Sentenza N. 39 del 1969
Corte Costituzionale
Data generale
21/03/1969
Data deposito/pubblicazione
21/03/1969
Data dell'udienza in cui è stato assunto
13/03/1969
GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI –
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI
BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI
OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO
CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI
– Dott. NICOLA REALE, Giudici,
decreto 8 gennaio 1931, n. 148, modificato dalla legge 24 luglio 1957,
n. 633, recante “coordinamento delle norme sulla disciplina giuridica
dei rapporti collettivi di lavoro con quelle sul trattamento
giuridico-economico del personale delle ferrovie, tramvie e linee di
navigazione interna in regime di concessione”, promosso con ordinanza
emessa il 17 marzo 1967 dal tribunale di Palermo nel procedimento
civile vertente tra Aiello Giovanni ed altri, la ditta ITACO e
l’Azienda siciliana trasporti, iscritta al n. 109 del Registro
ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 170 dell’8 luglio 1967.
Visti gli atti di costituzione di Aiello Giovanni ed altri, della
ditta ITACO e dell’Azienda siciliana trasporti;
udita nell’udienza pubblica del 29 gennaio 1969 la relazione del
Giudice Ercole Rocchetti;
uditi l’avv. Francesco Santoro Passarelli, per Aiello ed altri,
l’avv. Raffaele Oriani, per la ditta ITACO, e l’avv. Santi Cacopardo,
per l’Azienda siciliana trasporti.
1. – Con decreto 1 febbraio 1965, n. 2200, l’Assessore per il
turismo, le comunicazioni ed i trasporti della Regione siciliana
dichiarò la ditta ITACO decaduta dalle concessioni di autolinee di cui
era titolare ed accordò la concessione provvisoria delle stesse
autolinee alla Azienda siciliana trasporti, con l’onere di rilevare il
personale già dipendente dalla ITACO.
Con atto di citazione, notificato in data 16 luglio 1965, Aiello
Giovanni ed altri lavoratori convenivano dinanzi al tribunale di
Palermo la ditta ITACO, in persona del suo titolare Cecala Luigi, e
l’Azienda siciliana trasporti chiedendo che la ITACO fosse condannata
al pagamento di alcune differenze di retribuzione ad essi dovute in
forza del contratto collettivo nazionale di lavoro 6 maggio 1964, e che
l’Azienda siciliana trasporti fosse condannata al pagamento in loro
favore delle differenze di retribuzione dipendenti dal riconoscimento
delle qualifiche e della anzianità conseguite presso la ITACO sino al
6 febbraio 1965, previo accertamento del loro diritto al riconoscimento
delle anzidette qualifiche ed anzianità.
Costituitasi in giudizio, la ditta ITACO contestava nel merito le
domande proposte dagli attori ed eccepiva preliminarmente, ai sensi
dell’art. 10 del R.D. 8 genaio 1931, n. 148 (esteso al personale delle
autolinee extraurbane dalla legge 22 settembre 1960, n. 1054),
l’improponibilità di quelle domande proposte dagli attori che non
avevano formato oggetto del ricorso in via amministrativa, e
l’improponibilità di tutte le domande proposte dagli attori Filiberto
Rosalia, Davì Antonina, Tralongo Mariano che non avevano presentato
alcun reclamo.
Anche l’Azienda siciliana trasporti, costituitasi ritualmente in
giudizio, oltre a chiedere nel merito il rigetto delle domande proposte
nei suoi confronti, eccepiva, la improcedibilità e proponibilità
delle domande proposte da Filippone Liborio e Davì Antonietta per
inosservanza del disposto di cui all’art. 10 del R.D. n. 148 del 1931.
La difesa degli attori contestava in linea di fatto che il
Filippone e il Tralongo noh avessero proposto reclamo e deduceva la
illegittimità costituzionale dell’art. 10 del R.D. 8 gennaio 1931, n.
148 e successive modificazioni con riferimento all’art. 36 della
Costituzione.
Il tribunale di Palermo, con ordinanza del 17 marzo 1967, riteneva
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 10 del regio decreto citato, in relazione
all’art. 36 della Costituzione e, sospendendo il giudizio in corso,
ordinava la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la
risoluzione della questione di legittimità.
2. – Sotto il profilo della rilevanza il tribunale osserva che la
dedotta questione di legittimità è determinante ai fini della
decisione della causa, non solo per coloro che hanno totalmente omesso
il reclamo, ma anche per gli altri che, pur avendo presentato un
reclamo, nello stesso non hanno fatto menzione di tutte le domande di
poi proposte con l’atto introduttivo del giudizio.
In ordine alla manifesta infondatezza, il giudice a quo, dopo aver
richiamato le argomentazioni contenute nella sentenza della Corte
costituzionale 10 giugno 1966 n. 63 (con cui è stata dichiarata la
incostituzionalità degli artt. 2948 n. 4, 2955 n. 2 e 2956 n. 1 del
Codice civile, limitatamente alla parte in cui consentono che la
prescrizione del diritto alla retribuzione decorre durante il rapporto
di lavoro), rileva che “lo stato di disagio in cui si trova il
lavoratore di fronte al proprio datore di lavoro e per il quale sono
state ritenute incostituzionali le norme sulla prescrizione (nei limiti
sopra precisati) ricorre anche per il lavoratore che ometta di
presentare il reclamo di cui al citato art. 10, entro il previsto
termine di giorni 60”.
“In sostanza, afferma l’ordinanza in esame, come si ritiene che il
lavoratore possa rinunciare, durante il rapporto di lavoro,
all’esercizio dei diritti soggetti a prescrizione, così non può
escludersi che lo stesso lavoratore possa rinunciare alla presentazione
del reclamo nei termini di cui al citato art. 10, in costanza dello
stesso rapporto, poiché tale situazione si risolverebbe in ogni caso
nella rinuncia del diritto alla giusta retribuzione”.
L’ordinanza è stata regolarmente notificata, comunicata e
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica dell’8 luglio
1967, n. 170.
3. – Dinanzi alla Corte si sono costituite soltanto le parti
private. L’Azienda siciliana trasporti, rappresentata e difesa dagli
avvocati Santi Cacopardo e Massimo Annesi, con deduzioni depositate in
cancelleria il 20 maggio 1967, rileva che il tribunale non ha
esattamente valutato i limiti della pronuncia di incostituzionalità
alla quale ha fatto riferimento e la normativa della legge denunciata.
In ordine al primo profilo, essa osserva che il necessario
esperimento di un ricorso in via gerarchica, quale presupposto per
l’ammissibilità dell’azione giudiziaria, non incide su una
ipotizzabile situazione psicologica di disagio del lavoratore che
potrebbe temere di essere licenziato: difatti, i lavoratori che citano
il proprio datore di lavoro, come è avvenuto nella controversia
sottoposta all’esame del tribunale di Palermo, dimostrano chiaramente
di non essere soggetti ad alcun timore, nei confronti del proprio
datore di lavoro; essi quindi avrebbero potuto benissimo proporre un
reclamo in via amministrativa.
Relativamente poi alla disciplina del rapporti di lavoro dei
dipendenti delle aziende esercenti trasporti in concessione, la difesa
dell’Azienda siciliana trasporti osserva che quel rapporto è
caratterizzato da un notevole grado di stabilità che risulta da tutta
la disciplina legislativa contenuta nel regio decreto n. 148 del 1931 e
nell’annesso regolamento: in relazione a questa disciplina, si è
parlato, di “semistabilità” e di “stabilità condizionata”, per
distinguere il rapporto in esame, da un lato dal rapporto di pubblico
impiego, caratterizzato da una piena stabilità, e dall’altro, dal
rapporto di lavoro di diritto comune, nel quale è consentito il
licenziamento ad nutum. Più precisamente, la forza di rapporto a
stabilità condizionata è subordinata soltanto al perdurare delle
condizioni di esercizio dell’azienda, nel senso che il rapporto di
lavoro può avere termine nei casi di limitazione, semplificazione e
soppressione dei servizi, debitamente autorizzati dall’autorità
governativa.
In una memoria depositata il 16 gennaio 1969, l’Azienda siciliana
trasporti, premessa una esegesi storica del sistema legislativo
relativo al trattamento del personale addetto ai servizi di trasporto,
osserva che la progressiva generalizzazione delle disposizioni
contenute nel R.D. n. 148 del 1931, con le leggi n. 628 del 1952 e n.
1054 del 1960, costituisce una inversione della tendenza di lasciare
una sfera d’azione sempre più ampia all’iniziativa privata, e
rappresenta un momento più avanzato della posizione del lavoratore
nell’azienda, in applicazione delle leggi dell’equo trattamento, nel
cui ambito si colloca perfettamente la norma impugnata, dopo le
modifiche apportate dalla legge 24 luglio 1957, n. 634.
L’Azienda siciliana trasporti, pertanto, conclude chiedendo il
rigetto della questione di legittimità dell’art. 10 del regio decreto
citato.
4. – Anche gli attori rappresentati e difesi dagli avvocati Eduardo
Pitucco e Lorenzo Gorgone Querini si sono costituiti dinanzi alla Corte
con deduzioni del 22 maggio 1968, deducendo il contrasto tra la norma
denunciata e l’art. 36 della Costituzione: difatti, alla stregua di
principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 63 del
1966, dovrebbe ritenersi costituzionalmente illegittima la norma che
consente la perdita dei diritti del lavoratore per semplice breve
inazione nel corso del rapporto di lavoro e cioè mentre il lavoratore
si trova in condizioni di inferiorità e di subordinazione nei
confronti del datore di lavoro.
Ma, secondo la difesa degli attori, la norma incriminata si
presenta incostituzionale anche con riferimento all’art. 24 della
Costituzione, in quanto consente una tacita rinuncia del lavoratore ad
un altro diritto costituzionalmente garantito, quale è quello di agire
in giudizio per la tutela dei propri diritti.
Per gli attori, sono state inoltre prodotte due distinte memorie,
depositate in cancelleria il 10 e 16 gennaio 1969 e rispettivamente
redatte dall’avv. Lorenzo Gorgone Querini e dagli avvocati Eduardo
Pitucco e Francesco Santoro Passarelli.
Gli attori, richiamandosi alla sentenza n. 63 del 1966 osservano
che se la Corte, nella motivazione, ha fatto richiamo alla eventualità
del licenziamento, lo ha fatto solo per menzionare la forma di
rappresaglia più grave, non certo per limitare la pronunzia di
incostituzionalità soltanto ai rapporti che prevedano la possibilità
del recesso ad nutum da parte del datore di lavoro.
Osservano inoltre gli attori, che le garanzie di stabilità dei
lavoratori delle aziende di trasporto in concessione non sono maggiori
di quelle che godono tutti i dipendenti di aziende che occupano più di
trentacinque persone, ai sensi della legge 15 luglio 1966, n. 604.
Questa situazione determinerebbe una ingiustificata disparità di
trattamento, contrastante con l’art. 3 della Costituzione, se si
ammettesse che i lavoratori addetti ai servizi di trasporto debbano
sottostare, per l’esercizio giudiziale dei loro diritti, a un termine
di decadenza che decorra anche in costanza del rapporto di lavoro.
D’altra parte, il fatto che le richieste degli attori dinanzi al
tribunale di Palermo non fossero di natura meramente patrimoniale, non
escluderebbe il richiamo all’art. 36 della Costituzione, in quanto, nel
disposto costituzionale, l’irrinunziabilità deve essere intesa nel
senso più lato, con riferimento al trattamento economico e normativo
previsto dalla legge e dai contratti collettivi.
5. – Con deduzioni depositate in cancelleria il 28 luglio 1967 si
è, infine, costituita col patrocinio dell’avv. Raffaele Oriani la
ditta ITACO, la quale, con argomentazioni analoghe a quelle prospettate
dalla difesa della Azienda siciliana trasporti, chiede che la Corte
dichiari non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 10 del R.D. 8 gennaio 1931, n. 148.
6. – Nella discussione orale le difese delle parti hanno illustrato
le tesi già proposte negli scritti difensivi e insistito nelle già
prese conclusioni.
Per la risoluzione delle controversie individuali relative ai
rapporti di lavoro fra gli agenti dipendenti e i privati concessionari
di trasporti in concessione, l’art. 10 del decreto n. 148 del 1931,
modificato dalla legge n. 633 del 1957, stabilisce che l’azione avanti
l’autorità giudiziaria non possa essere iniziata dagli agenti se non
sia stato previamente esperito un complesso procedimento
amministrativo, che si articola nel seguente modo. La domanda
giudiziale non può essere, in ogni caso, proposta se non sia stato
prima presentato un reclamo in via gerarchica all’amministrazione
dell’ente concessionario e non siano trascorsi trenta giorni dalla
presentazione di esso. Inoltre, mentre per le controversie aventi per
oggetto competenze arretrate ed altre prestazioni di natura
esclusivamente patrimoniale (comma quarto dell’art. 10) il termine per
l’inizio dell’azione, nonché – deve intendersi – per la presentazione
del reclamo, è quello stesso della prescrizione previsto nei
richiamati artt. 2948, 2955 e 2956 del Codice civile; per le
controversie, invece, aventi ad oggetto diritti non patrimoniali o,
comunque, non esclusivamente patrimoniali (diritti relativi alla
carriera, alla qualifica, ecc.) sono stabiliti, ed a pena di decadenza,
altri termini (commi secondo e terzo dell’art. 10) di sessanta giorni
dalla comunicazione del provvedimento contro cui si ricorre, per la
presentazione del reclamo, e di sessanta giorni, decorrenti dalla
scadenza dei trenta dopo la presentazione del reclamo anzidetto, per
l’inizio dell’azione giudiziaria.
Il tribunale di Palermo, nel giudizio come sopra proposto da agenti
dipendenti contro enti concessionari per il pagamento di indennità
arretrate e il riconoscimento di qualifiche, ha ritenuto, oltre che
rilevante, non manifestamente infondata l’impugnativa di illegittimità
costituzionale dell’art. 10 di cui si è detto, proposta dagli attori
in ordine al sistema del preventivo obbligatorio esperimento di un
procedimento amministrativo nel quale sono contemplati termini di
decadenza per la proposizione dell’azione giudiziaria. E tale
impugnativa ha collegato al rispetto dell’art. 36 della Costituzione,
il cui disposto ha ritenuto possa considerarsi nel caso violato per le
stesse ragioni per le quali la Corte ritenne, nella sentenza n. 63 del
1966, illegittimi gli articoli del Codice civile in materia di
prescrizione, nella parte in cui consentivano la decorrenza di essa nel
corso di un rapporto di lavoro subordinato.
Anche la norma impugnata nel detto art. 10, si legge infatti
nell’ordinanza del tribunale di Palermo, “importerebbe che il
lavoratore, per semplice breve inazione che, nell’ambito del rapporto
di lavoro equivale a una tacita rinunzia, possa perdere il proprio
diritto a quella giusta retribuzione costituzionalmente garantita”.
Nel corso del giudizio avanti la Corte, le difese degli agenti
interessati hanno asserito che la norma impugnata violerebbe, oltre che
l’art. 36, anche gli artt. 3 e 24 della Costituzione. Ma di tali
deduzioni non può tenersi alcun conto, dovendo il giudizio essere
circoscritto alla questione di legittimità nei termini dell’ordinanza
di rimessione.
Ora, nessuna parte dell’art. 10 in esame può ritenersi contrasti
col principio della giusta retribuzione tutelato dall’art. 36 della
Costituzione. Né la parte di cui al quarto comma dell’art. 10, nel
quale il richiamo agli artt. 2948, 2955 e 2956 del Codice civile (da
intendersi ormai fatto al contenuto che essi hanno assunto in
conseguenza della sentenza della Corte n. 63 del 1966, escludente la
decorrenza della prescrizione nel corso del rapporto di lavoro) elimina
ogni temuto elemento di coartazione della volontà del lavoratore; e
nemmeno la parte di cui ai commi terzo e quarto dello stesso art. 10,
così come essi risultano modificati dalla legge n. 633 del 1957 che,
con l’aggiunta del quarto comma, ha ristretto il campo di applicazione
dei due commi precedenti. I commi secondo e terzo, che prima coprivano
l’intera area di tutte le possibili controversie tra agenti e
concessionari, ora interferiscono, secondo quanto si è già detto,
soltanto in tema di problemi attinenti ai rapporti di natura non
esclusivamente patrimoniale.
È però da escludersi che l’art. 36 della Costituzione, oltre ad
assicurare il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità
e qualità del lavoro prestato, tuteli anche i diritti di cui trattasi,
benché da essi possano conseguenzialmente derivare, in via mediata,
degli effetti di ordine patrimoniale. Tali diritti, fra i quali il più
saliente appare quello del riconoscimento di una qualifica maggiore,
sono volti, in genere, ad attribuire al lavoratore, con l’acquisizione
di una nuova posizione nell’azienda, aumenti di retribuzione e non già
ad assicurargli soltanto la corresponsione di una retribuzione
proporzionata al lavoro effettivamente da lui prestato e che il citato
articolo della Costituzione si limita a garantirgli.
Va infine considerato che, nella visione globale del regime del
così detto equo trattamento, disciplinato dal R.D. n. 148 del 1931,
non manca in favore degli agenti un complesso di vantaggi (stabilità
condizionata del rapporto di lavoro, art. 27 allegato A; tutela degli
avanzamenti art. 15; disciplina affidata a una Commissione con membri
nominati dall’autorità amministrativa, le cui decisioni possono essere
impugnate in Consiglio di Stato artt. 54 e 58) i quali mentre da un
lato attenuano gli svantaggi delle modalità e dei termini previsti per
la disciplina della risoluzione delle controversie di lavoro,
dall’altro eliminano, o almeno riducono di molto, quei pericoli che gli
attori in giudizio avanti il tribunale di Palermo dicono di ravvisare
in quella disciplina.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 10 del R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, recante “coordinamento
delle norme sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi di
lavoro con quelle sul trattamento giuridico-economico del personale
delle ferrovie, tramvie e linee di navigazione interna in regime di
concessione”, articolo modificato dalla legge 24 luglio 1957, n. 633,
in riferimento all’art. 36 della Costituzione, proposta con l’ordinanza
indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 13 marzo 1969.
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE.