Sentenza N. 385 del 1996
Corte Costituzionale
Data generale
05/11/1996
Data deposito/pubblicazione
05/11/1996
Data dell'udienza in cui è stato assunto
17/10/1996
Presidente: avv. Mauro FERRI;
Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato
GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Carlo MEZZANOTTE;
giudice istruttore penale presso il Tribunale di Milano, a seguito
dell’atto di citazione notificato il 12 dicembre 1995 con il quale il
Procuratore regionale della Corte dei conti lo invita a comparire
avanti la Corte dei conti – sezione giurisdizionale della Lombardia
per essere condannato al pagamento in favore dell’erario della somma
di Lit. 1.106.590.772 a titolo di responsabilità amministrativa in
relazione a provvedimenti assunti nell’esercizio delle proprie
funzioni giurisdizionali; ricorso notificato il 6 luglio 1996
depositato in cancelleria il 22 successivo ed iscritto al n. 19 del
registro ricorsi 1996;
Visto l’atto di costituzione della Procura regionale e della Corte
dei conti – sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia;
Udito nell’udienza pubblica del 1 ottobre 1996 il giudice relatore
Gustavo Zagrebelsky;
Uditi l’avvocato Giorgio De Nova per il dott. Giorgio Della Lucia e
l’avvocato Alessandro Pace per la Corte dei conti e la Procura
regionale
istruttore penale presso il Tribunale di Milano, propone conflitto di
attribuzione nei confronti della Corte dei conti, procura regionale
della Lombardia, in persona del procuratore regionale pro-tempore, in
relazione all’atto di citazione notificatogli dal predetto
procuratore regionale per vederlo condannare al pagamento, in favore
dell’erario, di una somma a titolo di responsabilità per il danno
derivante da provvedimenti da lui assunti nell’esercizio di funzioni
giurisdizionali.
1.1. – Riferisce di aver disposto, su richiesta della Procura della
Repubblica di Milano – nel corso di alcuni procedimenti penali
svoltisi negli anni dal 1988 al 1992 ed aventi ad oggetto le vicende
finanziarie della Cassa di risparmio di Asti – in qualità di giudice
istruttore, talune perizie contabili, provvedendo poi a determinare e
liquidare i relativi compensi ai periti sulla base della tariffa
professionale vigente e riconoscendo la sussistenza dei presupposti
di cui all’art. 5 della legge 8 luglio 1980, n. 319, che consente il
raddoppio degli onorari per perizie di eccezionale rilevanza. Dei
compensi così liquidati con diversi decreti, solo per alcuni vi è
stata una riliquidazione da parte del Tribunale di Milano, a seguito
di opposizione del pubblico ministero proposta ai sensi dell’art. 11
della predetta legge n. 319.
Riferisce, altresì, che l’azione per danno erariale in relazione a
detti decreti di liquidazione ha preso l’avvio dalla trasmissione,
alla Procura generale della Corte dei conti, della relazione
predisposta dall’Ispettorato generale del Ministero di grazia e
giustizia all’esito di un’ispezione eseguita nel 1993 per ordine del
Ministro, a ciò sollecitato da un’interpellanza parlamentare (on.li
Rabino e Binelli).
Ciò premesso, osserva che, con l’atto di citazione ora impugnato,
la Procura regionale della Corte dei conti pretende di sindacare la
valutazione del giudice in ordine all’applicazione, nella fattispecie
concreta, della norma di legge che regola la determinazione
dell’onorario del perito e di sindacare altresì la motivazione del
provvedimento giurisdizionale, definendola insufficiente ed errata.
Ma ciò travalica le attribuzioni conferite alla Corte dei conti
dagli artt. 100 e 103 della Costituzione, risolvendosi in
un’interferenza nei poteri riconosciuti e tutelati in capo alla
magistratura ordinaria, e, quindi, in una lesione dello status di
indipendenza ed insindacabilità del giudice nell’esercizio della
funzione giurisdizionale, garantita dagli artt. 101, 102, 104 e 108
della Costituzione.
1.2. – Ai fini dell’ammissibilità del conflitto, il ricorrente
reputa sussistenti i prescritti requisiti soggettivo ed oggettivo ed
in particolare, quanto al primo, la propria legittimazione attiva ai
sensi dell’art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953 n. 87, in
quanto organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del
potere cui appartiene; quanto al profilo oggettivo, osserva che il
conflitto viene rivolto nei confronti della pretesa della Corte dei
conti di estendere la sua “speciale” giurisdizione, riservata alle
materie di contabilità pubblica, a questioni che attengono
all’esercizio dei poteri propri del giudice in ordine
all’interpretazione delle norme applicabili ad una determinata
fattispecie.
Avverte che, nella specie, non si pone una “questione di
giurisdizione” (che, come tale, esula dall’ambito dei conflitti tra
poteri), poiché non si tratta di determinare quale sia il giudice
competente alla corretta determinazione del compenso ai periti,
bensì di salvaguardare l’esercizio della funzione giurisdizionale da
un inammissibile sindacato, diverso ed ulteriore rispetto a quello
dei normali mezzi di impugnazione, sindacato che, per il disegno
costituzionale, si rivolge alle sole attività amministrative dei
pubblici dipendenti.
Ricorrerebbe, pertanto, ad avviso dell’istante, anche il requisito
oggettivo proprio di un conflitto di attribuzione, dovendosi
determinare in concreto “i confini rispettivi dei diversi ambiti di
giurisdizione” e “l’effettiva consistenza della garanzia
costituzionale dell’indipendenza del giudice ordinario rispetto a
pretese risarcitorie azionate in sede di giurisdizione per danno
erariale”.
1.3. – Richiama taluni precedenti di questa Corte circa la
singolarità della funzione giurisdizionale che può suggerire
condizioni e limiti alla responsabilità dei magistrati (sentenza n.
2 del 1968) a tutela dell’indipendenza e dell’autonomia (sentenza n.
26 del 1987), nonché circa la coerenza e l’adeguatezza degli
strumenti di limitazione contenuti nella legge n. 117 del 1988, che
reca la disciplina della responsabilità “civile” dei magistrati per
i danni dipendenti dall’esercizio della funzione giurisdizionale
(sentenza n. 18 del 1989), con specifico riferimento alla previsione
secondo cui l’attività di interpretazione di norme di diritto e di
valutazione del fatto e della prova non dà luogo a responsabilità.
Tale previsione, se pur contenuta in una legge ordinaria, reca un
principio che discende direttamente dalle norme costituzionali sullo
status di giudice.
Ricorda altresì la sentenza n. 468 del 1990 di questa Corte, nella
quale si considerò che gli effetti abrogativi dell’intervenuto
referendum sulla responsabilità del giudice vennero posticipati di
120 giorni al fine di consentire l’approvazione della nuova
disciplina ed evitare così che, nelle more, la “responsabilità del
giudice fosse abbandonata alle previsioni generali dell’art. 2043
c.c. (responsabilità per fatto illecito) o dell’art. 2236 c.c.
(responsabilità del prestatore d’opera) o assimilata a quella dei
funzionari e dipendenti dello Stato a norma dell’art. 23 del d.P.R.
10 gennaio 1957 n. 3”.
Concludendo, chiede che questa Corte dichiari che non spetta alla
Corte dei conti sottoporre a giudizio di responsabilità il
magistrato, in relazione all’adozione di provvedimenti di natura
giurisdizionale.
1.4. – Qualora si ritenesse diversamente e si affermasse che anche
i magistrati sono soggetti alla giurisdizione della Corte dei conti
per danno erariale arrecato nell’esercizio delle funzioni
giurisdizionali, il ricorrente sostiene che la Corte costituzionale
dovrebbe rimettere innanzi a sé la questione di legittimità
costituzionale delle norme (peraltro non indicate) che
consentirebbero tale sindacato, in contrasto con i principi
costituzionali che regolano lo status di giudice, l’indipendenza
della funzione della magistratura, l’uguaglianza e la ragionevolezza
dell’ordinamento. Ciò poiché, da un canto, la ipotetica disciplina
di tale responsabilità non conterrebbe alcuna limitazione alla colpa
grave, né alcun limite alle somme da risarcire, né alcuna
previsione circa la previa verifica dell’ammissibilità della
domanda; dall’altro, la legge n. 117 del 1988 sulla responsabilità
civile dei magistrati verrebbe ad operare non più anche con
riferimento ai danni arrecati dal magistrato allo Stato, ma solo
quando il danneggiato è un cittadino, o altro soggetto
dell’ordinamento, configurandosi così “un regime di favore per lo
Stato incompatibile con i canoni di uguaglianza e di ragionevolezza”.
2. – Con ordinanza n. 196 del 1996, emessa nella camera di
consiglio del 15 maggio scorso, questa Corte ha dichiarato
ammissibile il conflitto sollevato nei confronti della Corte dei
conti, Procura regionale della Lombardia, in persona del procuratore
regionale pro-tempore, ed in relazione all’atto di citazione
notificato il 12 dicembre 1995 a carico del dott. Della Lucia, ed ha
disposto, a cura del ricorrente, la notifica del ricorso e
dell’ordinanza stessa al procuratore regionale ed alla Corte dei
conti, sezione giurisdizionale della Lombardia.
3. – Si sono costituiti in giudizio con unico atto la Corte dei
conti, sezione giurisdizionale della Lombardia, in persona del
presidente pro-tempore, ed il procuratore regionale della Corte dei
conti per la Lombardia, in persona del procuratore regionale
pro-tempore, sostenendo in via preliminare l’inammissibilità
dell’impugnativa per più motivi.
3.1. – Ad avviso di entrambi i resistenti, in primo luogo il
ricorso sarebbe stato promosso solo per tutelare un interesse di
natura strettamente personale del ricorrente cioè quello di non
rispondere, in sede di giudizio di responsabilità amministrativa,
alla contestazione di aver causato un consistente danno all’erario
nel liquidare a consulenti tecnici compensi “eccessivi”; in tal modo
il rimedio, volto a preservare le sfere di attribuzioni dei poteri,
sarebbe stato “piegato” a vantaggio di mere situazioni giuridiche
soggettive. In più, assumendo il ricorrente di essere stato
sostanzialmente leso nel proprio diritto al giudice naturale (art. 25
della Costituzione) – nel senso che, quand’anche egli fosse
responsabile dei fatti contestatigli, la sua condotta concreterebbe
un illecito ex art. 2043 del cod. civ. perpetrato nell’esercizio di
funzioni giurisdizionali e pertanto da sottoporre alla cognizione del
giudice ordinario, ai sensi dell’art. 4 della legge n. 117 del 1988
sulla responsabilità dei magistrati – la tesi sostenuta nel ricorso
verrebbe a “confondere il problema delle attribuzioni costituzionali
dell’organo col problema della disciplina legislativa ordinaria in
tema di responsabilità, applicabile alla fattispecie”.
3.2. – In secondo luogo sarebbe carente nell’impugnativa il
requisito oggettivo della “diversità” dei poteri in conflitto,
giacché la Corte dei conti “in sede giurisdizionale non è
configurabile quale potere a sé stante”, bensì rientra quale
giudice speciale nell’articolazione complessiva del potere
giurisdizionale, con la conseguenza che si è in presenza di “una
questione di giurisdizione”, estranea al conflitto tra poteri,
dovendosi in sostanza stabilire se il magistrato ordinario, in
relazione al danno erariale da lui cagionato nell’attività di
liquidazione dei compensi ai periti, sia sottoposto al giudizio di
responsabilità amministrativa dinanzi alla Corte dei conti, ovvero
al giudizio di responsabilità civile devoluto alla cognizione del
giudice ordinario.
In proposito, anche a voler ammettere – secondo una recente
dottrina – che nell’ambito dei conflitti costituzionali possano
essere ricompresi i “conflitti di giurisdizione”, va rilevato che
nella specie si tratterebbe in ogni caso non di “conflitto”, bensì
della verifica (positiva o negativa) della giurisdizione in atto,
anche se è ineluttabile che l’esistenza o meno della giurisdizione
“in atto” postuli comunque un conflitto, determinato dall’ampliamento
o dalla menomazione delle competenze giurisdizionali dei due organi
confliggenti.
Sarebbe però necessario, per poter accedere alla tesi della
proponibilità dei conflitti di giurisdizione nell’ambito dei
conflitti tra poteri, che la Corte costituzionale, in via
pregiudiziale alla decisione del presente conflitto, dichiarasse la
illegittimità costituzionale dell’art. 37, secondo comma, della
legge n. 87 del 1953, non senza aver considerato che una pronuncia
siffatta da un canto “finirebbe per incidere sulle stesse
attribuzioni costituzionali della Corte di cassazione in punto di
giurisdizione (art. 111, terzo comma, della Costituzione)”, e
dall’altro potrebbe legittimare tutti i giudici, in quanto
organi-potere, a rivolgersi alla Corte costituzionale per la
risoluzione “non solo dei conflitti di attribuzione, ma anche dei
conflitti di competenza”.
3.3. – Altro motivo di inammissibilità è, poi, ravvisabile nel
fatto che il ricorso è rivolto nei confronti del procuratore
regionale della Corte dei conti, che esercita le funzioni di pubblico
ministero e che non può avere legittimazione passiva in un conflitto
in cui si discute di una questione di giurisdizione tra giudice
civile e giudice amministrativo in tema di danno erariale. Difatti,
secondo la giurisprudenza costituzionale, il pubblico ministero può
essere parte in un conflitto solo quale titolare diretto ed esclusivo
(art. 112 della Costituzione) dell’attività di indagine finalizzata
all’obbligatorio esercizio dell’azione giudiziaria.
Inoltre, essendo stato il ricorso notificato anche alla sezione
giurisdizionale della Corte dei conti, senza l’individuazione di
alcun atto, eventualmente lesivo, ad essa imputabile, ne deriva che
nella specie ci si trovi di fronte, per un verso, a un giudizio senza
oggetto (quello appunto contro la sezione giurisdizionale) e, per
altro verso, ad un giudizio senza legittimato passivo (quello contro
il procuratore regionale).
3.4. – Infine, viene denunciata l’inammissibilità del ricorso
perché mancherebbe la rilevanza costituzionale del conflitto, non
costituendo esercizio di funzione giurisdizionale, costituzionalmente
garantita, l’attività di liquidazione dei compensi peritali, che è
di natura amministrativa.
3.5. – Nel merito la Corte dei conti ha sostenuto l’infondatezza
del ricorso, ricordando la tendenziale generalità della propria
giurisdizione in materia contabile e la giurisprudenza costituzionale
al riguardo, secondo la quale deroghe a tale giurisdizione debbono
essere espresse; nessuna deroga è stata fatta per i magistrati
ordinari con la legge n. 117 del 1988, la quale disciplina la sola
responsabilità “civile” di quelli, senza toccare la problematica
della responsabilità amministrativa per danni cagionati allo Stato
nell’esercizio di attività oggettivamente amministrative;
responsabilità, questa, di natura patrimoniale, che rimane
assoggettata alle regole generali che disciplinano quella dei
pubblici dipendenti. Ed è proprio la natura amministrativa
dell’attività in concreto esercitata, che ha dato luogo al danno
risarcibile, ad escludere la violazione dei parametri costituzionali
invocati, che sono posti a garanzia della sola attività
giurisdizionale.
Che, nella specie, si tratti di attività amministrativa sarebbe
anche dimostrato dall’art. 11, primo comma, della legge 8 luglio
1980, n. 319, secondo cui competente a emettere il decreto di
liquidazione è non solo il giudice, ma anche il pubblico ministero
nel caso in cui questi abbia proceduto alla nomina di periti, con la
conseguenza che, se il pubblico ministero non è organo
giurisdizionale, l’attività in questione non può costituire
esercizio della funzione giurisdizionale.
Va inoltre considerato che, nel liquidare i compensi ai propri
“ausiliari”, il giudice non svolge una funzione di accertamento di un
diritto controverso (il che caratterizza la “giurisdizione” in senso
proprio), ma riconosce ai soggetti ciò che loro spetta in base alle
tariffe dei compensi, e ciò realizza una tipica attività
amministrativa. Infatti, analogamente alle spese di giustizia,
vengono in essere, nella specie, ordini di pagamento rivolti ai
procuratori del registro (art. 454, primo comma, del regio decreto 23
maggio 1924, n. 827) con efficacia immediata sul bilancio dello
Stato.
D’altra parte anche il fatto che la nuova disciplina abbia
introdotto la forma del “decreto” – in luogo dell'”ordinanza” di cui
all’abrogata disposizione dell’art. 23 del regio decreto 28 maggio
1931, n. 602 recante le norme di attuazione del precedente cod. proc.
pen. – suffraga la tesi che si tratti di un’attività di carattere
amministrativo.
Non induce a diverse conclusioni la previsione dell’art. 11, commi
5 e 6, della legge n. 319 del 1980 che detta norme in tema di ricorso
avverso il decreto di liquidazione, perché proprio il richiamo, ivi
contenuto, al procedimento di impugnazione in tema di liquidazione di
onorari di avvocato e procuratore conferma la natura amministrativa
dell’atto in questione. “Infatti, se il decreto di liquidazione
avesse natura giurisdizionale, l’impugnazione sarebbe regolata
secondo il rito ordinario e non tramite il procedimento (del tutto)
atipico di cui si è detto”, procedimento che si giustifica perché
in esso “verrebbero in rilievo interessi legittimi e non diritti
soggettivi”, dovendosi appunto considerare che, di fronte al decreto
di liquidazione, “il diritto al compenso dell’ausiliare del giudice
degrada … ad interesse legittimo”.
In conclusione, la parte resistente chiede che venga dichiarato che
“spetta alla Corte dei conti in sede giurisdizionale di giudicare
sulla responsabilità amministrativa del magistrato che cagioni un
danno allo Stato nell’esercizio dell’attività (amministrativa) di
liquidazione dei compensi peritali nel corso di un processo”.
4. – In prossimità dell’udienza entrambe le parti hanno presentato
memorie per confutare le tesi avverse ed illustrare più diffusamente
le proprie difese.
4.1. – Il ricorrente, in primo luogo, contesta la fondatezza di
tutte le eccezioni formulate per sostenere l’inammissibilità del
ricorso. In particolare, relativamente all’asserito “sviamento dei
fini” del conflitto di attribuzione, che egli avrebbe proposto solo
per non dover essere chiamato a rispondere del contestato danno
erariale, osserva che è una mera conseguenza fattuale (come tale
irrilevante) che il magistrato, difendendo il proprio status
costituzionalmente garantito, possa conseguire anche un vantaggio
patrimoniale e morale, perché ciò deriva dalla circostanza che la
funzione di cui si discute è necessariamente esercitata dalla
“persona-giudice”, cui l’ordinamento assicura autonomia e
indipendenza a tutela, oltre che della sfera funzionale, anche di
quella personale.
Nega poi che il conflitto si risolva in una “questione di
giurisdizione”, poiché ciò che si chiede è di determinare se i
poteri e le attribuzioni costituzionali del giudice della
responsabilità amministrativa possano essere esercitati anche nei
confronti di atti che costituiscono manifestazione del potere
giurisdizionale del giudice ordinario.
Circa la asserita carenza del “tono” costituzionale della
controversia, obietta che il conflitto è stato sollevato proprio per
far rispettare la sfera di autonomia e di indipendenza del giudice
nell’esercizio delle proprie funzioni. E a questo riguardo rileva che
erroneamente la difesa erariale ha sostenuto essersi invocata una
lesione del diritto al giudice naturale (art. 25 della Costituzione),
dal momento che nel ricorso viene richiamata la legge sulla
responsabilità civile dei magistrati al solo scopo di ricordare che
“nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a
responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto
né quella di valutazione del fatto e delle prove” (art. 2, secondo
comma), ovverosia per ribadire che, nella specie, non vi possa essere
alcun giudizio o sindacato diverso da quello (interno) dell’ordinario
mezzo di impugnazione del provvedimento giudiziale che costituisce il
risultato della valutazione richiesta al giudice dalla legge n. 319
del 1980.
Quanto alla pretesa “carenza del requisito soggettivo” dal lato
passivo e alla asserita “erronea individuazione dell’atto … lesivo”
(perché il procuratore regionale della Corte dei conti, in quanto
pubblico ministero, non eserciterebbe una funzione giurisdizionale in
relazione alla quale potrebbe ritenersi titolare di competenze
costituzionalmente protette, e perché il conflitto, sollevato anche
nei confronti della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti,
sarebbe privo di oggetto), nella memoria del ricorrente si ricorda
che nel giudizio per conflitto di attribuzione “non sussiste un onere
in senso proprio di previa individuazione dei soggetti nei confronti
dei quali proporre il ricorso”, dal momento che è la stessa Corte
costituzionale, in sede di giudizio di ammissibilità del conflitto,
ad indicare i soggetti ai quali notificare l’atto.
Inoltre va considerato che l’eventuale accoglimento del ricorso
farebbe venir meno ab origine il giudizio di responsabilità
amministrativa, travolgendo la “sentenza-ordinanza” della sezione
giurisdizionale della Corte dei conti della Lombardia, nel frattempo
intervenuta, che ha dichiarato sussistente la giurisdizione
contabile, ha respinto l’eccezione del decorso della prescrizione e
ha disposto incombenti istruttori. Difatti, tale pronuncia, peraltro
già appellata nella sede propria, non è altro che un’ulteriore
manifestazione della contestata carenza di potere del giudice
contabile nei confronti del magistrato, con la conseguenza che non è
ravvisabile la necessità di un autonomo ricorso per conflitto nei
confronti di essa, mentre la qui invocata pronuncia di accoglimento
da parte di questa Corte consentirebbe di per sé il ristabilirsi del
corretto assetto dei poteri previsto dalle norme costituzionali.
In relazione, poi, all’ultimo profilo di inammissibilità sollevato
dalla Corte dei conti, per l’asserita natura amministrativa e non
giurisdizionale del decreto di determinazione dei compensi ai periti,
profilo che necessariamente attiene anche al “merito” del conflitto,
il ricorrente – dopo aver ricordato alcune decisioni della Corte
costituzionale (sentenza nn. 88 del 1970, 125 del 1972) nelle quali
si è affermata la natura giurisdizionale di siffatti provvedimenti,
ed aver rilevato che, proprio in ossequio a dette pronunce, il
legislatore è intervenuto con la legge n. 319 del 1980 per
disciplinare la materia dei compensi in questione, legittimando alla
impugnazione dei provvedimenti di liquidazione le parti ed il
pubblico ministero – osserva che l’attribuzione di tale
legittimazione anche al pubblico ministero si spiega solo
riconoscendo che l’ordinamento abbia devoluto a quell’ufficio la
tutela degli interessi dello Stato nella specifica materia, con
esclusione di ulteriore controllo di qualsiasi altra autorità.
D’altra parte la difficoltà, posta in luce dalla dottrina, di
indicare con certezza “una nozione di giurisdizione utile in ogni
circostanza” impone di condurre l’indagine non nel senso di
individuare il carattere giurisdizionale del potere in concreto
esercitato dal giudice, bensì nel senso inverso di individuare
elementi certi idonei a qualificare come amministrativa l’attività
svolta da un giudice e solo in quei casi (residuali ed eccezionali)
escludere l’applicabilità dei principi e della tutela propri della
funzione giurisdizionale. In altre parole, soltanto la presenza di
“indici del carattere amministrativo dell’atto” può impedire di
ricondurre alla funzione giurisdizionale l’attività in concreto
svolta. Nella specie, è escluso il ricorso degli elementi propri del
potere amministrativo, dal momento che il giudice, anche nel
determinare i compensi ai propri ausiliari, è del tutto estraneo
all’apparato burocratico e, dal punto di vista funzionale, non deve
operare una comparazione e una composizione tra l’interesse pubblico
e l’interesse privato del professionista al maggior compenso, bensì
accertare la sussistenza dei presupposti di legge per il
riconoscimento del raddoppio della tariffa base. Si tratta, in
sostanza, di applicare la legge al caso concreto nell’esclusivo
interesse “di giustizia”.
Ma le conclusioni non sarebbero diverse anche se si riconducesse
l’attività in questione ad una categoria intermedia tra funzioni
propriamente giurisdizionali e quelle meramente amministrative,
ovverosia alla categoria delle attività “strumentali” o “accessorie”
rispetto all’esercizio della giurisdizione, perché anche per tali
attività dovrebbe riconoscersi al giudice lo stesso regime di
responsabilità proprio del suo status di soggetto costituzionale
autonomo e indipendente e non già quello previsto per il pubblico
funzionario.
Infatti, la normativa, propria e speciale, dettata per la
responsabilità dei magistrati è diversa da quella della
contabilità pubblica cui sono assoggettati gli altri pubblici
dipendenti esercenti funzioni amministrative. E la stessa previsione
legislativa avvalora l’esposta tesi, precisandosi nell’art. 1, comma
1, della legge n. 117 del 1988 che la speciale disciplina si applica
a tutti coloro “che esercitano l’attività giudiziaria,
indipendentemente dalla natura delle funzioni”. L’inciso sarebbe
stato del tutto pleonastico se il legislatore avesse inteso
disciplinare, con la normativa speciale, le sole attività
propriamente “giudiziarie” ed è pacifico che sono ricomprese
nell’ambito di applicabilità di quella legge talune attività che –
pur prive di contenuto decisorio (es.: giudice istruttore civile,
pubblico ministero) e che comunque non danno luogo ad un “giudizio”
nel senso, precisato dalla giurisprudenza costituzionale, di sede
idonea a sollevare questioni di legittimità costituzionale (es.:
registrazione degli organi di stampa, vigilanza sui registri di stato
civile, vidimazione delle ingiunzioni fiscali) – sono preordinate ad
una decisione o comunque “processuali” e quindi attinenti a funzioni
giurisdizionali.
L’applicabilità della legge n. 117 del 1988 a tutte le attività
del giudice esclude, quindi, il regime di responsabilità per danno
erariale proprio degli altri pubblici dipendenti, perché, se il
giudice fosse assoggettato anche a tale tipo di responsabilità, egli
verrebbe privato della tutela e dei limiti assicurati per la
responsabilità civile.
4.2. – Nella sua memoria illustrativa la Corte dei conti,
richiamata la giurisprudenza costituzionale (sentenze nn. 641 del
1987 e 24 del 1993) in tema di giurisdizione contabile secondo cui,
per derogare ad essa, è necessario un intervento esplicito del
legislatore ordinario, nega che sia possibile rinvenire detto
intervento nella legge n. 117 del 1988 che si limita a disciplinare
la responsabilità “civile” dei magistrati verso i terzi, senza
invece regolare l’ipotesi del danno cagionato dal magistrato
direttamente allo Stato. In quella normativa lo Stato viene in
rilievo soltanto quale soggetto chiamato a risarcire il danno causato
dal giudice e quale soggetto legittimato ad esercitare la conseguente
azione di rivalsa (artt. 4 e 7 della legge). Quindi, se in quella
legge vi è una deroga alla giurisdizione della Corte dei conti,
questa concerne esclusivamente il giudizio conseguente all’azione di
rivalsa, disciplinato in via ordinaria per i pubblici dipendenti
dagli artt. 18, 19 e 23 del d.P.R. n. 3 del 1957, norme queste
espressamente richiamate dall’art. 13 della legge n. 117 del 1988 per
il caso in cui il danno civile cagionato dal magistrato scaturisca da
una condotta integrante gli estremi di reato.
Per i danni cagionati dal magistrato direttamente allo Stato al di
fuori dell’ipotesi di reato, ricorre invece un’ipotesi di
responsabilità amministrativa patrimoniale di un pubblico
dipendente, di natura contrattuale, nel presupposto di un rapporto di
servizio e della violazione dei doveri inerenti a detto rapporto
(sentenza n. 24 del 1993).
Vanno quindi distinte le attività giurisdizionali, per le quali il
magistrato non è chiamato a rispondere del proprio operato dinanzi
alla Corte dei conti, da quelle di carattere oggettivamente
amministrativo, pur svolte nell’esercizio della funzione
giurisdizionale in senso soggettivo, devolute invece al sindacato del
giudice contabile.
Stato, questa Corte è chiamata a stabilire se spetta alla Procura
della Corte dei conti citare in giudizio di responsabilità contabile
e alla Corte dei conti giudicare un giudice (nella specie: un giudice
istruttore penale) per il preteso danno causato all’erario in
conseguenza della liquidazione di compensi, che si assumono essere
stati illegittimamente disposti a favore di periti nominati nel corso
di procedimenti penali a norma della legge 8 luglio 1980, n. 319
(Compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e
traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell’autorità
giudiziaria).
Il ricorrente, qualificando giurisdizionali i provvedimenti di
liquidazione in questione, ritiene l’atto di citazione e il giudizio
della Corte dei conti estranei alle funzioni e ai poteri della
giurisdizione contabile, quali stabiliti dall’art. 103 della
Costituzione, e asserisce di essere stato leso nei poteri
costituzionali che gli competono in quanto giudice, nonché nel suo
status di indipendenza, quali sono garantiti a chi esercita funzioni
giurisdizionali dagli articoli 101, 102, 104 e 108 della
Costituzione.
Con ordinanza n. 196 del 1996, giudicando in via preliminare,
interlocutoria e sommaria, a norma dell’art. 37, terzo comma, della
legge 11 marzo 1953, n. 87, questa Corte ha ritenuto ammissibile il
conflitto, anche in considerazione della novità del problema,
riservandosi peraltro ogni definitiva decisione, anche in punto di
ammissibilità, per l’attuale successivo momento nel quale il
giudizio si svolge in contraddittorio tra le parti.
Occorre ora, prima dell’eventuale esame del merito, sciogliere
definitivamente e con valutazione piena i problemi di ammissibilità
del proposto conflitto tra poteri dello Stato.
2. – Il conflitto è inammissibile.
2.1. – Nella sentenza n. 29 del 1995 questa Corte ha avuto
occasione di rilevare che, nell’ambito delle trasformazioni
istituzionali degli ultimi decenni, la prassi giurisprudenziale e le
leggi di attuazione della Costituzione hanno esteso l’ambito delle
funzioni demandato alla Corte dei conti, “esaltandone il ruolo
complessivo quale garante imparziale dell’equilibrio
economico-finanziario del settore pubblico e, in particolare, della
corretta gestione delle risorse collettive” e quale “organo posto a
tutela degli interessi obiettivi della pubblica amministrazione, sia
statale sia regionale sia locale”.
Tuttavia, pur trattandosi di un’evoluzione e di un potenziamento
nel senso della Costituzione, resta comunque fermo il principio
sempre affermato da questa Corte che, per quanto si debba riconoscere
la comprensività della formula impiegata dalla Costituzione
nell’art. 103, secondo comma, per indicare il campo di azione della
Corte dei conti, non può farsi questione di una sua assoluta
“generalità” e “immediata operatività” alla stregua di una nozione
astratta di contabilità pubblica.
La giurisdizione “nelle materie di contabilità pubblica”, come
prevista dalla Costituzione e alla stregua della sua conformazione
storica, è dotata infatti non di una “assoluta”, ma solo di una
tendenziale generalità (sentenza n. 102 del 1977, nonché sentenza
n. 33 del 1968), in quanto essa è suscettibile di espansione in via
interpretativa, quando sussistano i presupposti soggettivi e
oggettivi della responsabilità per danno erariale, ma ciò solo “in
carenza di regolamentazione specifica da parte del legislatore che
potrebbe anche prevedere la giurisdizione ed attribuirla ad un
giudice diverso” (sentenza n. 641 del 1987). In un’occasione recente
– ribadito “il carattere non cogente ed assoluto, ma solo
tendenzialmente generale, dell’attribuzione alla Corte dei conti, ad
opera dell’art. 103 Cost., della giurisdizione in materia di
contabilità pubblica, intesa come comprensiva sia dei giudizi di
conto che di quelli sulla responsabilità amministrativa patrimoniale
dei pubblici dipendenti ed amministratori” – si è precisato che “la
concreta attribuzione della giurisdizione, in relazione alle diverse
fattispecie di responsabilità amministrativa, è infatti rimessa
alla discrezionalità del legislatore ordinario e non opera
automaticamente in base all’art. 103 Cost., richiedendo
l’interpositio legislatoris, al quale sono rimesse valutazioni che
non toccano solo gli aspetti procedimentali del giudizio, investendo
la stessa disciplina sostanziale della responsabilità” (sentenza n.
24 del 1993). E nella disciplina sostanziale rimessa al legislatore,
rientrano le “apposite qualificazioni legislative e (le) puntuali
specificazioni non solo rispetto all’oggetto ma anche rispetto ai
soggetti” di tale responsabilità (sentenza n. 641 del 1987 cit.).
Appartiene quindi alla discrezionalità del legislatore, che deve
essere circoscritta all’apprezzamento ragionevole dei motivi di
carattere ordinamentale e, particolarmente, di quelli riconducibili
agli equilibri costituzionali, la definizione concreta della materia
di contabilità pubblica, da attribuire alla giurisdizione della
Corte dei conti, così come appartiene al legislatore, nel rispetto
delle norme costituzionali, la determinazione dell’ampiezza di
ciascuna giurisdizione (ordinaria, amministrativa, contabile,
militare, ecc.) (sentenza n. 641 del 1987). Il che spiega perché,
quando sono in discussione, nei reciproci rapporti fra giurisdizioni,
i rispettivi ambiti di competenza, se e in quanto determinati dal
legislatore ordinario, il contrasto non assume, di norma, il
carattere di conflitto di attribuzione, come confermano gli articoli
111, terzo comma, della Costituzione e 37, secondo comma, della legge
11 marzo 1953, n. 87.
Pertanto – venendo al caso di specie, nel quale si tratta della
responsabilità per danno erariale di appartenenti all’ordine
giudiziario, ove le anzidette esigenze di apprezzamento di
complessive armonie organizzative appaiono con evidenza – la
contestata giurisdizione non potrebbe dirsi né attribuita né
sottratta alla Corte dei conti da norme costituzionali, dipendendo
essa invece dalle determinazioni che la legge abbia fatto in
proposito per tener conto di tali esigenze. E questo basta perché
si riconosca che l’attuale controversia non presenta le
caratteristiche che l’art. 37, primo comma, della legge n. 87 del
1953 richiede, affinché possa instaurarsi un conflitto
costituzionale di attribuzioni, rientrante nella competenza di questa
Corte.
2.2. – A non diversa conclusione deve pervenirsi alla stregua degli
altri parametri costituzionali – tutti attinenti alla garanzia di
indipendenza assicurata ai giudici e all’insindacabilità
dell’esercizio delle funzioni giudiziarie – invocati dal ricorrente
per sostenere una definizione in negativo della giurisdizione della
Corte dei conti, dalla quale resti comunque escluso il sindacato sul
contenuto dei provvedimenti assunti dal giudice nell’attività di
liquidazione dei compensi, regolata dalla sopra ricordata legge n.
319 del 1980.
Gli artt. 101, 102, 104 e 108 della Costituzione –
indipendentemente dall’esame della pertinenza di tutte queste
disposizioni al caso in esame – non valgono ad assicurare al giudice
uno status di assoluta irresponsabilità, pur quando si tratti di
esercizio delle sue funzioni riconducibili alla più rigorosa e
stretta nozione di giurisdizione.
Questo principio è stato affermato con chiarezza nella
giurisprudenza di questa Corte. Già nella sentenza n. 2 del 1968, in
sede di interpretazione dell’art. 28 della Costituzione relativamente
alla disciplina della responsabilità civile dei magistrati contenuta
negli allora vigenti articoli 55 e 74 del codice di procedura civile,
si era chiarito che la “diretta responsabilità” secondo le leggi
penali, civili e amministrative, ivi prevista a carico dei funzionari
e i dipendenti dello Stato per gli atti compiuti in violazione di
diritti, riguarda anche gli appartenenti all’ordine giudiziario,
l’autonomia e l’indipendenza della magistratura e del giudice non
ponendo l’una al di là dello Stato, quasi legibus soluta, né
l’altro fuori dell’organizzazione statale. E nella sentenza n. 18 del
1989 il medesimo principio si era ribadito, in riferimento alla nuova
disciplina contenuta nella legge n. 117 del 1988, relativamente tanto
alla diretta responsabilità verso i terzi danneggiati in caso di
reato, quanto alla soggezione all’azione di rivalsa dello Stato. In
questa decisione si dice con nettezza che il magistrato deve essere
indipendente da poteri e da interessi estranei alla giurisdizione, ma
è “soggetto alla legge”: alla Costituzione innanzi tutto, che
sancisce, ad un tempo, il principio d’indipendenza (artt. 101, 104 e
108) e quello di responsabilità (art. 28) al fine di assicurare che
la posizione super partes del magistrato non sia mai disgiunta dal
corretto esercizio della sua alta funzione.
Ne deriva la conciliabilità in linea di principio
dell’indipendenza della funzione giudiziaria con la responsabilità
nel suo esercizio, non solo con quella civile, oltre che penale, ma
anche amministrativa, nelle sue diverse forme.
E, se tale conciliabilità esiste in relazione agli atti di
esercizio della funzione giurisdizionale in senso stretto, per i
quali l’esigenza di garanzia dell’indipendenza e
dell’insindacabilità è massima, a maggior ragione deve valere in
relazione ad atti come quello che ha dato origine all’iniziativa
della Corte dei conti sulla quale è sorto il presente conflitto.
Indipendentemente dalla qualificazione secondo i numerosi schemi
teorici proposti per afferrare concettualmente l’essenza della
giurisdizione, è evidente infatti che, per poter attrarre il
provvedimento di liquidazione dei compensi spettanti ai periti,
consulenti tecnici, interpreti e traduttori nell’area della funzione
giurisdizionale, occorre adottare di questa una definizione assai
larga.
Le predette considerazioni confermano nella convinzione che le
richiamate disposizioni dettate dalla Costituzione a garanzia
dell’indipendenza e dell’insindacabilità della funzione
giurisdizionale non si oppongono di per sé alla possibilità che la
legge preveda casi e forme di responsabilità per atti giudiziari del
tipo qui in questione. Ond’è che nemmeno per questa via è possibile
ricavare un confine definito dalla Costituzione, che giustifichi la
drastica affermazione che alla Corte dei conti è sempre preclusa –
si ribadisce: preclusa per ragioni di costituzionalità – la
giurisdizione sulla responsabilità dei magistrati per danno
erariale.
Dal che si deduce (in parallelo con la conclusione raggiunta a
proposito dell’interpretazione dell’art. 103, secondo comma, della
Costituzione) che, anche sotto il profilo della previsione dei
diversi tipi di responsabilità in cui possono incorrere i giudici,
la Costituzione lascia aperto un campo all’esplicazione della
discrezionalità del legislatore. Esso porta a riconoscere che, anche
sotto questo aspetto, il presente conflitto non attiene alla
“delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari
poteri da norme costituzionali”.
3.1. – Vero è che la controversia portata di fronte a questa
Corte in sede di conflitto costituzionale di attribuzioni è
un’impropria dissimulazione di un altro tipo di controversia che
attiene, in primo luogo, alla ricostruzione della legislazione
vigente in ordine alle possibili reazioni dell’ordinamento – oltre ai
c.d. rimedi “interni” di cui all’art. 11, quinto comma, della legge
n. 319 del 1980 citata e, segnatamente, quello del ricorso del
pubblico ministero avverso il decreto di liquidazione – contro i
provvedimenti asseritamente illegittimi di liquidazione dei compensi
ai periti, consulenti, interpreti e traduttori e, in secondo luogo,
ai possibili vizi di incostituzionalità di tale legislazione.
Ciò spiega l’ampio spazio che gli atti difensivi delle parti
danno, ciascuno nel proprio interesse, alla ricostruzione della
legislazione, sia anteriore che successiva alla Costituzione,
concernente la giurisdizione della Corte dei conti rispetto alla
responsabilità dei magistrati liquidatori di compensi per attività
professionali prestate nei giudizi, nonché la discussione che il
ricorrente introduce circa i possibili vizi d’incostituzionalità che
tale legislazione, una volta ricostruita nel senso dell’esistenza
della giurisdizione contestata, può presentare.
Ma tale controversia, sia sotto il primo che sotto il secondo
aspetto, non può riguardare la Corte costituzionale come giudice dei
conflitti: non la ricostruzione della legislazione, che spetta ai
giudici che devono applicarla, cioè, nel caso di specie,
innanzitutto al giudice contabile in sede di verifica della propria
giurisdizione e poi, eventualmente, alla Corte di cassazione su
ricorso per regolamento di giurisdizione (art. 41 cod. proc. civ.)
ovvero su ricorso avverso la decisione della Corte dei conti per
motivi inerenti la giurisdizione (artt. 111, ultimo comma, della
Costituzione, 362 del codice di procedura civile, 71 del testo unico
sulla Corte dei conti n. 1214 del 1934 e 26 del relativo regolamento
di procedura n. 1038 del 1933); non la valutazione della legittimità
costituzionale della normativa che regola tale giurisdizione, una
volta ritenuta esistente, poiché le relative questioni possono
essere ritualmente proposte, eventualmente, soltanto nella via
incidentale prevista dall’art. 23 della legge n. 87 del 1953 e nel
rispetto delle condizioni ivi previste.
3.2. – Queste ultime considerazioni danno la ragione
dell’inammissibilità dell’istanza che il ricorrente,
subordinatamente all’eventuale riconoscimento della giurisdizione
della Corte dei conti nel caso in esame, rivolge a questa Corte,
affinché essa sollevi incidentalmente questione di legittimità
costituzionale della legislazione che risultasse applicabile nella
specie.
Rileva il ricorrente che l’iniziativa promossa nei suoi riguardi
dalla procura regionale della Corte dei conti, la cui legittimità è
stata successivamente affermata dalla sezione regionale della Corte
dei conti stessa (sentenzaordinanza n. 1091/1996/R del 18 aprile-13
maggio 1996) che si è ritenuta competente a decidere in merito a
essa, presuppone l’applicazione della disciplina comune della
responsabilità per danno erariale dei pubblici dipendenti nei
confronti di un magistrato e in relazione a un atto (la liquidazione
dei compensi di cui si tratta) che o è da qualificarsi come
giurisdizionale o, quantomeno, è collegato e strumentale
all’esercizio di funzioni giurisdizionali. Ciò determinerebbe –
direttamente o indirettamente – una lesione della posizione di
indipendenza, costituzionalmente garantita, del magistrato stesso e
un’interferenza con l’esercizio delle sue funzioni, violando tanto i
parametri costituzionali posti a base del presente conflitto, quanto
la generale direttiva che da essi questa Corte ha in diverse
circostanze elaborato, a favore di una disciplina della
responsabilità dei magistrati necessariamente differenziata, in
ragione dello speciale status loro riconosciuto, in rapporto a quella
comune ai pubblici dipendenti (sentenze nn. 26 del 1987, 18 del 1989
e 468 del 1990).
Ciò che manca, affinché l’anzidetta istanza di auto-rimessione
possa avere seguito, è la rilevanza nel presente giudizio della
questione che essa propone. Per decidere il conflitto di
attribuzioni, le norme di legge ordinaria non vengono di per sé in
considerazione. Sarebbe una deviazione dai principi se la Corte
definisse un conflitto costituzionale in applicazione delle scelte
operate dal legislatore ordinario. Questo giudizio può pertanto
essere definito indipendentemente dalla risoluzione della proposta
questione di legittimità costituzionale relativa alle norme
contenenti la disciplina della responsabilità per danno erariale
arrecato dai magistrati nell’esercizio delle loro funzioni.
4. – Le diverse eccezioni di inammissibilità del ricorso restano
assorbite nella presente pronuncia.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara inammissibile il conflitto di attribuzioni tra poteri
dello Stato, sollevato dal giudice istruttore penale presso il
Tribunale di Milano, nei confronti del Procuratore regionale per la
Lombardia della Corte dei conti e della Sezione regionale della
Lombardia della Corte dei conti.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 17 ottobre 1996.
Il Presidente: Ferri
Il redattore: Zagrebelsky
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 5 novembre 1996.
Il direttore della cancelleria: Di Paola