Sentenza N. 377 del 1997
Corte Costituzionale
Data generale
05/12/1997
Data deposito/pubblicazione
05/12/1997
Data dell'udienza in cui è stato assunto
26/11/1997
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Valerio ONIDA,
prof. Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI, prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), promosso con
ordinanza emessa il 14 novembre 1996 dal pretore di Pescara, iscritta
al n. 49 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell’anno
1997.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 1 ottobre 1997 il giudice
relatore Valerio Onida.
instaurato avverso un provvedimento del pubblico ministero, con il
quale veniva rigettata l’istanza di un condannato tossicodipendente,
volta ad ottenere, previo ordine di scarcerazione, l’affidamento in
prova al servizio sociale per lo svolgimento di un programma
terapeutico, previsto dall’art. 94 del testo unico delle leggi in
materia di stupefacenti, approvato con d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309,
il pretore di Pescara, con ordinanza emessa il 14 novembre 1996,
pervenuta a questa Corte il 22 gennaio 1997, ha sollevato questione
di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 32 della
Costituzione, dell’art. 67 della legge 24 novembre 1981, n. 689
(Modifiche al sistema penale), “in relazione alla inapplicabilità
delle misure previste” dall’art. 47-bis dell’ordinamento
penitenziario “e correlate all’art. 94” del testo unico delle leggi
sugli stupefacenti approvato con decreto del Presidente della
Repubblica n. 309 del 1990. Detto art. 67 dispone che l’affidamento
in prova al servizio sociale e l’ammissione al regime di semilibertà
sono esclusi per il condannato in espiazione di pena detentiva
derivante da conversione delle pene sostitutive della semidetenzione
o della libertà controllata, disposta, ai sensi dell’art. 66 della
stessa legge, nel caso di violazione di “anche solo una delle
prescrizioni” inerenti a queste ultime. A loro volta l’art. 47-bis
dell’ordinamento penitenziario e l’art. 94 del testo unico sugli
stupefacenti disciplinano l’affidamento in prova al servizio sociale
“in casi particolari”, vale a dire nel caso di persona
tossicodipendente o alcooldipendente che abbia in corso un programma
terapeutico di recupero o che ad esso intenda sottoporsi.
Il pretore osserva che la determinazione del pubblico ministero, di
rigetto dell’istanza di “sospensione dell’esecuzione della pena”,
fondata sulla circostanza che analoga istanza era stata in precedenza
dichiarata inammissibile dal presidente del tribunale di sorveglianza
con riferimento al divieto di cui all’art. 67 della legge n. 689 del
1981, ritenuto applicabile anche al particolare caso di affidamento
in prova di cui è giudizio, appare conforme a legge là dove ritiene
che lo stesso pubblico ministero sia chiamato a verificare la
rispondenza dell’istanza “allo schema delineato dalla fattispecie
astratta”.
Ad avviso del giudice a quo, tuttavia, il divieto di concedere
l’affidamento in prova al condannato la cui pena derivi da
conversione di pena sostitutiva, a seguito della violazione di una
prescrizione inerente al regime di quest’ultima, contrasta con la
finalità di recupero e cura propria del particolare istituto
dell’affidamento in prova del tossicodipendente o alcooldipendente,
la cui concessione prevede il controllo del tribunale di sorveglianza
sulla serietà del programma terapeutico e non sulla pericolosità e
sulla condotta anteatta del condannato, com’è invece per
l’affidamento in prova previsto in via generale dall’art. 47
dell’ordinamento penitenziario. Il divieto in questione non si
giustificherebbe per il tossicodipendente, il cui precedente
comportamento incostante deriverebbe proprio dallo stato patologico
in cui versa, e per uscire dal quale egli chiede di sottoporsi a un
programma terapeutico.
Richiamando la motivazione dell’ordinanza n. 397 (recte: n. 367)
del 1995 di questa Corte, in cui si sottolinea la peculiarità
dell’affidamento in questione, che privilegia la scelta terapeutica
rispetto ad ogni altro trattamento risocializzante, nella prospettiva
del superamento dello stato di tossicodipendenza, il remittente
afferma che la preclusione, derivante automaticamente da una
precedente condotta in violazione di prescrizioni inerenti alla
esecuzione della pena sostitutiva, contrasterebbe con la finalità di
tutela e recupero della salute, alla quale solo è volto l’art.
47-bis dell’ordinamento penitenziario, e dunque con l’art. 32 della
Costituzione.
Il giudice a quo conclude osservando che la rilevanza della
questione sussiste in quanto con l’eventuale pronuncia di
accoglimento verrebbe meno il fondamento dell’impugnato provvedimento
del pubblico ministero.
2. – È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
L’Avvocatura erariale sostiene che esiste una differenza di fondo
fra la situazione presa in considerazione dall’ordinanza n. 367 del
1995, in cui la censura di costituzionalità esaminata riguardava
l’automatismo della scarcerazione nel caso in cui sia chiesto
l’affidamento in prova del tossicodipendente, e la situazione presa
in esame dal giudice a quo, in cui la denunciata preclusione alla
concessione dell’affidamento consegue “ad una già avvenuta
violazione delle prescrizioni inerenti alle misure sostitutive da
parte del soggetto il quale è venuto in tal modo a dimostrare la
propria inidoneità nei confronti del beneficio delle misure stesse”.
Nella disciplina in questione il bilanciamento fra i confliggenti
interessi, quello al recupero del tossicodipendente e “quello ad una
efficace dissuasione idonea a garantire il rispetto delle
prescrizioni cui sono subordinati gli istituti in esame”,
apparirebbe, secondo l’Avvocatura, garantito in maniera da sottrarsi
a censure di irragionevolezza.
Con riferimento all’art. 32 della Costituzione, l’Avvocatura
afferma che “nelle finalità proprie delle prescrizioni impartite nel
caso di affidamento in prova, in particolare nei casi di affidamento
di soggetti tossicodipendenti”, rientrano anche quelle di tutela
della salute del soggetto “proprio al fine di garantire l’osservanza
del programma di recupero”; onde la disposizione censurata, volta ad
assicurare l’affidabilità del soggetto, può ritenersi anch’essa
concorrere alla realizzazione delle finalità dello stesso art. 32
della Costituzione.
novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), che dispone il
divieto di concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale
(oltre che della semilibertà) al condannato a pena detentiva
derivante da conversione della pena sostitutiva della semidetenzione
o della libertà controllata, disposta, ai sensi dell’art. 66, primo
comma, della stessa legge, a seguito della violazione di “anche solo
una delle prescrizioni” inerenti all’esecuzione delle predette pene
sostitutive: ma investe tale disposizione nella sola parte in cui si
applica – secondo l’interpretazione fatta propria dal giudice a quo –
al particolare affidamento in prova al servizio sociale di persona
tossicodipendente o alcooldipendente, al fine di proseguire o
intraprendere l’attività terapeutica sulla base di un programma
concordato tra lo stesso condannato e un organismo a ciò deputato,
affidamento previsto già dall’art. 47-bis della legge 26 luglio
1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione
delle misure privative e limitative della libertà) e, oggi,
dall’art. 94 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle
leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
tossicodipendenza).
Va puntualizzato, con riferimento alle argomentazioni
dell’Avvocatura dello Stato, che le prescrizioni, la cui violazione
dà luogo alla conversione della pena sostitutiva, non sono quelle
inerenti all’affidamento in prova, ma quelle inerenti all’esecuzione
della pena sostitutiva della semidetenzione o della libertà
controllata.
Secondo il giudice a quo il divieto di cui all’art. 67 della legge
n. 689 del 1981, in quanto applicabile al particolare affidamento in
prova del tossicodipendente o alcooldipendente, contrasterebbe con
l’art. 32 della Costituzione, in quanto confliggerebbe con la
finalità di tutela e recupero della salute che caratterizzerebbe
questo istituto.
2. – Va precisato preliminarmente che delle due ricordate
disposizioni che disciplinano l’affidamento in prova “in casi
particolari”, è da ritenere oggi in vigore solo l’art. 94 del testo
unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 309
del 1990, che ha sostituito l’art. 47-bis dell’ordinamento
penitenziario di cui alla legge n. 354 del 1975 e successive
modificazioni. Infatti l’art. 47-bis originariamente inserito nella
legge di ordinamento penitenziario dal decreto-legge 22 aprile 1985,
n. 144, convertito con modificazioni dalla legge 21 giugno 1985, n.
297, e successivamente sostituito dall’art. 12 della legge 10 ottobre
1986, n. 663, è stato in seguito inserito nel testo unico delle
leggi in materia di disciplina degli stupefacenti, approvato con
decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, previo
coordinamento con le disposizioni della legge 26 giugno 1990, n. 162:
testo unico di valore legislativo, emanato in base alla delega
contenuta nell’art. 37 della stessa legge n. 162 del 1990 (che
contemplava espressamente, fra le disposizioni da coordinare, anche
quelle di cui al decreto-legge n. 144 del 1985), e quindi idoneo a
novare la fonte delle disposizioni in esso incluse. E in effetti il
testo dell’art. 94 citato, pur riprendendo sostanzialmente quello del
previgente art. 47-bis dell’ordinamento penitenziario, vi ha
apportato modifiche di coordinamento.
3. – La questione non è fondata, in quanto non è esatta la
premessa interpretativa da cui muove il giudice remittente, secondo
la quale il divieto di concessione dell’affidamento in prova al
condannato in espiazione di pena detentiva derivante da conversione
di pena sostitutiva, disposta per violazione delle relative
prescrizioni, sarebbe applicabile anche all’affidamento in prova “in
casi particolari” per il proseguimento o l’avvio di un programma di
recupero del tossicodipendente o dell’alcooldipendente.
L’art. 67 della legge n. 689 del 1981 fu dettato, prima che il
legislatore configurasse tale particolare ipotesi di affidamento in
prova “terapeutico”, avendo riguardo solo, oltre che al regime di
semilibertà, all’istituto dell’affidamento in prova al servizio
sociale previsto in via generale dall’art. 47 dell’ordinamento
penitenziario. Quest’ultimo rappresenta una misura alternativa alla
detenzione, prevista nel caso di pena da scontare non superiore a tre
anni, intesa a contribuire alla rieducazione del reo, assicurando
contemporaneamente la prevenzione del pericolo che egli commetta
altri reati, e avente un contenuto sostanzialmente non molto
dissimile da quello di una delle pene sostitutive previste dal capo
III della legge n. 689 del 1981, vale a dire della libertà
controllata (anzi, nel caso di condannato minorenne, la libertà
controllata è eseguita con le modalità proprie dell’affidamento in
prova al servizio sociale: cfr. art. 75, secondo comma, della stessa
legge n. 689 del 1981). Si comprende perciò come il legislatore
abbia ritenuto che la violazione delle prescrizioni relative alla
pena sostitutiva, cui consegue la conversione nella pena detentiva
sostituita, dia luogo ad una sorta di presunzione di inadeguatezza
delle misure alternative alla detenzione rispetto alle finalità
preventive e rieducative, e non sia quindi compatibile con una
espiazione della pena convertita attraverso le modalità proprie
dell’affidamento in prova o della semilibertà (cfr. sentenza n. 109
del 1997).
L’affidamento in prova “in casi particolari”, invece, pur
inserendosi come species nel genus dell’affidamento in prova già
previsto dall’ordinamento penitenziario, rappresenta una “risposta
(….) differenziata dell’ordinamento penale” conformata alla (e
giustificata dalla) “singolarità della situazione dei suoi
destinatari”, vale a dire le persone tossicodipendenti o
alcooldipendenti (ordinanza n. 367 del 1995). Esso quindi, pur non
essendo del tutto estraneo alla logica generale dell’affidamento in
prova, quella cioè di perseguire la risocializzazione del condannato
attraverso regimi diversi da quello carcerario, si fonda su
presupposti e persegue finalità nettamente differenziati.
Quanto ai presupposti – a parte il più ampio limite della pena da
scontare -, sono fondamentali l’accertato stato di tossicodipendenza
o di alcooldipendenza, e la ritenuta idoneità del programma ai fini
del recupero del condannato, programma alla garanzia della cui
esecuzione sono volte, fra l’altro, le specifiche prescrizioni da
impartire e i relativi controlli (art. 94, comma 4, del decreto del
Presidente della Republica n. 309 del 1990): tanto che taluno ha
potuto parlare di un vero e proprio obbligo di concessione
dell’affidamento, in presenza di detti presupposti. Ma anche se si
ritenesse, come è stato talvolta affermato in giurisprudenza, che la
concessione della misura presupponga pur sempre un giudizio
prognostico positivo sulla possibilità che la misura “contribuisca
alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che
egli commetta altri reati” (art. 47, comma 2, della legge n. 354 del
1975), resterebbe pur sempre ben differenziato il complesso dei
presupposti dei due istituti, e in particolare resterebbe la
presunzione, da cui muove il legislatore, secondo cui nel caso del
tossicodipendente la prima e fondamentale azione di risocializzazione
da perseguire è la cura dello stato di tossicodipendenza, attraverso
programmi che non potrebbero essere eseguiti se proseguisse o
iniziasse la detenzione in carcere.
Quanto alle finalità, come si è detto, fermo il generico scopo
rieducativo, l’affidamento in casi particolari persegue
specificamente la finalità di recupero rispetto alla
tossicodipendenza o alla alcooldipendenza.
Stante la differenza fra i due istituti, non può ritenersi che
ogni norma la quale si riferisca all’affidamento in prova, e in
particolare che il riferimento fatto a suo tempo dall’art. 67 della
legge del 1981 all’affidamento in prova, disponendo il divieto della
sua concessione nel caso di pena derivante da conversione, si estenda
automaticamente alla diversa ipotesi dell’affidamento in prova del
tossicodipendente o dell’alcooldipendente, successivamente introdotta
dal legislatore.
Dal punto di vista testuale, del resto, l’art. 94 del decreto del
Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, là dove, al sesto
comma, contiene una clausola di rinvio “per quanto non diversamente
stabilito”, si riferisce non già genericamente ad ogni altra norma
in materia di affidamento in prova, ma solo alla “disciplina prevista
dalla legge 26 luglio 1975, n. 354, come modificata dalla legge 10
giugno 1986, n. 663” (come, parimenti, si riferiva alla “disciplina
prevista dalla presente legge” l’art. 47-bis della legge n. 354 del
1975): di tale disciplina non fa parte la previsione dello speciale
divieto di cui all’art. 67 della legge n. 689 del 1981.
4. – Vi è poi una ragione più specifica che persuade della
inapplicabilità del divieto in questione all’affidamento
“terapeutico”.
La ratio del divieto sancito dall’art. 67 della legge n. 689 del
1981 risiede, come si è detto, nella presunzione legislativa che chi
abbia violato le prescrizioni di un regime totalmente o parzialmente
extracarcerario, nell’ambito dell’esecuzione della pena sostitutiva,
si dimostri inidoneo ad un trattamento alternativo – quello
dell’affidamento in prova “generale” – che ha un contenuto in qualche
modo analogo, e suppone l’adesione del soggetto all’iter di
risocializzazione propostogli; oltre che nel rafforzamento,
attraverso la minaccia di una pena da scontare ineludibilmente in
carcere, dell’efficacia deterrente della norma sulla conversione
obbligatoria della pena sostitutiva in quella sostituita, nel caso di
violazione delle relative prescrizioni (art. 66 della legge n. 689
del 1981). È insomma come se il legislatore avesse ritenuto che la
violazione delle prescrizioni inerenti alla esecuzione della pena
sostitutiva comprovasse già l’esito negativo di una “prova”, al
quale, non irragionevolmente, si è fatto conseguire il divieto di
una “seconda” prova.
Ora, nel caso dell’affidamento “terapeutico” di persona
tossicodipendente o alcooldipendente, da un lato, la ratio
legislativa è nel senso di una preminenza data dalla norma
all’intento di cura dello stato di dipendenza, donde l’essenzialità
del programma di recupero come contenuto della misura: intento che
mal si presta ad essere paralizzato dall’esito negativo di una
“prova” di tutt’altro genere, in nulla “mirata” sul medesimo stato di
dipendenza, qual è, in sostanza, l’applicazione della pena
sostitutiva della semidetenzione o della libertà controllata.
Dall’altro lato, soprattutto, il legislatore ha compiuto una autonoma
valutazione dei limiti di ripetibilità di questa particolare
“prova”, sancendo il divieto di disporre questa forma di affidamento
“più di due volte” (art. 94, comma 5, del testo unico sugli
stupefacenti; e già prima art. 47-bis, comma 7, dell’ordinamento
penitenziario). Con questa autonoma valutazione, intesa a bilanciare
la preminenza dello scopo terapeutico con la constatazione eventuale
della inidoneità della prova a conseguire l’effetto di
risocializzazione perseguito, mal si concilia un rigido divieto,
quale quello che conseguirebbe all’applicazione dell’art. 67 della
legge n. 689 del 1981, di concedere anche una sola volta
l’affidamento “speciale”, in conseguenza (automatica) dell’esito
negativo di una “prova” affatto diversa ed estranea al percorso
terapeutico che caratterizza l’istituto in questione.
5. – In definitiva, una considerazione complessiva del sistema
normativo e della ratio degli istituti coinvolti, prima ancora
dell’esame dei profili di costituzionalità prospettati dal
remittente, conduce a concludere per la non applicabilità del
divieto in questione all’affidamento in prova “terapeutico” di cui
all’art. 94 del testo unico delle leggi sugli stupefacenti. Non ha
pertanto ragion d’essere la questione di legittimità costituzionale
sollevata sul presupposto dell’opposta interpretazione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 67 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al
sistema penale), in relazione agli artt. 47-bis della legge 26 luglio
1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione
delle misure privative e limitative della libertà), e successive
modificazioni, nonché all’art. 94 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309
(Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti
e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei
relativi stati di tossicodipendenza), sollevata, in riferimento
all’art. 32 della Costituzione, dal pretore di Pescara con
l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 novembre 1997.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Onida
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 5 dicembre 1997.
Il direttore della cancelleria: Di Paola