Sentenza N. 382 del 1996
Corte Costituzionale
Data generale
05/11/1996
Data deposito/pubblicazione
05/11/1996
Data dell'udienza in cui è stato assunto
17/10/1996
Presidente: avv. Mauro FERRI;
Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato
GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE;
della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di
finanza pubblica) promossi con ordinanza emessa il 28 luglio 1995 dal
pretore di Vigevano nel procedimento civile vertente tra Patella
Bernarda e Ministero dell’interno, iscritta al n. 877 del registro
ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 52, prima serie speciale, dell’anno 1995, e con ordinanza emessa
il 25 ottobre 1995 dal pretore di Fermo nel procedimento civile
vertente tra Giardini Paolo e Ministero dell’interno, iscritta al n.
887 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 53, prima serie speciale, dell’anno 1995;
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 10 luglio 1996 il giudice
relatore Riccardo Chieppa.
Bernarda Patella nei confronti del Ministero dell’interno avverso la
revoca dell’indennità di accompagnamento, di cui la ricorrente era
titolare, disposta dalla Prefettura di Pavia, e la richiesta, ai
sensi dell’art. 11, comma 4, della legge 24 dicembre 1993, n. 537
(Interventi correttivi di finanza pubblica), di restituzione dei
ratei della predetta indennità percepiti dalla data
dell’accertamento sanitario ad opera della Commissione medica per le
pensioni di guerra e di invalidità civile, il pretore di Vigevano,
con ordinanza del 28 luglio 1995 (r.o. n. 877 del 1995), ha sollevato
questione di legittimità costituzionale della predetta norma, nella
parte in cui prevede che, in caso di accertata insussistenza dei
requisiti prescritti per beneficiare di pensioni, assegni e
indennità per invalidità civile, cecità civile e sordomutismo, e
se il beneficiario non rinuncia a goderne dalla data
dell’accertamento, sono assoggettati a ripetizione tutti i ratei
versati nell’ultimo anno precedente la data stessa.
Ad avviso del giudice a quo (che pur sottolinea che “l’interessata
con lettera raccomandata dell’8 novembre 1994 aveva comunicato di
rinunciare al beneficio dalla data dell’accertamento della
insussistenza dei requisiti”), tale disposizione si porrebbe in
contrasto anzitutto con l’art. 38, primo e secondo comma, della
Costituzione, essendo gli emolumenti in questione utilizzati da chi
è inabile al lavoro e spesso in condizioni di ridotte capacità
economiche, e quindi soddisfa con gli importi percepiti le più
elementari esigenze di vita. La restituzione degli importi già
percepiti, e certamente già utilizzati, determinerebbe, quindi,
gravi difficoltà a carico di tali categorie. E ciò a prescindere
dalla sussistenza del dolo.
La normativa in esame lederebbe, altresì, il principio di
uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, determinando
un’ingiustificata disparità di trattamento tra i beneficiari delle
provvidenze corrisposte dal Ministero dell’interno e i pensionati
INPS, per i quali l’art. 52 della legge 9 marzo 1989, n. 88 sancisce
il divieto di ripetizione di prestazioni pensionistiche indebitamente
erogate, salvo il caso di dolo dell’interessato.
Infine, sarebbe violato il diritto alla difesa sancito dall’art.
24 della Costituzione, in quanto la norma costringerebbe in un certo
senso i beneficiari ad accettare la revoca dell’emolumento,
prevedendo, in caso di mancata adesione, il recupero dei ratei
percepiti non solo dalla data dell’accertamento ma per tutto l’anno
precedente l’accertamento stesso.
2. – Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
Ministri con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che
ha concluso per la infondatezza della questione.
Ha rilevato, in proposito, l’autorità intervenuta che la
disposizione in esame ha la finalità di verificare la regolarità e
legittimità dell’attribuzione dei benefici di cui si tratta. Ciò
premesso, quanto meno dalla data di accertamento della mancanza dei
requisiti per il godimento di tali benefici, sarebbe venuta meno la
esigenza cui gli stessi sono preordinati, donde la non conferenza del
richiamo all’art. 38 della Costituzione.
Né sarebbe censurabile il diverso trattamento riservato al
titolare dell’indennità di accompagnamento, erogata dal Ministero
dell’interno, rispetto alle prestazioni pensionistiche a carico
dell’INPS, per la diversità delle situazioni poste a confronto.
Infatti, mentre il comma 4 dell’art. 11 della legge n. 537 del 1993
prevede la ripetibilità dei ratei riscossi dal titolare del
beneficio per il venire meno dei requisiti in base ai quali esso era
stato concesso, l’art. 52 della legge n. 88 del 1989 riguarda gli
errori commessi dagli enti erogatori di pensioni, prevedendo la
irripetibilità delle somme riscosse in buona fede in ogni ipotesi di
indebito, conseguente ad ogni possibile atto e a qualsiasi fase di
gestione del rapporto pensionistico.
Non sussiste, infine, ad avviso dell’Avvocatura, violazione del
diritto alla difesa sancito dall’art. 24 della Costituzione, in
quanto l’interessato può contestare l’accertamento negativo davanti
all’autorità giudiziaria.
3. – Nel corso del procedimento civile promosso da Paolo Giardini
nei confronti del Ministero dell’interno, a seguito di revoca
dell’indennità di accompagnamento, il pretore di Fermo, con
ordinanza del 25 ottobre 1995 (r.o. n. 887 del 1995), ha sollevato
questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 11, comma
4, della legge n. 537 del 1993, nella parte in cui attribuisce al
beneficiario di trattamento previdenziale o assistenziale la facoltà
di rinunciare ad esso, esimendolo, in tale ipotesi, dalla
responsabilità per pregresse indebite percezioni anziché
prevedere, eventualmente, una pura e semplice adesione ad un giudizio
medico che lo riguardi.
Il giudice a quo, premesso che il ricorrente ha rinunciato alla
provvidenza prestando adesione alla revoca e successivamente ha
richiesto la erogazione dell’indennità di accompagnamento già
revocata dall’amministrazione competente, dopo aver rinunciato alla
stessa, ex art. 11, quarto comma, della competente , rileva che la
rinuncia alla provvidenza concerne il diritto all’assistenza, da
considerarsi indisponibile in quanto diritto inviolabile (art. 2
della Costituzione), in forza di norma di rango costituzionale, e
cioè l’art. 38 della Costituzione. Donde il contrasto con i
richiamati parametri costituzionali.
Inoltre, ad avviso del rimettente, dovrebbe dubitarsi della piena
capacità di autodeterminazione di un soggetto invalido, posto di
fronte all’alternativa tra rinunciare alla provvidenza o rischiare la
condanna alla restituzione di quanto già percepito, tra l’altro,
sotto l’influenza del clima di contestazione che viene alimentato da
una vasta campagna di propaganda nei confronti dei fruitori delle
provvidenze assistenziali.
Le rinunce effettuate in tali condizioni potrebbero essere, quindi,
ingiustificate, mentre quella di chi abbia dolosamente fruito di
assistenza varrebbe come esimente, consentendogli di trattenere
l’indebito, in violazione dei principi di ragionevolezza e di
uguaglianza.
4. – Anche in questo giudizio ha spiegato intervento il Presidente
del Consiglio dei Ministri per il tramite dell’Avvocatura generale
dello Stato, che ha rinviato alle considerazioni svolte con
riferimento alla ordinanza n. 877 del 1995.
medesima norma di cui all’art. 11, comma 4, della legge 24 dicembre
1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), sia pure
basandosi su diverse impostazioni. Il pretore di Vigevano lamenta,
infatti, che, in caso di accertata insussistenza dei requisiti
prescritti per beneficiare di pensioni, assegni e indennità per
invalidità civile, cecità civile e sordomutismo, qualora il
beneficiario non rinunci a goderne dalla data dell’accertamento, la
norma impugnata assoggetta a ripetizione tutti i ratei versati
nell’ultimo anno precedente l’accertamento, in violazione dell’art.
38, primo e secondo comma, della Costituzione, privando gli
interessati di emolumenti utilizzati per soddisfare le più
elementari esigenze di vita; dell’art. 3 della Costituzione, per la
disparità di trattamento tra i beneficiari delle provvidenze
corrisposte dal Ministero dell’interno e i pensionati INPS, per i
quali l’art. 52 della legge 9 marzo 1989, n. 88 sancisce il divieto
di ripetizione di prestazioni pensionistiche indebitamente erogate,
salvo il caso di dolo dell’interessato; dell’art. 24 della
Costituzione, perché sarebbe violato il diritto alla difesa, in
quanto la norma costringerebbe i beneficiari a rinunciare
all’emolumento, prevedendo, in caso contrario, il recupero dei ratei
percepiti non solo dalla data dell’accertamento ma per tutto l’anno
precedente l’accertamento stesso (questione sollevata con l’ordinanza
n. 877 del 1995).
La questione sollevata dal pretore di Fermo concerne la stessa
norma nella parte in cui attribuisce al beneficiario di trattamento
previdenziale o assistenziale la facoltà di rinunciare ad esso,
esimendolo, in tale ipotesi, dalla responsabilità per pregresse
indebite percezioni , anziché prevedere, eventualmente, una pura e
semplice adesione ad un giudizio medico che lo riguardi, con
violazione degli artt. 2 e 38 della Costituzione, in quanto la
rinuncia alla provvidenza concerne il diritto all’assistenza, che è
un diritto inviolabile e, quindi, indisponibile; e dell’art. 3 della
Costituzione per lesione dei principi di ragionevolezza e di
uguaglianza. Infatti la rinuncia effettuata da un soggetto invalido,
posto di fronte all’alternativa tra la rinuncia stessa o il rischio
della condanna alla restituzione di quanto già percepito, e sotto
l’influenza della campagna di propaganda contro i fruitori delle
provvidenze in questione, potrebbe essere ingiustificata, mentre chi
abbia dolosamente beneficiato dell’assistenza, attraverso la rinuncia
godrebbe di un’esimente, trattenendo l’indebito (questione sollevata
con l’ordinanza n. 887 del 1995).
2. – I due giudizi possono essere riuniti e decisi con un’unica
sentenza per evidenti ragioni di connessione.
3. – Preliminarmente deve essere puntualizzato, ai fini della
verifica dell’ambito della rilevanza delle questioni proposte, che in
ambedue i procedimenti, nei quali sono state pronunciate le ordinanze
di rimessione, si controverteva sulla indennità di accompagnamento e
i titolari della indennità stessa avevano espresso, secondo le
formalità previste, rinuncia a goderne dalla data dell’accertamento
della insussistenza dei requisiti.
Di conseguenza, l’ammissibilità delle questioni deve essere
circoscritta alla suddetta ipotesi di intervenuta rinuncia al
godimento (con effetti dalla data dell’accertamento) dell’indennità
di accompagnamento, mentre resta fuori l’alternativa (ipotetica e per
nulla riferibile alle fattispecie in cui sono sorte le questioni)
della ripetizione di tutti i ratei versati nell’ultimo anno
precedente la data dell’anzidetto accertamento, che presuppone la
mancata rinuncia a godere del beneficio.
4. – Sulla “rinuncia a godere” i benefici, deve essere anzitutto
osservato che non si tratta di rinuncia al diritto al trattamento
assistenziale (indennità di accompagnamento nelle fattispecie in
esame), ma semplicemente alla contestazione in sede giurisdizionale
dell’accertamento, con la conseguenza che dalla data di esso sono da
ritenersi in modo definitivo non sussistenti i requisiti previsti per
il beneficio.
Tale adesione alle risultanze dell’accertamento non preclude
ovviamente nel futuro (proprio perché non si può configurare una
rinuncia per l’avvenire a chiedere, ottenere e godere di provvidenze
assistenziali) di presentare nuova domanda (riferita a periodi
successivi), sulla base della nuova situazione, qualora vengano a
sussistere (o a ripristinarsi) tutti i requisiti prescritti per le
provvidenze stesse.
Lo scopo della norma è duplice, cioè da un canto, nell’ambito del
disegno complessivo di semplificazione ed accelerazione delle
procedure, quello di cercare di ridurre il contenzioso prevedibile in
conseguenza di verifiche e di riesame programmato con precedenza
nelle zone a più alta densità (già nel complesso anomala) di
beneficiari di pensioni, assegni ed indennità in materia di
invalidità civile, cecità civile e sordomutismo; dall’altro, quello
di dare un beneficio premiale, cioè di escludere completamente la
ripetibilità per coloro che rinunciano al godimento dalla data
dell’accertamento, realizzando un incentivo per la composizione
consensuale di tutte le situazioni a rischio di revisione e di revoca
per mancanza dei presupposti.
5. – Del resto, non può non tenersi conto della specificità
dell’indennità di accompagnamento, che costituisce “una particolare
provvidenza in favore di soggetti non autosufficienti, al fine di
porli in grado di far fronte alle esigenze di accompagnamento e di
assistenza che quella condizione necessariamente comporta,
consentendo loro condizioni esistenziali compatibili con la dignità
della persona umana” (sentenze n. 193 del 1994, n. 88 del 1993 e n.
346 del 1989).
Tale particolare natura della indennità di cui si tratta, la quale
si concretizza in un rimborso forfettario di spesa e di oneri
particolari derivanti dallo stato elevato di invalidità o di
menomazione, dà ragione, in caso di difetto dei presupposti per la
erogazione della stessa, del trattamento differenziato rispetto al
sistema della ripetibilità delle pensioni INPS. Infatti, nella
fattispecie di indennità di accompagnamento, la mancanza dei
requisiti prescritti coincide con il venir meno della esigenza di
spesa (o dei maggiori oneri). Pertanto, cessano anche le esigenze di
rimborso: in tal caso la corresponsione dell’indennità assumerebbe,
quindi, il carattere di mera locupletazione senza giustificazione.
Né può essere invocato il principio di irripetibilità – che non
è generale, ma introdotto, con alterne vicende variate nel tempo nel
settore INPS – in parte derogatorio rispetto ai principi regolanti
l’indebito nel codice civile, in relazione a particolari esigenze in
quel differente settore pensionistico, e collegato in molti casi a
comportamenti e ritardi addebitabili allo stesso ente.
6. – Sulla base delle predette considerazioni risulta la
infondatezza di tutte le questioni proposte. È anzitutto da
escludere la violazione dell’art. 38, primo e secondo comma, della
Costituzione: trattandosi di indennità di accompagnamento, dei cui
requisiti l’interessato ha riconosciuto la mancanza, è fuori
questione il diritto al mantenimento e all’assistenza sociale, né
vengono compromesse le esigenze di vita, non sussistendo la
necessità di quelle spese che, sole, giustificano il beneficio
assistenziale della indennità di accompagnamento.
Né è configurabile alcuna lesione del principio di eguaglianza di
cui all’art. 3 della Costituzione in relazione alla evidenziata
diversità di prestazioni e di presupposti, anche in considerazione
della rinuncia dell’interessato.
Parimenti, è da escludere una menomazione al diritto di difesa
garantito dall’art. 24 della Costituzione, in quanto l’invalido, che
subisce un accertamento negativo in ordine alla sussistenza dei
requisiti prescritti, conserva ogni diritto di tutela giurisdizionale
contro l’accertamento, essendo l’adesione una eventualità rimessa
alla sua volontà.
Né è ravvisabile alcuna violazione dei principi derivanti dall’
art. 2 della Costituzione, in quanto da un canto, come già
sottolineato, la rinuncia al godimento non preclude la possibilità
di chiedere e di fruire nel futuro della specifica forma di
assistenza, quando vengano a sussistere o siano ripristinati i
requisiti prescritti dalla legge; dall’altro, la garanzia della
inviolabilità del diritto non equivale alla intangibilità di esso
in presenza di modificazioni delle situazioni che ne costituiscono
presupposto, né esclude la possibilità che l’interessato presti
adesione ad un accertamento di insussistenza dei requisiti di legge,
compiuto con tutte le garanzie procedimentali previste
dall’ordinamento e suscettibile di sindacato giurisdizionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi, dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 4, della legge 24
dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica),
sollevate, in riferimento agli artt. 38, primo e secondo comma, 3 e
24 della Costituzione, dal pretore di Vigevano, e, in riferimento
agli artt. 2, 38 e 3 della Costituzione, dal pretore di Fermo con le
ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 17 ottobre 1996.
Il Presidente: Ferri
Il redattore: Chieppa
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 5 novembre 1996.
Il direttore della cancelleria: Di Paola