Sentenza N. 38 del 1965
Corte Costituzionale
Data generale
31/05/1965
Data deposito/pubblicazione
31/05/1965
Data dell'udienza in cui è stato assunto
13/05/1965
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO – Prof. ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER
– Prof. GIOVANNI CASSANDRO – Prof. BIAGIO PETROCELLI – Prof. ALDO
SANDULLI – Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof.
COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ
– Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO,
Giudici,
della legge 27 dicembre 1953, n. 959, contenente norme modificative del
testo unico delle leggi sulle acque e sugli impianti elettrici,
riguardanti l’economia montana, e dell’art. 1 della legge 30 dicembre
1959, n. 1254, recante norme interpretative della legge predetta,
promossi con due ordinanze emesse il 23 novembre 1963 dal Tribunale
superiore delle acque pubbliche, nei procedimenti civili vertenti tra
la Società meridionale di elettricità e l’Ente nazionale per
l’energia elettrica contro il Ministero dei lavori pubblici, iscritte
ai un. 47 e 48 del Registro ordinanze 1964 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica, n. 108 del 2 maggio 1964.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri e di costituzione in giudizio del Ministro dei lavori
pubblici;
udita nell’udienza pubblica del 16 dicembre 1964 la relazione del
Giudice Antonino Papaldo;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giovanni
Albisinni, per il Presidente del Consiglio dei Ministri e per il
Ministro dei lavori pubblici.
Con due ordinanze, di identico contenuto, emesse il 23 novembre
1963 dal Tribunale superiore delle acque pubbliche, nei procedimenti
civili vertenti tra la Società meridionale di elettricità e l’Ente
nazionale per l’energia elettrica contro il Ministero dei lavori
pubblici, in sede di appello avverso sentenze del Tribunale regionale
di Napoli, è stata sollevata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1 della legge 27 dicembre 1953, n. 959,
contenente norme modificative del testo unico delle leggi sulle acque e
sugli impianti elettrici, riguardanti l’economia montana, e dell’art. 1
della legge 30 dicembre 1959, n. 1254, recante norme interpretative
della legge predetta, in riferimento agli artt. 3 e 41 della
Costituzione.
Davanti al Tribunale superiore gli appellanti invocavano l’art. 3
della legge 11 luglio 1913, n. 985, sulla cui base la facoltà di
utilizzare le acque del fiume Neto e suoi affluenti a scopo di forza
motrice per produzione di energia elettrica era stata concessa
gratuitamente per la durata di anni 60 a decorrere dal 31 dicembre
1916. Sostenevano che le leggi sopra ricordate del 1953 e del 1959, le
quali hanno imposto un sovracanone, sarebbero illegittime, perché,
dovendosi riconoscere al sovracanone la natura di entrata demaniale ed
alla legge del 1913 la natura di legge di incentivazione, le leggi
predette avrebbero violato la Costituzione negli artt. 3, 23, 25, 41 e
53.
Il Tribunale superiore, dopo avere premesso che le questioni
sollevate erano rilevanti ai fini del giudizio, riteneva non
manifestamente infondata la questione rispetto agli artt. 3 e 41.
Nelle ordinanze si premette che le leggi di incentivazione
sarebbero quelle emanate nel fine specifico di ottenere che il privato,
spontaneamente, compia una determinata attività, ritenuta utile per la
collettività; attività che in mancanza della legge non sarebbe
compiuta o lo sarebbe in misura o con modalità diverse. Il contenuto
di tali leggi consisterebbe nella concessione di vantaggi che si
realizzeranno in concreto solo se ed in quanto il destinatario compia
l’attività considerata dalla legge stessa. Riconosciuto che la legge
del 1913 abbia le caratteristiche di una legge di incentivazione, le
ordinanze affermano che le leggi di questo genere sono state previste
nell’art. 41 della Costituzione, il quale, dopo avere enunciato il
principio della libertà di iniziativa economica privata, affida alla
legge la determinazione dei programmi e dei controlli opportuni perché
l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e
coordinata a fini sociali.
Posto il problema di stabilire se le leggi di incentivazione godano
di una particolare tutela costituzionale, se, cioè, la presenza di una
legge di incentivazione importi un limite alla libertà del legislatore
nella disciplina della materia rientrante nelle previsioni di quella
legge, le ordinanze osservano che gli effetti della legge di
incentivazione, per la natura stessa di questa, sono destinati a
proiettarsi nel tempo per tutto il periodo in cui deve svolgersi
quell’attività economica che il legislatore ha ritenuto di dover
potenziare ed incoraggiare, non tanto per impedire al legislatore di
disporre l’abrogazione di una legge di incentivazione non più
rispondente alle proprie finalità di fronte a mutate condizioni
economiche o sociali, quanto per impedire che una nuova legge faccia
venir meno i vantaggi e le agevolazioni concesse con la legge di
incentivazione prima che si esaurisca l’attività del privato posta in
essere sotto la spinta di questa legge. Essa, siccome legge di
direttiva economica giusta le previsioni dell’art. 41 della
Costituzione, ha insito un carattere di impegnatività sì da non
essere suscettibile di modificazioni fino a che non sia stato
realizzato il programma avuto di mira dalla legge stessa; di modo che
le attività promosse dalla legge di incentivazione sfuggono
all’imposizione di quei limiti, vincoli ed obblighi con i quali lo
Stato esercita la sua funzione di indirizzo della iniziativa privata.
Un altro aspetto sotto il quale è stata prospettata nelle
ordinanze la violazione dell’art. 41 è quello secondo cui deve
escludersi la legittimità di norme che siano congegnate in modo da
interferire nell’attività economica di singoli operatori, turbando e
comprimendo la libertà di iniziativa privata al solo fine di tutelare
interessi di natura economica di altri soggetti: in questo caso gli
interessi economici dei Comuni montani.
Quanto al contrasto con l’art. 3 della Costituzione, le ordinanze,
richiamando le massime affermate da questa Corte circa il principio di
eguaglianza, prospettano la violazione di tale principio: sarebbero
stati trattati in modo diverso i concessionari dei bacini di pianura e
quelli dei bacini montani, che invece dovevano essere considerati in
condizioni di parità; la misura del sovracanone non sarebbe
commisurata alla capacità contributiva del concessionario, né
all’importanza della concessione, né alle esigenze dei Comuni montani.
Concludendo, le ordinanze osservano che il dubbio sulla
legittimità costituzionale della imposizione dei sovracanoni si
profila tanto in via generica per le ragioni che investono in radice il
sistema adottato dal legislatore quanto in via specifica per i soli
concessionari che godono della gratuità della concessione o perché
hanno operato in base ad una legge di incentivazione o perché comunque
si sono trovati in una condizione che è stata ritenuta legittimante
quel trattamento.
Le ordinanze, segnate ai numeri 47 e 48 del Registro ordinanze
1964, notificate al Presidente del Consiglio dei Ministri, all’E.N.E.L.
– già Impresa Società meridionale di elettricità – e al Ministro dei
lavori pubblici il 25 febbraio 1964, comunicate ai Presidenti dei due
rami del Parlamento, sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica il 2 maggio 1964, n. 108.
In questa sede è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
Ministri e si è costituito il Ministro dei lavori pubblici,
rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, la quale
ha depositato l’atto di intervento e le deduzioni, sostanzialmente di
identico contenuto per entrambe le controversie, nella stessa data del
22 maggio 1964. Le altre parti non si sono costituite.
L’Avvocatura, esaminando prima la questione particolare, e cioè
quella che si riferisce alla dedotta tutela costituzionale delle
cosiddette leggi di incentivazione, si duole che il Tribunale superiore
abbia omesso di esaminare se effettivamente con le leggi denunziate
fossero state abrogate le agevolazioni concesse con la legge 11 luglio
1913.
L’Avvocatura sostiene che la gratuità concessa da detta legge, in
relazione all’art. 88, primo comma, della legge 25 giugno 1906, n. 255,
riguardasse esclusivamente l’esenzione dal pagamento del canone
demaniale vero e proprio, di quel corrispettivo, cioè, dovuto allo
Stato per l’uso dell’acqua pubblica, ma non potesse riguardare
eventuali oneri, allora inesistenti, che per l’uso dell’acqua pubblica
sarebbero stati posti a favore di enti diversi dallo Stato, con
carattere di tributo, di contribuzione o, in genere, di prestazione
patrimoniale, ma senza il carattere del canone demaniale. A conforto di
questa opinione, l’Avvocatura richiama l’art. 48 del D.L.L. 9 ottobre
1919, n. 2161, ora articolo 73 del testo unico 11 dicembre 1933, n.
1775, sulla cui base può essere concesso l’esonero parziale o totale
del canone per la derivazione, salva però sempre la quota devoluta
agli enti locali. L’art. 73, anche se non si voglia ritenere che
costituisca norma di carattere generale, comprendente le precedenti
norme a carattere particolare, costituirebbe elemento non trascurabile
ai fini della corretta interpretazione dell’art. 3 della legge del
1913.
E poiché il sovracanone non è elemento del canone demaniale
perché questo solo costituisce il corrispettivo dell’uso dell’acqua e
di questo solo è possibile, allo stato della legislazione, l’esonero,
il sovracanone – conclude l’Avvocatura – costituisce un onere del tutto
nuovo e diverso, che non poteva comprendersi fra quelli dei quali la
legge del 1913 accordava l’esenzione. Per il che non esisterebbe il
problema dell’abrogazione, da parte della legge del 1953, della legge
del 1913 e pertanto la dedotta questione di legittimità non avrebbe
ragione di essere posta.
Ma anche nell’ipotesi che la legge del 1953 abbia abrogato con
efficacia retroattiva quella del 1913, ciò non avrebbe alcun rilievo
di ordine costituzionale, giacché non è prevista una tutela
costituzionale delle cosiddette leggi di incentivazione.
Dichiarando di prescindere dall’esame dell’esattezza della
determinazione di una autonoma categoria di leggi in relazione ad un
carattere che attiene più alla incidenza economica della norma che non
alla giustificazione giuridica di essa, l’Avvocatura osserva che le
posizioni soggettive garantite dalla legge di incentivazione restano
inquadrate nell’ambito della realizzazione delle finalità di ordine
generale perseguite attraverso quella legge, finalità che non cessano
di essere soggette all’apprezzamento del legislatore, il quale può
diversamente valutare la situazione in relazione a nuove e diverse
esigenze da soddisfare, trovando limite in principi fondamentali
costituzionalmente garantiti, tra i quali non può farsi rientrare il
principio della irretroattività della legge. Il legislatore,
nell’esercizio del suo potere sovrano di valutazione delle situazioni
in atto, ben può dettare nuove discipline. Una contraria opinione
sarebbe in contrasto con il principio secondo il quale le limitazioni
all’esercizio del potere legislativo devono trovare il loro fondamento
in principi chiaramente espressi nella Carta costituzionale.
Quanto agli altri aspetti sotto i quali è stata dedotta la
violazione dell’art. 41, l’Avvocatura sostiene che l’imposizione dei
sovracanoni ha una fonte costituzionale di legittimazione nell’art. 44
della Costituzione, l’ultimo comma del quale recita che la legge
dispone provvedimenti a favore delle zone montane.
La prestazione, legittimamente imposta con legge, è stabilita in
base ad un preciso legame tra i soggetti passivi (concessionari) ed i
soggetti attivi (Comuni montani), legame rappresentato dal bacino
imbrifero montano.
A ciò si aggiunga: a) la maggiore utilità economica dell’impianto
idroelettrico di montagna specie se con serbatoio; b) il principio,
posto anche a fondamento di altre disposizioni gia regolanti la
materia, secondo cui almeno una parte della utilità ritraibile nel
luogo in cui viene prodotta debba essere lasciata sul posto, specie se
trattasi di zone montane, notoriamente non ricche; c) il riferimento ad
una presunzione di danno sia diretto che indiretto alle zone montane
per l’uso di un bene, che, pur essendo demaniale, nasce ed acquista
consistenza in tali zone, alle quali ne è tolta la disponibilità; ed
infine il riferimento ad un principio di restituzione per il fatto che
tale bene, utilizzato nelle zone montane, si trasforma in ricchezza
nella zona di pianura, sicché non urta contro alcun principio che
l’utilizzazione di esso sia gravata di un onere a favore delle zone da
cui proviene.
L’Avvocatura nega che sussista violazione del principio di
eguaglianza in relazione alla pretesa tutela delle leggi di
incentivazione. Sostiene essere infondata la argomentazione secondo
cui, avendo il legislatore previsto come gratuite certe concessioni e
come non gratuite certe altre, per ciò stesso avrebbe posto una
differenziazione poi non più rispettata. La imposizione di un
sovracanone pacificamente definito nell’ambito della categoria delle
entrate patrimoniali – non altererebbe il regime gratuito della
concessione, o quanto meno lo renderebbe sempre differenziato rispetto
alle concessioni soggette al regime ordinario, cioè al pagamento del
canone demaniale.
Passando ad esaminare la questione di legittimità costituzionale
rispetto alla legge impositiva del sovracanone, indipendentemente dalle
leggi di incentivazione, l’Avvocatura, dopo aver rilevato che tale
questione è stata sollevata solo con riferimento all’art. 3 della
Costituzione, rinvia alle osservazioni già esposte in relazione
all’art. 41, per il caso in cui si ritenesse che la questione sotto il
profilo generale sia stata sollevata anche con riferimento a questa
norma.
Quanto alla dedotta violazione del principio di eguaglianza,
l’Avvocatura ripete le considerazioni già fatte nei riguardi della
stessa questione esaminata rispetto alle leggi di incentivazione, nel
senso che il legislatore, dopo avere valutato discrezionalmente ma non
arbitrariamente i vari elementi, è pervenuto alla conclusione di una
disuguaglianza di situazioni tra i concessionari di montagna e quelli
di pianura.
Infine, l’Avvocatura nega pregio al secondo aspetto della
questione, con il quale si assume che la misura del sovracanone non è
ragguagliata né alla capacità contributiva del concessionario né
alla importanza della concessione né alle esigenze dei Comuni montani.
Rileva che il sovracanone è imposto nella misura di lire 1.300 per
ogni kw di potenza nominale media ed è per ciò stesso commisurato
alla capacità contributiva del concessionario ed alla importanza della
concessione, provvedendo, nei limiti del possibile, alle esigenze dei
Comuni montani.
Conclude per l’infondatezza delle questioni.
1. – Sulle due ordinanze, di identico contenuto, può essere emessa
un’unica decisione.
2. – L’Avvocatura dello Stato ha rilevato preliminarmente che il
Tribunale superiore ha omesso di esaminare se con la legge 27 dicembre
1953, n. 959, interpretata autenticamente dalla legge 30 dicembre 1959,
n. 1254, fossero state abrogate le agevolazioni concesse con la legge
11 luglio 1913, n. 985: se avesse escluso la detta abrogazione, quel
giudice non avrebbe avuto ragione di porre la questione di carattere
generale circa la tutela costituzionale garantita alle cosiddette leggi
di incentivazione.
La Corte osserva che il Tribunale superiore ha impostato la
questione sul presupposto che le disposizioni denunziate non hanno
avuto l’effetto di abrogare la legge del 1913, rispetto alla quale,
ancora vigente, le disposizioni predette hanno determinato un contrasto
ai fini della legittimità costituzionale, non una incompatibilità
agli effetti dell’abrogazione. Tale impostazione attiene
sostanzialmente al giudizio di rilevanza perché costituisce la base
del procedimento logico attraverso cui il giudice a quo ha formulato la
questione di legittimità costituzionale. E la Corte, nella cui
competenza non rientra il giudicare sopra questioni di abrogazione
delle leggi, ritiene che il giudizio sulla costituzionalità delle
norme denunziate debba essere fondato sulla base adottata dal Tribunale
superiore.
3. – Le suindicate disposizioni della legge 30 dicembre 1959 e
della legge 27 dicembre 1953 violerebbero gli artt. 3 e 41 della
Costituzione tanto se tali disposizioni si riferiscano a concessioni
nei riguardi delle quali esistevano condizioni di favore in dipendenza
delle leggi cosiddette di incentivazione, del cui asserito carattere si
dirà in seguito, quanto se si riferiscano a concessioni per le quali
quelle condizioni non esistevano.
Nel vagliare le questioni, le due ipotesi saranno tenute distinte,
dando la precedenza all’esame relativo alla ipotesi in cui non esistano
leggi di incentivazione. Tale questione riveste carattere generale,
giacché la sua soluzione, se fosse nel senso dell’illegittimità,
sarebbe assorbente rispetto alla questione riflettente l’ipotesi della
esistenza di leggi di incentivazione.
In riferimento ad entrambe le ipotesi, la Corte ritiene che non sia
influente ai fini del decidere l’accertamento del carattere del
sovracanone. Il denunziato contrasto delle norme in esame con gli artt.
3 e 41 della Costituzione, secondo i profili sotto i quali la denunzia
è stata formulata, può essere giudicato esistente o non in base a
criteri che valgono indipendentemente dalla determinazione della natura
della prestazione pecuniaria imposta dalle norme predette.
4. – Per quanto si riferisce alla violazione dell’art. 3 della
Costituzione rispetto alle ipotesi in cui non esistano leggi di
incentivazione, le ordinanze deducono che la disparità di trattamento
tra i concessionari dei bacini di pianura e quelli dei bacini montani
sarebbe illegittima perché fondata sul presupposto che essi si trovino
in condizioni obbiettive diverse, mentre la condizione dei due gruppi
di concessionari rispetto ai Comuni montani sarebbe identica. La
violazione del principio di eguaglianza sussisterebbe anche perché la
misura del sovracanone fissata dalla legge non sarebbe commisurata alla
capacità contributiva del concessionario, né all’importanza della
concessione, né alle esigenze dei Comuni montani, che ne sono i
beneficiari.
Queste censure sono infondate.
Il legislatore ha ritenuto di dovere approntare un corpo di norme a
favore dei territori montani, ispirandosi ad uno scopo di pubblico
generale interesse in armonia con una norma della Costituzione,
contenuta nell’art. 44, secondo comma. In questo sistema si inseriscono
le norme in esame.
Mentre non sono sindacabili, sotto l’aspetto della violazione del
principio di eguaglianza, i criteri in base ai quali la misura del
sovracanone è stata stabilita ed i criteri in base ai quali il
provento deve essere impiegato, non appare criticabile l’imposizione di
una particolare prestazione pecuniaria ai concessionari dei bacini
montani, commisurata alla stregua di criteri generali ed obbiettivi,
non riscontrandosi alcun eccesso nell’esercizio del potere
discrezionale del legislatore, il quale ha ragionevolmente posto a
carico dei concessionari dei bacini montani un concorso per
l’approntamento degli aiuti da portare alle popolazioni di quei
territori dalle cui risorse i concessionari traggono beneficio.
Le stesse considerazioni valgono per giudicare infondata la censura
di violazione del principio di eguaglianza nell’ipotesi di esistenza di
una legge di incentivazione.
È innegabile che, con le disposizioni denunziate, il legislatore
ha creato una disparità di trattamento tra concessionari che godevano
ugualmente della esenzione del canone, imponendo un nuovo obbligo ai
soli concessionari dei bacini montani. Ma tale disparità non appare
illegittima, essendo immune da irragionevolezza la norma che l’ha
determinata; e ciò per i motivi già esposti.
5. – Le disposizioni denunziate violerebbero il principio di
libertà di iniziativa economica privata, in quanto imporrebbero una
illegittima compressione di tale iniziativa al solo scopo di tutelare
interessi di natura economica di altri soggetti, e cioè dei Comuni
montani.
Questa censura, riferendosi ad entrambe le ipotesi, ha carattere
più generale e deve quindi essere esaminata per prima.
La Corte non ha ragione di modificare il principio enunciato con la
sentenza del 30 dicembre 1958, n. 78, alla quale nelle ordinanze si fa
riferimento.
Qui non si tratta di disposizioni adottate a favore di una
categoria economica a carico di un’altra categoria. La prestazione
imposta è a favore di enti pubblici di importanza fondamentale, quali
sono i Comuni, per raggiungere scopi di carattere generale.
Non è possibile, quindi, parlare di illegittime distorsioni che
verrebbero a determinarsi nel campo della libertà economica.
6. – Prima di passare all’altro aspetto della questione relativa al
contrasto col principio di libertà di iniziativa economica,
prospettata in riferimento ai casi in cui i concessionari traggano
benefici da leggi di incentivazione, occorre delimitare il campo
dell’indagine.
Giova notare, anzitutto, che la questione proposta non si riferisce
ad un preteso obbligo del legislatore di fare onore agli affidamenti
dati con la concessione di esenzioni o di altri benefici, nel senso che
il legislatore stesso non potrebbe revocare tali benefici se non per
apprezzabili ragioni. La questione qui prospettata ha un ambito ben
più ristretto: si riferisce ad una asserita tutela costituzionale nei
riguardi degli impegni assunti con leggi cosiddette di incentivazione.
Per quanto sia superfluo, la Corte deve, in secondo luogo,
precisare che la questione non può essere esaminata in riferimento ad
una categoria indeterminata di leggi, rispondenti ad un tipo astratto,
quello di leggi di incentivazione. E ovvio, invece, che la questione
debba essere esaminata e risolta in confronto di una determinata legge,
qualificata come legge di incentivazione: nel caso attuale la legge 11
luglio 1913, n. 985.
Secondo le ordinanze, è legge di incentivazione quella dettata al
fine specifico di ottenere che il privato, in vista di vantaggi che si
realizzeranno in concreto solo se ed in quanto egli compia l’attività
prevista dalla legge, realizzi un determinato compito ritenuto utile
per la collettività, realizzazione che in mancanza della legge non si
sarebbe avuta o si sarebbe avuta in misura o con modalità diverse.
Sempre secondo le ordinanze, simili leggi sarebbero state previste dal
legislatore costituente nell’art. 41 della Costituzione là dove si
affida alla legge la determinazione dei programmi e dei controlli
opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere
indirizzata e coordinata a fini sociali. Le leggi di questo tipo
godrebbero di una particolare tutela costituzionale, giacché esse,
siccome leggi di direttiva economica giusta le previsioni dell’art. 41,
avrebbero insito un carattere di imperatività sì da non essere
suscettibili di modificazioni fino a che non sia stato realizzato il
programma avuto di mira dalle leggi stesse.
E pertanto le attività promosse dalla legge di incentivazione
sfuggirebbero all’imposizione di quei limiti, vincoli ed obblighi con
cui lo Stato esercita, in conformità al medesimo art. 41, la sua
funzione di indirizzo della iniziativa privata.
La legge 11 luglio 1913, n. 985, avrebbe il carattere di legge di
incentivazione giacché il legislatore volle assicurare ai costruttori
di alcuni impianti adeguati vantaggi, rappresentati, fra l’altro, dalla
gratuità della concessione come necessaria contropartita del rischio e
dell’onerosità dell’impresa. Onde l’illegittimità della norma che ha
imposto il sovracanone.
Ma, pur non apparendo necessario, ai fini della presente
controversia, prendere posizione in ordine alla categoria delle leggi
di incentivazione, ancora non compiutamente elaborata, e a parte la
difficoltà di applicare ad una legge, vecchia di mezzo secolo,
concetti che nemmeno oggi sono definitivi, la Corte non ritiene di
riscontrare nella norma impugnata la denunciata violazione dell’art.
41.
Quella legge, preordinata alla realizzazione di determinate opere
di pubblico interesse, accordò, in vista di tale interesse, ai privati
che erano chiamati a realizzarle ai fini di una concessione
amministrativa, taluni particolari benefici. Ciò non importa però
che, a lunga distanza di tempo e in una situazione storica ed economica
del Paese notevolmente cambiata, il legislatore non possa, senza urtare
contro i precetti costituzionali in materia di programmazione
economica, introdurre un nuovo onere a carico dei privati che
realizzarono quelle opere e sono tuttora titolari della concessione.
L’imposizione del sovracanone non significa revoca della gratuità
del canone, gratuità che è rimasta inalterata. Il sovracanone, quale
che sia la sua natura, costituisce un nuovo e diverso onere a favore di
enti distinti dallo Stato (i Comuni montani), onere a cui sono stati
assoggettati, con legge generale, tutti i concessionari che si
trovavano in una determinata posizione, al fine di far fronte a
sopraggiunte esigenze di pubblico interesse, il cui soddisfacimento
rispondeva anche all’orientamento segnato da una norma costituzionale
(art. 44, secondo comma).
In armonia con il sistema generale che aveva trovato la sua
definitiva formulazione nell’art. 52 del testo unico sulle acque, la
legge ha conferito ai Comuni montani un diritto nei confronti di tutti
coloro che, qualunque fosse la loro situazione rispetto allo Stato,
ritraevano una utilità dalla montagna, trasformandola in ricchezza
nelle zone di pianura, senza che alle popolazioni della montagna ne
risultasse un apprezzabile beneficio. Non è, pertanto, illegittimo che
il legislatore abbia accordato qualche compenso a favore di quelle
popolazioni e che, a tal fine, non abbia fatto discriminazioni fra i
concessionari.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riunisce le due cause indicate in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 1 della legge 27 dicembre 1953, n. 959, e 1 della legge 30
dicembre 1959, n. 1254, in riferimento agli artt. 3 e 41 della
Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 13 maggio 1965.
GASPARE AMBROSINI – GIUSEPPE CASTELLI
AVOLIO – ANTONINO PAPALDO – NICOLA
JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO – BIAGIO
PETROCELLI – ALDO SANDULLI – GIUSEPPE
BRANCA – MICHELE FRAGALI – COSTANTINO
MORTATI – GIUSEPPE CHIARELLI –
GIUSEPPE VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA
BENEDETTI – FRANCESCO PAOLO
BONIFACIO.