Sentenza N. 378 del 1997
Corte Costituzionale
Data generale
05/12/1997
Data deposito/pubblicazione
05/12/1997
Data dell'udienza in cui è stato assunto
26/11/1997
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
degli artt. 458, comma 2 e 441, comma 1, del codice di procedura
penale, promosso con ordinanza emessa il 4 marzo 1997 dal giudice per
le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano, nel
procedimento penale a carico di Sinesi Fausto, iscritta al n. 233 del
registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell’anno 1997;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 15 ottobre 1997 il giudice
relatore Guido Neppi Modona;
del reato di ricettazione, il giudice per le indagini preliminari
presso il tribunale di Milano, su richiesta del pubblico ministero,
disponeva procedersi a giudizio immediato. Successivamente l’imputato
formulava, a norma dell’art. 458 del codice di procedura penale,
richiesta di giudizio abbreviato, cui il pubblico ministero aderiva.
Attesa l’incompatibilità del giudice che aveva emesso decreto di
giudizio immediato, gli atti del processo venivano trasmessi, per le
valutazioni e le determinazioni di cui al comma 2 dell’art. 458 cod.
proc. pen., ad altro giudice per le indagini preliminari.
Con ordinanza del 4 marzo 1997 (r.o. n. 233 del 1997) il giudice
chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di giudizio abbreviato ha
sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 458,
comma 2, e 441, comma 1, cod. proc. pen. “nella parte in cui non
prevede che il giudice possa accogliere la richiesta di giudizio
abbreviato anche nell’ipotesi in cui debba procedersi a norma
dell’art. 423 c.p.p. a modificazione dell’imputazione contestata con
la richiesta di giudizio immediato e con il successivo corrispondente
decreto emesso dal giudice per le indagini preliminari”.
Premette il rimettente che dagli atti trasmessi dal pubblico
ministero (e, in particolare, dal verbale di arresto in flagranza,
dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa e dall’arrestato in
sede di convalida) si ricavano elementi idonei a far ritenere a
carico dell’imputato la sussistenza di un altro reato (ricettazione),
oltre quello di estorsione contestato nella richiesta e nel decreto
di giudizio immediato, nonché della circostanza aggravante di cui
all’art. 61 n. 2 cod. pen., evenienze rientranti entrambe nella
previsione dell’art. 423 cod. proc. pen. che disciplina le modalità
di modifica dell’imputazione nell’udienza preliminare.
Ad avviso del giudice a quo l’esplicita esclusione, ai sensi
dell’art. 441 cod. proc. pen., della applicabilità nel giudizio
abbreviato dell’art. 423 cod. proc. pen. “va interpretata anche come
l’impossibilità di definire il processo “allo stato degli atti” ,
come richiesto dall’art. 440, comma 1, c.p.p., tutte le volte in cui
il giudice ravvisi negli atti trasmessi dal p.m. la sussistenza di
elementi che impongono modificazioni dell’imputazione o contestazioni
suppletive a norma dell’art. 423 c.p.p.”, con la conseguenza che il
giudice dovrebbe in tale eventualità rigettare la richiesta di
giudizio abbreviato, pur essendo libero di dare al fatto una
qualificazione giuridica diversa o di apportare “modificazioni non
aggravatrici della posizione dell’imputato”. Il rigetto del resto si
imporrebbe, secondo il rimettente, anche per l’impossibilità di
determinare la pena ai sensi dell’art. 133 cod. pen. a causa della
contestazione solo parziale degli addebiti.
Di qui il preteso contrasto di tale disciplina con l’art. 3 della
Costituzione, per violazione del principio di uguaglianza, dal
momento che l’accesso al giudizio abbreviato da parte dell’imputato
rimarrebbe condizionato da scelte effettuate dall’organo della
pubblica accusa, dando luogo a palesi disparità di trattamento: “è
sufficiente infatti che il p.m. ometta o semplicemente si dimentichi
di procedere con la richiesta di giudizio immediato alla
contestazione di una circostanza aggravante o di un reato
concorrente, risultanti dagli atti, per far sì che, una volta emesso
il decreto di giudizio immediato in totale aderenza alla richiesta,
l’imputato si veda precluso, in applicazione alle norme vigenti ma in
modo del tutto ingiustificato e irragionevole, l’accesso al giudizio
abbreviato”.
Con riguardo alla individuazione delle norme di sospetta
incostituzionalità, il rimettente osserva, infine, che esse vanno
rinvenute nell’art. 458, comma 2, e nell’art. 441, comma 1, cod.
proc. pen., in quanto è solo nell’ipotesi in cui la richiesta di
giudizio abbreviato venga formulata in seguito a richiesta di
giudizio immediato che il giudice per le indagini preliminari sarebbe
costretto, nelle circostanze indicate nell’art. 423 cod. proc. pen.,
a rigettare con le conseguenze già descritte l’istanza di rito
premiale avanzata dall’imputato. È ben vero, infatti, si rileva
nell’ordinanza, che l’art. 441, comma 1, cod. proc. pen., esclude
l’applicabilità dell’art. 423 cod. proc. pen. anche nel diverso
caso in cui la richiesta di giudizio abbreviato venga formulata prima
dell’udienza preliminare a norma dell’art. 439, comma 1, cod. proc.
pen, sicché il giudice, “a fronte di identica situazione di fatto”,
dovrebbe certamente rigettare la richiesta dell’imputato; tuttavia,
si fa osservare, in tal caso il giudice “nel prosieguo dell’udienza
preliminare, una volta effettuata la contestazione suppletiva a norma
dell’art. 423” potrebbe accogliere l’eventuale nuova richiesta di
giudizio abbreviato, comunque proponibile sino a che non siano
formulate le conclusioni a norma degli artt. 421 e 422 cod. proc.
pen.
2. – Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, per chiedere che la questione sia dichiarata inammissibile per
difetto di rilevanza.
Milano, chiamato a decidere sulla richiesta di giudizio abbreviato
dopo che era stato emesso il decreto di giudizio immediato, ha
sollevato questione di legittimità costituzionale del combinato
disposto degli artt. 458, comma 2, e 441, comma 1, del codice di
procedura penale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, nella
parte in cui tali norme, escludendo la possibilità di procedere nel
corso del giudizio abbreviato a contestazioni suppletive (nella
specie, un reato concorrente e una circostanza aggravante),
impedirebbero al giudice di accogliere la richiesta di giudizio
abbreviato per non essere il processo definibile allo stato degli
atti. In particolare, secondo il giudice rimettente, la non
definibilità del processo allo stato degli atti deriverebbe
dall’impossibilità di determinare correttamente l’eventuale pena da
irrogare, sia perché non si potrebbe tenere conto dell’aumento
derivante dalla circostanza aggravante, sia perché l’omessa
contestazione del reato concorrente limiterebbe la valutazione della
capacità a delinquere dell’imputato.
Premesso che l’art. 441, comma 1, cod. proc. pen., mediante
l’espressa esclusione dell’applicabilità dell’art. 423 dello stesso
codice, non consente che si possa procedere a contestazioni
suppletive anche nel giudizio abbreviato “tipico” (quello, cioè,
richiesto prima o nel corso dell’udienza preliminare), ad avviso del
giudice rimettente la censura di illegittimità costituzionale
riguarderebbe solo l’ipotesi in cui la richiesta di giudizio
abbreviato venga presentata, a norma dell’art. 458, comma 1, cod.
proc. pen., a seguito della notificazione del decreto di giudizio
immediato. Solo in questo caso, infatti, il giudice si troverebbe
costretto a respingere definitivamente la richiesta di giudizio
abbreviato a causa dell’omessa contestazione del reato concorrente o
della circostanza aggravante, mentre se la medesima situazione si
verifica nel corso dell’udienza preliminare non sarebbe esclusa la
possibilità, una volta respinta la richiesta di giudizio abbreviato,
che il pubblico ministero proceda, a norma dell’art. 423 cod. proc.
pen., alle contestazioni suppletive, dando così al giudice
l’opportunità di accogliere una eventuale nuova richiesta di
giudizio abbreviato, proponibile, ex art. 439, comma 2, cod. proc.
pen., sino a che non siano state formulate le conclusioni delle
parti.
Sulla base di questa ricostruzione dei rapporti tra giudizio
abbreviato e contestazioni suppletive, il giudice rimettente ritiene
che, nel caso di giudizio abbreviato richiesto dopo che è stato
emesso il decreto di giudizio immediato, l’impossibilità di ritenere
il processo definibile allo stato degli atti si traduca in una
violazione dell’art. 3 della Costituzione. All’imputato che venga a
trovarsi in tale situazione verrebbe infatti riservata
un’ingiustificata e irragionevole disparità di trattamento, in
quanto gli sarebbe precluso l’accesso al giudizio abbreviato,
disciplinato da disposizioni comunque più favorevoli, sulla base
della scelta meramente discrezionale del pubblico ministero di
contestare tutti i reati, ovvero di omettere, anche per mera
dimenticanza, la contestazione di un reato concorrente o di una
circostanza aggravante.
2. – La questione è infondata.
3. – L’azione penale è un potere-dovere attribuito esclusivamente
al pubblico ministero, e va esercitata secondo le modalità descritte
dall’art. 405 cod. proc. pen. Al giudice per le indagini preliminari
è peraltro riservato un potere di controllo giurisdizionale sulla
richiesta di archiviazione del pubblico ministero, imposto
dall’esigenza di rendere effettivamente operante il principio
costituzionale di obbligatorietà dell’azione penale (v. sentenza di
questa Corte n. 88 del 1991); potere che, in caso di disaccordo
sulla richiesta di archiviazione, si estrinseca, a norma degli artt.
409, comma 5, e 554, comma 2, cod. proc. pen., nella facoltà di
ordinare al pubblico ministero di formulare l’imputazione.
Al di fuori di questa situazione eccezionale, in cui, in attuazione
del principio dettato dall’art. 112 della Costituzione, al giudice
vengono espressamente attribuiti poteri diretti a rimuovere l’inerzia
del pubblico ministero, quest’ultimo rimane titolare esclusivo
dell’azione penale anche ove emerga l’esigenza di procedere a
contestazioni suppletive nel successivo corso del processo, dopo che
l’azione stessa è già stata esercitata. La disciplina delle
contestazioni suppletive, sia all’udienza preliminare che in
dibattimento, è infatti coerente con l’impostazione di fondo dei
rapporti tra pubblico ministero e giudice ora delineati: a norma
dell’art. 423, commi 1 e 2, cod. proc. pen., nel corso dell’udienza
preliminare l’iniziativa di modificare l’imputazione e la relativa
contestazione all’imputato sono attribuite direttamente al pubblico
ministero, e anche la contestazione del fatto nuovo, pur dovendo
essere autorizzata dal giudice, è sempre subordinata alla richiesta
del pubblico ministero. Disciplina sostanzialmente analoga vale per
la contestazione in dibattimento del reato concorrente, del fatto
diverso, delle circostanze aggravanti e del fatto nuovo (artt. 516,
517 e 518 cod. proc. pen.). Conformemente ai princìpi generali in
materia di titolarità dell’azione penale, anche in tema di
contestazioni suppletive l’iniziativa spetta esclusivamente al
pubblico ministero e al giudice non è riservato alcun potere
sostitutivo o concorrente in caso di inerzia dell’organo
dell’accusa.
4. – D’altro canto, la scelta del legislatore di precludere le
contestazioni suppletive, sia che venga collegata agli effetti
premiali volti ad incentivare il ricorso al giudizio abbreviato
(l’imputato potrebbe appunto essere indotto a richiedere tale rito
anche in base alla certezza di non essere esposto al rischio di
contestazioni suppletive), sia che venga inquadrata nella peculiare
natura di giudizio allo stato degli atti e nella conseguente
impossibilità di assumere eventualmente nuove prove in ordine al
reato concorrente o alle circostanze aggravanti, appare coerente con
la struttura e le finalità del rito ed è immune da vizi rilevanti
in sede costituzionale. Anzi, la natura pattizia del rito rende del
tutto plausibile che l’oggetto del giudizio rimanga limitato ai fatti
in relazione ai quali è intervenuto l’incontro di volontà tra le
parti.
In particolare, il divieto di procedere a contestazioni suppletive
non influisce sui presupposti di ammissibilità del giudizio
abbreviato e sulle relative valutazioni del giudice in ordine alla
possibilità di definire il processo allo stato degli atti;
valutazioni che, alla luce delle decisioni di questa Corte (v., con
diverse accentuazioni, sentenze n. 81 del 1991, nn. 23 e 92 del 1992,
n. 305 del 1993, nonché ordinanze n. 482 del 1992 e n. 276 del 1995)
e della giurisprudenza di legittimità, debbono essere riferite alla
completezza del quadro probatorio e alla previsione della sua non
modificabilità anche ai fini della individuazione delle circostanze
del reato e della commisurazione della pena.
Ne deriva che l’eventuale incompletezza delle contestazioni del
pubblico ministero non rientra tra i presupposti della valutazione
del giudice sulla decidibilità del processo allo stato degli atti:
in tale giudizio il giudice deve esprimersi con riferimento ai reati
per i quali è stata esercitata l’azione penale e solo su di essi è
abilitato, sulla base del quadro probatorio risultante dalle indagini
preliminari, a decidere se il processo può essere definito allo
stato degli atti. Ove dagli atti emerga un reato concorrente o una
circostanza aggravante, il giudice, se ritiene che in ordine al reato
contestato il processo sarebbe definibile allo stato degli atti, non
può respingere per questa ragione la richiesta di giudizio
abbreviato. Potrà eventualmente, nella sentenza emessa in esito al
giudizio abbreviato, disporre la trasmissione degli atti al pubblico
ministero perché eserciti l’azione penale per il reato concorrente.
Solo ove il fatto risulti diverso rispetto a quello contestato, il
giudice è abilitato, in applicazione del principio generale della
correlazione tra accusa e sentenza, a restituire gli atti al pubblico
ministero (v. in tale senso, con riferimento al caso in cui la
diversità del fatto emerga in esito all’udienza preliminare,
sentenza n. 88 del 1994, ove si fa riferimento alla disciplina
apprestata dall’art. 521, comma 2, cod. proc. pen.): diversamente,
il giudice si troverebbe nell’impossibilità di decidere sia sul
fatto diverso, sia su quello descritto nell’imputazione.
I poteri esclusivi del pubblico ministero in tema di contestazioni
suppletive rendono pertanto irrilevante che l’omessa contestazione
del reato concorrente o della circostanza aggravante si verifichi nel
giudizio abbreviato richiesto prima o nel corso dell’udienza
preliminare, ovvero a seguito del decreto di giudizio immediato: in
entrambi i casi il divieto per il giudice di procedere a
contestazioni suppletive posto dall’art. 423 cod. proc. pen. va
esente, per le ragioni sino ad ora esposte, da censure di
illegittimità costituzionale.
5. – Dall’erroneità del presupposto su cui si è basato il giudice
rimettente – impossibilità di accogliere la richiesta di giudizio
abbreviato in caso di omessa contestazione di un reato concorrente o
di una circostanza aggravante per non essere il processo definibile
allo stato degli atti – deriva l’infondatezza della proposta
questione di legittimità costituzionale, non essendo ravvisabile la
disparità di trattamento tra imputati in ordine alla possibilità di
usufruire del giudizio abbreviato. La diversa soluzione si
tradurrebbe in una impropria sovrapposizione e confusione tra i ruoli
del pubblico ministero e del giudice, mediante il riconoscimento in
capo al secondo di poteri in tema di esercizio dell’azione penale che
l’ordinamento processuale riserva in via esclusiva all’organo
dell’accusa.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 458, comma 2, e 441, comma 1, del codice di procedura
penale sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal
giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Milano,
con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 novembre 1997.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Neppi Modona
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 5 dicembre 1997.
Il direttore della cancelleria: Di Paola