Sentenza N. 372 del 1996
Corte Costituzionale
Data generale
02/11/1996
Data deposito/pubblicazione
02/11/1996
Data dell'udienza in cui è stato assunto
17/10/1996
Presidente: avv. Mauro FERRI;
Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato
GRANATA,
prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare
MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott.
Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY,
prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE;
comma, 14, 21 e 23 della legge della Regione siciliana approvata
dall’Assemblea regionale il 24 marzo 1996, dal titolo “Disposizioni
in materia di permessi, indennità ed incarichi negli enti locali.
Modifiche ed integrazioni alle leggi regionali concernenti le
elezioni di organi degli enti locali, il comitato regionale di
controllo, il personale dell’amministrazione regionale e degli enti
locali. Abrogazione di norme”, promosso con ricorso del Commissario
dello Stato per la Regione siciliana notificato il 1 aprile 1996,
depositato in Cancelleria il 10 aprile 1996 ed iscritto al n. 14 del
registro ricorsi 1996.
Visto l’atto di costituzione della regione siciliana;
Udito nell’udienza pubblica del 1 ottobre 1996 il giudice relatore
Valerio Onida;
Uditi l’Avvocato dello Stato Plinio Sacchetto per il ricorrente, e
gli avvocati Francesco Torre e Francesco Castaldi per la Regione
siciliana.
Stato presso la Regione siciliana ha promosso questione di
legittimità costituzionale di quattro articoli della legge regionale
approvata dall’Assemblea regionale il 24 marzo 1996 e intitolata
“Disposizioni in materia di permessi, indennità ed incarichi negli
enti locali. Modifiche ed integrazioni alle leggi regionali
concernenti le elezioni di organi degli enti locali, il comitato
regionale di controllo, il personale dell’amministrazione regionale e
degli enti locali. Abrogazione di norme”.
In primo luogo il Commissario dello Stato impugna l’art. 11 della
legge (intitolato “Modifiche alla legge regionale 3 dicembre 1991, n.
44”), e più precisamente il secondo comma di tale articolo, che
dispone l’abrogazione espressa dell’art. 5, lettera h), della legge
regionale 3 dicembre 1991, n. 44 (Nuove norme per il controllo sugli
atti dei comuni, delle province e degli altri enti locali della
Regione siciliana. Norme in materia di ineleggibilità a deputato
regionale). La disposizione che si intende abrogare stabilisce –
sulla falsariga di quanto disposto dall’art. 43, lettera h), della
legge statale 8 giugno 1990, n. 142 – che non possono essere
designati od eletti come membri del comitato regionale di controllo,
sia nella sezione centrale che in quelle provinciali, “coloro che
ricoprano incarichi direttivi o esecutivi nei partiti a livello
nazionale, regionale o provinciale, nonché coloro che abbiano
ricoperto tali incarichi nell’anno precedente alla costituzione del
comitato regionale di controllo”.
Secondo il Commissario dello Stato sarebbe censurabile, sotto il
profilo della violazione dell’art. 97 della Costituzione, la
soppressione dell’indicata incompatibilità, atteso che questa mira
ad impedire l’inserimento nell’organo di controllo di soggetti che,
per le cariche politiche rivestite, risulterebbero “i meno adatti
all’espletamento di compiti di carattere tecnico-giuridico”, quale
quello del comitato regionale di controllo. Analogamente a quanto
questa Corte rilevò nella sentenza n. 453 del 1990 in tema di
formazione delle commissioni di concorso per l’accesso a pubblici
impieghi, il principio di imparzialità dovrebbe riflettersi anche
nella composizione del Comitato regionale di controllo: nella
formazione di questo il carattere tecnico e neutro del giudizio
dovrebbe essere preservato da ogni rischio di deviazione verso
eventuali interessi di partito o comunque diversi da quelli propri
dell’attività di controllo.
Il Commissario dello Stato impugna poi l’art. 14 della legge,
intitolato “Determinazione delle piante organiche”.
Tale disposizione prevede, al primo comma, che, nella
determinazione dei posti vacanti nelle piante organiche degli enti
locali, per i quali è autorizzata l’assunzione degli idonei in
concorsi banditi entro il 31 agosto 1993 e le cui graduatorie siano
state approvate entro il 30 giugno 1995 (così come previsto
dall’art. 1 della legge regionale 10 gennaio 1995, n. 7, come
integrato dall’art. 19 della legge reg. 25 maggio 1995, n. 46),
debbono intendersi come posti preesistenti anche i posti già
esistenti e vacanti alla data del 31 agosto 1993, ma non ricompresi
nella pianta organica provvisoriamente definita ai sensi dell’art. 3
della legge statale 24 dicembre 1993, n. 537 (in cui dovevano essere
inclusi solo i posti già coperti, ovvero per la copertura dei quali
fossero state già avviate procedure concorsuali), e successivamente
di nuovo istituiti in sede di rideterminazione della pianta organica
effettuata ai sensi dell’art. 22 della legge statale 23 dicembre
1994, n. 724. Il secondo comma dell’articolo impugnato stabilisce a
sua volta che il conferimento di quei posti agli idonei in precedenti
concorsi possa avvenire in deroga alle disposizioni dell’art. 219
dell’ordinamento degli enti locali della Sicilia (ai cui sensi le
graduatorie non possono essere utilizzate per la copertura di posti
istituiti dopo l’approvazione delle graduatorie medesime), sempreché
le relative graduatorie non siano state approvate da oltre 36 mesi
(mantenendo perciò fermo il limite temporale stabilito da detto art.
219).
Ad avviso del ricorrente tale disciplina violerebbe gli artt. 3, 51
e 97 della Costituzione, poiché costituirebbe un tentativo di
eludere il “principio generale del pubblico impiego”, richiamato
nella sentenza n. 266 del 1993 di questa Corte, in base al quale non
è consentito utilizzare le graduatorie degli idonei di precedenti
concorsi in relazione a posti istituiti dopo l’approvazione delle
graduatorie medesime, in quanto in tal modo si configurerebbero di
fatto “i tratti di un’assunzione ad personam”; il legislatore
regionale non potrebbe considerare come preesistenti posti di nuova
istituzione.
In terzo luogo il Commissario dello Stato impugna l’art. 21 della
legge (intitolato “Interpretazione autentica della legge regionale 27
dicembre 1985, n. 53”), in forza del quale “il personale comunque in
servizio presso l’Opera universitaria di Palermo, compreso quello in
posizione di comando alla data di entrata in vigore del decreto del
Presidente della Repubblica 14 maggio 1985, n. 246, e della legge
regionale 27 dicembre 1985, n. 53, rientra fra i destinatari della
stessa normativa con le medesime decorrenze e modalità”. In
sostanza, si mira a rendere applicabili a tale personale le
disposizioni delle norme di attuazione dello statuto siciliano in
materia di pubblica istruzione (art. 12 del d.P.R. n. 246 del 1985),
secondo cui per l’espletamento delle funzioni ad essa attribuite la
Regione si avvale anche del personale in servizio presso le Opere
universitarie, restando rinviata alla legge regionale ogni definitiva
determinazione circa lo stato giuridico ed il trattamento economico
di detto personale, fatti salvi in ogni caso quelli goduti presso
l’amministrazione di provenienza; nonché le disposizioni della legge
reg. n. 53 del 1985, ai cui sensi il personale trasferito alla
Regione per effetto, fra l’altro, del citato d.P.R. n. 246 del 1985,
e comunque in servizio alla data di entrata in vigore del medesimo,
è inquadrato in un ruolo speciale transitorio istituito presso la
Presidenza della Regione, collocandosi nelle fasce funzionali e nei
livelli previsti dalla normativa regionale secondo determinate regole
di equiparazione, per essere destinato alle funzioni previste dalle
norme di attuazione, attraverso l’assegnazione ai rami
dell’amministrazione regionale o il comando presso gli enti locali e
gli enti strumentali della Regione (art. 8).
Secondo il Commissario dello Stato, con tale disposizione si
permetterebbe l’inserimento nel ruolo speciale transitorio, con
effetto retroattivo, di “soggetti di cui non è dato conoscere né
l’amministrazione di provenienza, né il titolo giuridico in virtù
del quale prestava servizio presso l’Opera universitaria di Palermo”,
né il periodo di permanenza alle dipendenze di tale ente. La norma,
per il suo contenuto generico circa l’individuazione dei destinatari,
sarebbe lesiva, da un lato, della regola del concorso per l’accesso
ai pubblici uffici, dall’altro del principio di buon andamento della
amministrazione, apparendo tesa a sanare ex post situazioni
irregolari o eventualmente ad evitare giudizi di responsabilità nei
confronti degli amministratori che abbiano consentito il permanere di
personale non in possesso dei requisiti richiesti per l’inquadramento
nei ruoli regionali; e potrebbe comportare addirittura la
riassunzione di personale cessato dal servizio da circa dieci anni.
La norma sarebbe dunque in contrasto con gli artt. 3, 51 e 97 della
Costituzione.
Infine il ricorrente impugna l’art. 23 della legge regionale.
Quest’ultimo, intitolato “Modifica alla legge regionale 20 marzo
1951, n. 29” – che disciplina l’elezione dei deputati all’assemblea
regionale siciliana – sostituisce l’art. 67 di tale legge, stabilendo
che per le violazioni della stessa si osservano, anziché le
disposizioni penali delle leggi per la elezione della Camera dei
deputati – come prevedeva il testo preesistente – le disposizioni di
cui all’ultimo comma dell’art. 1 della legge 17 febbraio 1968, n.
108 (Norme per la elezione dei Consigli regionali delle Regioni a
statuto normale), che a sua volta rinvia, per quanto non previsto
dalla stessa legge (e quindi anche per le sanzioni penali), alle
disposizioni del testo unico delle leggi per l’elezione degli organi
delle amministrazioni comunali nelle parti concernenti i Consigli dei
comuni maggiori.
Ad avviso del Commissario dello Stato, mentre il precedente testo
sarebbe conforme all’art. 3 dello statuto speciale, ai cui sensi
l’Assemblea regionale è eletta “secondo la legge regionale in base
ai principii fissati dalla Costituente in materia di elezioni
politiche”, la nuova disposizione, attraverso “un rinvio dinamico di
non chiarissimo significato”, tendendo ad applicare le sanzioni
previste per le elezioni amministrative, disattenderebbe la citata
norma statutaria.
2. – Si è costituito il Presidente della Regione siciliana,
chiedendo il rigetto del ricorso in quanto infondato.
In ordine alla censura relativa all’art. 11, la difesa del
Presidente regionale ricorda che esso prevede, al primo comma, la
possibilità di eleggere nel comitato regionale di controllo anche
persone che abbiano ricoperto le cariche di sindaco, presidente di
provincia, consigliere regionale. Una volta ammessa la componente
“politica” nel comitato di controllo – osserva il resistente – il
legislatore siciliano avrebbe ritenuto incoerente la permanenza di
una causa di incompatibilità ed ineleggibilità come quella prevista
dalla disposizione che verrebbe abrogata. D’altra parte, anche per il
comitato di controllo dovrebbe valere il criterio, affermato da
questa Corte nella sentenza n. 453 del 1990, per cui la presenza di
tecnici ed esperti deve essere bensì prevalente, ma non esclusiva.
In ordine alla censura relativa all’art. 14 della legge impugnata,
la difesa del Presidente regionale afferma che la elusione del
divieto di utilizzo delle graduatorie di concorsi pregressi per la
copertura di posti istituiti dopo l’approvazione di queste sarebbe
solo apparente. Infatti i posti cui la disposizione si riferisce
sarebbero solo formalmente nuovi, mentre in sostanza riprodurrebbero
i corrispondenti posti già esistenti e vacanti nelle piante
organiche, e che non avevano potuto essere inclusi nella definizione
provvisoria di queste, effettuata ai sensi dell’art. 3 della legge n.
537 del 1993, in assenza di procedure concorsuali avviate, stante la
prescrizione dell’art. 219 dell’ordinamento regionale degli enti
locali circa l’utilizzo, per la copertura dei posti vacanti, delle
graduatorie degli idonei, fino a 36 mesi dalla loro approvazione. Il
legislatore siciliano avrebbe dunque solo voluto attribuire a certi
fini efficacia retroattiva al ripristino nelle piante organiche di
posti che ne erano stati esclusi per l’applicazione della citata
normativa statale.
In relazione all’art. 21 della legge, il resistente sottolinea
trattarsi di norma interpretativa, riferibile a personale di ruolo
già in servizio presso l’Opera universitaria di Palermo in posizione
non chiaramente sussumibile nella figura del comando. Si tratterebbe,
come risulta da un documento che la difesa regionale ha prodotto
all’udienza, di un unico dipendente dell’Università di Palermo
distaccato a prestare servizio presso l’Opera universitaria, che in
forza della disposizione impugnata verrebbe inquadrato nei ruoli
regionali.
Quanto alle censure mosse all’art. 23, infine, la difesa del
Presidente regionale ricorda che già l’Alta Corte per la Regione
siciliana, nella sentenza 16-20 marzo 1951, ritenne che i “principii
fissati dalla Costituente in materia di elezioni politiche”, di cui
è parola nell’art. 3 dello statuto, fossero quelli contenuti nella
Costituzione, e non quelli contenuti nelle leggi elettorali, onde in
materia di regime penale delle violazioni della legge elettorale il
legislatore regionale incontrerebbe solo il limite della
ragionevolezza, desumibile dall’art. 3 della Costituzione. Non
potrebbe dunque ritenersi illegittima una disposizione mirante ad
adeguare la disciplina legislativa regionale a quella statale
prevista per la elezione dei consigli delle Regioni a statuto
ordinario.
riferimento all’art. 97 della Costituzione, l’art. 11, secondo comma,
della legge impugnata, il quale, abrogando la preesistente
disposizione modellata sulla corrispondente legge statale (art. 43,
lettera h), legge n. 142 del 1990), fa venir meno la
ineleggibilità-incompatibilità già sancita, ai fini della
composizione del comitato regionale di controllo sugli atti degli
enti locali, per coloro che ricoprano o abbiano ricoperto nell’ultimo
anno incarichi direttivi o esecutivi in partiti politici a livello
nazionale, regionale o provinciale.
La questione è fondata.
È ben vero infatti che in materia di controllo sugli atti degli
enti locali la Regione siciliana gode di potestà legislativa
“esclusiva” nel quadro dei principii generali di cui all’art. 15
dello statuto. Ma la scelta legislativa in questione non appare
conforme al principio costituzionale di imparzialità
dell’amministrazione, dal quale discende l’esigenza che gli organi di
controllo sugli atti amministrativi degli enti locali siano formati
in modo da assicurare un esercizio “neutrale” della delicata funzione
di questi.
Di tale principio è espressione la previsione contenuta nell’art.
43, lettera h), della legge statale n. 142 del 1990, che sancisce
l’incompatibilità per coloro che ricoprono in atto, o hanno
ricoperto nell’ultimo anno, incarichi direttivi od esecutivi nei
partiti a livello almeno provinciale, cioè incarichi in organismi
chiamati a concorrere alla determinazione della politica nazionale o
locale (art. 49 della Costituzione), e dunque ad esercitare influenza
sul piano dell’indirizzo politico, che è, e deve restare, distinto
da quello dell’amministrazione (per una analoga previsione si veda, a
proposito della composizione dei collegi di garanzia elettorale,
l’art. 13, comma 2, ultima parte, della legge 10 dicembre 1993, n.
515).
Tale previsione normativa, sulla cui falsariga il legislatore
siciliano aveva modellato il testo del corrispondente art. 5, lettera
h), della legge regionale n. 44 del 1991, non costituisce certo, in
ogni suo aspetto anche particolare, l’unico modo di dare attuazione,
in questa materia, al principio costituzionale di imparzialità
dell’amministrazione: il legislatore regionale, come quello statale,
resta libero di conformare, nel rispetto di tale principio oltre che
di quello di ragionevolezza, la disciplina della materia,
determinando i casi di incompatibilità, o per esempio riferendosi, a
tale fine, alle sole cariche in atto ricoperte, invece che anche alle
cariche ricoperte in passato. Ma ciò che illegislatore siciliano non
poteva fare era di disporre puramente e semplicemente, come invece ha
fatto con la norma denunciata, la soppressione di queste ipotesi di
incompatibilità, precedentemente previste ai fini della attuazione
del principio costituzionale di imparzialità della amministrazione.
2. – Oggetto della seconda questione proposta, in riferimento agli
artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, è l’art. 14 della legge
impugnata, che prevede l’utilizzo delle graduatorie di precedenti
concorsi anche per la copertura di posti reintrodotti negli organici
degli enti locali dopo essere stati esclusi in sede di determinazione
provvisoria delle piante organiche medesime.
La questione non è fondata.
Dalla pur non perspicua formulazione della norma risulta che i
posti in esame erano comunque “esistenti e vacanti alla data del 31
agosto 1993”, cioè alla data di riferimento assunta dall’art. 3,
comma 6, della legge n. 537 del 1993 per la provvisoria
rideterminazione delle piante organiche. La facoltà, conferita con
la disposizione de qua, di coprire detti posti attribuendoli agli
idonei inclusi nelle graduatorie di precedenti concorsi non contrasta
sostanzialmente, pertanto, con il criterio che limita tale modalità
di copertura ai posti preesistenti alla data di approvazione delle
graduatorie medesime.
3. – La terza questione proposta investe, con riferimento agli
artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, l’art. 21 della legge,
disposizione a contenuto dichiaratamente interpretativo della
normativa regionale, risalente al 1985, che disciplinò a suo tempo
l’inquadramento nei ruoli regionali del personale in servizio presso
le Opere universitarie al momento in cui vennero emanate le norme di
attuazione statutaria (contenute nel d.P.R. n. 246 del 1985, di
trasferimento alla Regione delle relative funzioni). Con essa si
intende consentire l’applicazione di quella normativa anche a
personale, a sua volta già in servizio, all’epoca, presso l’Opera
universitaria di Palermo, diverso da quello statale dipendente
dell’Opera stessa o in posizione di comando presso di essa.
La questione non è fondata.
A differenza di quanto si verificava nel caso della disposizione
legislativa regionale siciliana dichiarata incostituzionale con la
sentenza n. 127 del 1996 di questa Corte – che mirava ad estendere
l’inquadramento in un ruolo speciale transitorio della Regione,
originariamente destinato al personale degli enti le cui funzioni
erano passate alla Regione, a personale, presso di essa comandato,
appartenente ad un ente diverso – la norma qui impugnata estende la
possibilità di inquadramento nel ruolo regionale a personale che,
essendo comunque in servizio presso l’Opera universitaria di Palermo
al momento del passaggio delle funzioni di questa alla Regione,
rientra nella originaria previsione della normativa di attuazione.
Questa infatti stabilisce che l’amministrazione regionale, per
l’esercizio dei nuovi compiti ad essa attribuiti, “si avvale del
personale in servizio presso le Opere universitarie”, e che è
demandata al legislatore regionale “ogni definitiva determinazione
sullo stato giuridico, il trattamento economico e di quiescenza” di
detto personale, di cui si prevede l’inquadramento (s’intende: nei
ruoli regionali) contestualmente a quello del personale statale
trasferito alla Regione (art. 12 del d.P.R. n. 246 del 1985).
La scelta del legislatore regionale appare dunque in questo caso
non contrastante con le norme costituzionali la cui violazione è
lamentata nel ricorso: non si mira ad estendere l’inquadramento a
personale estraneo alla posizione fondamentale – l’essere in servizio
presso l’Opera universitaria al momento del trasferimento delle
funzioni – in vista della quale esso era contemplato nelle norme
statali e regionali preesistenti.
4. – L’ultima delle questioni sollevate investe l’art. 23 della
legge, che, sostituendo il testo originario dell’art. 67 della legge
regionale sulla elezione dell’assemblea regionale, mira a rendere
applicabili, per le violazioni della stessa legge, le sanzioni penali
previste, per i reati elettorali, dalla legge statale sull’elezione
dei Consigli delle Regioni ordinarie (la quale a sua volta rinvia al
testo unico sulle elezioni degli organi dei comuni). Il ricorso
lamenta la non conformità di tale previsione all’art. 3 dello
statuto regionale.
I limiti dell’impugnazione, segnati dai motivi del ricorso, non
consentono alla Corte di esaminare il problema più generale della
ammissibilità di interventi del legislatore regionale siciliano
nell’ambito della disciplina penale, né quindi di sottoporre a
rimeditazione la soluzione seguita, a proposito del testo vigente
dell’art. 67 della legge elettorale siciliana, nella risalente
sentenza n. 104 del 1957. Mentre dunque tale problema resta del tutto
impregiudicato, in questa sede la Corte deve limitarsi a dirimere il
quesito, se la scelta effettuata dal legislatore siciliano sia o meno
in contrasto con la norma statutaria, secondo cui l’elezione
dell’assemblea è disciplinata dalla legge regionale “secondo i
principii stabiliti dalla Costituente per le elezioni politiche”.
Tale prescrizione dello statuto, tenendo anche conto del momento in
cui essa fu formulata (anteriore, come è noto, alla elezione
dell’Assemblea costituente e perciò alla elaborazione del testo
costituzionale), non può essere intesa nel senso che vincoli il
legislatore regionale a seguire i principii – e tanto meno le
specifiche discipline fissati nelle leggi che disciplinano l’elezione
delle Camere del Parlamento nazionale (leggi che peraltro sono
distinte fra loro, anche se poi di fatto la legge sull’elezione del
Senato ha rinviato in parte alla disciplina di quella per l’elezione
della Camera: cfr. ora art. 27 del d.lgs. 20 dicembre 1993, n. 533, e
già art. 25, primo comma, della legge 6 febbraio 1948, n. 29). Il
senso della previsione statutaria appare quello di ribadire il
vincolo dell’autonomia regionale, anche in una materia, come quella
dell’elezione dell’assemblea, non disciplinata direttamente dalla
Costituzione, al rispetto dei principii ricavabili dalla Costituzione
stessa in materia elettorale (cfr., per un accenno in questo senso,
Alta Corte per la Regione siciliana, decisione 16-20 marzo 1951, n.
38).
Del resto, anche ove si volesse seguire l’interpretazione estensiva
della disposizione statutaria fatta propria dal ricorso, il vincolo
nei confronti del legislatore siciliano, essendo limitato ai
“principii”, non si potrebbe estendere certo alle specifiche scelte
del legislatore statale in materia di elezione del Parlamento: e,
nella specie, non si può dire che la nuova scelta del legislatore
siciliano venga a modificare i principii ispiratori della disciplina
vigente nell’ambito di incidenza della disposizione denunciata.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, secondo
comma, della legge regionale approvata dalla Assemblea regionale
siciliana il 24 marzo 1996 (Disposizioni in materia di permessi,
indennità ed incarichi negli enti locali. Modifiche ed integrazioni
alle leggi regionali concernenti le elezioni di organi degli enti
locali, il comitato regionale di controllo, il personale
dell’amministrazione regionale e degli enti locali. Abrogazione di
norme);
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 14 della medesima legge regionale, sollevata, in
riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, con il ricorso
del Commissario dello Stato indicato in epigrafe;
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 21 della medesima legge regionale, sollevata, in
riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, con il ricorso
del Commissario dello Stato indicato in epigrafe;
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 23 della medesima legge regionale, sollevata, in
riferimento all’art. 3 dello statuto speciale per la Regione
siciliana, con il ricorso del Commissario dello Stato indicato in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 17 ottobre 1996.
Il Presidente: Ferri
Il redattore: Onida
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 2 novembre 1996.
Il direttore della cancelleria: Di Paola