Sentenza N. 399 del 1994
Corte Costituzionale
Data generale
23/11/1994
Data deposito/pubblicazione
23/11/1994
Data dell'udienza in cui è stato assunto
10/11/1994
Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, avv. Mauro
FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, prof. Giuliano
VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof.
Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO;
legge 15 febbraio 1958, n. 46 (Nuove norme sulle pensioni ordinarie a
carico dello Stato), come modificato dagli artt. 81 e 82 del testo
unico 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione delle norme sul
trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello
Stato), promosso con ordinanza emessa il 16 giugno 1993 dalla Corte
dei conti, sez. IV giurisdizionale, sul ricorso proposto da Imperoli
Iride, iscritta al n. 54 del registro ordinanze 1994 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale
dell’anno 1994;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 26 ottobre 1994 il Giudice
relatore Gabriele Pescatore.
difesa respingeva l’istanza con la quale la signora I. Imperoli
chiedeva che le venisse riconosciuto il diritto al trattamento
pensionistico di riversibilità in seguito al decesso del proprio
marito E. Colaprete, già in godimento della pensione privilegiata
indiretta per la morte del proprio figlio Salvatore, capitano pilota,
deceduto per causa di servizio in data 12 marzo 1948 e avuto da
precedente matrimonio.
Impugnato tale provvedimento in via giurisdizionale, nel corso del
susseguente giudizio la Corte dei conti ha sollevato d’ufficio – con
ordinanza 16 giugno 1994 – questione di legittimità costituzionale
“degli artt. 11 e 12 della legge 15 febbraio 1958, n. 46 (ora artt.
81 e 82 del T.U. 29 dicembre 1973, n. 1092) e corrispondenti norme in
materia di pensioni di guerra”, ritenendo violati gli artt. 3, 29 e
31 della Costituzione “nella parte in cui non è previsto anche il
beneficio della riversibilità della pensione indiretta in favore
dell’altro coniuge ovvero dei minori di età (figli)”.
Ad avviso del giudice a quo la ratio delle norme censurate
andrebbe ricercata nella esigenza di “non far venire meno ai
familiari del dipendente o pensionato i necessari mezzi economici, di
cui essi fruivano nel momento dell’avvenuto decesso del genitore
titolare della pensione” e quindi nella esigenza di “assicurare al
nucleo familiare quelle risorse economiche di carattere continuativo”
che sarebbero “imprescindibili” per la vita futura dei componenti il
nucleo medesimo. In altri termini, tale essendo la “ratio
dell’istituto della riversibilità” non sarebbe comprensibile la
mancata previsione dello stesso nel caso in cui il “titolare di
pensione indiretta all’atto del decesso del coniuge (genitore) si sia
risposato ed abbia anche avuto dal nuovo matrimonio la prole”.
In ordine al contrasto con gli artt. 29 e 31 della Costituzione,
osserva il giudice a quo, che la mancata previsione del beneficio
della riversibilità – nella fattispecie – si ripercuoterebbe
negativamente sull’equilibrio dei rapporti tra coniugi in quanto
lederebbe il principio della parità giuridica sancito dall’art. 29
della Costituzione atteso ché i benefici pensionistici economici
suddetti sarebbero subordinati alla circostanza che il titolare della
pensione indiretta resti in vita restando – per contro – esclusi nel
caso di decesso dello stesso beneficiario.
Di più, detta esclusione – risolvendosi il beneficio della
riversibilità in interventi o incentivi economici a sostegno della
unione familiare – verrebbe a costituire un ostacolo per la
formazione della unione familiare (art. 31 della Costituzione).
2. – Dinanzi a questa Corte è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei ministri – rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato – chiedendo che la questione sia dichiarata
manifestamente infondata.
In particolare si assume che la disparità censurata nella specie
può “al più” considerarsi di mero fatto e non certamente giuridica
posto che diversa sarebbe “la situazione di base del percettore di
pensione diretta rispetto a quello di pensione indiretta” il quale
ultimo verrebbe a costituire adempimento di un preciso obbligo di
solidarietà sociale.
Quanto alla censura concernente l’equilibrio nei rapporti tra
coniugi si rileva che – sulla base della costante giurisprudenza
costituzionale – “l’imposizione di limiti e condizioni per il
conseguimento della pensione di riversibilità” non contrasta con
l’art. 31 della Costituzione in quanto e da un lato la libertà di
formare una famiglia non può ritenersi concretamente limitata dal
ridimensionamento di una mera aspettativa, futura ed incerta come
quella di conseguire una pensione di riversibilità, e dall’altro
l’istituto della famiglia – tutelato dalla Costituzione –
risponderebbe a scopi etico-sociali ben “più pregnanti di quelli che
sarebbe dato rinvenire in un rapporto istituito con finalità così
limitate e ristrette” (Corte costituzionale, sentenza n. 3/1975). In
particolare, secondo la più recente giurisprudenza costituzionale,
il vincolo del matrimonio – attenendo ai diritti intrinseci ed
essenziali della persona umana – è e deve rimanere frutto di una
libera scelta autoresponsabile nella quale non deve incidere
alcunché di estraneo (sentenza n. 109/1991).
Da ultimo si osserva che la tesi prospettata dalla Corte dei conti
potrebbe provocare “una riversibilità a catena” in quanto la
pensione acquisita dalla vedova (o dal vedovo) del titolare di
pensione indiretta potrebbe trasferirsi anche ad un eventuale nuovo
coniuge ovvero all’orfano, cioè a soggetti non legati da alcun
rapporto con “la persona dell’originario trattamento pensionistico”.
Infine si rileva che i requisiti posti dalla legge per la
concessione di pensione di riversibilità concernono la
discrezionalità del legislatore e sono in quanto tali sottratti al
sindacato di costituzionalità.
degli artt. 11 e 12 della legge 15 febbraio 1958, n. 46 (ora artt. 81
e 82 del t.u. 29 dicembre 1973, n. 1092) e corrispondenti norme in
materia di pensioni di guerra, nella parte in cui escludono il
beneficio della riversibilità della pensione indiretta in favore del
coniuge ovvero dei minori di età (figli).
Detta mancata previsione creando – secondo la Corte remittente –
una ingiustificata disparità di trattamento tra la vedova del
titolare di pensione diretta e quella del titolare di pensione
indiretta violerebbe gli artt. 3, 29 e 31 della Costituzione.
2. – La questione non è fondata.
Converrà preliminarmente chiarire che il giudizio a quo, come
risulta dalla stessa ordinanza di rinvio, concerne il diniego di
pensione privilegiata di riversibilità nei confronti del coniuge del
titolare di pensione indiretta.
Orbene, per quel che concerne il trattamento privilegiato di
riversibilità – ovvero quello previsto, indipendentemente dalla
anzianità di servizio quando la morte del dipendente statale è
conseguente ad infermità o lesioni riconducibili a fatti di
servizio, rectius derivanti dall’adempimento degli obblighi di
servizio – l’art. 92 del testo unico sulle pensioni civili n. 1092
del 1973 stabilisce che “spetta ai congiunti la pensione privilegiata
nella misura ed alle condizioni previste dalle disposizioni in
materia di pensioni di guerra”. In virtù di detto rinvio, possono
fruire del trattamento di riversibilità, in ordine di precedenza
(art. 57 e segg. d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915), le seguenti
categorie di superstiti: a) il coniuge e gli orfani (figli legittimi,
ai quali sono equiparati i legittimati, gli adottivi, i figli
naturali riconosciuti o giudizialmente dichiarati e coloro che siano
stati affiliati nelle forme di legge: art. 46 d.P.R. n. 1092 cit.),
b) i genitori legittimi o che abbiano legittimato il dante causa ed i
soggetti ad essi assimilati ovvero gli adottanti, i genitori
naturali, gli affilianti.
Dal contesto normativo richiamato emerge che il sistema delle
pensioni indirette è regolato da specifiche norme che stabiliscono
un rigido ordine di precedenza: esse si fondano, tranne poche
eccezioni, sul principio che la pensione va attribuita, una sola
volta, a quello fra i soggetti che alla data di morte del dante causa
sia collocato prima nell’ordine di precedenza. Sicché la
legittimazione delle predette categorie si fonda sul criterio
dell’esclusione, nel senso che la presenza di aventi diritto
appartenenti alle categorie in posizione prioritaria esclude i
soggetti appartenenti a categorie successive. Tale criterio della
esclusione risulta corretto da quelli della coesistenza e del
consolidamento: in particolare nell’ambito di ciascuna categoria vige
(eccezion fatta per la seconda che comprende il padre e la madre) il
principio della legittimazione plurima, in virtù del quale con il
coniuge superstite possono concorrere gli orfani o soggetti ad essi
equiparati ed al concorso potevano, altresì, essere chiamati i
collaterali (per questi ultimi vige attualmente la disposizione
contenuta nell’art. 5 della legge 6 ottobre 1986, n. 656, che
abrogando la lettera c) dell’art. 57 nonché l’art. 65 del d.P.R. n.
915 del 1978, esclude i collaterali dal novero dei soggetti chiamati
a beneficiare della pensione di cui alle norme citate).
Ne consegue che il diritto al trattamento di riversibilità non
può risorgere in capo ad un soggetto appartenente ad una categoria
esclusa, allorché il titolare, appartenente alla categoria
precedente ammessa al godimento, l’abbia successivamente perduto per
morte. Infatti, la mancanza di congiunti di ordine precedente aventi
diritto alla pensione di riversibilità va sempre riferita alla data
della morte del dipendente o del pensionato, salvi i casi di
consolidamento della pensione (art. 66 d.P.R. n. 915 del 1978).
Criterio del tutto peculiare è, infatti, quello del
consolidamento per effetto del quale in alcune ipotesi tassativamente
previste dalla legge, sul presupposto della sussistenza di una
comunanza di interessi tra i componenti del gruppo familiare, la
pensione viene acquisita da un soggetto (padre) e venuto a mancare
quest’ultimo, si consolida in favore della madre. Si rileva,
altresì, che il consolidamento non presuppone una originaria
contitolarità del diritto, essendo ciascun soggetto titolare di una
propria autonoma posizione, che si realizza secondo ordine successivo
nel caso di morte.
3. – Ciò premesso, si rileva che la fattispecie – oggetto del
giudizio a quo – è quella descritta dall’art. 57 del testo unico
delle norme in materia di pensioni di guerra (d.P.R. 23 dicembre
1978, n. 915) in base al quale la pensione privilegiata di
riversibilità spetta, in mancanza di altri congiunti, a titolo di
assegno alimentare, al padre che abbia raggiunto l’età di anni
cinquantotto, o sia comunque inabile a qualsiasi proficuo lavoro,
oppure alla madre vedova.
In applicazione dei principi dianzi richiamati, se il padre (unico
genitore superstite) del dipendente deceduto – al quale, verificatesi
le condizioni di cui all’art. 57 del d.P.R. n. 915 del 1978, sia
stato attribuito il trattamento di riversibilità – successivamente
muore, come è avvenuto nella fattispecie di cui è causa, il diritto
alla riversibilità si estingue. Il che appare coerente con i
principi ispiratori della normativa censurata, preordinata, da un
lato, ad assicurare una graduazione di diritti alla pensione di
riversibilità fondata sulla prossimità del grado di parentela
(legittima, naturale e civile), e dall’altro alla necessità di
assicurare la par condicio, ovvero di trattare alla stessa stregua
soggetti facenti parte (rispetto al dipendente o pensionato statale)
di uno stesso gruppo o categoria.
In questa prospettiva vigono ed operano i criteri di esclusione,
di concorso e di consolidamento dianzi ricordati.
Se questo è il congegno che racchiude la normativa censurata è
chiaro come, tranne i casi di consolidamento previsti in via
tassativa, la posizione inerente alla pensione sia dunque
rigorosamente statica e non dinamica in quanto, come già rilevato,
anche venendo a morte i congiunti che, in ordine prioritario avessero
fruito della pensione, di questa non possono beneficiare i congiunti
che li seguono nell’ordine, essendo ininfluenti gli eventi successivi
alla data indicata dalla legge (morte del dante causa).
L’ordinanza di rinvio non muove dalla considerazione dei principi
ora indicati, posti a base della disciplina censurata, fondandosi
esclusivamente sulla pretesa funzione assistenziale che il
trattamento di riversibilità verrebbe ad acquistare tanto nel caso
di morte del titolare di pensione diretta quanto in quello di
pensione indiretta.
È subito da rilevare, in questo quadro, che la pensione diretta
non è equiparabile a quella indiretta, in quanto i già indicati
criteri di individuazione e di graduazione dei beneficiari, posti
dalla legge, per il trattamento privilegiato indiretto di
riversibilità si fondano sulla tutela dei vincoli di sangue e della
conseguente solidarietà familiare. Intesa, quest’ultima, non come
prius bensì come posterius, sicché i contenuti di detta
solidarietà non sono connotabili a priori o sulla base di situazioni
di fatto bensì operano sulla base dei principi afferenti alle
pensioni privilegiate indirette. Sicché l’esclusione, il concorso,
il consolidamento nonché la tassatività dei titoli di acquisizione,
postulando la sussistenza di uno status familiae del beneficiario
rispetto a quello concernente il congiunto, tutelano il legame di
quest’ultimo con il primo.
Con la conseguenza che, una volta attribuita al beneficiario del
trattamento di riversibilità, la pensione indiretta realizza la sua
finalità risarcitoria e cessa di operare. È questa la ragione della
sua inidoneità ad esplicare ulteriori effetti, che sarebbero propri
di una diversa funzione (assistenziale) e contraddistinti da diversi
titoli di acquisizione (seconda moglie del genitore superstite) non
predeterminati né predeterminabili.
Come si è osservato, il collegamento tra i vari ordini
beneficiari previsti dalla legge è di carattere statico e
strettamente riferibile alla data di decesso del titolare. Ed anche
nell’ambito della riversibilità ordinaria, il raffronto prospettato
dal giudice a quo tra vedova di titolare di pensione diretta e vedova
di titolare di pensione indiretta colloca in un’unica fattispecie due
situazioni non omogenee, l’una delle quali esclude l’altra
trattandosi, per l’appunto, di situazioni diversamente connotabili in
ordine alla fonte, all’oggetto della tutela nonché al momento della
loro efficacia.
Diversità che non possono non interessare e riflettersi sulla
tutela dei superstiti. Con la conseguenza che nessuna comparazione è
possibile tra le situazioni poste a raffronto dal giudice a quo.
Cade, per queste ragioni, il contrasto con l’art. 3 della
Costituzione e restano assorbiti le ulteriori violazioni denunciate
con riferimento agli artt. 29 e 31 della Costituzione che su quella
norma si sono fondati.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 11 e 12 della legge 15 febbraio 1958, n. 46 (Nuove norme
sulle pensioni ordinarie a carico dello Stato), come modificato dagli
artt. 81 e 82 del testo unico 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione
delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e
militari dello Stato), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 29 e
31 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sez. IV
giurisdizionale, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 novembre 1994.
Il Presidente: CASAVOLA
Il redattore: PESCATORE
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 23 novembre 1994.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA