini, alle singole unità produttive nelle
quali l’impresa sia strutturata. Ma non vi è alcun elemento
nell’articolo 9 della legge quadro che consenta di ritenere che il
legislatore statale, nel porre con esso un principio fondamentale
della materia del turismo, abbia inteso discostarsi, agli effetti
della definizione di impresa, dalle risapute nozioni del diritto
commerciale e che abbia voluto permettere che nelle singole
legislazioni regionali divenisse impresa una realtà più
circoscritta, diversa da quella prevista e regolata nell’ordinamento
generale. L’autorizzazione all’esercizio delle attività di
produzione e di intermediazione nei servizi turistici riguarda,
nell’articolo 9, l’impresa come entità unitaria e non le filiali o
le sedi secondarie che l’imprenditore abbia istituito o intenda
istituire.
4. – Non viene una indicazione contraria alla conclusione appena
raggiunta dal rilievo che, nel ripartire la competenza tra lo Stato e
le Regioni, in attuazione dell’art. 117 della Costituzione, il
legislatore abbia attribuito a queste la competenza a rilasciare,
previo accertamento del possesso dei requisiti professionali
stabiliti, l’autorizzazione all’esercizio dell’attività produttiva.
Dal carattere regionale dell’autorizzazione non può argomentarsi un
intento del legislatore di imporre alle agenzie una limitazione
territoriale di attività, nel senso che esse possano dedicarsi
soltanto alla erogazione di servizi turistici locali e sia loro
precluso l’accesso ad un mercato più ampio.
Più di un elemento nella legge quadro induce a ritenere che le
agenzie, sebbene autorizzate dalla Regione nella quale hanno sede,
siano legittimate ad operare sull’intero territorio della Repubblica.
Non è puro accidente che proprio in tale legge sia assente la
distinzione tra agenzie locali e agenzie nazionali, non sia
contemplata alcuna forma di autorizzazione statale e siano previste
soltanto agenzie autorizzate dalla Regione. Ciò non può
evidentemente significare che, nella visione del legislatore del
1983, il mercato delle agenzie turistiche sia popolato di sole
imprese operanti localmente e sia escluso un livello nazionale di
attività. Significa invece che l’ambito territoriale delle agenzie
di viaggio non è dirigisticamente imposto dallo Stato, ma è
interamente affidato alla capacità delle singole imprese di
diffondersi e di estendere la propria attività. Ne è indiretta
conferma il fatto che l’apposito elenco, tenuto e aggiornato dallo
Stato “sulla base delle comunicazioni relative alle autorizzazioni
rilasciate dalle Regioni”, è definito, nel sesto comma dell’art. 9,
“elenco nazionale delle agenzie di viaggio”; e il fatto che allo
Stato, al quale appartiene la tutela dell’interesse nazionale, spetti
aggiornare annualmente l’anzidetto elenco e pubblicarlo nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica; e, ancora, il fatto che tale
elenco venga inserito in una apposita pubblicazione dell’ENIT da
diffondere in Italia e all’estero, come prevede il successivo comma.
Non è infine priva di rilievo la circostanza che, in occasione del
rilascio delle autorizzazioni, le Regioni siano tenute ad accertare
l’inesistenza di agenzie con denominazione uguale o simile già
operanti sul territorio nazionale. La ditta, quale segno distintivo
dell’impresa, deve essere non confondibile non solo con ditte locali,
ma con ogni altra ditta del settore esistente in Italia. È questa la
dimostrazione di quanto pregnante sia, nella legge quadro, l’istanza
di conformazione del mercato in senso unitario. Secondo le regole del
diritto comune, un obbligo di modificare o integrare la ditta con
indicazioni idonee a differenziarla dalla ditta uguale o simile di
altro imprenditore sussiste solo se l’impresa possa creare
confusione, oltre che per il suo oggetto, “per il luogo in cui questa
è esercitata” (art. 2564 cod. civ.): la confondibilità deve essere
effettiva e concreta e un obbligo di differenziarsi non grava
sull’imprenditore se di fatto le imprese svolgano la rispettiva
attività in ambiti territoriali diversi. Non così per le agenzie di
viaggio. Il tipo di servizio che esse erogano (intermediazione nei
viaggi e nel turismo) genera sempre, nella valutazione del
legislatore nazionale, potenziale confondibilità delle imprese che
abbiano una identica ditta ovunque sia ubicata la rispettiva sede,
poiché la clientela a cui le imprese si rivolgono è,
potenzialmente, clientela non locale, così come non locali sono i
servizi ai quali le agenzie di viaggio, in forza del provvedimento
autorizzatorio, sono abilitate.
5. – Una diversa interpretazione della legge quadro, che affermasse
per le agenzie di viaggio una limitazione territoriale allo
svolgimento dell’attività di impresa, si porrebbe oltretutto in
contrasto con gli articoli 41 e 120 della Costituzione, dai quali
emerge una nozione unitaria di mercato che non consente la creazione
di artificiose barriere territoriali all’espandersi dell’impresa e al
diritto di questa di calibrare le proprie strutture organizzative
sulla propria capacità produttiva.
Entrambi gli anzidetti parametri, nel fungere da criterio
interpretativo della legge quadro, esplicano poi, unitamente
all’articolo 117 della Costituzione, una efficacia invalidante
sull’articolo 4, comma 1, della legge della Regione Lombardia n. 27
del 1996, che subordina ad autorizzazione regionale l’apertura di
semplici filiali. L’articolo 120 della Costituzione impedisce,
infatti, alle Regioni di porre ostacoli allo svolgimento delle
attività professionali e vieta alle Regioni stesse di negare alle
agenzie di viaggio che abbiano ottenuto l’autorizzazione in altre
Regioni la natura di imprese e la loro vocazione ad intrattenere
rapporti con una utenza non territorialmente limitata. In base
all’articolo 41 della Costituzione, la decisione se mantenere
l’attività di impresa circoscritta all’ambito territoriale in cui è
sorta o se estenderla ed articolarla in un territorio più vasto,
all’interno di una stessa Regione o anche oltre i confini di questa,
è espressione della libertà organizzativa dell’imprenditore ed è
affidata esclusivamente alle sue valutazioni.
6. – Una volta dichiarata fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’articolo 4, comma 1, nella parte in cui prevede
l’obbligo dell’autorizzazione per le filiali o sedi secondarie, si
devono dichiarare altresì fondate le questioni che hanno ad oggetto
disposizioni che tale obbligo di autorizzazione presuppongono:
l’articolo 5, comma 1, lettera f), il quale dispone che la domanda
per ottenere l’autorizzazione deve contenere l’indicazione della
qualità della agenzia, se principale o filiale; l’articolo 7, comma
2, il quale stabilisce che nell’autorizzazione viene annotato il
carattere di agenzia principale ovvero di filiale; l’articolo 7,
comma 6, in base al quale, fermo restando l’obbligo del pagamento di
una sola tassa di concessione nella misura prevista dalla
legislazione statale vigente, qualora si determini la necessità di
esercitare l’attività in sedi diverse, questa comporta
autorizzazioni distinte con l’indicazione della sede e della filiale;
l’articolo 11, comma 1, che assoggetta al pagamento della tassa di
concessione regionale prevista dalla legislazione vigente anche
l’apertura di filiali di agenzie di viaggio e turismo già
autorizzate; l’articolo 13, comma 1, il quale prevede che la
cauzione, in misura pari al doppio dell’entità della sanzione
amministrativa massima (40 milioni), deve essere prestata anche dalla
filiale.
7. – La illegittimità costituzionale, per violazione dell’articolo
117 della Costituzione, colpisce anche l’articolo 14, comma 4, della
legge regionale lombarda, il quale stabilisce che il direttore
tecnico deve prestare la propria attività in una sola agenzia o
filiale, a tempo pieno e con carattere di continuità ed
esclusività. Che il legislatore regionale fosse legittimato ad
imporre alle agenzie la presenza di un direttore tecnico per ciascuna
filiale o sede secondaria è da escludere in base all’interpretazione
testuale e logica del più volte citato articolo 9 della legge n. 217
del 1983, contenente i principi fondamentali della materia: questo
dispone al quarto comma che, qualora la persona fisica titolare
dell’autorizzazione non presti con carattere di continuità ed
esclusività la propria opera nell’agenzia, i requisiti previsti nel
secondo comma (conoscenza dell’amministrazione e dell’organizzazione
delle agenzie di viaggio, conoscenza della tecnica, della
legislazione e della geografia turistica, conoscenza di almeno due
lingue straniere) dovranno essere posseduti dal direttore tecnico. Il
termine “agenzia” che compare in questa disposizione non può non
essere inteso nel significato corrispondente alla definizione di
“agenzia di viaggio” contenuta nel primo comma: non quindi punto
vendita o sede secondaria o filiale ma, come si è già detto,
impresa in senso unitario, qualunque ne sia l’articolazione sul
territorio; sicché l’onere di nominare un direttore tecnico
sussiste, in base alla legge quadro, oltre che per le agenzie persone
giuridiche, per le persone fisiche che non esercitino l’attività di
agenzia (ossia di impresa) con carattere di continuità ed
esclusività.
In altre parole, la scelta del legislatore nazionale è di non
gravare l’impresa di vincoli organizzativi così penetranti quale
indubbiamente sarebbe l’onere di assumere un direttore tecnico per
ciascuna sede secondaria, ma di lasciare le agenzie turistiche libere
di giovarsi, nella direzione e nel coordinamento dell’attività dei
commessi, dei molteplici mezzi di comunicazione a distanza che la
tecnologia moderna può offrire. L’implicita premessa dalla quale
tale scelta procede è che, per lo svolgimento di un’attività
lavorativa che non richiede la frequentazione di corsi d’istruzione
superiore né il possesso di una cultura di livello accademico, le
regole economiche della concorrenza, integrate dalla prescrizione
giuridica di nominare un institore (il direttore tecnico) con
funzioni di coordinamento nei casi in cui se ne appalesa
effettivamente la necessità (persone giuridiche o persone fisiche
dedite anche ad altre attività), valgano ad orientare l’imprenditore
verso l’impiego di mezzi tecnici e di personale più confacente alla
propria posizione di mercato e alle aspettative dei consumatori. In
definitiva, l’ordine di idee sotteso alla disciplina posta dalla
legge quadro è che gli ampi margini di autonomia di organizzazione
che l’art. 9, quarto comma, lascia alle agenzie turistiche, non
collidano con l’esigenza di tutelare i consumatori o con altre
preminenti istanze di pubblico interesse, e che, semmai, oneri
ulteriori o limitazioni più pervasive, come quelli contenuti nel
censurato articolo 14 della legge regionale, comportino un sacrificio
inutile e comunque sproporzionato dell’interesse delle agenzie. Se
questa è la ponderazione che fa da sfondo alla scelta compiuta dalla
legge quadro, essa non appare irragionevole e non può pertanto
indurre ad una interpretazione diversa, non confacente al testo
dell’articolo 9. Non è infatti così evidente che il punto di
possibile frizione tra l’interesse delle agenzie e quello degli
utenti sia rinvenibile sul piano della ampiezza della libertà di
organizzazione delle prime e non piuttosto su quello della
adeguatezza delle garanzie patrimoniali che – in base peraltro alla
normativa di derivazione comunitaria – le agenzie turistiche devono
offrire al cliente per i casi di inadempienza ad esse imputabili.
8. – Illegittima, per violazione dell’articolo 41 della
Costituzione, è la disposizione dell’articolo 3, comma 3, della
legge regionale lombarda la quale impone alle agenzie di viaggio, che
abbiano propri terminali remoti presso clienti con esse
convenzionati, di avvalersi esclusivamente di sistemi informatizzati
ed automatizzati, con esclusione di personale dipendente dall’agenzia
medesima.
Con tale vessatorio divieto, è ancora la libertà di
organizzazione dell’impresa ad essere colpita. Peraltro, una volta
venuta meno la necessità dell’autorizzazione per l’apertura delle
sedi secondarie, la disciplina dei terminali remoti e del personale
ad essi addetto, risulta equiparata a quella delle altre
articolazioni territoriali dell’impresa, libera quest’ultima di
stabilire se adibire ad esse personale o avvalersi unicamente di
strumenti informatici.
Resta assorbita la censura, proposta solo nel dispositivo della
ordinanza di remissione, relativa all’articolo 17, commi 1 e 2, della
legge regionale n. 27 del 1996, che esonera dall’osservanza di tutte
le disposizioni della legge medesima le imprese esercenti servizi
pubblici di trasporto ferroviario, automobilistico, di navigazione
aerea, marittima, lacuale, fluviale, la cui attività si limiti
esclusivamente alla prenotazione e vendita di propri biglietti di
trasporto mediante l’apertura di propri uffici. La caducazione del
regime autorizzatorio delle sedi secondarie e delle prescrizioni ad
esso connesse, nonché della limitazione imposta alla installazione
di terminali remoti, determina il superamento della dedotta
disparità di trattamento.
9. – Non fondate sono, viceversa, le questioni di legittimità
costituzionale che investono, in riferimento agli articoli 41 e 117
della Costituzione, l’articolo 4, comma 6, e, in riferimento
all’articolo 97 della Costituzione, l’articolo 20 della legge della
Regione Lombardia n. 27 del 1996.
Per quanto riguarda l’articolo 4, il quale impone alle agenzie di
viaggio, che svolgano la loro attività all’interno di strutture
pubbliche o private alle quali il pubblico non abbia libero accesso,
il requisito di indipendenza dei locali da altre attività, la
previsione, lungi dal comportare una violazione della libertà di
impresa, appare non irragionevolmente preordinata alla salvaguardia
dell’affidamento dell’utente e del suo interesse ad una agevole
identificabilità del soggetto con il quale si accinge a concludere
un contratto e che assume la responsabilità del servizio offerto.
Né dai principi della legge quadro è desumibile un divieto a carico
del legislatore regionale di ampliare la tutela del consumatore fino
al punto di pretendere l’esclusività dei locali da adibire
all’esercizio dell’attività di agenzia.
Per quanto riguarda l’articolo 20, il quale attribuisce alla Giunta
regionale le funzioni di vigilanza e di controllo sulle attività
disciplinate dalla legge, la circostanza che l’attività istruttoria
sia rimessa alle Province e sia invece affidata alla Regione
l’attività di vigilanza e di controllo sulle attività delle agenzie
non comporta sotto alcun profilo la violazione del canone del buon
andamento della pubblica amministrazione, rilevando le opposte
considerazioni svolte sul punto dal giudice remittente solo sul piano
della opportunità della scelta compiuta dal legislatore regionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara la illegittimità costituzionale:
dell’articolo 3, comma 3, secondo periodo, della legge della
Regione Lombardia 16 settembre 1996, n. 27 (Disciplina dell’attività
e dei servizi concernenti viaggi e soggiorni. Ordinamento
amministrativo delle agenzie di viaggio e turismo e delega alle
Province);
dell’articolo 4, comma 1, della medesima legge regionale, nella
parte in cui subordina al rilascio della preventiva autorizzazione
l’esercizio dell’attività delle filiali delle agenzie di viaggio e
turismo;
dell’articolo 5, comma 1, lettera f), della medesima legge, nella
parte in cui dispone che la domanda per ottenere l’autorizzazione di
cui all’art. 4 deve contenere la specificazione della qualità di
agenzia principale ovvero di filiale;
dell’articolo 7, comma 2, della medesima legge regionale, nella
parte in cui prevede che nell’autorizzazione venga annotato il
carattere di agenzia principale ovvero di filiale;
dell’articolo 7, comma 6, della medesima legge regionale, nella
parte in cui prevede che l’esercizio dell’attività in sedi diverse
comporta autorizzazioni distinte con l’indicazione della sede e della
filiale;
dell’articolo 11, comma 1, della medesima legge regionale, nella
parte in cui assoggetta l’autorizzazione all’apertura di una filiale
di un’agenzia di viaggio e turismo al pagamento della tassa di
concessione regionale;
dell’articolo 13, comma 1, della medesima legge regionale, nella
parte in cui prevede che la cauzione debba essere prestata anche
dalla filiale;
dell’articolo 14, comma 4, della medesima legge regionale, nella
parte in cui prevede che nella filiale di un’agenzia di viaggio e
turismo il direttore tecnico debba prestare la propria attività con
carattere di esclusività;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
degli articoli 4, comma 6, e 20 della legge della Regione Lombardia
16 settembre 1996, n. 27 (Disciplina dell’attività e dei servizi
concernenti viaggi e soggiorni. Ordinamento amministrativo delle
agenzie di viaggio e turismo e delega alle Province), sollevate, in
riferimento agli articoli 117, 41, 3 e 97 della Costituzione, dal
Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia con l’ordinanza
indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 28 ottobre 1998.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Mezzanotte
Il cancelliere: Di Paola
Depositato in cancelleria il 6 novembre 1998.
Il direttore della cancelleria: Di Paola