Sentenza N. 375 del 1996
Corte Costituzionale
Data generale
02/11/1996
Data deposito/pubblicazione
02/11/1996
Data dell'udienza in cui è stato assunto
17/10/1996
Presidente: avv. Mauro FERRI;
Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato
GRANATA, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, avv.
Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE;
comma, e 5, terzo comma, lettera a), del d.-l. 15 novembre 1993, n.
453 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte
dei conti), convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio
1994, n. 19, promossi con n. 2 ordinanze emesse il 23 febbraio 1996
dal giudice designato della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale
per la regione siciliana, nei giudizi di responsabilità promossi dal
procuratore regionale nei confronti di Palillo Giovanni e di Gorgone
Francesco Paolo ed altri, rispettivamente iscritte ai nn. 523 e 869
del registro ordinanze 1996 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica nn. 25 e 29, prima serie speciale, dell’anno 1996.
Visti gli atti di costituzione del procuratore regionale presso la
Sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana della Corte dei
conti;
Udito nella camera di consiglio del 2 ottobre 1996 il giudice
relatore Massimo Vari.
febbraio 1996, nel corso di procedimenti cautelari promossi dal
procuratore regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte
dei conti per la regione siciliana nei confronti di Giovanni Palillo
e di Francesco Paolo Gorgone ed altri – il giudice designato per la
conferma, modifica o revoca del decreto di sequestro conservativo ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, primo comma, 97 e
101, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1, settimo comma, e dell’art. 5, terzo
comma, lettera a), del d.-l. 15 novembre 1993, n. 453 (Disposizioni
in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti),
convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19.
Rammenta, in punto di fatto, il rimettente, che, in precedenza, il
decreto presidenziale di sequestro aveva indicato, quale giudice
designato per la conferma, modifica o revoca dei provvedimenti
cautelari, la stessa sezione giurisdizionale la quale, all’udienza
per la comparizione delle parti, aveva definito il procedimento,
senza accogliere l’istanza del procuratore regionale che ne
richiedeva, invece, la sospensione, ai sensi dell’art. 295 cod. proc.
civ., motivando con l’avvenuto deferimento alle sezioni riunite, ai
sensi dell’art. 1, settimo comma, del menzionato decreto-legge, della
questione di massima relativa alla sede, monocratica o collegiale,
competente per l’adozione dei provvedimenti conseguenti al sequestro
conservativo.
Riferisce, altresì, l’ordinanza che le sezioni riunite, con
sentenza n. 24/QM pubblicata il 16 gennaio 1996, hanno affermato la
competenza del giudice singolo, ai sensi dell’art. 5, terzo comma,
lettera a) del decreto-legge n. 453 del 1993, travolgendo gli atti
adottati medio tempore dalla sezione giurisdizionale siciliana; in
esecuzione della sentenza, il Presidente ha fissato l’udienza dinanzi
al giudice singolo, designato per la conferma, modifica o revoca del
decreto e in tale giudizio è stata sollevata questione di
legittimità costituzionale.
Secondo il rimettente, da detta sentenza è dato desumere “con
certezza l’esistenza di un diritto vivente che, proprio facendo punto
sulla disposizione contenuta nell’art. 1, settimo comma, del d.-l.
15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, nella legge
14 gennaio 1994, n. 19, è nel senso di ammettere la generale
potestà del procuratore generale della Corte dei conti – soggetto
non solo estraneo all’apparato giudicante della Corte dei conti, ma
posto al vertice dell’ufficio che esercita l’azione di
responsabilità amministrativa e contabile – e non anche delle altre
parti processuali, di spostare ad altro giudice il potere-dovere di
decidere sul punto o di un punto di diritto rilevante per la
definizione del giudizio di merito, con effetti vincolanti per il
giudice naturale precostituito per legge, anticipandone (…) ogni o
la probabile manifestazione di volontà”.
2. – Muovendo da siffatta conclusione, da lui peraltro non
condivisa, il giudice a quo ritiene di dover sollevare questione di
legittimità costituzionale dell’art. 1, settimo comma, del citato
d.-l. n. 453 del 1993, anzitutto per contrasto con gli artt. 3 e 24
della Costituzione, atteso che il secondo dei menzionati articoli,
“alla luce del principio di eguaglianza, esclude che l’esercizio
dell’azione possa essere condizionato da ingiustificati limiti
soggettivi ed anzi garantisce l’effettiva eguaglianza delle parti
processuali, attraverso il divieto di agevolazioni e di privilegi
attribuiti senza ragionevole giustificazione alla parte pubblica in
danno della controparte privata”. Viceversa, come emerge dal “diritto
vivente sopra richiamato” la parte privata non ha, al contrario del
procuratore generale, alcuna possibilità di deferire la questione di
massima alle sezioni riunite, né l’accettazione della rimessione
della causa ad opera del procuratore generale richiede un suo
consenso esplicito; inoltre la sua presenza nel procedimento davanti
alle sezioni riunite si riduce ad un fatto meramente formale, senza,
per di più, considerare che, attraverso la richiesta alle sezioni
riunite di risoluzione delle questioni di massima, il procuratore
generale può perfino precostituire, in suo favore, la decisione
finale, avendo la facoltà di riproporre all’infinito anche una
questione già risolta, in modo da ottenere una soluzione della causa
collimante con le sue aspettative.
3. – La medesima disposizione contrasterebbe, inoltre, con l’art.
25, primo comma, della Costituzione, verificandosi “una oggettiva ed
ingiustificata sottrazione della competenza” al giudice naturale, in
quanto “i presupposti della rimessione (sussistenza di una questione
di massima) appaiono generici e assolutamente discrezionali”, e “la
rimessione della questione di massima alle sezioni riunite, ancor
prima che intervenga qualsiasi decisione del giudice di primo grado,
incide direttamente sulla valutazione del merito della causa e,
dunque, attiene all’effettivo e concreto esercizio della
giurisdizione”, tanto più quando una tale attività sia esercitata
da una parte processuale, avuto altresì riguardo al fatto che
l’ordinamento non ha previsto alcun sindacato dell’atto e del
giudizio attributivi della competenza alle sezioni riunite.
4. – Sotto il profilo del principio della indipendenza del giudice
e della sua soggezione solo alla legge, sarebbe violato, infine,
l’art. 101, secondo comma, della Costituzione, non essendo consentito
introdurre vincoli che abbiano oggettivamente il solo o principale
effetto di ridurre il giudice a mero esecutore della decisione
assunta da altri, precludendo perfino la più piccola espressione
della sua volontà sulla decisione di questioni dalle quali dipende
la soluzione della causa. E questo “soprattutto quando la soluzione
dipenda dall’attività discrezionale di un soggetto che non solo è
partecipe dell’esercizio della funzione giurisdizionale, ma è anzi
parte processuale”. Un soggetto che, secondo il diritto vivente, “ha
la possibilità di anticipare, fin dall’inizio del processo, la
decisione dei giudici di merito (di primo e secondo grado) su punti
di diritto, non solo formali ma anche sostanziali, e di guidare la
causa verso una determinata soluzione, indipendentemente dalla loro
volontà”. In particolare, il deferimento della questione di massima
da parte del procuratore generale può – secondo l’ordinanza –
rappresentare un mezzo per imporre ai giudici di merito l’uniformità
delle precedenti pronunzie delle sezioni riunite, disattendendo,
così, il principio secondo il quale il vincolo posto da precedenti
decisioni giurisprudenziali non può comportare una vera e propria
esclusione del giudice di merito dal giudizio.
5. – Anche l’art. 5, terzo comma, lettera a), del d.-l. n. 453 del
1993 forma oggetto di censura, così come interpretato dalla
“assolutamente pacifica” giurisprudenza delle sezioni riunite, ovvero
nel senso di individuare nel giudice singolo il soggetto
appositamente incaricato dal Presidente della sezione giurisdizionale
regionale di adottare l’ordinanza di cui al comma successivo. Viene,
perciò, lamentato il contrasto con il principio di buon andamento di
cui all’art. 97 della Costituzione, che, secondo la giurisprudenza,
si riferisce “anche alla organizzazione degli uffici giudiziari”,
osservando che “il procedimento di sequestro conservativo nel
giudizio di responsabilità amministrativa e contabile presenta
rilevanti profili di irrazionalità”, tali da pregiudicare
l’efficienza dell’esercizio della funzione giurisdizionale.
Infatti, la norma denunciata, così come interpretata secondo il
diritto vivente, rimettendo la verifica, in contraddittorio, della
legittimità del decreto presidenziale di sequestro conservativo ad
un giudice singolo, “che di regola è un magistrato diverso dal
Presidente”, non solo appare difforme rispetto “alla ratio insita
nell’analoga disciplina recata dalla normativa di riforma della
giustizia civile alla quale la disposizione in questione si ispira”,
ma fa sì che la verifica delle ragioni delle parti venga svolta “da
un giudice con qualifica e funzioni inferiori a quelle del Presidente
della sezione giurisdizionale che ha adottato il decreto positivo o
negativo di sequestro, e non viceversa”. Inoltre, detto pur essendo
posto al vertice della sezione giurisdizionale regionale, non
potrebbe mai far parte del collegio giudicante quando questo sia
chiamato a pronunciarsi sul reclamo, in virtù della incompatibilità
disposta dall’art. 669-terdecies, secondo comma, cod. proc. civ.,
“con la conseguenza che la sezione, proprio nella fase delicata ed
importante dell’impugnazione dell’ordinanza emessa dal giudice
singolo, è costretta a decidere senza l’apporto del suo componente
più qualificato ed esperto”.
6. – In punto di rilevanza, si afferma che qualora le norme
denunciate venissero dichiarate incostituzionali verrebbe meno
l’efficacia vincolante della sentenza delle sezioni riunite n. 24/QM
del 16 gennaio 1996, e, con essa, non solo la competenza, ma anche la
stessa potestas iudicandi del giudice singolo.
7. – In entrambi i giudizi di fronte alla Corte costituzionale si
è costituito il procuratore regionale presso la Sezione
giurisdizionale per la regione siciliana della Corte dei conti,
depositando due memorie, nelle quali si chiede che le questioni
sollevate vengano dichiarate inammissibili o infondate.
questioni, i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con
un’unica sentenza.
2. – La Corte deve, anzitutto, pronunziarsi sull’ammissibilità
della costituzione in giudizio del procuratore regionale della Corte
dei conti.
La giurisprudenza costituzionale ha già avuto occasione di
evidenziare la specificità della posizione del pubblico ministero,
soprattutto allorché egli sia il titolare del potere d’impulso del
processo, come, per l’appunto, nel caso del procuratore regionale,
che esercita l’azione di responsabilità e agisce sempre
nell’interesse oggettivo dell’ordinamento, assumendo il ruolo di
“organo di giustizia”. In ragione di tale specificità, questa Corte
(sentenza n. 1 del 1996; ordinanza n. 327 del 1995) ha escluso che la
costituzione, nei giudizi incidentali di legittimità costituzionale,
del pubblico ministero dei giudizi a quibus possa reputarsi prevista
o disciplinata dalle norme generali e dalle norme integrative di
procedura dinanzi alla Corte costituzionale e, al tempo stesso, di
poter ricorrere all’applicazione, in via analogica, della disciplina
dettata per le parti.
Sulla base di tali orientamenti, dai quali non v’è motivo di
discostarsi, la costituzione del procuratore regionale va, pertanto,
dichiarata inammissibile.
3. – Nel merito, le ordinanze di rimessione pongono in discussione
la disciplina del processo innanzi alla Corte dei conti dopo le
modifiche ad esso addotte dal d.-l. 15 novembre 1993, n. 453
(Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei
conti), convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994,
n. 19, dubitando, anzitutto, della legittimità costituzionale
dell’art. 1, settimo comma, “nella parte in cui prevede che le
sezioni riunite della Corte dei conti decidono sulle questioni di
massima a richiesta del procuratore generale”.
4. – Secondo il giudice rimettente sarebbero violati:
gli artt. 3 e 24 della Costituzione, per la disparità tra i
poteri del procuratore generale e quelli della parte privata, che non
ha alcuna possibilità di deferire la questione di massima alle
sezioni riunite;
l’art. 25, primo comma, della Costituzione, in quanto la
rimessione della questione di massima alle sezioni riunite, ancor
prima che intervenga una qualsiasi decisione del giudice di primo
grado, tanto più se esercitata da una parte processuale, incide
direttamente sulla valutazione del merito della causa, comportando
una oggettiva ed ingiustificata sottrazione della competenza al
giudice naturale;
l’art. 101, secondo comma, della Costituzione, in quanto la legge
non può introdurre vincoli che abbiano soggettivamente il solo o
principale effetto di ridurre il giudice a mero esecutore della
decisione assunta da altri; e questo tanto più in quanto il
procuratore generale, attraverso il deferimento della questione di
massima, ha la possibilità di “anticipare, fin dall’inizio del
processo, la decisione dei giudici di merito”, e di imporre loro
l’uniformità delle precedenti decisioni delle sezioni riunite, in
contrasto con il principio di indipendenza del giudice, mentre il
vincolo posto da precedenti decisioni giurisprudenziali non può
comportare una vera e propria esclusione del giudice di merito dal
giudizio.
5. – La questione è da reputare inammissibile, per quanto attiene
alla lamentata violazione degli artt. 3, 24, 25, primo comma, e, per
un primo profilo, anche dell’art. 101, secondo comma, della
Costituzione. Per un secondo profilo, attinente sempre alla presunta
violazione dell’art. 101, secondo comma, della Costituzione, la
stessa è da ritenere, invece, infondata.
Al fine di chiarire il quadro di riferimento normativo nel quale
essa si colloca, va rammentato che l’art. 4 della legge 21 marzo
1953, n. 161, contemplava la facoltà per le sezioni giurisdizionali
della Corte dei conti di deferire alle sezioni riunite i giudizi per
i quali il punto di diritto sottoposto al loro esame avesse dato
luogo a contrasti giurisprudenziali ed analoga facoltà era prevista
per il Presidente della Corte dei conti in ordine ai giudizi che
rendessero necessaria “la risoluzione di questioni di massima di
particolare importanza”.
Su tale disciplina è venuta, di recente, ad innestarsi la
disposizione sospettata di incostituzionalità, secondo la quale “le
sezioni riunite della Corte dei conti decidono sui conflitti di
competenza e sulle questioni di massima deferite dalle sezioni
giurisdizionali centrali o regionali, ovvero a richiesta del
procuratore generale”.
Il giudice rimettente, a seguito della sentenza delle sezioni
riunite che ha affermato che il giudice “designato” per la conferma,
modifica o revoca del decreto di sequestro conservativo, va
individuato, ai sensi dell’art. 5, terzo comma, del d.-l. n. 453 del
1993, nell’organo monocratico e non in quello collegiale, è stato
investito, dal Presidente della sezione giurisdizionale, della
competenza in ordine agli ulteriori provvedimenti relativi al
processo cautelare. Dubitando, peraltro, della legittimità
costituzionale della norma attributiva al procuratore generale
della facoltà di rimessione dei giudizi alle sezioni riunite,
erroneamente suppone che, nel caso in cui venisse dichiarata
l’incostituzionalità della disposizione denunciata, “verrebbe meno
l’efficacia vincolante della sentenza n. 24 QM e, con essa, non solo
la competenza ma la stessa potestas iudicandi del giudice singolo”.
Non si avvede, infatti, che la questione così sollevata,
consistente nella pretesa di sindacare la conformità a Costituzione
del potere conferito dall’ordinamento al procuratore generale di
adire le sezioni riunite, si risolve in realtà nel porre in
discussione la legittima investitura di queste ultime in ordine alle
materie previste dall’art. 1, settimo comma, del d.-l. n. 453 del
1993. In questi termini, non è dubbio che la sede ove una siffatta
questione potrebbe eventualmente rilevare è quella del giudizio
innanzi alle sezioni stesse, al momento della verifica da parte di
queste ultime dei presupposti della propria competenza.
Già questa Corte, in sue precedenti pronunzie, ha affermato che,
per potersi ravvisare il requisito della rilevanza in concreto della
questione proposta, è in ogni caso necessario che la norma impugnata
sia applicabile nel giudizio a quo e non, invece, come nella specie,
in una fase processuale anteriore (sentenza n. 247 del 1995).
A riprova di ciò sta il fatto che gli atti compiuti in
quest’ultima non sarebbero certamente resi inefficaci da un’eventuale
pronunzia di incostituzionalità nei termini sollecitati dal
rimettente, non avendo esso alcun potere di far caducare o comunque
modificare la pronunzia emessa dalle sezioni riunite della Corte dei
conti.
Ne consegue, dunque, che la cognizione del giudice a quo risulta
delimitata dalla sentenza emessa dalle sezioni riunite, senza che
egli sia legittimato a rilevare eventuali vizi di quest’ultima; a
ritenere il contrario, si consentirebbe al medesimo di avvalersi del
giudizio di costituzionalità quale strumento per pervenire alla
caducazione di una decisione cui non intende adeguarsi, utilizzando
in definitiva il sindacato incidentale come un surrettizio mezzo di
impugnazione.
Per le esposte considerazioni, la questione è, quindi, da ritenere
inammissibile per i profili attinenti alla pretesa violazione degli
artt. 3, 24 e 25, primo comma, della Costituzione.
6. – Quanto, poi, all’art. 101, secondo comma, della Costituzione,
la proposta censura si scinde in due profili: l’uno, inammissibile,
per la parte in cui, attraverso doglianze apparentemente rivolte alla
sentenza delle sezioni riunite, si torna a denunciare
l’illegittimità dei poteri del procuratore generale; l’altro da
ritenere, invece, ammissibile, ma infondato, là dove il giudice
rimettente pone in discussione la costituzionalità del vincolo in
sé che deriva dalla pronunzia delle sezioni riunite medesime,
supponendo che essa sia tale da precludergli ogni ambito decisorio.
Mentre, per il primo profilo, può farsi rinvio a quanto sopra
considerato in ordine all’irrilevanza di questioni attinenti a norme
applicabili nelle fasi processuali anteriori, per il secondo aspetto
è sufficiente osservare che il deferimento alle sezioni riunite di
una questione di massima – preordinato ad esigenze di uniforme
interpretazione della legge, nell’ottica dell’art. 3 della
Costituzione e in funzione di un interesse palesemente trascendente
quello del singolo caso – non dà luogo alla definizione del giudizio
da parte delle sezioni stesse, che decidono soltanto in ordine al
punto oggetto della questione medesima.
Pertanto – pur a prescindere da ogni questione sull’esatta
individuazione della disposizione che conferisce carattere vincolante
alle sentenze delle sezioni riunite – non può ritenersi violato
l’art. 101, secondo comma, della Costituzione, in quanto la pronunzia
del giudice rimane pur sempre sotto l’imperio della legge, anche se
egli è tenuto a formare il suo convincimento con riguardo a ciò che
ha deciso altra sentenza emessa nella stessa causa (sentenza n. 234
del 1976).
7. – Le ordinanze sollevano, infine, questione di legittimità
costituzionale dell’art. 5, terzo comma, lettera a), del medesimo
d.-l. n. 453 del 1993, nella parte in cui, alla stregua degli
orientamenti espressi dalle sezioni riunite, da considerare – secondo
il rimettente – come un vero e proprio “diritto vivente”, stabilisce
che il giudice designato per la conferma, modifica o revoca del
provvedimento di sequestro conservativo sia da individuare nel
giudice singolo e non nella sezione giurisdizionale.
Viene, in particolare, prospettata la violazione dell’art. 97 della
Costituzione, sotto il profilo del buon andamento della
organizzazione degli uffici giudiziari, in quanto:
il procedimento di sequestro conservativo, nel giudizio di
responsabilità amministrativa e contabile, presenta profili di
irrazionalità che incidono sull’esercizio della funzione
giurisdizionale, pregiudicandone l’efficienza;
l’attività di verifica in contraddittorio delle ragioni delle
parti viene ad essere svolta da “un giudice con qualifica e funzioni
inferiori a quelli del Presidente della sezione giurisdizionale che
ha adottato il decreto positivo o negativo di sequestro, e non
viceversa”; il quale Presidente sulla base della incompatibilità
disposta dall’art. 669-terdecies, secondo comma, cod. proc. civ.,
neppure può fare parte del collegio giudicante chiamato a
pronunciarsi sul reclamo.
8. – La questione, sebbene ammissibile, è da ritenere non fondata.
Invero, come già altre volte affermato dalla Corte, non può
negarsi al giudice la facoltà di sollevare questione di legittimità
costituzionale di norme di cui egli, a seguito di una sentenza emessa
in una precedente fase, sia tenuto a fare applicazione (in tal senso
v., da ultimo, sentenze n. 314 del 1996 e n. 247 del 1995). Non
sussistono, dunque, ostacoli all’esame della questione, con la quale
viene posta in discussione proprio la norma che il giudice a quo, a
seguito della sentenza delle sezioni riunite, è tenuto ad applicare.
Tuttavia, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di questa
Corte, il principio del buon andamento e dell’imparzialità
dell’amministrazione della giustizia attiene solo alle leggi che
definiscono l’ordinamento degli uffici giudiziari ed il loro
funzionamento sotto l’aspetto amministrativo, restando, per contro,
estraneo alla tematica dell’esercizio della funzione giurisdizionale
(sentenze n. 313 del 1995; n. 428 del 1993; n. 376 del 1993; n. 140
del 1992). Di qui l’inidoneità, a prescindere da ogni altra
considerazione, dell’invocato parametro a sorreggere la prospettata
questione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi, dichiara inammissibile la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 1, settimo comma, del d.-l. 15
novembre 1993, n. 453 (Disposizioni in materia di giurisdizione e
controllo della Corte dei conti), convertito, con modificazioni,
nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, sollevata, in riferimento agli
artt. 3, 24, 25, primo comma, e 101, secondo comma, della
Costituzione, dal giudice designato della Corte dei conti, Sezione
giurisdizionale per la Regione siciliana, con le ordinanze in
epigrafe;
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
della medesima disposizione, sollevata, in riferimento all’art. 101,
secondo comma, della Costituzione, con le ordinanze in epigrafe;
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 5, terzo comma, lettera a), del medesimo decreto-legge,
sollevata, in riferimento all’art. 97 della Costituzione, con le
ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 17 ottobre 1996.
Il Presidente: Ferri
Il redattore: Vari
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 2 novembre 1996.
Il direttore della cancelleria: Di Paola